IL DILETTANTISMO CULTURALE

di Camillo Berneri

L’Adunata dei Refrattari (New York, 6 agosto 1932)

 

“I nostri tempi richiedono dei buoni boscaioli, dei buoni terrazzieri, dei buoni minatori. (…) C’è tutto un mondo di bestialità che minaccia noi e quei che verranno dopo di noi. E’ la nostra un’epoca in cui occorre la mobilitazione di tutte le energie che mirano ad un nuovo ordine di libertà e di giustizia. A questa necessità bisogna rispondere. Dobbiamo essere noi i primi a rispondere. Dobbiamo essere noi i primi a mostrarci capaci di una disciplina culturale rivoluzionaria. Diamo una rapida occhiata alla nostra stampa. Vi sono giornali di battaglia, di propaganda attualista, vi sono riviste dedicate ai problemi sociali. Ma vi sono dei giornali e delle riviste che dedicano troppo spazio alle questioni per noi secondarie, trattate più efficacemente da altri periodici ad esse dedicati. Una rivista anarchica spagnola si occupa quasi esclusivamente di nudismo. Una rivista anarchica francese si occupa quasi esclusivamente del libero amore integrale. E varie altre riviste si occupano quasi esclusivamente di letteratura. 

Io sono un grande peccatore, in questo campo. E debbo fare, prima di predicare, una confessione pubblica; come se fossi un cristiano dei primi secoli. L'esame di coscienza l’ho già fatto, ed è questo che mi fa scrivere. È anche a me che parlo, quindi. 

Anch'io, di quando in quando, diserto. Qualche soggetto di studio mi seduce e gli vado dietro, ammaliato. Mi abbandono a questa fame di scoperte libresche, a questo andare per foreste e per prati culturali a erborizzare i «materiali» per qualche libro che non finisco o per qualche monografia destinata a rubare utile spazio a qualche rivista. E fossero, almeno, argomenti attinenti alla questione sociale, più o meno direttamente. No, sono dei veri e propri amorazzi da cerebrale senza cuore. Mi vergognerei di parlarne, qui. E quel che è grave si è che in quel tepore di isolamento dalla vita, in quel rinchiudermi accanto al focolare dove schiocca il ceppo, dimenticando e neve e gelo, e il burrascoso mare, mi compiaccio. Ritorno all'egoismo presuntuoso della mia fanciullezza, quando, divorando libri, onnivorescamente, progettavo opere immense: castelli di Spagna che crollavano prima di essere costruiti. Allora non insisteva il rimorso degli studi fine a se stessi. Allora ero … scienziato puro. Quella prosa paludata dei grandi filosofi, dei grandi storiografi, dei grandi naturalisti (allora tutti erano grandi per me) era una cattedrale solenne e buia in cui entravo con il rispetto un po’ spaurito del neofita. Quelle letture erano rivelazioni che accettavo, abbagliato. Poi, un po’ lo spirito critico che andava affermandosi, un po’ le stroncature che andavano  zombazzando i novatori di allora, l'incanto dell'autorità fu rotto. E anch'io, mi sfogai, forse per sentirmi fuori tutela, a snasare con le sassate del paradosso le statue più solenni, e squilli di guerra all'ipse dixit subentravano alla modesta riverenza, e chissà quante bestialità snocciolai nel mio entusiasmo iconoclasta, laggiù, sotto i portici di via Emilia, facendo la spola.

E fui anch’io, a modo mio, futurista. Quella febbre di rinnovamento del mio capitaleletto culturale mi figurava battaglie di cattedrali, che si sfasciavano tutte fragorosamente, sollevando un nuvolone di polvere in cui, perdendomi, mi sentivo orgoglioso, sì, di pensare con la mia testa, ma anche impoverito. 

E fu allora che guardai intorno a me, nella vita. E vedendo ovunque disarmonie, cioè ingiustizie schiaccianti ed arbitri bestiali, mi dissi: ecco una via certa. Ed era quella di battermi contro quei reali mostri. Naturalmente, i sogni erano dorati, gli entusiasmi ingenui. Ma avevo trovato una strada, sulla quale camminare a fianco del popolo, che mi si rivelava attraverso i miei primi «compagni». Poi vennero le delusioni, le prime. E allora un grande e folto fogliame e ombrava l'orto delle minute fatiche e del continuo entusiasmo che richiede la vita del militante. Nel fondo dello spirito ritornavo a sciamare delle ... idee luminose, che andavano a perdersi nella incalzante, frammentaria, superficiale ma entusiasta grafomania politica. Sorgeva, allora, e si faceva imperioso il bisogno di fermarsi: a pensare, a bere alle fonti che risuonavano a fianco di quello stradone assolato sul quale avevo caracollato furiosamente. E sarebbe stato bene, se mi fosse rifornito per essere più agguerrito nella propaganda. Mi abbandonavo, invece, alle preferenze culturali per soggetti lontani dalla questione sociale, da quella che era la mia vita più vera, cioè più ampia, più viva, più umana. Ma richiamava me a me stesso, la coscienza. E mi smagava, con i suoi rimproveri e con le sue ironie, il fascino di quelle minute ricerche. Mi disinvescavo da quegli studi estranei al mio destino e provavo vergogna di quelle curiosità e di quelle fatiche infeconde. Mi rituffato nell'attività «per la causa» (dicevo così, romanticamente) e mi pareva un bagno purificatore, quasi un rinnovato battesimo". 

 

Berneri si rimprovera l’erudizione come lusso e denuncia, un po’ forzatamente, l'inconciliabilità fra la vita dello studioso e quella del militante: 

 

"L’erudizione come lusso mi appare soltanto oggi in tutta la sua immoralità. Ci si può occupare del linguaggio negli animali, di quel tale famoso passo di Tucidide, del vero significato del Cogito, ergo sum cartesiano e di tutte quelle infinite questioni che ad ogni passo della vita culturale aprono parentesi di ricerche e di riflessioni? Sì e no. Sì nella certezza di poter dare con una vita di studio tali messi di risultati che compensino la rinuncia alla lotta, alla propaganda, alla volgarizzazione. No, altrimenti. Non ci si illuda: conciliare la vita dello studioso e quella del militante non si può se non a scapito di entrambi. A meno che si abbia un ingegno eccezionale; e anche in tale caso bisogna che le attitudini intellettuali coincidano con le preferenze del cuore. 

Beati coloro che, come Eliseo Reclus e come Kropotkin, possono risolvere il problema con chiara coscienza del proprio valore. Beati coloro che possono dire: in questa fucina lavoro per coloro che sono e che verranno e questa mia opera non è men dignitosa né meno necessaria perché si limita e si approfondisce in particolari ricerche. Quando c'è vigore di mente non vi è oggetto di studio e di riflessione che sia di poca importanza, ché il cristallo è associato all'astro, il filo di erba all'uomo, la radice sanscrita all'interpretazione storica, la scoperta biologica al diritto penale. Nulla è arido nel campo della scienza. E chissà scrivere, quante comete può lanciare nel mondo, quali uragani può scatenare, a quante coscienze può dare luce e calore!

Ma se chiudersi nella torre d'avorio, che è un faro, non è soltanto lecito ma doveroso, ché nel mondo vi è bisogno non solo di fiaccole ma anche di stelle, chiudersi in essa come l'avaro, per giocare con i barbagli di un oro che non vale quanto pesa di rinuncia alla lotta per un po' di sole per tutti, non lo si deve. 

La cultura del militante ha dei limiti facilmente tracciabili: le scienze sociologiche, dall’antropologia all'economia politica. Campo vastissimo. A fissare i limiti della cultura rivoluzionaria, per quel che riguarda l'opera di propaganda, è l'interessamento vivo per la questione sociale quale si presenta nei vari momenti e nell'epoca. 

Bisogna che tutti si impongano questa disciplina culturale. Max Nettlau è un magnifico esempio. Filologo, si è fatto storiografo. Storiografo, non si è occupato delle guerre di Alessandro il Macedone, né del perché fu grande Venezia. Ha scritto e scrive la storia dell'anarchismo, magnificamente. 

In un campo più modesto, vediamo degli operai (Treni, Gobbi, etc.) occuparsi seriamente dei problemi del lavoro. 

Ma questi, a cominciare da me, non si sono persi fino ad ora a trattare di un'infinità di questioni che fanno disperare quei compilatori di riviste e di giornali di parte nostra che hanno la testa sulle spalle. 

I tempi richiedono una nostra mobilitazione culturale. V è il mito bolscevico dal sventrare. Vi è il sistema capitalistico in istato fallimentare data anatomizzare. Vi sono i problemi della rivoluzione da discutere. Vi sono gli equivoci social-democratici da mandare in aria. E tante altre battaglie di idee da combattere. In Francia la rivoluzione è lontana e certi dilettantismi si spiegano. Ma là dove c'è un mondo da abbattere e un mondo da ricostruire, come è in Spagna, qualunque specializzazione (educazionista, igienista, libero-amorista che sia) è grottesca. 

E la nostra stampa, che deve contribuire a rovesciare il fascismo e a creare quelle correnti di idee e di sentimenti che evitano gli errori e gli aborti che le recenti rivoluzioni ci hanno mostrati, deve essere all'altezza del compito. 

Compilatore dell'Adunata, se sgarro, giù nel cestino gli articoli dilettanteschi! L’ora è di guerra. L'ora è di preparazione rivoluzionaria. 

Gli ozi di Capua culturali devono aver fine".