Camillo Berneri, intellettuale della stessa generazione (e del calibro) di Piero Gobetti, Carlo Rosselli ed Antonio Gramsci, dei quali fu diretto e stimato interlocutore, è stato pressoché cancellato dall’ufficialità della storiografia accademica e scolastica (anche di sinistra). La sua colpa? Essere anarchico. Eppure il problemismo, l’attenzione costante alla verifica sul campo dei postulati, lo stile antidogmatico, propri della critica berneriana, tracciano, oggi più che mai, il “programma minimo” per l’unico (e l’ultimo) socialismo possibile: quello libertario.
Già nel giovane Berneri – che come Rosselli fu allievo di Salvemini – emerge principalmente la preoccupazione di affermare il primato dell’etica sulla politica, la cui “autonomia” è (viceversa) giudicata come l’origine dell’impossibilità d’ogni cambiamento progressivo. Se ai liberali egli rimprovera che non può esistere autodeterminazione senza eguaglianza, agli eredi di Marx – il “Machiavelli del socialismo” – fautori della “dittatura del proletariato”, Berneri contesta l’assenza di una considerazione opposta: non c’è eguaglianza senza libertà, né progresso senza piena valorizzazione dell’umanità (ridicolizzandone perciò anche la costruzione di un’iconografia operaista). Ad entrambi ricorda che l’organizzazione gerarchica ed autoritaria dello stato e l’assoluta delega di potere stanno all’origine della negazione dei diritti e dell’equità. I mezzi condizionano il fine. Pericolosa illusione giacobina, nell’utopia autoritaria è la convinzione che lo stato dittatoriale possa guidare la propria autoestinzione, come se fossero “sovrastrutturali” la privazione della libertà, l’ineguaglianza a livello culturale, nonché l’assenza di partecipazione diretta e democratica nella gestione della cosa pubblica.
Vero “liberale del socialismo”, Berneri non contrastò quindi solo il sistema capitalistico o il fascismo, bensì ogni ragion di stato e qualsiasi forma di totalitarismo, bolscevismo compreso. Avvenne così che l’irriducibile intellettuale militante spesosi in prima persona contro le forze tradizionali della reazione – dal 1926 perseguitato da Mussolini fin nell’esilio – venne infine assassinato invece dai sicari di Stalin (con il contributo determinante degli italiani Togliatti, Longo e Vidali), a Barcellona nel 1937. Successe durante le giornate di maggio nel pieno dello scontro tra due concezioni antitetiche della rivoluzione. Da una parte chi voleva costruire senza se e senza ma il federalismo, l’autonomia ed il socialismo libertario. Dall’altra i fautori della concezione centralista e dittatoriale guidati dal Komintern, volti a sabotare la tendenza libertaria e perciò anche pesantemente compromessi con l’alta borghesia repubblicana, impegnata nel cambiare tutto perché nulla cambi.
Va ricordato però che l’onestà intellettuale ed il rigore di Berneri lo posero in rotta di collisione con tutti gli ideologismi e le soluzioni dottrinarie del “secolo breve”. Egli prese dunque le distanze anche dalle semplicistiche ricette impolitiche invalse in parte significativa dell’anarchismo militante. Perciò, pur collocandosi nella miglior tradizione libertaria, Berneri ne denunciò le incrostazioni dottrinarie, identificandone i limiti nella coazione a ripetere e nella tendenza a sfuggire la realtà, e con essa gli obblighi e le provocazioni della storia: una violazione patente del principio etico di responsabilità. Ecco perché dal suo lavoro emerge uno sforzo teorico-progettuale ed autocritico più unico che raro nel panorama libertario.
Berneri concepì libere istituzioni della società civile in antitesi allo stato, incardinate sul comunalismo e coordinate in senso federalista; criticò le paure degli “anarchici integralisti” rispetto all’elaborazione di una precisa prassi politica e di un programma definito, mettendo in guardia rispetto al paradosso del “codismo”, ovvio risultato dell’assenza di una strategia politica; valorizzò il mondo dell’associazionismo di base e l’organizzazione anarcosindacalista, concepite come realtà “dialetticamente indipendenti” rispetto allo specifico militante, vedendovi le fucine progettuali e la struttura-base per la ricostruzione sociale; si occupò di psicologia, stigmatizzando la demagogia, l’operaiolatria e l’antisemitismo di sinistra; intese l’individuo non come monade, bensì quale elemento valoriale nel seno di un’organizzazione politica degli anarchici ad identità collettiva; cercò di dare all’anarchismo la capacità gradualista di promuovere battaglie, anche d’opinione, oltre i “fondamentalistici” confini dell’ideologia e di stringere le necessarie alleanze politiche (nel suo tempo rivolgendosi per questo all’area genuinamente liberalsocialista); non s’illuse sulla palingenesi rivoluzionaria o sulla “spontanea” giustizia delle masse e marcò la differenza fra autoritarismo ed autorevolezza, pronunciandosi per la necessità di regole condivise ma cogenti; denunciò la codificazione di criteri tattici assurti a principi dogmatici, come nel caso di quello che definì “cretinismo astensionista”, divenuto diktat onnicomprensivo persino a livello di comunità locale ed in occasioni referendarie. Contrapponendosi al positivismo imperante ed alla religione della scienza, si dichiarò “irrazionalista” ed agnostico; umanista, si spese per la libertà religiosa. Possibilista in economia, fu contro i sistemi chiusi e per contemplare il mantenimento della piccola proprietà: era principalmente equitario e collettivista e la sua opzione comunista, volontaria anziché pianificatoria, fu affatto intransigente.
Berneri mette quindi in guardia anche l’anarchismo dal restare immobile: deve invece assumere le proprie responsabilità di fronte alla storia ed alla politica, pena la condanna ad una marginalizzazione senza ritorno.
Stefano d’Errico (1953) partecipa al movimento degli studenti del 1968 e, successivamente, a diverse esperienze comunitarie di quel periodo. Attivo nell’anarchismo romano, dalla seconda metà degli anni ’70 collabora a lungo alla rivista “A” e ad “Umanità Nova”. E’ fra i fondatori della Cooperativa “Bravetta ‘80”, esperienza pilota capitolina, autogestita dall’area del “movimento” contro l’istituzionalizzazione della tossicodipendenza e per il recupero del sottoproletariato urbano. Sviluppa una lunga ricerca collettiva sul campo, riferita, con altri autori, ne La diversità domata. Cultura della droga, integrazione e controllo nei servizi per tossicodipendenti (a cura di Roberto De Angelis, Istituto “Placido Martini” - Officina Edizioni, Roma 1987).
Insegnante, nel 1986 è fra gli animatori dei Comitati di Base della Scuola e nel 1990 diviene segretario della Confederazione Italiana di Base Unicobas, prima realtà intercategoriale del sindacalismo alternativo sorta in Italia. A latere dell’Unicobas Scuola, contribuisce negli anni ’90 allo sviluppo dell’Associazione culturale “l’AltrascuolA”, attiva sul terreno dell’aggiornamento dei docenti, promotrice di studi e convegni. Firma l’introduzione di A scuola fra le culture del mondo (D. Rossi, Teti Editore, Milano 2000) ed un libro di materia sindacale (Tutti i contratti. Manuale per l’uso, U Book – Rubbettino, Catanzaro 2000).
Il costo di copertina è di euro 48. Il libro, di 752 pagine, può essere richiesto scontato, fornendo il proprio recapito telefonico a questo indirizzo: info@socialismolibertario.it
This work has a double aim: on one hand it gathers and quotes a selection of 250 texts by Camillo Berneri, on the other hand it underlines the huge production of the anarchist from Lodi and analyses his positions facing the most reliable works ever published , about him.
No libertarian went so far beyond the visible and invisible schemes of anarchism.
There are no other samples of such a pragmatic political tension even though autocritical and desecrating; Berneri’s life represents a great contribution to anarchism.
This work of mine means to contribute to the break of the doctrinal canons of anarchism.
Anyway I have tried not to betray Berneri’s reflections by quoting his idea through his own words; I have followed the fil rouge which led Berneri during his life ,bending anarchism to politics.
1989 , almost 20 years ago, the fall of Berlin’s Wall and the tragicomic end of a “surreal” Socialism.
The works of such an intellectual have a universal value not only for anarchism but also for people whom believe in the renewal of the Left; a renewal that must be substancial and not superficial otherwise the emancipation movement would disappear from political scene.
The strength of Berneri’s thought lies in the request of a direct democracy, of a federalist decentralization , as Berneri himself says :”from being ruled to rule oneself”.
There is a strong refusal of the autonomy of politics : the end does not justify
the means, on the contrary they condition the results of politics.
A society , used to control, will no rech self-management and the Marxist left-wing
,conditioned by a “Socialist Machiavelli”, ignores this truth.
ANARQUISMO Y POLITICA
En el problemismo y en la critica al anarquismo del siglo XX, el “programa minimo” de los libertarios del tercer milenio
Relectura antológica y biografica de Camillo Berneri
por Stefano d’Errico
INTRODUCCIÓN
El objetivo de este libro es dúplice. Por una parte está el intento de recoger en un contexto antológico muy amplio, si bien necesariamente seleccionado, la obra de Camillo Berneri con sus textos (unos doscientos ochenta) más relevantes, todos ellos consultados, citados a menudo y, en cantidad significativa, incorporados aquí en su integridad o casi. Por otra, el deseo de hacer resaltar, sin medias tintas ni fingimientos, el enorme potencial creativo, de proyecto y de crítica del pensamiento del anarquista lodigiano, organizándolo por tesis en un análisis que se sirve de la confrontación con los trabajos más completos publicados sobre Berneri.
Ningún militante libertario ha ido tan adelante, ha superado tanto los esquemas visibles e invisibles del anarquismo histórico. No hay otros ejemplos de una tensión tan puntualmente dirigida al pragmatismo, tan avanzada en el terreno de la política aplicada y, al mismo tiempo, tan irreverente y autocrítica. Y precisamente por ello la aportación de Berneri reviste gran importancia para el anarquismo.
Naturalmente, las convicciones de quien escribe desempeñan un papel determinante, al hacer de “filtro” respecto a la obra berneriana. No podría ser de otra manera, pero con plena escrupulosidad he tratado de ofrecer la reflexión de Berneri por lo que es, eligiendo hacer hablar “directamente” lo más posible a los textos del lodigiano, “reconectándolos” entre sí y seleccionándolos por temas. En cualquier caso, no puedo, ni quiero, esconder mi “partidarismo” y el fin último de este trabajo: el de contribuir en una ruptura de los cánones doctrinales del anarquismo. De modo que intentaré reenlazar hoy – a pesar de los conscientes límites del caso – el fil rouge que guió a Berneri durante toda su vida: dar una sacudida al anarquismo para que piense en la política. Concretamente, “El anarquismo ha de ser vasto en sus concepciones, audaz, no contentarse nunca. Si quiere vivir, cumpliendo su misión de vanguardia, tiene que diferenciarse y mantener alta su bandera aunque esto pueda aislarlo en el estrecho círculo de los suyos”[1]. Un intento válido y necesario, acaso más todavía para la situación actual.
A casi veinte años de la caída del muro de Berlín y del tragicómico fin del socialismo “surreal”, la obra de este intelectual militante, único en el panorama libertario “clásico” por sus posturas “apócrifas” e iluminantes a un tiempo, asume un rango universal que no es útil sólo para los anarquistas, sino para todos quienes por fin tienen claro que la renovación de la izquierda no puede ser mera reedificación de fachada, so pena de desaparecer definitivamente del movimiento conjunto de emancipación del escenario del panorama político. Y es precisamente de la “crisis de la política” de donde deriva la actualidad del pensamiento de Camillo Berneri. De esa solicitud fuerte, y cada vez menos eludible, de una transformación de la mistificación de la delegación absoluta de poder en participación consciente y activa, en descentramiento federalista y en democracia directa. Del impulso a invertir el incipit fundamental de la organización humana, en el paso a dar en los modos de la representación – por decirlo con palabras de Berneri – del “son gobernados” al “se gobiernan”[2]. En pocas palabras, de la necesidad de una reconversión ética de la política.
Aunque la cosa emerge con dificultad, el rechazo de la autonomía de la política cada vez es más neto e instintivo: el fin no justifica los medios, sino que son éstos los que determinan automáticamente los resultados de la política. Es un concepto que los anarquistas han repetido siempre, y no se trata por supuesto de una “religión” de la ética; sencillamente, una sociedad acostumbrada al dominio se verá imposibilitada a la hora de desarrollar los gérmenes de la autogestión. Con todo y con eso, la izquierda, a empezar por la componente marxista – y precisamente por estar condicionada por el “Maquiavelo del socialismo” – ha hecho siempre oídos sordos. Atisbamos aún al Sísifo del socialismo autoritario recorriendo obcecadamente una y otra vez los mismos caminos, a pesar de que la historia haya demostrado de sobra que toda forma explícita de dictadura es funcional tan sólo para reproducir la servidumbre económica y moral.
Pero también hemos llegado a la mutación genética: hemos visto a los post-comunistas atravesar el vado del autoritarismo bolchevique al neo-darwinismo social en estilo liberalesco, haciendo cuadrar el regreso a la farsa de una democracia formal y declaradamente desigual bajo el aspecto económico. No es de extrañar, la cosa tiene su linealidad. El instrumento-guía de esta transición, lo que empareja a tales sistemas, es la razón de estado: “La fórmula leninista ‘los marxistas quieren preparar al proletariado para la revolución sacándole provecho al Estado moderno’ se encuentra tanto en las bases del jacobinismo leninista como en las del parlamentarismo y el ministerialismo social-reformista”[3].
No obstante existe en el mundo una demanda de anarquismo – más o menos consciente – a la que no le corresponde una “oferta” adecuada. Desde hace ya tiempo lo que queda del movimiento libertario no logra centrarse en sí mismo a causa de la marginalización inducida por un doctrinarismo osificado. Berneri persigue, “huronea” y desvela, caso por caso y tema por tema, esa especie de coacción a repetir que al final ha vuelto casi impotente a un movimiento que acaso contenga por el contrario los “anticuerpos” prácticos e ideales más adecuados (y sin duda los más drásticos) producidos a lo largo del tiempo por la humanidad para contrastar al dominio en todas sus formas. Su romanticismo fue sólo un sentimiento guardado para sus adentros, como sucediera durante el aislamiento de su confinamiento en Pianosa, primera, breve etapa (italiana) de una vida forzadamente vagabunda más allá de las fronteras, cargada de expulsiones y reclusiones: “Mi alma es la del hombre que, en una noche de mayo, cuando las calles están oscuras y solitarias y llenas de poesía, camina solo y siente gravar sobre él todo el peso de la soledad. Así voy yo alameda arriba, mientras las estrellas sonríen en lo alto de los cielos a las flores de los pequeños jardines vallados y el aire marino se mezcla con el oloroso aire isleño, trayéndole una caricia suave y fresca al rostro enfebrecido, trayéndole al alma sedienta un sorbo de poesía […]”[4].
La verdad sea dicha, en la política Berneri le concedió bastante poco al romanticismo: “El romántico ama los tiempos remotos porque puede enmarcarlos. Lo nuevo se le escapa y le da miedo. Así, el romántico ama a los héroes porque puede idealizarlos a su antojo”[5]. El romanticismo vive en una contradicción ineludible con el anarquismo, porque es historicista: “El romanticismo es la imaginería de la literatura, la historiografía y la filosofía de la historia. El romanticismo confunde fácilmente la grandeza con la fama, el heroísmo con el éxito. Es historicista”[6]. Finalmente, la señal tradicional y distintiva del romanticismo “clásico” se inclina peligrosamente hacia la derecha: “Y el romanticismo reaccionario aceptó al cura y elogió al verdugo: porque volvían a llevar al pueblecillo detrás de los bastidores de la historia. El pueblo hace demasiada bulla y solivianta el espíritu. [...] El romanticismo era más contemplación que acción, más molicie que voluntad, más egoísmo que generosidad. Y su sueño fue el reaccionario”[7].
Ya en 1926 escribe: “los mejores de los nuestros, de Malatesta a Fabri, no logran resolver los interrogantes que nos formulamos, ofreciendo soluciones que sean políticas. La política es cálculo y creación de fuerzas realizadoras de una aproximación a la realidad al sistema ideal mediante fórmulas de agitación, polarización y sistematización aptas para ser agitantes, polarizantes y sistematizantes en un momento dado social y político. Un anarquismo actualista, consciente de sus propias fuerzas de combatividad y construcción y de las fuerzas adversas, romántico con el corazón y realista con el cerebro, lleno de entusiasmo y capaz de remansar, generoso y hábil a la hora de condicionar su apoyo, capaz, en suma, de economizar con sus propias fuerzas: he aquí mi sueño. Y espero no estar solo”[8].
Pero puede equivocarse quien piense en Berneri sencillamente como en un “desacralizador” de la tradición anarquista. Su planteamiento es en todo caso contrario e inverso y denota el empeño consciente en obrar un screening entre lo que en ella subyace vivo, vital e “inmortal” y lo que, por el contrario, en cuanto elemento secundario, coyuntural y táctico, ha ascendido impropiamente – por un juego “inercial” – a la categoría de principio. Para él los principios no excluyen a la política; si es caso son quienes niegan la política los que confunden los elementos tácticos con las cuestiones de principio. Berneri quiere “un anarquismo idealista y a la vez realista, un anarquismo, en suma, que injerta verdades nuevas en el tronco de sus verdades fundamentales sabiendo podar sus viejos ramos. No obra de fácil demolición, de ‘nulismo’ hipercrítico, sino renovación que enriquece el patrimonio original”[9]. De acuerdo con ello consideró necesario pugnar con los “tabúes” de los doctrinarios, la fobia y el ideologismo de la “degeneración”: “¿[…] y no plantaremos más manzanos porque muchas manzanas tienen gusano? Cada cosa que hay en el mundo tiene su gusano. Todo está en saberlo quitar. Preocuparse excesivamente por las degeneraciones posibles lleva a un error común a muchos de nosotros: a la negación absoluta”[10].
“La generalización negativa es un arbitrio lógico”[11].
La tarea que se impuso conscientemente fue la de derribar las construcciones inciertas edificadas bajo la influencia de prácticas “rituales”. Por eso la lectura de Berneri es más que propedéutica para la renovación de un anarquismo capaz de actuar a todo campo, orgulloso de sus raíces y elevadamente “competitivo” respecto a sus adversarios, “conservadores” o “progresistas”. Esto es posible porque Berneri trabaja al mismo tiempo en una nueva epistemología anarquista, con el fin de que la acción y el pensamiento libertarios sean restituidos a su dimensión natural, por un anarquismo dispuesto en todo momento a ponerse en tela de juicio, nunca cerrado respecto a la verificación de la praxis, abierto a previsión y revisión. Capaz, pues, de responder a los desafíos, de reinventarse y, sobre todo, de expresar capacidad de proyecto. La antipatía hacia el programa no debería contraseñar a los revolucionarios, puesto que, por el contrario, es típica de quienes realmente no quieren cambiar el estado de las cosas: “El gradualismo del socialismo legalista y tendente a la estadolatría’ es paralelo a la antipatía, evidentísima en Kautsky, hacia cualquier plan de reconstrucción económica en sentido socialista. Que el engranaje social sea tan complicado como para que ningún pensador pueda indagar todos los males y prevenir todas sus posibilidades, es evidente; pero si el devenir social, sumando y elidiendo las fuerzas en infinitos y variados modos no consiente proyectos completos ni previsiones definitivas, ello no quita para que le sea necesario al socialista apoyarse en un programa práctico, de igual manera que al científico le resulta necesaria la luz de una hipótesis”[12].
Berneri rechaza y lucha contra el diktat ideológico que prohíbe a los anarquistas la elaboración de un proyecto y les impide actuar también en ámbito táctico: “Medio: la agitación sobre bases realistas, con la enunciación de programas mínimos”[13]. Claro que no se trata de un mero afán proyectivo, “Pero es preciso distinguir: hay programas que parecen querer dar la síntesis del mañana histórico como cálculo determinista de lo que será ese mañana, y éstos son denominados programas realistas mientras que no son más que deterministas; mientras que hay programas que, aun calculando a grandes rasgos el juego de las fuerzas estáticas y las dinámicas, no olvidan que la probabilidad de ciertas resultantes es tanto más alta cuanto más ha forzado la voluntad de renovación los límites progresivos”[14].
El lodigiano, antes de nada, afirma la necesidad de conquistar para el movimiento libertario una actitud política capaz de afirmar la alteridad de los principios éticos sin sustraerse a la realidad; capaz de dar frutos inmediatos sin desviarse del camino de la liberación y conjugando utopía e historia: “El anarquismo es el viandante que va por los caminos de la historia, y lucha con los hombres cuales son y construye con las piedras que le proporciona su época”[15].
La cosa es fundamental, visto que la ausencia de un programa condena al anarquismo a actuar de rebote respecto a las condiciones determinadas por los acaecimientos y, sobre todo, como “último de la cola” de los movimientos políticos: sin un proyecto, en vez de independencia se muestra vasallaje.
Berneri no fue nunca un maximalista: “Según mi entender, no ejercer un derecho porque es concedido por el Estado, no crear una situación mejor que la actual porque se desearía una mejor que la obtenible, equivale a fosilizar nuestra acción política”[16]. Y mucho menos fautor en política de la demagogia del “más uno”: “Por el afán de estar más a la izquierda que todos no debemos llevar la corriente al Partido Comunista en sus errores extremistas; no sólo por nuestro principio de no querer imponer el comunismo, sino porque mientras tanto el Partido Comunista, dando marcha atrás en el terreno económico, se serviría de nuestra colaboración insurreccional y expropiadora para construir y fortificar su dictadura”[17]. Berneri indicó cumplidamente la diferencia – no sólo táctica – entre gradualismo intransigente y reformismo concertador: “Así como hay un extremismo ingenuo, hay un posibilismo ingenuo. Todo consiste en no ser posibilistas o extremistas, sino revolucionarios inteligentes”[18]. En la izquierda, el error está en el estatalismo marxista, verdadera forma de revisionismo negativo tendente al compromiso en la socialdemocracia y, en el leninismo, a la reedificación autoritaria – y por ello social y moralmente inicuo: “El híbrido connubio del revolucionarismo apocalíptico y el gradualismo determinista que existía en Marx se perpetuó en la socialdemocracia. Del primero derivó descuidar los problemas de la economía de transición; del segundo el reformismo”[19].
El lodigiano no se estancó desde luego en vagas proclamas “milenaristas”
relativas a automáticas “palingenesias sociales”, sino que
indagó sobre la diversidad estructural que media entre las instituciones
propias de la sociedad civil y las categorías impuestas por el estado,
figurándose utilizar el contraste como palanca entre las primeras y las
segundas en pos de una estrategia de liberación y reconstrucción
revolucionaria. Para él la anarquía “no es sencillamente
el no-Estado sino un sistema político a-estatal; o sea un conjunto de
autonomías federadas”[20]. Y “Un organismo como el Estado
actual puede ser derribado, pero de su osamenta acusa recibo todo ese sistema
de haces musculares y nerviosos que son los servicios públicos. Éstos
han de organizarse y siendo, tanto por su naturaleza funcional como por la organización
que les ha dado la necesidad centralizadora del Estado, organismos eminentemente
nacionales por encima del pueblo, la ciudad, la región, deberá
pulsar un sistema de centros directivos que en la vida de una nación
son lo que en la vida orgánica de los animales superiores son el cerebro,
el corazón, los ganglios nerviosos.
Las sociedades primitivas, las ciudades de la época de los Comuni, la
aldea campesina, la ciudad de provincias de España, pueden realizar formas
más o menos integrales de ese anarquismo solidarista, extra-jurídico
a-estatal caro a Kropotkin, pero la metrópolis de hoy y la nación
que tiene un ritmo de vida económica internacional deben aferrarse a
soldar las fracturas producidas por la fase insurreccional, para que la vida
no se detenga; al igual que el cirujano debe aferrarse a pasar del bisturí
a la aguja cuando se da cuenta de que el ritmo el corazón del paciente
va deteniéndose”[21].
[1] C. Berneri, “Anarchismo e federalismo. Il Pensiero di Camillo Berneri”, de Pagine libertarie, Milano 20.11.1922. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917 Barcellona 1937. Scritti scelti di Camillo Berneri, Ed. Sugar, Varese 1964
[2] C. Berneri, La concezione anarchica dello Stato, inédito inacabado de 1926, conservado en el Archivo de la Familia Berneri – Aurelio Chessa (ABC), Reggio Emilia, publicado por primera vez por Pietro Adamo, Anarchia e società aperta, M&B Publishing, Milano 2001.
[3] C. Berneri, “La dittatura del proletariato e il socialismo di Stato”, de Guerra di Classe, Barcelona 5.11.1936. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., ob. cit.
[4] Citado por Gianni Furlotti, “Le radici e gli ideali educativi dell'infanzia di Camillo Berneri”, en Memoria antologica. Saggi critici e appunti biografici in ricordo di Camillo Berneri, Ed. Archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1986.
[5] C. Berneri, Carlyle. Hoy en Interpretazione dei contemporanei, Ed. RL, Pistoia 1986.
[6] Ibíd.
[7] C. Berneri, “Il romanticismo sanfedista”, de Pensiero e volontà, Roma, 15.6.1924.
[8] C. Berneri, Per un programma di azione comunalista, manuscrito de 1926 que permaneció inédito hasta 1964. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., ob. cit.
[9] C. Berneri, “Anarchismo e federalismo. Il pensiero di Camillo Berneri”, cit.
[10] C. Berneri, “Sovietismo, anarchismo e anarchia”, de L'Adunata dei Refrattari, New York 15.10.1932. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., ob. cit., aquí publicado con el título “Il Soviet e l'Anarchia”.
[11] C. Berneri, “La concezione anarchica dello Stato”, cit.
[12] C. Berneri, “La socializzazione”, de Pensiero e Volontà, Roma 1.9.1924. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., ob. cit.
[13] C. Berneri, Per un programma d'azione comunalista, ob. cit.
[14] C. Berneri, “Come vedo il movimento giellista”, de L'Adunata dei Refrattari, N. Y. 4.4.1936. Hoy en P. Adamo, Anarchia e società aperta, ob. cit.
[15] C. Berneri, “Sovietismo, anarchismo e anarchia”, cit.
[16] C. Berneri, “Per finire”, en Compiti nuovi dell'anarchismo, en L'impulso, Livorno 1955, aparecido ya junto con intervenciones de otros bajo el título común “Revisionismo elettorale nell'anarchismo” en L'Adunata dei Refrattari, New York 27.6.1936; después en P. Adamo, Anarchia e società aperta, ob. cit.
[17] C. Berneri, “Città e campagne nella rivoluzione italiana”, de Lotta umana, Paris 8 y 22.3.1928. Hoy en P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., ob. cit.
[18] C. Berneri, “Come vedo il movimento giellista”, cit.
[19] C. Berneri, “La socializzazione”, cit.
[20] C. Berneri, “Come vedo il movimento giellista”, cit.
[21] C. Berneri, “Sovietismo, anarchismo e anarchia”, cit.