L’ATEISMO DI PROPAGANDA

di Camillo Berneri

 

"L'articolo di Celestino Lalli sul Dio assurdo è interessante come tipico esempio dell’ateismo di propaganda. 

Il Lalli attribuisce a tutti i credenti la persuasione espressa dalla frase «non si muove foglia senza che Dio non voglia» e, dato come fondamentale concetto teista la credenza in un «Essere onnipotente, creatore e governatore di ogni cosa», rivolge tale credenza contro Dio per dimostrare che egli, se esistesse, sarebbe un criminale, dato che il mondo umano è un mare di lacrime e di sangue, mentre se egli, Lalli, fosse Dio sopprimerebbe i terremoti, le tempeste, le epidemie, e tutti gli altri guai, facendo della terra un Eden in cui sarebbe realizzata «la perfetta felicità». 

Impostata così la questione, non meraviglia che il Lalli consideri una malattia l'idea di Dio, che sarebbe un’invenzione dei preti demolita dalle prove inconfutabili della scienza. Dalle sue reminiscienze buchneriane, il nostro compagno trae questo sillogismo: «Tutto è materia; essa è infinita. Essendo infinita deve essere indiscutibile, perciò eterna», il che dimostra che Buchner, il più ridicolo dei metafisici, se pur lo si può considerare tale, ha ancora presa nel campo nostro, fatto umiliante per l'anarchismo, che vorrei veder seguire il progresso scientifico invece che vederlo attardarsi nella volgarizzazione di vecchiumi materialisti. 

La rivolta contro la teodicea è antica. Ne troviamo i primordi nella tragedia e nella lirica greca. «Giammai nulla di malvagio andò in malora - avverte Sofocle, nel Filottete - ma gli dei prendono ogni cura di questi esseri e par che godano a far ritornare dall’Hade quanto c'è di perverso e di furbo, mentre mandano via, sempre, gli onesti e i virtuosi. Come si debbono considerare questi fatti, come approvare, se, nel lodare le opere divine, io trovo cattivi gli dei?» Sull'indifferenza degli dei di fronte al dolore e alle ingiustizie Sofocle insiste altrove (Elettra, Le Trachinie) e Euripide se la prende, nell’Edipo a Colono, con Dike, che non perseguita i tristi, mentre Teognide dice a Zeus, ne La Fenicie: «Tu vedi tutto, hai l'onnipotenza, come puoi dunque consentire che i buoni subiscano le medesime vicissitudini e abbiano la stessa sorte dei tristi?» 

Eschilo, a propria volta, in principio del Prometeo, rappresenta come longa manus di Zeus due brutali raffigurazioni di forza e violenza, Bia e Kràtos, che opprimono il buono, il giusto, il benefattore. Riecheggia anche in Tacito (An. XVI, 33) questo pensiero: essere gli dei indifferenti al male e al bene. 

Ma quei lamenti e quelle proteste non concludevano all'ateismo. Ed è interessante che il più violento diofago dei tempi nostri, il Proudhon, fu uno spirito profondamente religioso. Egli grida: «Dio è il male!», egli investe Dio, dicendogli: «Dio, ritirati!», cosa che non farebbe un vero ateo, come Le Dantec.

Il Proudhon, che si rivolta a Dio, proclamandogli: «Da oggi, guarito del tuo timore e diventato saggio, giuro, la mano stesa verso il Cielo, che tu non sei che il carnefice della mia ragione, lo spettro della mia coscienza... », è il Proudhon che scriveva: «Io sentivo Dio, ne avevo l'anima penetrata: preso dall'infanzia da questa grande idea, essa straripante e mezzo e dominava tutte le mie facoltà». Aveva ragione Monsignor Mathieu di dire: «Proudhon non è un ateo, è un nemico di Dio».

Anche Celestino Lalli mi pare sia, a suo modo, un nemico di Dio. Ma non si tratta, qui, di fare della psicologia. E torniamo a bomba, ossia ai tre concetti: onnipotenza di Dio; Dio creatore del mondo; Dio intervenente e in tutte le azioni umane. Questi concetti non sono necessariamente uniti nel teismo. L'onnipotenza può essere concepita come possibilità divina senza, per questo, indurre che l'onnipotenza divina si tramuti da forza virtuale in forza in atto. Anzi, limitando il proprio potere sul mondo, affermerebbe più che mai la propria onnipotenza. Dio avrebbe potuto non creare l'uomo, ma, creato l'uomo, non può togliergli la libertà, poiché non può volere una contraddizione. L'uomo, senza libertà, non è che una cosa senza dignità. E Dio ha creato l'uomo e non una cosa che è detta uomo. Dio, creando l'uomo, ha creata la libertà di storia, che il Lalli vorrebbe far sparire nel suo Eden della «perfetta felicità». 

Il «Dio buono» non è conciliabile l'uomo libero, che è libero appunto perché può fare il male ed il bene, che è capace d’incivilimento perché va verso mete che egli stesso si crea. Il dolore è legato alla conoscenza ed è in grande parte condizione del piacere. L'uomo perfetto non sarebbe più l'uomo, ma una specie d’angelo. La storia senza terremoti, fisici ed umani, non sarebbe più storia. 

Ecco alcune delle molte obiezioni che il Teista potrebbe opporre all'ateo. 

Si può negare ogni azione di Dio sul mondo e sull'uomo, come fa il deismo epicureo, e si può credere in Dio senza concepirlo come creatore del mondo. Se la Bibbia europea (Genesi) si apre con queste parole: «Al principio, Dio creò i cieli e la terra», il testo ebraico dice: «Cominciando, gli Dei separarono i cieli e la terra». Un Dio esistente ab aeterno come il mondo, un Dio non trascendente ma assolutamente fuso con il mondo (il Dio dei panteisti), è un Dio ben diverso da quello dipinto dalla concezione della provvidenza. Il problema del male in rapporto all’esistenza di un Dio è, teoricamente, risolto dal manicheismo.

Si ride, o si sorride, del mistero della S.S. Trinità, come se non sarebbe ben più strano che nella religione non esistessero misteri, mentre tanti ne esistono nella filosofia e nelle scienze. Lalli dice: <<Se Dio esiste come spiegare che non si sia mai mostrato all’uomo?>> E non vede che si potrebbe domandare la stessa cosa per il pensiero, per l’istinto sesuale e per un’infinità di altre forze che esistono ma che non si rivelano di per se stanti.

Si domandi ad un fisiologo specializzato nella fisiologia del cervello che cosa sia il pensiero, e quegli, a meno che sia un buffone, risponderà: «E’ un mistero». Mistero è l'elettricità, che pure illumina, muove, guarisce, trasmette suoni ed immagini e compie altre meraviglie. 

Misterioso è l'uomo, misteriosa tutta la natura, misteri i fini della storia. Giudicare il mondo dalla terra, che non è che un atomo di queste norme gigante che è il mondo, è come esaminare il Giudizio Universale di Michelangelo con un microscopio. 

Gettandomi a piacere su di un prato potrei schiacciare una folla di formiche e una di esse potrebbe pensare che sono un dio malvagio, mentre io ho per le formiche una particolare tenerezza, tanto che ho cura non soltanto di non ucciderne ma anche di metterle in salvo, qualora mi accada di vederne alcuna in pericolo. Se quella formica, poi, fosse atea, penserebbe che sono un gigante crudele e che non può esistere un Dio che lascia vivere degli esseri mastodontici, massacratori di brava gente operosa come la razza delle formiche. Taluni atei mi fanno pensare, con quei loro ragionamenti sillogistici, a degli scambisti convoglianti sul binario della negazione, dei treni merci carichi di argomenti teisti. L'idea di un’universale armonia mentre conduce alcuni all'ateismo conduce altri al teismo. Ne fa fede questo passo del Rousseau: «Quando io non avessi altra prova dell'immortalità dell'anima, che il trionfo del reo e l’oppressione del giusto in questo mondo, ciò solo basterebbe a non lasciarmene dubitare. Una sì manifesta contraddizione, una sì mostruosa dissonanza in mezzo all'universale armonia, mi sforzerebbe sempre a risolvere la questione in questo modo, che tutto non finisce insieme con la vita e che in morte tutto rientra nell'ordine (Emile, lib. IV)».

Un positivista non ragionerebbe così, ma non se la prenderebbe nemmeno con il «Dio assurdo», poiché non vedrebbe nessuna armonia universale né in atto né in fieri. 

Non vi è ragione che il giusto trionfi sul reo, che un bambino non soffra per le colpe del padre, che la madre non sia privata del figlio e così via. Tutti i casi ingiusti sono dipendenti dall'uomo, non ma da quel dato un uomo, ma dall'uomo in generale. Attraverso lo spazio ed il tempo la catena delle cause è lunghissima, e se vi è ingiustizia è nella natura e si chiama legge. Dio non deve essere messo in causa, poiché il metterlo in causa implica rispolverare un'infinità di problemi che dovrebbero restare in soffitta. Se facciamo il processo a Dio, giustizia vuole che alla requisitoria segua la difesa, ed il processo non finirà mai, né in sede filosofica né in sede scientifica. 

Non è possibile discutere Dio se non dando come risolto il problema dei fini, problema insolubile ed appunto per questo da non porsi. Non è altresì possibile discutere l'esistenza di Dio senza tirare in ballo il tempo e lo spazio. Che cos'è il tempo? Che cos'è lo spazio? Vedo, con meraviglia se non con ironia, giocare con questi termini astratti. I giocolieri sono, talvolta, indiavolati e quasi quasi applaudirei. Ma a me quei piatti si spezzano e quelle uova invece di finire nel cilindro cascano a terra, mentre la testa gira, presa da vertigini trascendentali. Non riesco a vedere le prove dell'esistenza di Dio ma non riesco a vedere le prove della di lui inesistenza. Non sono ateo, bensì agnostico. E non me ne trovo male. Afferrare per la barbona imponente il vecchione e tirarlo giù dal trono, come un re burattino, non mi interessa più, poiché quella barba so che è messa lì come il cappello bisunto sul palo per spaventare i passeri, che prendono quel palo e quel cappello per un uomo. Un Dio antropomorfo, un po’ giudice, un po’ carabiniere, un po' nonno benefico, che tiene la contabilità delle buone e delle cattive azioni e che sorveglia tutto e tutti come un ovrista è un Dio disgustevole. Ma l'ateo ha troppo facile gioco nel ghigliottinare il Dio volgare, spianando tutti i problemi più erti, con la presunzione di veder chiaro. All'ateo facilone va ricordato questo aforisma di Guerra Junqueiro, poeta portoghese: «Coloro che vedono tutto chiaro sono spiriti oscuri». A me, la sicurezza dimostrativa in materia metafisica ripugna tanto da spingermi ad accettare la generalizzazione di Feuerbach: «Il metafisico non è che un prete travestito». Per fortuna, tra gli architetti della logica vi è qualche filosofo: ossia qualcuno che non scambia le creste dei ghiacciai per delle strade maestre, si che là dove volgo semi-colto afferma egli suppone, là dove il primo crede ciecamente egli dubita, là dove il primo vede pianure dorate dal grano e dal sole egli vede impervi burroni pieni d'ombra e di rovi. 

Libero pensatore non è l’ateo in quanto ateo, soltanto perché ateo. «Vi sono degl’increduli – scriveva Paul Janet, in un suo articolo del 1886 - che, ben lungi dal pensare liberamente, non pensano affatto, ed accettano le obiezioni così servilmente che altri i dogmi. Quanti credenti, invece, hanno una maniera di pensare la più libera è la più ardita! Non è dunque la cosa che si pensa che costituisce la libertà, ma il modo con il quale la si pensa»".

"Ma chi persuaderà l’ateo che sorride di un dogma che ha imbarazzato il pensiero di un Pascal che se egli sorride è perché non vede la complessità del problema che in quel dogma è racchiuso? 

La scienza! Ecco la nova dea dei «liberi pensatori». Che un poco di scienza allontani da Dio e molta scienza ad esso riconduca non è vero in senso assoluto, ma è vero in senso storico, giacché, come il Lambruschini diceva, «la scienza alla lunga diviene dubitativa, perché è consapevole a se medesima di avere spesse volte errato, e perché i suoi occhi, fatti più acuti, intravveggono in lontananza molte più e più varie cose, di quelle che scorgono da vicino. Ma da prima la scienza, non ancora usa ai disinganni, va franca, afferma assolutamente e non vuol quasi essere contraddetta per la piena fidanza che ha sé».

Henri Poincaré ha potuto scrivere che «il mondo, che due secoli or sono si credeva relativamente semplice, diventa sempre più oscuro ed indecifrabile» proprio perché viveva in un’era di grande sviluppo scientifico. Ed il Pasteur diceva in un suo discorso: «Colui che proclama l'esistenza dell'infinito - e nessuno vi può sfuggire - accumula in questa affermazione più di soprannaturale di quel che ve ne sia in tutti i miracoli di tutte le religioni». 

Il vero positivismo ammette, e non può non ammettere, l'ipotesi di Dio come quella di una causa ultima. A ricondurre l’agnosticismo positivista sulla via dell’ateismo razionalista doveva essere un ex-prete: Roberto Ardigò. Atei razionalisti e teisti sono più vicini di quello che comunemente si creda. 

Ma io debbo concludere, e per concludere mi sia concessa un'ultima citazione, che vorrei servisse di monito a tutti i propagandisti dell'ateismo: «E’ fare opera vana e nefasta, - diceva Errico Malatesta, commemorando Francisco Ferrer in Roma, nell'ottobre 1913, - insegnare dogmaticamente come verità sicure e provate, sistemi ed ipotesi incontrollabili, sia che questo si faccia in nome della religione, sia in nome di una scienza. E non è più intellettualmente emancipato colui che giura in nome di una scienza che non conosce e non intende, di quel che lo sia colui che giura in nome di un Dio inconcepibile e di un libro che gli han detto essere sacro». 

Se questo monito fosse seguito, il novanta percento, e forse più, degli scritti e dei discorsi di propaganda antireligiosa ci sarebbero risparmiati, la quale cosa non sarebbe di scapito all'anarchismo. 

Ma dei rapporti tra l’ateismo e l'anarchismo tratterò un'altra volta, dato che il tema richiede ampiezza di sviluppo".