L’ANTISTATALISMO DI DANUBIANO
di Camillo Berneri

Cogliamo gli aspetti centrali della specificità dell’anarchia da “Per un libero confronto delle idee. L’antistatismo di Danubiano”, scritto dal lodigiano per Giustizia e Libertà, organo dell’omonimo gruppo liberaldemocratico nell’esilio parigino, ed ivi pubblicato il 13 giugno 1936 in risposta ad un intervento dal titolo “Tesi sullo Stato e il Partito” firmato appunto “Danubiano”. L’autore del pezzo in questione viene definito da Berneri come “un anarchico che si ignora, e che si ignora perché deriva l’antistatalismo dalla teoria (…) di Marx e di Engels”. Vediamo perché:

“(…) Negare il «capitale di Stato» e lo «Stato di partito», proclamando che «il proletariato deve lottare non soltanto contro una certa forma dello Stato, ma contro tutte le forme dello Stato contro lo Stato come tale» equivale a dichiararsi anarchico. La negazione dello stato è quello che le dottrine anarchiche hanno di comune, quindi di specificamente anarchico. Non tutti gli anarchici sono disposti a riconoscerlo, ma è un fatto che a considerare quel carattere come fondamentale sono concordi tutti i più seri studiosi dell'anarchismo (Bernstein, Berrutzik, Eltzbacher, Zoccoli) non fuorviati da tendenze di scuola. Né l'insurrezionalismo, né la negazione della proprietà, né la negazione del diritto caratterizzano l'anarchismo, bensì la negazione dello stato.
Filosoficamente vario, sprovvisto di un'unica concezione economica dell'avvenire, l'anarchismo presenta grandi analogie tra tutte le sue formulazioni antistatiste. Mi pare, quindi, non arbitrario affermare che possa esser considerato anarchico chiunque ne impostato ed affermi un attuale antistatismo.
La differenza tra all'antistatismo marxista e l'antistatismo anarchico non verte sulle finalità ultime. La convivenza tra anarchici e socialisti in uno stesso partito in Italia e altrove nel corso del XIX secolo, la collaborazione tra anarchici e spartachisti in Baviera, tra anarchici e bolscevichi in Russia e in Ungheria nel corso delle ultime rivoluzioni sta ad indicare che il marxismo è antistatista. La disparizione dello Stato è stata preannunciata in modo inequivocabile da Marx e da Engels, e Lenin affermava nel 1917 (Stato e Rivoluzione): «Quanto alla soppressione dello Stato, come meta, noi non ci differenziamo affatto dagli anarchici».
In che cosa, dunque, gli anarchici si differenziano dai marxisti nei confronti dello Stato?
Secondo il marxismo, lo stato si estinguerà, venendo a mancargli la sua ragion d'essere, che è quella di essere un organo interclassista. Le classi e i loro antagonismi non spariscono nella rivoluzione sociale qual è concepita dai marxisti, quindi permane la necessità di uno Stato, che non c'è più lo Stato propriamente detto ma un semi-Stato. Tra lo Stato, potere politico in funzione di conservazione dei privilegi sociali e dello sfruttamento economico, e l'anarchia è necessario attraversare, secondo i marxisti, uno stadio intermedio: la dittatura del proletariato, dal leninismo identificata con la dittatura del partito bolscevico.
Gli anarchici si differenziano dai marxisti nel considerare lo Stato non come un organo interclassista bensì come un organo di classe. Secondo Marx-Engels, lo Stato sarebbe sorto quando già si erano formate le classi. Questa concezione, che costituisce un ritorno alla filosofia del diritto naturale di Hobbes, è respinta dagli anarchici, che considerano il potere politico come il generatore principale delle classi, e da questa concezione storica inducono che la distruzione dello stato è la conditio sine qua non dell'estinzione del capitalismo. Lo stato è, per gli anarchici, creatore di nuove classi privilegiate ed essi non sono, quindi, disposti ad attendere la sua naturale estinzione, poiché pensano che il proletariato non può diventare classe dominante se non mediante la dittatura di un partito e questa dittatura implica necessariamente il trasformarsi di questo partito in classe dominante, gerente il capitalismo di stato. Ecco perché agli anarchici l'opposizione leninista al «bonapartismo stalinista» fa l'effetto di una donna bianca che rimproveri al marito nero i caratteri mulatti del loro figlio.
La rivoluzione sociale concepita dagli anarchici è «la dissoluzione del governo nell'organizzazione economica» (Proudhon), organizzazione sociale a tipo collettivista e federalista secondo Bakunin e Kropotkin. Organizzazione dal basso all'alto, integralmente democratica e distruggente le classi mediante la socializzazione e la gestione diretta del nuovo ordine. Secondo Bakunin, è il privilegio economico il fattore principale della potenza politica della borghesia ed è lo Stato il naturale conservatore e creatore dei privilegi sociali; quindi egli propugna una rivoluzione sociale, senza giacobinismi terroristici ma radicalmente collettivista e antifascista. E tutto il comunismo libertario odierno è su questa linea.
Con il capitalismo e lo Stato, gli anarchici vogliono distrutti i partiti autoritari. «Tutti i partiti senza eccezione - proclama Proudhon, fin dal 1849 - in quanto aspirano al potere, sono delle varietà dell'assolutismo». Kropotkin non farà che sviluppare la tesi che ogni idea di dittatura non è che il prodotto del feticismo governativo, destinato a far abortire la rivoluzione sociale.
Da questo rapido exscursus mi pare risulti che la antistatismo anarchico è teoricamente più coerente di quello marxista ed abbia nelle esperienze delle ultime rivoluzioni conferme considerevoli (…)".