Una buon’educazione
di Giampietro Berti

da Rivista anarchica on line

L’anarchismo è quel movimento politico e sociale che più di qualsiasi altro è stato attraversato da due istanze diverse, al limite antitetiche. La prima è quella rivoluzionaria, la seconda è quella educazionista. La profonda differenza esistente tra le due è ben rappresentata dall’implicito dilemma posto da Carlo Pisacane, quando affermò che «la propaganda dell’idea è una chimera, l’educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero quando sarà educato, ma sarà educato quando sarà libero». Questo dualismo oppositivo mette in luce così, indirettamente, la centralità del discorso educativo perché è sottolineata la necessità della formazione della coscienza, premessa ineludibile per la costruzione di una società retta, per principio, sulla capacità dei suoi membri all’esercizio dell’autogoverno; il quale, però, a sua volta, si dà solo all’interno di un processo di rottura con l’ordine esistente. Naturalmente la schematica alternativa pisacaniana non esaurisce la complessità della progettualità anarchica, il cui obiettivo, essendo diretto comunque alla conquista di spazi sempre più grandi di libertà e di giustizia sociale anche nella presente società, implica l’attivazione contemporanea di vie assai divergenti fra loro.

 

Tensione emancipativa

Il lavoro di Codello è volto alla ricostruzione di questa pluralistica tensione emancipativa, dove tuttavia rimane persistente il problema posto dall’eroe di Sapri. La complessità dell’educazionismo anarchico consiste nel fatto che gran parte dei teorici e degli educatori qui analizzati erano rivoluzionari, per cui emerge complessivamente una concezione gravata sempre da questa istanza, implicante una continua problematicità così riassumibile: in che senso il momento della coscienza è preludio della discontinuità rivoluzionaria? In che senso, invece, ne è l’esito necessario? Dove è possibile segnare una linea indicante il loro incontro, onde poter ritagliare la dimensione specificamente pedagogica dell’anarchismo? L’importanza fondamentale dell’analisi codelliana non è data quindi solo dalla ricostruzione del variegato percorso teorico e pratico dispiegatosi nel corso di centocinquant’anni, ma anche dalla disamina del pensiero e delle questioni sottese all’aut aut rivoluzione-educazione. In conclusione, questo lavoro è al tempo stesso un libro di storia della pedagogia anarchica e un libro di riflessione teorica sulla pedagogia anarchica, aspetti che a loro volta rimandano indirettamente al più ampio discorso riguardante l’intero problema dell’emancipazione, così come viene propugnato dall’anarchismo: quindi, complessivamente, un libro di storia del problema dell’educazione visto sotto l’ottica antiautoritaria.
Codello affronta innanzitutto i classici del pensiero anarchico, cogliendo la dimensione educativa connessa alla specificità delle loro teorie. Il concetto educativo inerente al pensiero di questi autori non è esaminato come un pensiero a parte, ma come un momento ineliminabile della loro riflessione generale. Abbiamo così l’istanza razionalistica ed eudemonistica (Godwin), l’irriducibilità esistenzialistica (Stirner), la reciprocità individuo-società (Proudhon), l’insorgenza libertà-rivoluzione (Bakunin), l’organicismo solidaristico (Kropotkin), il rapporto natura-cultura (Reclus), l’educazione cristiana del cuore e i limiti kantiani dell’intelletto (Tolstoj).
Ne risulta un mosaico teorico carico di tutte le valenze pluralistiche proprie dell’anarchismo, qui, per l’appunto, declinato in chiave educativa e inevitabilmente piegato al processo storico-culturale che attraversa tutto il XIX secolo: illuminismo, romanticismo, positivismo, evoluzionismo, neokantismo. L’insieme variegato di queste sequenze del pensiero non è esposto secondo un semplice ordine “cronologico”, ma anche secondo un ordine “ideologico”, indispensabile per la comprensione generale e contemporanea dell’idea anarchica.
È evidente, insomma, che le varie parti si integrano e si completano, solo se si tiene sempre presente il principio ispiratore di fondo, dato dall’insopprimibile dialettica libertà-uguaglianza-diversità. È questo principio che tiene unito l’insieme di tali determinazioni, conferendo a loro un significato diverso rispetto a qualsiasi altra impostazione pedagogica. La buona educazione, per riprendere il titolo del volume, si dà attivando contemporaneamente tutte le abilità manuali e intellettuali (sviluppo armonico e psicofisico dell’uomo completo), tutte le componenti del sentimento e della ragione (formazione etica dell’uomo), e a condizione che tali attivazioni siano poste all’interno di un disegno più vasto comprendente la critica incessante del principio di autorità (creazione permanente e inesauribile dell’uomo libero e responsabile). Di qui la complessità del problema educativo proprio dell’anarchismo, il quale deve perseguire il suo scopo considerando che educazione significa formazione e formazione significa, necessariamente, scelta di alcuni modelli e trasmissione di alcuni valori, dato che la libertà, l’uguaglianza e la diversità non sono semplici dimensioni spontanee di un’indifferente crescita del soggetto.

Lavoro di scavo

Portando ad un grande livello argomentativo questa specifica linea di ricerca e di interpretazione (con un lavoro di scavo e di confronto che non ha precedenti nella storiografia sulla pedagogia anarchica e libertaria), Codello mette a segno un forte risultato speculativo, rinvenibile nella considerazione che ogni teoria anarchica è sempre, contemporaneamente, una riflessione pedagogica: storia e politica (scienza dei mezzi) sono inestricabilmente intrecciate al discorso umanistico sull’uomo (scienza dei fini).
Il dover essere (o, meglio ancora, il voler essere) si intreccia senza soluzione di continuità con l’essere. Così, attraverso questa ampia disamina, si vede come la storia dell’anarchismo non sia stata altro che il dispiegarsi di questa progressiva e necessaria consapevolezza, secondo la quale la formazione della coscienza va di pari passo con il complesso problema della trasformazione politica e sociale, dato, per l’appunto, che i due aspetti si implicano vicendevolmente.
Ciò appare più evidente laddove viene ricostruito il legame che unisce l’azione politica militante alla teoria e prassi pedagogica inerenti alla cultura del movimento operaio. È così esaminata l’esperienza della Prima Internazionale (e il drammatico epilogo della Comune di Parigi), e il significato dell’azione diretta offerta dalle lotte dei sindacalisti rivoluzionari a cavallo tra i due secoli. Il necessitante rapporto tra politica, educazione e cultura è reso più esplicito nella grande impresa teorico-cultural-editoriale offerta dall’Encyclopedie-Anarchiste, mentre la complessità delle relazioni tra la sfera propriamente culturale e quella educativa si ritrova nella poliedrica riflessione politico-ideologica di Luigi Fabbri, uno dei maggiori intellettuali anarchici italiani. Fabbri porta a piena consapevolezza teorica le molteplici questioni connesse ai rapporti dualistici tra scuola statale e scuola libera, tra laicità e religione, tra metodo autoritario e metodo libertario.
I due decenni che stanno a cavallo tra Otto e Novecento segnano una svolta fondamentale per la storia dell’educazionismo anarchico perché si assiste ad una duplice dialettica: nella misura in cui tende a chiudersi la fase del pensiero anarchico classico si apre quella di una sua possibile traduzione nella concreta esperienza pedagogica.
L’interesse fondamentale di questo passaggio consiste nella relazione tra ideologia ed educazione quale risultato del rapporto interattivo fra teoria e prassi: meglio ancora, quale diretto tentativo di realizzare l’ideale nella pratica, naturalmente per quel tanto che è possibile.
L’anarchismo si stempera in libertarismo, ma grazie a questa torsione è possibile trasformare una generica idea educativa in una più precisa concezione pedagogica: l’identità forte (pensiero anarchico classico), si tramuta in un’identità debole (pensiero libertario), contemporaneamente la genericità debole dell’idea educativa, precedentemente agganciata come sola dimensione teorica all’idea forte del pensiero anarchico, si traduce nella specificità forte della pratica pedagogia anarchica, che a sua volta si lega quindi, per contrappasso, alla genericità debole del libertarismo.

Rapporto fra teoria e prassi

È questa la premessa per capire il rapporto fra teoria e prassi e dunque il significato e l’importanza delle varie esperienze educative create da militanti anarchici e libertari in questo periodo. Siamo qui al centro della ricostruzione codelliana riguardante la seconda parte del volume. Sono analizzate le più importanti e le più significative istituzioni educative: l’orfanotrofio di Cempuis di Paul Robin, la scuola creata da Tolstoj a Jasnaja Poljana, la scuola militante di Louise Michel, la Escuela Moderna di Francisco Ferrer, l’Avenir Sociale di Madeline Vernet, la Ruche di Sebastien Faure, la scuola Ferrer di Losanna di Jean Wintsch, l’asilo scuola moderna razionalista di Clivio.
È inutile sottolineare la profonda diversità che caratterizza alcune di queste esperienze, basti considerare che esse si svolgono in tempi diversi e in contesti diversi: Russia, Francia, Svizzera, Italia, Spagna; risentono inoltre, fortemente, della personalità e della cultura di chi le anima e le guida, anche se, nello stesso tempo, sono accomunate dal principio ispiratore di fondo, riassumibile nel concetto che l’educazione ai valori della libertà, dell’uguaglianza e della diversità si dà solo attivando simultaneamente la loro idea e la loro pratica, che risultano pertanto quasi sempre interpretati e vissuti nel duplice e indissolubile aspetto di metodo e di fine perché non esiste, nell’anarchismo, un regno dei mezzi staccato dalle finalità ultime.
Di qui una ricca sequenza di grandi intuizioni, un patrimonio di idee che anticipa alcune linee di fondo della cultura pedagogica alternativa emersa con l’ondata libertaria del ’68. Naturalmente questi tentativi, quasi sempre gravati da una vita difficile (anche per l’avversione del potere costituito), sono pure segnati da molti errori e da molti limiti (basti pensare al forte dogmatismo razionalista e positivista), che l’autore non manca di far rilevare.
Ulteriori indagini relative alle esperienze educative libertarie in Russia, Portogallo, Germania, Inghilterra e Spagna (con un occhio di riguardo per le ultime due) danno il segno dell’ampiezza della ricerca di Codello, che chiude il volume con l’analisi del pensiero di Alexander Neill e l’originale creazione di Summerhill, quasi a significare che non vi è, a suo giudizio, profonda discontinuità teorica e pratica nella storia della pedagogia anarchica.
Il lavoro di Codello è senza dubbio il testo più importante e più completo che la storiografia sull’educazionismo anarchico e libertario possa fino a questo momento vantare, sia a livello italiano, sia a livello internazionale. In senso più generale, esso segna un grande risultato della storiografia sull’anarchismo, premiando giustamente un lavoro di anni di ricerca e di riflessione.

 Giampietro Berti

 

La buona educazione
Esperienze libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill.
Milano, Franco Angeli, 2005, 700 pp.

Il libro si può trovare nelle librerie o può essere richiesto direttamente all’autore al seguente indirizzo:
Francesco Codello, via I. Nievo 5/A, 31100 TREVISO (Italia) e-mail: f.codello@virgilio.it.