Carlo Rosselli

e la critica allo statalismo

 

di Zeffiro Ciuffoletti

 


 

Il pensiero politico di Rosselli attira sempre di più l'interesse degli studiosi e dei politici. Il socialismo liberale rappresenta, ormai, dopo il fallimento del comunismo e la crisi della socialdemocrazia, una delle poche matrici di cultura politica dotate di vitalità e di modernità, tanto da costituire una delle più interessanti fonti di riferimento per elaborare quella "terza via" che la sinistra va cercando in questa fine millennio.

Eppure, il nome di Rosselli, aldilà della retorica antifascista nella quale è stato a lungo relegato, è stato associato ad una doppia sconfitta: quella del socialismo democratico fra le due guerre e quella del Partito d'Azione, che in gran parte si ispirava proprio al movimento di Giustizia e Libertà, fondato dall'esule fiorentino nel 1930 a Parigi. Si può dire che il socialismo liberale, scaturito dalla ricerca di una "terza via" nei drammatici decenni fra le due guerre, riemerga oggi con forza proprio dalle macerie di due totalitarismi: quello fascista e quello comunista, che aveva cercato di combattere. Paradossalmente, ma non troppo, il forte impegno di Rosselli contro il fascismo era servito ad animare un movimento che, una volta crollato il regime, rimase prigioniero dell'antifascismo sempre più egemonizzato dal comunismo.

Indubbiamente negli anni fra le due guerre, ma anche negli anni della guerra fredda, le idee di Rosselli rimasero minoritarie ed è certo che persino coloro che a lui si richiamavano non riuscirono a reinterpretare e a sviluppare l'eredità del socialismo liberale ed in particolare la critica allo statalismo e al totalitarismo, così come la critica alla forma partito, centralista e burocratica adottata dai partiti di sinistra (1). Infine, non riuscirono a mettere in discussione l'effettivo monopolio del marxismo nella cultura sia comunista sia socialista in Italia. Per cui la critica rosselliana, volta al superamento del marxismo e alla critica al totalitarismo, non riuscì a fecondare la cultura politica italiana dopo la caduta del fascismo. Proprio il contrario di quanto Rosselli aveva pensato in vita, e cioè che nella lotta per abbattere la dittatura fascista tutti i partiti antifascisti, compresi i socialisti e i comunisti, avrebbero dovuto riconoscere e accettare il valore supremo della libertà e delle istituzioni liberal-democratiche, che Giustizia e Libertà aveva posto come valori irrinunciabili nella lotta contro il fascismo.

Negli anni 70, quando l'Italia era sconvolta dagli effetti del dogmatismo ideologico, Norberto Bobbio da un lato e un esile drappello di ex azionisti fiorentini che trovarono in Carlo Francovich la guida organizzativa per un riesame dell'eredità rosselliana (2), tentarono di innestare nel socialismo italiano la tradizione del socialismo liberale, puntando sulla difesa dello Stato di diritto e sulle istituzioni liberal-democratiche, in polemica, non solo con il dogmatismo marxista, ma anche con le diverse eredità del leninismo e dell'operaismo che influenzavano potentemente la cultura politica italiana.

Per Rosselli l'individuo e la società venivano prima dello Stato. Uno dei motivi più genuinamente liberali del pensiero rosselliano risiede, infatti, nella critica alle forme di potere ed in particolare allo statalismo ed in generale alle forme di potere monopolistico e burocratico, che caratterizzarono i sistemi totalitari fra le due guerre. Per Rosselli anche il problema del partito costituiva una questione essenziale di libertà. La tendenza alla centralizzazione burocratica e al partito-chiesa nella sinistra europea continentale era una delle cause della degenerazione statalista e totalitaria del socialismo. La democrazia e la libertà per Rosselli non potevano basarsi che sull'autonomia individuale, ma si trattava di un individualismo cooperativo, portato, cioè, ad associare gli individui nelle forme più varie, dai sindacati alle cooperative, dalle associazioni sportive a quelle culturali e sociali, ma anche politiche. Per questo egli rifiutava il partito chiesa, a monopolio ideologico e burocratico, ed immaginava il partito -come del resto lo Stato- quale federazione di associazioni che nascono nella società civile. Si tratta a ben vedere di problemi ancora tutti aperti nella realtà contemporanea ed in particolare in Italia, dove la crisi della forma partito si somma alla crisi dell'ipertrofia e della sclerosi dello Stato, oppressive ambedue rispetto all'autonomia dell'individuo e della società.

Rosselli aveva chiaramente individuato il demone del secolo XX nell'idolatria dello Stato sovrano, nella sua faccia nazionalista totalitaria, ma anche nella sua faccia comunista totalitaria. La "terza via" di Rosselli non era, in questo senso, semplicemente antitotalitaria e perciò democratica e liberale. Era convinto che gli uomini e la società vengono prima dello Stato; che i diritti umani sono superiori ai diritti degli Stati; che le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale. Così come, Rosselli capiva che al vecchio sistema del diritto individuale bisognava aggiungere un sistema di diritti sociali, per un nuovo modello di società e di Stato. L'antifascismo di Rosselli non mirava soltanto ad abbattere un regime per creare un altro regime; una dittatura al posto di un'altra dittatura. Mirava, invece a presentare l'elaborazione politica contro il fascismo come un'esigenza positiva e rinnovatrice della società italiana.

Lo scioglimento della concentrazione del '34 e l'esigenza di fronteggiare la nuova politica di unità d'azione promossa dal PCd'I a partire dal 1933 e concretizzatasi nel primo patto d'unità d'azione tra comunisti e socialisti nell'agosto del 1934, una svolta repentina che non aveva portato ad alcun processo di revisione ideologica e di superamento della concezione della dittatura del proletariato, come si rilevava in "Giustizia e Libertà", spingevano Rosselli a qualificare in senso sempre più rivoluzionario il programma di GL, riaffermando, però, il valore centrale della libertà come principio informatore degli istituti politici, economici e sociali. "La libertà non è per noi un mezzo tattico provvisorio, una parola d'ordine passeggera […] Ecco perché non riusciamo ad isolare la rivendicazione di una sola libertà, per farne oggetto di un accordo provvisorio con altre forze. Ecco perché saremo ostili ad un accordo che facesse di questa o quella libertà o rivendicazione un puro mezzo tattico per scardinare il fascismo, anziché un obbiettivo fondamentale della lotta comune" (3).

In questo contesto la questione del rapporto Stato-società-individuo ritornava al centro del discorso di GL, anche perché il fascismo si presentava sempre più come la quintessenza del centralismo e dello statalismo. La legge comunale e provinciale, promulgata nel 1934, s'inseriva organicamente nella complessiva manovra del ministro Rocco, finalizzata alla costruzione totalitaria dello Stato fascista, così come la dittatura burocratica del corporativismo.

Per questo Rosselli, attaccato dai socialisti e dai comunisti, parlava di "indigestione autoritaria" delle forze antifasciste e criticava ciò che egli chiamava "la concezione governativa della rivoluzione" (4). Per lui era un grave errore quello di "impadronirsi dello statalismo fascista per utilizzarlo, come una meccanica qualunque, a favore del proletariato" (5). "La concezione governativa - scriveva -ecco il vero tarlo dei socialisti e dei comunisti classici, i quali dimenticano che gli stessi bolscevichi dittatori prima di diventare governo e Stato furono antigoverno e antistato (come antistato fu Marx, il vero). La supposta convergenza dell'anti- statalismo giellista con un eventuale antistatalismo borghese è un banale argomento polemico […] L'antistatalismo, l'antitotalitarismo, è oggi bandiera di lotta della società oppressa e della sua classe più misera e schiacciata, la proletaria" (6).

Nenni su "Il nuovo Avanti" aveva contrapposto lo Stato proletario contro lo Stato fascista (7) e Rosselli aveva risposto su "Giustizia e Libertà" con una critica dura allo statalismo socialista (8), ma il dibattito era andato avanti con l'accusa a Rosselli di volere una "società senza testa", alla quale Rosselli rispose dicendo che lo schema di Nenni prevedeva "uno Stato senza i piedi" (9).

Rosselli, mentre discuteva con gli interlocutori esterni a GL, socialisti e comunisti, era impegnato nel suo stesso movimento nella discussione sull'autonomismo e sul federalismo. Lo faceva richiamandosi alla critica dei federalisti allo Stato moderno (Proudhon) fino alla critica libertaria anarchica (Bakunin) e allo stesso Marx della Guerra civile in Francia e della Critica al programma di Ghota, ma anche alla critica liberale di Leonard Trelawny Hobbouse, che egli cita espressamente nella risposta a Bittis (10). Hobbouse, che era già noto a Rosselli per The Labour Moviment (1893) e per Social evolutio and political theory e Liberalism, aveva pubblicato nel 1918 Metaphysical theory of the State: a criticism. Hobbouse era un precursore del socialismo liberale, contrario allo statalismo nazionalistico e allo statalismo socialista, e sostenitore delle forme democratiche e decentrate di autogoverno. Nel libro criticava espressamente la tendenza, rafforzata dalla guerra, a conferire allo Stato sempre maggiori prerogative di governo in campo sia economico che sociale. Alla tendenza totalitaria dello Stato -nazione, Hobbouse contrapponeva le forme di autogoverno. Rosselli sintetizzò il suo pensiero in un robusto editoriale dal titolo significativo Contro lo Stato (11). Un attacco radicale contro la tradizione giacobina e centralista dello Stato, come concezione illiberale e autoritaria, premessa del totalitarismo. Egli vede nello statalismo del modello politico giacobino la premessa dello "Stato dittatoriale moderno". "Vi è -scriveva Rosselli- un mostro nel mondo moderno, lo Stato, che sta divorando la Società. Lo Stato dittatoriale dei nostri giorni ha stravolto tutti rapporti umani, puntellato tutti i privilegi, sostituito la libertà con la legge faziosa, l'uguaglianza con la disciplina di caserma e le caste. Al posto delle associazioni spontanee e creatrici ha fatto subentrare a forza una associazione coatta, gelida, impersonale, invadente, tirannica, inumana che distrugge tutta la vita sociale […] Nello Stato dittatoriale moderno, logica conclusione dello statalismo, non c'è infatti più posto per l'uomo. Lo Stato si è preso tutto l'umano" (12).

Quello che bisognava rifiutare era proprio la concezione che faceva dello Stato una categoria dello Spirito. L'esempio che Rosselli faceva era assai calzante, analizzando il rapporto fra la concezione fascista dello Stato e quella dei comunisti. "I comunisti -scriveva Rosselli- prendono lo Stato dittatoriale fascista capitalista e lo rovesciano in tutti i suoi termini. In luogo della classe borghese la classe proletaria, in luogo di una dittatura nera o bianca, una dittatura rossa, in luogo di una burocrazia, polizia, oppressione fascista, una burocrazia, polizia, oppressione comuniste" (13) Non era questo che voleva GL e non era questo che voleva Rosselli: "Noi concordi coi comunisti sulla necessità di abbattere il vecchio Stato nelle sue basi economiche e sociali, vorremmo sostituirgli una organizzazione quanto più libera, articolata, democratica possibile. Uno Stato che sia agli ordini della Società, che abbia una sfera limitata di attribuzione e le cui forze, anziché essere dirette a schiacciare e controllare tutti i rapporti umani, li promuova, li faciliti, li arricchisca. Uno Stato, insomma, che tenda quanto più possibile ad annullarsi, a riassorbirsi nella Società; non già per volontà sua propria, inesistente, ma per volontà vigile e attiva dei cittadini e dei gruppi" (14).

 

ZEFFIRO  CIUFFOLETTI

 

 

 

Zeffiro Ciuffoletti è professore ordinario di Storia del Risorgimento al Dipartimento di Scienze Storiche e Geografiche della Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze.

 

Lettera di Carlo Rosselli ai familiari

Ustica, 24 giugno 1927

"Mie carissime, Marion, Mammà, Maria, rimarrete un pò maluccio nel vedere nuovamente il fatidico bollo: ma come fare? O rinunciare a scrivervi o darvi subito un altro pò di amaro tutt'altro che digestivo da aggiungersi al vostro già ricolmissimo calice... Dunque coraggio e avanti. Martedì sera al Comando dei locali carabinieri ci venne comunicato un ordine di arresto spiccato dal Giudice Istruttore di Savona contro noi tutti in seguito alla sentenza di rinvio a giudizio (la data del processo non è ancora fissata e ci vorrà del tempo). In base al medesimo ci erano date ventiquattro ore di tempo per costituirci spontaneamente al carcere di Ustica per essere tradotti a Savona; così che, a ventiquattro ore scadute, dopo una serie di banchetti e di bicchierate d'addio, accompagnati da una vera processione di amici, ci siamo presentati alla porta del vecchio castello che già difese a suo tempo Ustica dai Saraceni. Ed ora eccoci qui in una minuscola ma freschissima cella, circondati dalla fraterna attenzione degli amici, in attesa della traduzione straordinaria già domandata e che avverrà o lunedì o, più probabilmente, mercoledì. Appena ci fu comunicato il mandato di arresto, fatte le riserve del caso, telegrafai e scrissi a Erizzo, il quale fortunatamente era a Genova e si mise disperatamente al lavoro. Amici avvocati sostengono che l'ordine è illegale, risultato di un'arbitraria applicazione dell'art. 330 Cod. Procedura Penale. Ma l'arbitrio è un condimento di uso corrente, oggidì, e non è il caso di farsi illusioni. Erizzo si precipitò a Savona ed indi a Genova alla Procura Generale; ieri sera mi giunse un suo telegramma col quale mi annunciava di aver telegrafato al Ministero degli Interni per ottenere una sospensione dell'ordine di arresto, sospensione che i magistrati senza il nulla osta superiore non osavano fare. Lui si mostra molto ottimista; noi lo siamo pochissimo o punto. Certi residui di ingenuità li può aver lui, non noi. Non noi, mie tante care, dopo la dolorosa notizia dell'arresto di Nello".

 

NOTE

1. Cfr. Z. CIUFFOLETTI, Contro lo statalismo. Il "socialismo federalista liberale" di Carlo Rosselli, Lacaita, Manduria, 1999.

2. Cfr. AA. VV., Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia. Attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio, introduzione di C. FRANCOVICH, La Nuova Italia, Firenze, 1978

3. C. ROSSELLI, La libertà non è un mezzo tattico né un obbiettivo provvisorio, in "Giustizia e Libertà", 14 dicembre 1934.

4. "Giustizia e Libertà", 1 maggio 1936

5. Ibidem.

6. "Giustizia e Libertà", 10 aprile 1936

7. Cfr. P. EMILIANI [P. NENNI], Per lo Stato proletario contro lo Stato fascista, in "Il nuovo Avanti", 25 aprile 1936.

8. Cfr. C. ROSSELLI, Socialismo e statalismo, in "Giustizia e Libertà", 1 maggio 1936

9. C. ROSSELLI, Per lo Stato proletario contro lo Stato totalitario, in "Il nuovo Avanti", 9 maggio 19 36.

10. BITTIS [R.GIUA], Polemiche sullo Stato, in "Giustizia e Libertà", 18 ottobre 1934.

11. C. ROSSELLI, Contro lo Stato, in "Giustizia e Libertà", 21 settembre 1934.

12. Ibidem.

13. Ibidem.

14. Ibidem