REQUIEM PER LA CULTURA ITALIANA.

INTERVISTA A CARLO CASSOLA


di sergio falcone



“Ho una pessima opinione della cultura dominante o, meglio, dell’incultura dominante”, dice Cassola. “Giacché non posso dare il nome onorato di cultura alla mistificazione che tiene la gente nell’ignoranza. La gente è migliore delle istituzioni e delle ideologie che professa o si è scelto. La gente non sa, o non è informata. La nostra è una società delusa e illusa, di cittadini docili e demoralizzati, in pugno a una classe di demagoghi che predica ancora il dovere civico e la fedeltà politica. Bisogna rimuovere questa diffusa capacità di rassegnazione”.


La cultura italiana ha o no le carte in regola? In un momento oscuro, per il deterioramento del tessuto economico-sociale e per la crisi più vasta della società consumistica, la cultura conserva la sua componente profetica? E’ in grado di formulare nuove proposte sociali e antropologiche? Oppure lavora per la formazione e il consolidamento dei regimi?


“La cultura non ha più attuato un ripensamento radicale della realtà. Gli uomini di cultura debbono farsi l’esame di coscienza. Sono imbecilli, o fanno finta di esserlo? Continuano a mascherare il vuoto dei sistemi. L’utopia, cioè l’anarchia, deve affermarsi al più presto”, risponde Carlo Cassola, 60 anni; nel ’44 partecipe

della Resistenza, dal ‘50 collaboratore del Mondo, autore di romanzi e racconti: Fausto e Anna (1952, 1958), Il taglio del bosco (1955), La ragazza di Bube (1960), Un cuore arido (1961), Ferrovia locale (1968), Paura e tristezza (1970), Monte Mario (1973), Troppo tardi (1975), L’antagonista (1976), L’uomo e il cane, Il ribelle (1980); autore, inoltre, di saggi politici: Il gigante cieco, Ultima frontiera e del libro-inchiesta I minatori della Maremma (1956), assieme all’indimenticabile Luciano Bianciardi.


Dice che gli intellettuali, avidi di stima e denaro, hanno rinunciato all’autonomia e ad una ricerca indipendente, che la cultura lavora per il consolidamento del regime, e per l’ordine. Quale ordine?


“Quello della delinquenza organizzata”, risponde Cassola. “La diffidenza di giovani e operai verso gli uomini d’ordine è naturale. E gli intellettuali sono impotenti a guardare, oppure pronti a giustificare il ‘realismo politico’ di un’Italia che, pure nata dalla Resistenza, è governata da un’agguerrita associazione a delinquere… Né più né meno come in Francia Sartre, privo oramai di un un’interpretazione originale, tende ad avallare l’ordine instaurato da Chirac e Giscard d’Estaing”.


Qual è il ruolo degli intellettuali, sul piano delle disponibilità ideologiche?


“Impegno non significa schierarsi a favore degli uni o degli altri.

E se le due parti in lotta fossero complementari, entrambe interessate al mantenimento dello stato di cose esistente?

E’ distorta anche la nozione d’impegno: impegno, o prostituirsi dell’intellettuale? Negli ultimi 45–50 anni è fatalista, rassegnato, egoista, rende buoni servizi allo Stato, tende a inserirsi a ogni costo, teme il rischio. La nostra è una classe di dimissionari.

Altri, i veri intellettuali: Rousseau, Proudhon, Bakunin, Mazzini, Marx; il quale ha iniziato a parlare di marxismo in epoca di capitalismo.

Hanno ragione Sciascia, Bobbio, Montale, nel definire preagonica la condizione delle nostre istituzioni. Ma cosa propongono in cambio? Alcuni esponenti della cultura dominante, e lo stesso Moravia, mi dicono che le mie preoccupazioni sono fuori luogo, poiché l’esistenza non è un valore. Mi spiace tanto. Non mi preoccupo di me. Ma ho ripreso attivamente a occuparmi di politica poiché ritengo la vita il bene sommo. Bertrand Russell diceva che non ha senso la vita se nessuno resta. Questa situazione ha avuto inizio con la guerra atomica. La cultura ignorò l’avvenimento. Eppure quella bomba era la campana a morte. L’umanità è arrivata alla fine. Il problema più urgente è quello della preservazione della vita. A questo riguardo, il silenzio della cultura è davvero criminoso. Lo stesso Thomas Mann, nel ’55, scrisse: ‘… un’umanità ebbra di istupidimento va barcollando incontro alla sua rovina, ormai neanche deprecata…’”.


Quale è la sua proposta alternativa?


“Rendere inoperante l’articolo 52 della Costituzione (‘La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino… il servizio militare è obbligatorio …’), e attuare di fatto il disarmo unilaterale dell’Italia. Arrivati a questo punto, bisogna sbarazzarsi di frontiere e armamenti. L’intellettuale deve intuire che il nemico è lo Stato sovrano. Hanno torto gli intellettuali del dissenso sovietico: la richiesta di libertà individuale è poca cosa rispetto a problemi più urgenti e generali. Anche la giustizia diviene un bene secondario. Il problema fondamentale è quello della pace, cioè del disarmo internazionale, benché i giornali non ne parlino. Ma l’informazione giornalistica spesso è disinformazione”.


Se la stampa è asservita quasi per intero, perché collabora al Corriere della Sera di Di Bella?


“La direzione di Ottone non era a sinistra. Il Corriere è un giornale militarista e, in quanto tale, è sempre stato a destra. Collaboro a condizione che la mia protesta sia resa pubblica, e resto fin quando ciò mi sarà possibile. Bisogna opporsi e rovesciare, iniziare una rivoluzione culturale che spezzi l’orientamento corrente della cultura, del giornalismo, della politica.

Occorre distruggere i meccanismi impazziti che ci stanno portando al suicidio. Abbiamo 149 Stati armati. E’ auspicabile la disintegrazione dello Stato sovrano per evitare la guerra esterna. Senza atteggiarmi a censore, ho costituito a Firenze una lega per il disarmo unilaterale d’Italia. Hanno aderito anarchici, marxisti, cristiani, anche dei sacerdoti, Ernesto Balducci e Davide Turoldo, e ancora Alfonso Leonetti e Vittorio Ernesto Treccani. Prenderemo contatti con Vittorio Foa, Natoli, Terracini. Siamo agli inizi. L’anno passato, 34 uomini della cultura francese hanno firmato un appello per il disarmo unilaterale della Francia”.


Ritiene che la provocazione sia uno strumento; ad esempio, la reazione di certi giovani? Qual è la sua posizione nei confronti della sinistra rivoluzionaria?


“La classe giovanile avverte la propria solitudine e tende a riappropriarsi della propria esistenza, come nel ’68. E’ una gioventù disperata e sbalordita. Si verificano sporadici casi di violenza, ma è ipocrita la condanna da parte di una società che tollera nel proprio interno le forze armate. Circa 250 mila giovani sono addestrati ogni anno per uccidere ipotetici avversari. E allora, non è questa delinquenza legalizzata? Mi dispiace che Casalegno sia morto, ma ritengo che una società militarista non debba essere così ipocrita da condannare la violenza”.


La struttura militare in uno Stato debole come l’Italia va interpretata anche come strumento di repressione interna?


“Soprattutto come metodo di forza all’interno. Conosciamo la rudezza del nostro sistema nell’impiego della forza: contro i fasci siciliani nel ’93, nei tumulti milanesi del ’98, la connivenza di esercito e fascismo nel 1922, e ancora la crociata in materia di difesa dei nostri costituenti, tutti militaristi, a eccezione di Emilio Lussu del Partito Sardo d’Azione. L’adesione al Patto Atlantico non è un fatto perentorio? E’ un’impostura, infatti. Morire per morire, è meglio crepare per una rivolta interna, e collasso conseguente dello Stato. Per questo giustifico una crisi di anarchia generalizzata”.


Il socialismo è ancora un modello associativo capace di riscattare l’uomo dal bisogno, e soprattutto dalla paura?


“Il vero socialismo potrebbe trionfare in poco tempo, ma deve sottrarsi all’alternativa socialdemocratica, che non è un’alternativa. L’argomento principe del socialismo è quello di Bertrand Russell, Einstein, Kastler. Oggi il socialismo vuole solo ritocchi; molti anni fa esigeva un modello rigoroso. Resta il dissidio di fondo di chi accetta questo stato di cose, e chi lo rifiuta, e vuole andare oltre”.


Asor Rosa, in Scrittori e popolo, parla della sua “ideologia dell’isolamento”, e accenna ai suoi esordi, alle radici della sua formazione intellettuale e politica…


“La mia letteratura oggi è diversa. Il rifiuto della storia, che a torto o a ragione mi è stato attribuito in passato, non ha nulla a che vedere con la concezione che oggi ho della storia. La mia prima formazione è stata esclusivamente letteraria. Mi sono formato leggendo Leopardi, Pascoli, Montale, Joyce, Dostoevskij. Oggi leggo solo pagine di storia e filosofia. Prendiamo il personaggio di Mara, la ragazza di Bube: conduce una vita ai margini del grande flusso storico, è una rassegnata e, se risolve qualcosa, è sempre a livello personale… Non saprei ripetere quel tipo di narrazione esistenziale. Ora, il fatto che io mi metta a parlare di politica suscita meraviglia. Ma le lettere sono un campo opinabile; di conseguenza, qualsiasi opinione acquista un diritto. L’excursus mi pare chiaro: da giovane davo il primo posto alla narrativa esistenziale; ho preferito, poi, la narrativa sociale. Sono approdato alla politica”.


Carlo Cassola vive non lontano dal mare; si arriva da Grosseto. Cani dai casolari al passar del viandante, lamento di pini innumerevoli, cerchio tetro attorno alla casa in cui tutto è silenzio.” La mia scrittura era alimentata dall’angoscia individuale. Ora trova motivazione nell’angoscia collettiva”, dice. “La letteratura può cambiare il mondo e la vita. Ci vuole disperazione e dialettica, non fede e obbedienza”.


Parla della trilogia che sta ultimando: Ferragosto di morte, Il nuovo Robinson Crusoe, Il mondo senza nessuno. Oggi l’umanità è un “gigante cieco” che vaga verso la propria distruzione. Immagina una guerra nucleare e descrive la condizione dei superstiti; un uomo, animali, vegetali. Dopo c’è un paesaggio quasi lunare e la descrizione si interrompe per sempre.


Cassola guarda i pini serrati attorno alla casa, le ombre si fanno più cupe sotto gli alberi, abbassa la luce della lampada. Che cosa fa nelle ore che precedono la notte? Scrive e ascolta il Requiem di Mozart. Requiem anche per uno scrittore? E’ la morte dell’arte?


“La psicoanalisi escogita la libido della morte”, dice. “Ma Erich Fromm, e soprattutto Wilhelm Reich che era socialista, sperano in un futuro diverso e in una umanità libera dagli istinti gregari. Tutta la letteratura, anche se pervasa da pessimismo, nasce dall’amore per la vita. Io amo l’esistenza nelle sue forme immediate, anche fisiche”.