Cobas ‑ n. 3 ‑ 1988

Progetto Scuola/Seminario

Roma, 16 settembre 1988, Palazzo Valentini

Banchi in libertà

Stefano d'Errico

Roma

Questo seminario nazionale che si tiene alla vigilia della riapertura dell'anno scolastico mira a rispondere, come primo contributo dei Cobas espressosi sul piano nazionale, ad un'esigenza fortemente sentita nella categoria: quella di avviare un dibattito profondo in ordine a metodologia e didattica. Un dibattito finalmente «senza rete» che, traendo linfa vitale dall'impegno quotidiano degli operatori di base della scuola, possa col tempo dare voce compiuta ad esigenze e bisogni, fornire proposte operative e risposte ai problemi, parallelamente ad un'opera di puntuale denuncia della situazione miserevole in cui versa la scuola in Italia (denuncia complementare a quella che ha scosso le gabbie normative e salariali negli ultimi due anni), di modo che si operi contestualmente in chiave propositiva ai fini di un complessivo progetto-scuola alternativo all'esistente, che scaturisca realmente dal basso, in ambito più vasto di quello proposto sinora dal pur grande ed encomiabile sforzo di accademie, associazioni e gruppi specifici di ricerca pedagogica.

Gli argomenti sul tappeto aprono un ventaglio potenzialmente molto ampio. Quali programmi, per quale sapere? Quale didattica, cosa e come insegnare? È in discussione la stessa funzione della scuola: dal problema dell'obbligo e della sua estensione alla questione dell'autorità fra istituto formale ed alterità morale; fra sviluppo dell'attenzione critica, educazione e formazione; fra istruzione e socializzazione delle conoscenze, fra controllo sociale, autonomia individuale dello studente ed indirizzo. Infine il punto focale di una valutazione che, scollegata dal piano generale degli interventi ed ancorata a criteri obsoleti, pare sempre più feticcio fossile in omaggio a stilemi e conformismi precostituiti. Problemi inerenti inevitabilmente la gestione politica dello spazio-scuola oltre che delle strutture fisico-architettoniche, la contiguità tra scuola e società, l'assorbimento delle agenzie educative nella realtà sociale, l'interazione con gli studenti e la loro partecipazione alla struttura nell'ambito di una scuola che; a parere di molti, per rinascere deve strappare le condizioni per una reale autogestione onde preservandone il carattere di massa e garantendo pieno diritto all'istruzione, sì spezzi il giogo che la vuole compressa fra stato e privato. Non ultimi poi rimangono gli aspetti legati al reclutamento nonché alla valenza legale degli stessi titoli di studio.

Tutti questi temi pongono al centro le figure di docente ed operatore e la massima inalienabile della libertà d'insegnamento ed apprendimento, quindi oltre a richiamare il legame indissolubile fra programmazione, sperimentazione ed aggiornamento, impongono anche una presa di posizione sul principio della laicità dell'istruzione pubblica, oggi posto pesantemente in forse dagli assai discutibili provvedimenti sulla cosiddetta «ora di religione».

Ma il nodo principale da affrontare e senz'altro quello della ricerca educativa, compito non solo della pedagogia universitaria ma, secondo la felice definizione di Giovanni Maria Bertin, della «scuola militante» in tutti i suoi gradi. Una scuola lanciata verso il futuro, che invece di escludere, vagli criticamente e rilanci l'utopia, divenendo il fulcro del rinnovamento civile della società anziché mantenersi al rimorchio del sistema come mero ricettacolo passivo di norme, funzionamenti ed obiettivi.

Come ha più volte sottolineato un altro non notissimo pedagogista, Lamberto Borghi, viviamo in un periodo storico in cui il pericolo di un'amministrazione totale e di una crescente massificazione costituisce il maggiore ostacolo per la cultura. Un ruolo fondamentale lo gioca l'acquiescenza del pubblico alla capillare penetrazione nell'opinione della direzione dei pensieri e dei sentimenti emanante dai centri di potere. A questo punto la cultura come promozione della capacità di dissenso è il bene più prezioso, non soltanto per le sorti dell'educazione ma per lo stesso avvenire dell'umanità. Risulta chiaro però come la scuola, pur rivestendo immensa importanza, risulti inadeguata da sola ad assicurare il successo della formazione culturale A ciò afferisce una più vasta problematica sociale che non può certo venire sottaciuta, in quanto problematica fondante, quella stessa che ha troppo spesso relegato la scuola a struttura di supporto di un apparato di dominio onde mantenere in vita, se non anche rafforzare, perenni sperequazioni e divisioni di classe. Basterà qui ricordare che, ad esempio, la scuola avviante al lavoro è stata unificata (e per di più con ì risultati che tutti abbiamo di fronte) con la scuola di cultura al livello dell'istruzione media inferiore soltanto agli inizi degli anni sessanta. II problema di una scuola secondaria superiore comprensiva che renda indisgiungibile la preparazione professionale da quella scìentifico-umanistica rimane ancora irrisolto nonostante le pluridecennali diatribe sulla riforma dell'istruzione secondaria.

Una delle questioni principali rimane il perpetuarsi della divisione sociale del lavoro che ha sede della scuola nella schizofrenica divisione-separazione di fondo fra lavoro intellettuale e manuale, fra ruoli dirigenti ed esecutivi, che trova esempio lampante nel permanere di istituti di serie A e serie B.

Entra in questo contesto, fra l'altro, in gioco il discorso sul ruolo unico, punto sul quale fa leva la piattaforma Cobas non certo per spirito «velleitario», ma perché preconizza una scuola fluida al suo interno e senza barriere di sorta, ove uguale dignità san riservata nel corso dell'iter da ogni ordine e grado di insegnamento. Ma il «manifesto» contrattuale da solo non basta certo a delineare un organico progetto all'altezza del movimento e degli impegni che lo attendono. II progetto Galloni è destinato a trasformare la scuola in un satellite della produzione tramite l'apertura di ampi varchi di privatizzazione atti a dare sfogo alle interessate ingerenze del capitale pubblico e privato. Agli insegnanti si chiede una acritica e pedissequa compartecipazione allo smembramento della scuola pubblica in cambio di un aleatorio riconoscimento di status, magari a seconda dell'istituto di appartenenza, e la rincorsa ad una incentivazione miserevole ad ogni livello, compreso quello economico. È un progetto che tende a spezzare l'unita delta categoria, contro il quale occorre aprire un nuovo fronte di lotta; ma questo è possibile solo elaborando un progetto che si differenzi in modo compiuto in termini didattici, che sappia ribaltare le generalizzazioni interessate funzionali ad una logica di precarizzazione sociale, dì indeterminatezza e mobilità, il «fatti imprenditore di te stesso» e d'altra parte il feticcio delle competenze monoprofessionali ed il neoinnatismo che lo sostiene, in grande fase di rimonta, secondo il quale addirittura il ventaglio dì competenze determinato dall'eredità genetica e sociale segnerebbe senza possibilità d'appello la sorte dei soggetti, la maggioranza dei quali sarebbero senza deroghe da avviare a forme di attività lavorative semplici, ripetitive, eterocontrollate.

Occorre recuperare al movimento i tratti essenziali del dibattito sulla qualità della scuola, che va tradotto in una forte rivendicazione di centralità dell'istituto pubblico a cominciare dagli stanziamenti destinati all'istruzione già dal momento del varo della legge finanziaria.