La Scuola moderna razionalista di Clivio
di Francesco Codello

Nei primi due decenni dello scorso secolo a Viggiù (Varese)  si sviluppa l’esperienza dell’unica scuola libera e libertaria, in Italia, ispirata alle teorie ed alla pratica di Francisco Ferrer  il pedagogista anarchico spagnolo perseguitato dalla Chiesa cattolica e ucciso dallo Stato.

Questo articolo fa parte di un lavoro ben più ampio, che sarà prossimamente pubblicato, sulla storia della pedagogia anarchica e libertaria in Europa dal settecento al novecento.
Francesco Codello, già redattore di Volontà alla fine degli anni settanta e attualmente di Libertaria, oltre a numerosi articoli e saggi sulla pedagogia libertaria ha scritto un libro dal titolo: "Educazione e anarchismo. L’idea educativa nel movimento anarchico italiano" (1900-1926), Ferrara, Corso Editore, 1995.

L'unica esperienza realizzatasi in Italia, ispirata alle scuola moderne di Francisco Ferrer, è quella di Clivio, un piccolo paese nel comune di Viggiù (Como, ora Varese) ai confini con la Svizzera.
La scuola nasce in un periodo importante, per la storia d’Italia: sono gli inizi del secolo XX°, caratterizati da sviluppo economico, impulso e accelerazione delle organizzazioni operaie e contadine, diffusione intensa della cultura positivista e delle iniziative di istruzione popolare.
Un’epoca caratterizzata da un lato ad un’apertura, da parte del governo Giolitti, alle masse operaie e contadine e dall’altra da una altrettanto decisa repressione tesa a dividere il movimento proletario, ad isolare gli anarchici e i sindacalisti rivoluzionari.
Una fase di transizione e di grandi trasformazioni politiche e sociali e della natura stessa del lavoro dipendente, e al contempo una grande presa di coscienza sulle possibilità rivoluzionarie, fatte di grandi tensioni ideali e prospettive di cambiamento, da parte delle classi più povere ed emarginate.
La storia cliviese presenta delle peculiarità, delle caratteristiche specifiche rispetto al contesto più generale. La collocazione del paese ai confini col Canton Ticino fa sì che il proletariato di quest’area sia particolare, come lo è sempre nelle aree di frontiera.
La grande maggioranza dei lavoratori di Clivio e dei paesi limitrofi è fatta di operai stagionali che dalla primavera all’inizio dell’inverno prestano la loro opera al di là del confine, in Svizzera soprattutto, ma anche in Francia e in Germania. I mesi invernali li trascorrono in paese ad occuparsi dei piccoli appezzamenti di terreno o di modesti lavori artigianali.
Il carattere di questi scalpellini, marmisti, carpentieri, muratori, molto richiesti per le loro qualità professionali da l’oltralpe, è molto diverso da quello dell’operaio-massa dei grandi centri industriali, è caratterizzato da una fierezza individuale del proprio lavoro, della propria autonomia e indipendenza.
Inoltre la frequentazione con culture diverse, i contatti con ideologie e valori alternativi, accentua questa quasi naturale voglia di libertà e di autonomia.
La grande eco dell’esperienza di Ferrer a Barcellona alimenta il desiderio di cambiamento e offre l’opportunità concreta e reale di preparare fin da subito le giovani generazioni e concretizzare un pezzo di quel sogno utopico che ben si addice alla cultura di questi lavoratori naturalmente libertari.
L’asilo-scuola razionalista di Clivio nasce con lo scopo principale di togliere i bambini di questi lavoratori dall’influenza religiosa della scuola confessionale e, confidando nelle teorie e nell’esempio del Ferrer, di preparare una nuova umanità attraverso lo strumento principe dell’educazione libertaria e razionalista.
A seguito di una scissione dalla Società Operaia di Clivio, il gruppo anarchico dei locali lavoratori decide di non aspettare oltre le attese rivoluzionarie e di sperimentare fin da subito uno spazio libero e autonomo dal potere statale e religioso.

Pervasi da ardente entusiasmo

Promotore principale dell’iniziativa è Felice Monzini, un esponente abbastanza conosciuto del movimento anarchico, influenzato dalle idee di Luigi Molinari e dalle sue teorie educative libertarie e stimolato dal movimento per la creazione di scuole moderne in Italia sull’esempio di quelle di Ferrer in Spagna.
I lavoratori acquistano il terreno, lavorano alla edificazione del fabbricato nei periodi passati a casa e liberi dal proprio lavoro stagionale e il 31 gennaio del 1909 finalmente, superando le ovvie difficoltà di ogni tipo, la scuola viene inaugurata grazie anche alle molteplici offerte e sottoscrizioni provenienti da tutta l’Italia e da diversi paesi europei ed extra-europei.
Nel novembre del 1910 gli organizzatori sentono la necessità di affiancare l’attività della scuola, per ora funzionante anche come centro di incontro e di cultura popolare, con un foglio di informazione e di diffusione delle loro iniziative e delle idee educative ispirate ai principi libertari, in questo periodo storico molto dibattuti e diffusi in Italia.
E nel primo numero viene così ricostruita la tensione ideale e la volontà politica dimostrata nell’edificare questa unica scuola libertaria in Italia: "A tutto ciò che era iniquo ci ribellammo, a coloro che per forza volevano costringerci alla vendetta od alla resa resistemmo, alle suppliche ed alle lacrime degli amati genitori nostri.
Si era deciso e si voleva, ed era pur necessario dar prova di noi stessi, e lo demmo coi fatti elevando per l’infanzia il nostro proprio dovere fino al sacrificio.
Pervasi da un ardente entusiasmo per la causa nostra, in una cava di pietre, in un negozio di marmi, sul ponte di una fabbrica dinanzi ad un deschetto, col vomero e la falce alla mano, si lavorava pensando di sciogliere il tanto fecondo ma alquanto arduo problema che noi c’eravamo prefissi, risoluti e decisi, pur sempre lottando ed amando, lo sciogliemmo!
Su un declivio la Scuola Moderna per volontà nostra s’erge! E s’erge quale alveo salutare e faro di vita che spingerà l’infanzia verso più larghi e rosei orizzonti, s’erge quale perenne risposta e monito sicuro e severo a tutte le menzogne convenzionali dell’odierno regime, si erge infine quale persuasione e coronamento ai titanici nostri sacrifici, ad incoraggiarci vieppiù alla continuazione della solidarietà nostra".
Come si può vedere nelle fotografie e leggere dalle pagine del giornale l’opera di costruzione del scuola viene iniziata fin dal dicembre del 1908 con la vera e propria costruzione dei mattoni con ghiaia e cemento ricavati dal torrente Lanza e l’Asilo-Scuola Razionalista è ormai nel 1910 una evidente realtà con una dozzina di bambini, figli perlopiù di emigranti e istruiti dalla prima maestra che da Genova sale fin lassù, ai confini con la Svizzera, per prestare la sua opera, Anita Molinari.
Il primo numero del bollettino, di cui vengono stampate seimila copie, riporta anche una sintesi del manifesto della "Lega Internazionale per l’Educazione Razionale dell’Infanzia" fondata da Francisco Ferrer, a testimonianza dei valori ai quali intende ispirarsi. Inoltre appaiono sia appelli per ricevere sostegni economici e di proposte e ringraziamenti sinceri a quel Luigi Molinari ritenuto, a ragione, il vero apostolo di queste idee libertarie in Italia, per il continuo sostegno e incitamento che egli profonde nei confronti di questa iniziativa, visto che una medesima opera non ha avuto termine a Milano, nonostante gli sforzi e il lavoro di altri compagni.
La Scuola Moderna viene vista come un artefice della rigenerazione dell’Umanità e ancora dopo tre anni dalla sua inaugurazione vengono ricordati da Felice Monzini i tanti sacrifici compiuti e la speranza di vederla presto funzionare a pieno regime come una vera e propria scuola che sappia emancipare integralmente gli uomini e le donne attraverso una nuova educazione.
L’ambiente comunque non è completamente favorevole all’iniziativa e attorno alla scuola cominciano a diffondersi subito contrasti provocati dalla parte più clericale e reazionaria del luogo.
Il tipo di insegnamento laico e libertario che vi si pratica costituisce un pericoloso detonatore per il risveglio delle coscienze assopite degli abitanti della zona e come tale viene vissuto dai perbenisti che sviluppano, e continueranno per tutta la durata dell’esperienza, tentativi continui di boicottaggio e opera costante di calunnie e maldicenze.
Ma tutto ciò non produce alcuna desistenza e nessuna arrendevolezza da parte degli animatori della scuola. é ancora Felice Monzini che testimonia questa volontà ferrea e dura di resistenza. Scrive infatti: "Ma no! Poiché persuasi c’inoltrammo nell’arida breccia per divulgare, per estendere, per continuare, malgrado tutto e tutti i poderosi ostacoli, con quella sola arma che ferisce più del pugnale che evacua, più della dinamite che rende l’uomo degno di se stesso, poiché più la s’immerge, più la si espande, un’emozione profonda, un sussulto di gioia pervade noi stessi, e quest’arma potentissima, così micidiale, tanto temuta, tanto sorvegliata, tanto calunniata chiamasi Amore".
Ed è proprio la Scuola Moderna, nel suo pensiero, che diffondendo questi valori "amorevolmente", annienta tutte le iniquità, è proprio l’educazione e l’istruzione libertaria che può preparare l’infanzia alle vere esigenze della vita e combattere tutti i pregiudizi e i convincimenti che hanno determinato le attuali condizioni di schiavitù e di disuguaglianze.
Vi è qui ripresa dei valori del positivismo e del razionalismo tipici delle concezioni ferreriane che sono molto in voga negli ambienti libertari dell’epoca, con tutta la loro carica dirompente ma anche al contempo limitata da una visione troppo unilaterale dello sviluppo della personalità dei bambini che altri autori ed educatori anarchici e libertari hanno saputo così bene evidenziare.
Purtroppo le vicende della scuola subiscono un duro colpo con la morte di Anita Molinari che, cagionevole di salute, nei primi mesi del 1912 muore dopo aver prestato la sua opera preziosa e le sue cure a questi ragazzi così bisognosi di attenzioni e di istruzione, lasciando un vuoto nei cuori degli animatori della Scuola che le tributano un caro ed affettuoso ultimo saluto dalle pagine del giornale.
Naturalmente questo fatto provoca una sospensione di fatto dell’attività propriamente didattica della scuola e sempre Felice Monzini pur lamentando ed evidenziando questa difficoltà dalle colonne del giornale incita tutti a non demordere, a credere fermamente nell’impresa cominciata e per la quale già molto, a suo avviso, è stato fatto.
Nel primo numero dell’anno 1914 del bollettino appare un appello rivolto alla ricerca di una maestra per la scuola che naturalmente condivida gli ideali e i progetti dell’educazione razionalista e libertaria.
Ed ancora una volta l’aiuto di Luigi Molinari farà sì che questo problema difficile possa trovare soluzione. Infatti grazie anche al suo intervento una giovane maestra ventiquattrenne, Sista Anna Domenica Di Sciullo (nata a Chieti il 26 luglio del 1885), figlia del noto esponente e tipografo anarchico Camillo Di Sciullo,  abbraccia questa nuova avventura e si trasferisce a Clivio dove comincia ad esercitare la professione di insegnante in questa scuola razionalista che purtroppo funziona per cinque mesi soltanto e con soli dieci scolari perché gli avvenimenti bellici incombono e interrompono bruscamente ogni forma di attività alternativa.
In questi mesi la scuola subisce anche un’inchiesta promossa dal Provveditore agli Studi di Como che sollecitato dalla reazione dei clericali e dei conservatori della zona tenta di chiudere la scuola che così faticosamente è stata costruita e si erge come baluardo di un’educazione nuova e libera.
Inoltre muore anche quel Felice Monzini che cosìtenacemente sostiene il Bollettino e l’intera impresa educativa, lasciando un grande vuoto difficile da colmare.

Tra guerra e fascismo

Durante tutto il periodo della guerra ad occuparsi della scuola è in particolar modo Luigi Molinari che, come testimoniano le annate della sua rivista "L’Università Popolare" del 1915-1918, organizza incontri conviviali e riunioni a Clivio, soprattutto in occasione del 18 maggio, per tenere vivo il ricordo delle attività svolte e accesa la speranza di poter riaprire al più presto l’attività didattica.
Questa tenacia e questa inesauribile speranza viene premiata: dopo sei anni di silenzio, il giorno di ferragosto del 1920, si svolge nel salone della scuola un convegno che decide la riapertura della scuola. é dalle pagine del giornale che ha ripreso le pubblicazioni che apprendiamo  che per il tre di ottobre dello stesso anno viene fissata la festa di inaugurazione e i contenuti del dibattito che si svolge durante questo incontro.
Questo periodo che va dal 1920 al 1922 rappresenta il momento in cui maggiore è l’attività della scuola e più ampia la conoscenza della sua attività che viene pubblicizzata e dibattuta in un ambito ben più vasto di quello di Clivio e dei paesi limitrofi.
A questa festa di inaugurazione infatti partecipano numerosi circoli operai, organizzazioni culturali e viene decisa la continuazione della pubblicazione del bollettino della scuola.
Animatore principale di questa seconda fase è Luigi Masciotti che da alla scuola un’impronta di maggiore apertura anche ad altre forze rivoluzionarie e precisa i contenuti programmatici didattici e pedagogici dell’educazione razionalista e libertaria.
Il 15 agosto la riunione che riprende a tessere i fili dell’iniziativa si apre alle ore 15.00 del pomeriggio con una relazione breve ma chiara di Agostino Caverzasio, gerente responsabile del periodico fin dalla sua fondazione, sulla storia passata della scuola e sulla situazione finanziaria, nonché sulle proposte di future iniziative e soprattutto sulla prossima ripresa dell’attività didattica. Altri interventi si susseguono e infine prende la parola Masciotti che è appena stato unanimemente nominato direttore della scuola stessa.
Egli tratteggia nei particolari la situazione e illustra brevemente quali devono essere, a suo avviso, i capisaldi del programma educativa razionalista e soprattutto come fondare una morale senza obbligazioni e senza sanzioni di carattere coercitivo. Inoltre Masciotti sostiene la necessità di allargare l’attività nel senso di istituire in seno ad essa una comunità di bambini proletari  che possano vivere un’intensa esperienza di libertà educativa e in una comunità egualitaria e possano cosìdimostrare come la libertà e l’uguaglianza siano principi che possono essere applicati e sperimentati con successo e tutto ciò possa diventare esempio e stimolo per altre iniziative che tendano ad allargare gli spazi di libertà e autogestione.
Il programma di insegnamento e le regole di vita della scuola vengono riassunti da Masciotti secondo una consolidata ispirazione ferreriana e positivista tipica dell’epoca. L’insegnamento di base si rivolge alle materie scolastiche che vengono insegnate nella scuola ufficiale e viene istituito un doposcuola per coloro che frequentano la scuola comunale. Particolare attenzione viene assegnata alla preparazione e allo sviluppo fisico, secondo i principi dell’eugenetica allora particolarmente in voga. Ma dove la scuola si qualifica maggiormente e si caratterizza è in quella che viene chiamata "Educazione morale-intellettuale" e che si sostanzia in sociale, morale, sessuale, economica.
Occorre innanzitutto, secondo Masciotti, modificare e rivedere l’insegnamento dei diritti e dei doveri del cittadino che si impartiscono nella scuola ufficiale poiché non vi si parla che di leggi, codici, governo, di esercito, parlamento e magistratura, di patria e se ne parla in modo da far intendere che queste istituzioni sono immutabili e sacre. Il compito dell’insegnamento libertario è invece quello di smascherare la natura classista e di servitù dei vari poteri che queste istituzioni esercitano nella società.
La massima che ispira l’insegnamento morale invece deve consistere nel facilitare con ogni mezzo la ricerca della felicità e la scomparsa del dolore provocato da cause esterne all’individuo e frutto di disuguaglianza e schiavitù. Inoltre a ciò deve accompagnarsi l’opera di smascheramento delle cause vere, vale a dire ignoranza e miseria, che determinano tutti i mali peggiori della società e dei comportamenti umani. Questi valori alternativi devono essere praticati ovunque, a scuola come a casa, nell’ambiente lavorativo e nell’associazionismo. Il nuovo principio deve essere la solidarietà, e la cooperazione deve diventare il motore dello sviluppo storico e sociale.
L’educazione sessuale viene, riduttivamente, concepita come istruzione scientifica e laica, senza intromissioni religiose e morali secondo i principi tipici del neo-malthusianesimo.
Così l’iniziazione scientifica viene considerata all’infuori di ogni influenza causale di tipo religioso e quella storica al di fuori di interpretazioni partigiane ed esclusivistiche e convenzionali.
Molto ingenua e discutibile l’immagine di bambino che se ne ricava espressamente: "Il bambino della Scuola Razionalista di Clivio dovrà sempre dar prova di essere pulito, ordinato, studioso, leale, gentile, affettuoso ed obbediente a quanti vogliono il suo benessere e la sua elevazione fisica, intellettuale e morale".
Nell’appello, pubblicato nello stesso numero del giornale, per la richiesta di aiuto economico e morale, rivolto agli anarchici, ai socialista, ai sindacalisti, alle organizzazioni politiche ed economiche, ai circoli di cultura, ecc., si precisa però che il programma della scuola può riassumersi sinteticamente nella seguente massima: "regime educativo senza alcuna sanzione, né obbligazione di carattere coercitivo".
La scuola necessita, così si apprende sempre dal giornale, di tutti gli arredi e i sussidi necessari per farla funzionare anche come convitto e quindi si chiede ai compagni e ai simpatizzanti di fare uno sforzo affinché questa nuova istituzione possa vivere al di fuori degli stenti e della precarietà.

Da tutto il mondo

La manifestazione di riapertura ufficiale della scuola avviene domenica 3 ottobre all’interno della struttura costruita dagli operai cliviesi. Numerose le rappresentanze da altri paesi e città fin dal primo mattino: amici e compagni provenienti da Milano, Como, Varese, Bologna, dal Veneto e da tutte le zone limitrofe giungono con i loro vessilli e bandiere rosse e nere, intonando canti ribelli e della tradizione anarchica e libertaria. Dopo il pranzo conviviale, alle 15.00 del pomeriggio nel salone della scuola si svolge la cerimonia di inaugurazione. Prende la parola per primo Luigi Masciotti che presenta il programma e i valori, le attività e le iniziative che caratterizzeranno la nuova culla dell’educazione laica e libertaria. Poi interviene l’oratore ufficiale nella persona del deputato socialista Riccardo Momigliano che incita alla solidarietà, al di là delle diverse opinioni, nei confronti di questo esempio unico di scuola razionalista e libertaria. Tra le adesioni e le lettere e i comunicati di solidarietà che giungono vi sono quelli di numerosi circoli operai di vari paesi e città, di organizzazioni sindacali, del giornale anarchico "Umanità Nova", di Errico Malatesta e della Federazione socialista di Como.
Intanto continuano ad apparire sul giornale numerosi inviti e incitamenti rivolti a tutti coloro che vogliono sostenere questa iniziativa a prodigarsi per organizzare sottoscrizioni, donazioni, aiuti vari per completare l’arredamento della scuola e poter cosìdare il via alle attività didattiche.
E la scuola, diretta da Luigi Masciotti, funziona con bambini provenienti anche da diversi paesi e nazioni: dall’America, dalla Svizzera e da diversi regioni d’Italia. Il primo ospite del convitto è un ragazzino di nome Marco proveniente da Valdobbiadene (TV) che si unisce ad altri del luogo e a figli di emigranti e lavoratori stagionali.
Naturalmente i genitori dei ragazzi che vivono all’interno della comunità pagano, secondo le loro possibilità, una piccola retta, non in grado spesso di coprire neanche le spese minime di vitto e alloggio e pertanto Masciotti, dalle pagine del giornale, non si stanca di chiedere aiuto a tutta la sinistra rivoluzionaria, incitando tutti a donazioni, suggerimenti, idee, aiuti finanziari, sottoscrizioni in favore di questa "figlia della fede e della volontà".
Scorrendo le pagine del bollettino si possono vedere e annotare come questi appelli producano continui invii di denaro da singoli e associazioni di lavoratori dall’Italia e da diverse parti del mondo.
Naturalmente le autorità competenti non tardano a preoccuparsi del fiorire di questa iniziativa che rappresenta una vera alternativa alla scuola di Stato e nella quale si rivendica con forza il diritto ad impartire un’educazione libertaria e razionalista al di fuori delle leggi che garantiscono solo le istituzioni statali che servono gli interessi della classe dominante.
La convivenza con altre organizzazioni politiche e sociali di opposizione da un lato porta nuova linfa e sostegno alla scuola, mentre dall’altro comporterà elementi di contraddizione e di dissidio che finiranno per pesare sulla sua vita stessa.
Alla fine del 1920 (26 dicembre) si svolge a Varese un convegno sulla scuola di Clivio, presso la sede della Camera del Lavoro, durante il quale viene nominato un nuovo consiglio di amministrazione che risulta composto da Francesco Ghezzi e Restelli di Milano, Selva e Adamo Musatto di Varese, Domenico Camillucci di Novara ma abitante ad Orino, Niada di Gazzada, Tibiletti di Malnate, Colombo di Gallarate, Bernardino Porcelli di Legnano.
Durante il medesimo incontro si stabilisce di collegare alla vita della scuola un insieme di forze sociali con lo scopo di allargare il raggio di influenza della scuola stessa che necessita di solidarietà ed adesioni ampie per prevenire possibili azioni repressive da parte dello Stato e del Governo. Lo stesso periodico della federazione socialista "Il Lavoratore Comasco" da ampio risalto al convegno e incita i suoi lettori all’impegno e alla testimonianza attiva di solidarietà nei confronti dell’esperienza educativa di Clivio, al grido di "Via dalle scuole dei preti, via dalle scuole dello Stato".
Le facili previsioni dei partecipanti e sostenitori della scuola di Clivio trovano pronto riscontro nell’intervento repressivo del Provveditore agli Studi di Como che così viene portato a conoscenza dei lettori del bollettino: "Le cause del ritardo nell’uscita del nostro giornale non dipendono da noi. Il Provveditorato scolastico della Provincia di Como ha ostacolato il nostro lavoro con l’imposizione di chiusura della nostra scuola ed annesso Convitto. Prendendo pretesto da ragioni d’indole amministrativa, L’Autorità vuole demolire l’opera nostra di educazione sociale. L’uscita regolare del nostro periodico dirà a chi vuol soffocarci che noi non vogliamo morire a nessun costo. Bisogna però, onde ottenere questo, che i compagni e gli amici ci sorreggano col loro aiuto e con la loro solidarietà".
L’ingiunzione del Provveditore è motivata dalla mancanza del possesso del titolo scolastico utile per l’insegnamento da parte del Masciotti e la chiusura inevitabile della scuola viene denunciata nel numero del 20 febbraio del 1921 del bollettino. I ragazzi vengono necessariamente iscritti nella scuola statale e gli ospiti del convitto accolti da due famiglie cliviesi subito disponibili ad ospitarli.
La scuola continua ad ospitare il doposcuola e altre iniziative di istruzione ed educazione popolare.
A questo punto diventa importante verificare la realtà della posizione di Masciotti che risulta sprovvisto di titolo di studio adeguato e non solo. Scrive Amerigo Sassi: "Inizialmente molto attivo, venne in seguito allontanato sotto l’accusa di essere un millantatore, senza alcun titolo di studio e inadeguato all’incarico affidatogli; gli si rimproverò inoltre di non essere riuscito a ottenere le prescritte autorizzazioni per l’apertura della scuola, e, da ultimo di essere responsabile di malversazioni. Si lamentava la sottrazione di una somma aggirantesi sulle 2.500 lire, inviate da simpatizzanti del Nord America. Ne nacque un profondo dissidio con il Consiglio d’amministrazione, con i toni dello scandalo. Da parte sua il Masciotti contestò le accuse, affermando di aver sempre agito con correttezza e lealtà, ed aver intensamente lavorato a favore della scuola senza essere fiancheggiato da alcuno. Violentissima la replica dei consiglieri con la conferma di tutte le accuse".
Per parare le disposizioni dell’Autorità scolastica viene varato un "Programma-regolamento della Scuola Moderna di Clivio" che raccoglie la storia e l’evoluzione di questa esperienza, il tipo di insegnamento che si uniformerebbe a quello governativo, i programmi metodologici che caratterizzavano la scuola puntando su vita all’aperto, insegnamento razionale, antiautoritarismo,  programma e orari di una giornata tipo.
A tutti questi problemi i membri del Consiglio di amministrazione cercano di far fronte attivandosi per ottenere le necessarie autorizzazioni e mobilitando il più possibile l’opinione pubblica e i movimenti sociali vicini alla Scuola. Ma devono affrontare anche "un’indegna speculazione" ordita dallo Stato e dalla polizia di accumunare e legare in qualche modo l’attività e la sopravvivenza della scuola con lo scoppio di una bomba all’interno del teatro Diana di Milano provocato da un gruppo di anarchici con l’intento di solidarizzare con Errico Malatesta che era stato ingiustamente arrestato e stava ormai portando alle estreme conseguenze uno sciopero della fame.
Nel frattempo prende servizio come maestra nella scuola, al posto di Masciotti, Angela Cattaneo che, essendo in possesso dell’abilitazione richiesta per l’insegnamento, inoltra ricorso avverso il provvedimento di chiusura che sosteneva che il conformarsi ai programmi ministeriali era solo di facciata e che in realtà nella scuola si pratica un insegnamento basato su valori e principi sovversivi e contrari all’Autorità costituita.

Ragione e Verità

Nello stesso periodo la Presidenza della Scuola si vede costretta a pubblicare una diffida pubblica nei confronti di Luigi Masciotti allertando cosìtutti i simpatizzanti e gli amici nei confronti di questa figura controversa.
La polemica continua sulle pagine della stampa e "La Scuola Moderna di Clivio" chiude la discussione mantenendo le sue accuse e respingendo ogni replica di Masciotti.
Il Consiglio Scolastico della Provincia di Como respinge, con ordinanza deliberata il 29 luglio del 1921 e notificata all’insegnante Angela Cattaneo a Clivio l’11 agosto dello stesso anno, il ricorso presentato contro il provvedimento di chiusura della scuola. La rivista intanto così commenta: "E dovrebbero essere felici i membri del Consiglio, per il loro atto eroico, che per salvare l’ordine morale, hanno tentato di sopprimere la libertà, di distruggere l’opera di tanti lavoratori, di rendere vani i sacrifici di chi vuole dare ai propri bambini un’educazione scevra di superstizioni. Noi neghiamo in modo reciso, che nella scuola si diffondono i principi anarchici, perché l’abbiamo già detto molte volte, e torniamo a ripeterlo, la Scuola non è asservita a nessun partito politico. L’insegnamento non è né socialista, né sindacalista, né anarchico: è prettamente razionale ossia basato su ciò che ci insegna la Ragione e la Verità. E la Verità a noi non fa paura, come invece fa paura ai Signori del Consiglio Scolastico Provinciale".
Intanto continuano ad arrivare numerose le attestazioni di solidarietà, le sottoscrizioni, gli appelli alla mobilitazione, gli abbonamenti al giornale. Fra tutte fa specie addirittura quella del sindaco Piana di Oneglia e dell’intera amministrazione comunale accompagnata da una oblazione di lire 100.
L’attività di propaganda prosegue e per la domenica del 9 ottobre viene promossa dalla Scuola Razionalista di Clivio e dalla Camera del Lavoro di Varese una commemorazione, che avrà un notevole successo di adesioni e partecipazione, presso il salone della scuola, dell’educatore libertario Francisco Ferrer, volendo segnare cosìla continuità tra l’esperienza catalana e quella di Clivio.
Un ulteriore tentativo di ricorso viene fatto e rivolto questa volta direttamente al Ministro della Pubblica Istruzione.
La questione della Scuola di Clivio arriva anche in parlamento con un’interpellanza dell’on. Momigliano alla quale risponde il sottosegretario Piano ribadendo la giustezza e la correttezza del provvedimento di chiusura e mancata autorizzazione alla richiesta riapertura della scuola. Alla fine non resta che prendere atto che ormai le speranze sono diventate vane e nel numero sette del novembre-dicembre del 1922, anche la rivista "La Scuola Moderna di Clivio" si arrende con un editoriale "Epilogo" alla montante reazione fascista senza peraltro perdere le speranze: "Avvertiamo che l’opera nostra continua perché la Scuola può e deve riaprirsi. I nostri amici ci sorreggano e ci aiutino contro tutte le insidie e le male arti: ci aiutino, soprattutto, con l’invio di fondi che ci necessitano per continuare nella nostra pubblicazione dappoiché questa è ben accolta, richiesta, vivamente desiderata. Sappiamo fare, specie in questo momento in cui anche le nostre iniziative risentono della grande crisi attuale e, perciò appunto, maggiormente abbisognano: essi sanno che si sacrificano, cos", e con noi, per un altissimo ideale".
Purtroppo queste speranze sono destinate a rimanere tali: il fascismo è ben più che un momento di reazione e destinato a durare solo per poco tempo, come erroneamente molti pensano in questi anni.
La barbarie e la repressione non risparmia certo i militanti anarchici e libertari di Clivio e della zona che si vedono costretti a soccombere o a riparare all’estero in cerca di una sopravvivenza che durerà per molti anni. La sede della scuola viene occupata dai gerarchi fascisti che consegnano le chiavi dell’edificio alle autorità comunali. Poiché la scuola non possiede nessuna personalità giuridica e solo perché nel 1927 Clivio viene aggregato al Comune di Viggiù ed Uniti la scuola non viene acquistata dal parroco del paese che voleva farne un asilo parrocchiale.
Dopo una lunga controversia legale il Comune di Viggiù ed Uniti il 5 ottobre del 1933 perfeziona l’atto di acquisto dello stabile, anche se in questi anni di fatto il Comune ne usufruisce tranquillamente, per la somma di lire 21.000 devoluta agli eredi di Monzini.
All’indomani della liberazione dal nazi-fascismo la Federazione Comunista Libertaria lombarda tenterà purtroppo invano di rientrare in possesso dello stabile, dapprima con una trattativa con il Comune di Viggiù ed Uniti, poi attraverso un’azione legale che il Tribunale di Varese respinse il 26 luglio del 1949.

Francesco Codello