Virgilia D ‘Andrea (1890-1933):

maestra, poetessa, anarchica

di Robert D’Attilio

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L’ultimo libro di Virgilia D’Andrea, Torce nella notte, esce dalla tipografia letteralmente poche ore prima della sua morte, avvenuta all’incirca sessant’anni fa, l’11 maggio 1933. La foto commemorativa che viene inserita nel libro mostra una donna non comune dai capelli neri e dallo sguardo intenso, occhi luminosi che sotto una massa di capelli scuri scrutano in profondità. La foto dà l’impressione di un carattere forte, plasmato da eventi drammatici, un’impressione confermata dalle vicende della sua vita. Una vita iniziata in modo tranquillo nella  gradevole e provinciale cittadina di Sulmona, negli Abruzzi, in una famiglia che pur se non ricca gode di una certa agiatezza. All’età di sei anni la sua infanzia  viene tragicamente interrotta: nello spazio di alcuni mesi perde la madre, il padre (ucciso in una lite per questioni amorose) e due fratelli. Orfana e senza iù famiglia viene messa in un istituto religioso. Entro gli angusti confini nei quali vive, riesce comunque ad acquisire non solo un’educazione di buon livello, ma anche - per quanto possa apparire inverosimile - quello stimolo che la porterà verso l’anarchismo. Quando Gaetano Bresci uccide Umberto I nel 1900, alle studentesse del suo istituto viene ordinato di pregare per il re morto. E alle domande su Bresci avanzate da Virgilia, che s’interroga sulle ragioni che stanno dietro all’atto e sull’uomo che l’ha compiuto, la secca risposta dei suoi superiori è che si tratta di un pazzo, di un criminale, e questo è tutto. Insoddisfatta da tale risposta, Virgilia scoprirà solo in seguito - attraverso le poesie di Ada Negri - il motivo che aveva spinto Bresci a quell’atto: una ritorsione per aver massacrato degli innocenti. La vera causa per l’uccisione del re, che ora le appare chiara, la spinge verso i temi della giustizia sociale e Bresci rimarrà sempre per lei una figura mitica: è il suo atto che la porta sulla rotta dell’anarchismo. Dopo l’istituto religioso, Virgilia frequenta l’università di Napoli e, dopo aver finito gli studi, comincia ad insegnare. Ma la sua esistenza viene di nuovo presa in eventi più grandi di una vita. Dapprima si trova nel mezzo del catastrofico terremoto del 1915 che s’abbatte sugli Abruzzi e su Avezzano in particolare, un evento naturale rispetto al quale può fare ben poco se non sopravvivere. Subito dopo viene annunciata l’imminente entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale: un evento quest’ultimo voluto dal governo e da forze sociali ben precise, forze contro le quali si può opporre una resistenza. La distruzione materiale della città in cui viveva e segnava pone fine a questa fase della sua vita e Virgilia lascia le aule scolastiche per la più vasta arena della militanza sociale. Inizia partecipando alle agitazioni anti-interventiste e finisce diventando a tutti gli effetti una militante anarchica. È a Firenze, nel 1917, durante una riunione clandestina dell’Unione Sindacale Italiana (USI) nella quale viene riaffermata la posizione contro la guerra, che avviene l’incontro con Armando Borghi.  S’innamorano quasi immediatamente e, come dice Borghi, «restammo uniti quindici anni di lavoro, di lotte, di ansie, di ostracismi, persecuzioni, carcerazioni,  esili, immutati e legati sempre l’uno all’altra dall’affetto e dalla stima». La loro vita insieme diviene un turbine di attività: inseparabili, diventano nei cinque anni successivi una forza motrice vitale per il  movimento anarchico italiano. Virgilia scrive articoli per «Guerra di classe», il giornale dell’USI, tiene conferenze, viene imprigionata (a Bologna e Milano), rimpiazza Borghi come segretario dell’USI quando questi viene arrestato e, nei momenti di calma forzata, scrive poesie in galera. Le speranze degli anarchici per una imminente rivoluzione sociale in Italia vengono rinfocolate dal ritorno di Errico Malatesta, nel 1919. Virgilia lo incontra poco dopo il suo rientro e, insieme a Borghi, diviene una della più strette collaboratrici di Malatesta nel comune intento di portare a maturazione la rivoluzione sociale in Italia e di combattere il nascente fascismo. La prigione, l’assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg, l’insuccesso della rivolta spartachista in Germania, il fallimento dell’occupazione delle fabbriche che non riesce a scatenare la rivoluzione sociale... sono questi i temi affrontati nelle sue poesie, gli eventi che rafforzano e confermano il suo sogno di una società più giusta. La lezione di Bresci, «il gesto vendicatore », è profondamente  incisa nel suo spirito. All’epoca    del tragico attentato al teatro Diana non esita un istante a difendere l’azione fatta dai suoi compagni. C’è un notevole dibattito sui fatti del Diana nelle pagine della pubblicistica anarchica e Virgilia interviene più volte in difesa dei compagni e dell’etica del errorismo rivoluzionario. (Alcuni di questi articoli sono stati raccolti nell’opuscolo  L’Ora di Maramaldo). È una presa di posizione che non abbandonerà mai. Lo stesso Malatesta nota questa attitudine  e, nella sua introduzione al primo libro di poesie di Virgilia, Tormento, pubblicato a Milano nel 1922, scrive: «Virgilia D’Andrea poetessa dell’anarchismo... si serve della letteratura come di un’arma...lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta... saluto in lei una sorella». L’avvento del fascismo impone a Virgilia D’Andrea e ad Armando Borghi di lasciare l’Italia, iniziando quella vita vagabonda che condivideranno con gran parte dell’opposizione radicale al fascismo. Dopo una breve permanenza a Berlino, arrivano a Parigi dove vivono per i successivi quattro anni (1923-1926). Borghi parte per gli Stati Uniti alla fine del 1926,   ma Virgilia rimarrà in Francia sino al 1928. A Parigi c’è all’epoca una numerosissima colonia di anarchici e di antifascisti militanti e Virgilia si immerge subito in un’intensa attività politica. Continua ad appoggiare, anzi a celebrare, l’atto individualista e la violenza rivoluzionaria e canta le lodi di Mario Castagna, Ernesto Bonomini, Gino Lucetti, Sante Pollastro.Ilsuo desiderio d’azione la coinvolge, sebbene marginalmente, nel controverso «affaire Garibaldini», pur criticando aspramente il fatto che le donne non possono partecipare alle azioni armate. Comincia a pubblicare un suo giornale, «Veglia », che uscirà nel biennio 1926-1927 e su cui farà la sua parte per promuovere a Parigi la campagna a favore di Sacco e Vanzetti. Nel 1928, stanca e ammalata, pone fine al suo soggiorno parigino e parte per gli Stati Uniti dove si ricongiunge con Borghi. Arrivata in America, Virgilia continua la sua incessante attività a favore della causa anarchica. Attraversa tutti gli Stati Uniti, dalla costa orientale alla California, parlando in piccole sale polverose, nei picnic, negli incontri all’aperto caratteristici del radicalismo politico dell’epoca. Le sue conferenze sono molto apprezzate nella comunità radicale italo-americana ed attraggono sempre un vasto ed entusiastico pubblico. Nonostante le diversità di opinioni (organizzatori contro anti-organizzatori)  scrive spesso su «L’Adunata dei Refrattari», battendosi come sempre a favore delle azioni anarchiche militanti in qualsiasi parte del mondo, così dunque per Severino Di Giovanni e Angelo Sbardellotto. A New York incontra l’ultimo emulo di Bresci che avrà occasione di conoscere personalmente: Michele Schirru, ospite spesso a casa sua e suo grande ammiratore. Nel 1932, durante un giro di conferenze nel Massachusetts, la sua salute, che non era mai stata molto  buona, peggiora nettamente. Deve sottostare ad un’operazione chirurgica, fatta per pura coincidenza dalla figlia di Luigi Galleani, la dottoressa Ilya Galleani, ma senza alcun esito positivo. Un anno dopo muore a causa di un tumore maligno. E molti la piangono. I pregi di Virgilia D’Andrea come scrittrice, poetessa, editorialista e propagandista della causa anarchica sono molti, anche se ad occhi contemporanei la gran parte della sua opera appare oggi molto datata. Rimane invece vitale il modo con cui si è dedicata al suo ideale, la passione che vi ha messo. Ha sempre gridato forte a favore delle ragioni, della volontà, del diritto che un ribelle ha di impugnare le armi contro l’ingiustizia sociale: «Chi muore per la verità e per la giustizia non è vinto, ma vincitore».

Bibliografia Tormento, poesie (con prefazione di E. Malatesta), Milano, 1922; L’Ora di Maramaldo, Brooklyn, 1925;         Torce nella notte, poesie, New York City, 1933; Richiamo all’anarchia, Antistato, Cesena, 1965.