LA SCUOLA NELLE CARCERI: UN VUOTO PIENO DI VUOTO.

di Francesco De Ficchy *


 

L’estrema tensione vissuta nelle carceri italiane nel corso dell’estate avrebbe dovuto risvegliare l’attenzione politica e istituzionale anche su quell’oggetto sconosciuto rappresentato dalla scuola nelle carceri. Le numerose rivolte e proteste di chi vive la realtà carceraria (detenuti, ma anche agenti di polizia penitenziaria, sanitari, psico-educatori, insegnanti) hanno costretto il governo ad un disegno di legge che prevederebbe tra l’altro l’incremento orizzontale (più classi e docenti) e verticale (insegnamento sino alle superiori, laddove ad oggi generalmente arriva alle medie inferiori) della scuola carceraria.

Tutto questo, però, in una totale assenza di progettualità e programmazione di contenuti, obiettivi, finalità e modalità operative; né ciò stupisce: tutta questa classe politica manca di una qualsivoglia idea guida, di un senso che trascenda la mera sopravvivenza. Così, se nella scuola “normale” la crisi di idee e di valori è patente e sovrana, nella scuola invisibile della parte maledetta, della società degli esclusi, questa mancanza di motivazioni è totale, il disorientamento è assoluto - e solo l’ottusa mentalità del “tira a campare!”, del “più di questo che vuoi fare?”, consente a chi vi opera di illudersi di avere un ruolo incisivo.

Va anzitutto menzionato il fatto che, nel carcere, la scuola è attualmente poco più che tollerata: spesso l’insegnante non ha alcuna autorità neanche dentro l’aula durante la sua lezione.

Forse già da qui dovrebbe partire una necessaria rivendicazione del ruolo della scuola carceraria, anche da questi spunti minimi; ciò permetterebbe di rafforzare tangibilmente agli occhi del detenuto l’importanza anche sociale della scuola e della cultura.

Soprattutto presso un pubblico quale quello dei carcerati, per i quali solo i rapporti di forza contano realmente, è necessario rivendicare, anche contro la struttura gerarchico-militare ospitante, il ruolo essenziale che la scuola e la cultura rivestono nel recupero del detenuto; pur tuttavia tale rivendicazione non andrebbe oltre la mera petizione di principio, se non le si dessero la materia e la sostanza di un progetto, di una “filosofia”.

I due aspetti della questione non sono separabili: finché perdurerà nella mentalità degli operatori scolastici nel carcere la subalternità rispetto alla struttura giudiziaria e mancherà il coraggio - fondato sul dettato costituzionale e su tutto il pensiero giuridico italiano dal Beccaria in poi - di affermare che la scuola è mezzo e strumento del recupero culturale e comportamentale del detenuto, anche la progettualità dell’insegnamento nelle carceri sarà solo una chimera.

Ora, che cosa potrebbe essere la scuola carceraria, a cosa potrebbe servire?

Oggi essa è più che altro un’attività di svago del detenuto, un optional oltre i vari corsi di ceramica o falegnameria o cucina o sport che si tengono in carcere. Si dovrebbe invece approntare tipologie e modalità diverse d’insegnamento per minorenni e maggiorenni, criminali incalliti e semplici situazioni di marginalità, autoctoni ed immigrati. Inoltre, il detenuto frequenta solo entro il periodo di detenzione, e i docenti non vengono minimamente preavvertiti né dei nuovi arrivi né del trasferimento o della liberazione degli studenti. Ciò costringe a riprendere continuamente argomenti già affrontati per proporli ai nuovi arrivati, con evidente frustrazione per i “vecchi” del corso e per gli stessi docenti: soprattutto, ciò che si apprende resta un inutile segmento di nozioni del tutto slegato da qualsivoglia insieme sistematico. La scuola carceraria pretende di insegnare qualche nozione a caso, mantenendo quella logica nozionistica che la scuola normale ha abbandonato trent’anni fa trascura la funzione educativa e rieducativa del dialogo.

La scuola carceraria abdica a questo suo ruolo fondamentale, e pacificamente costitutivo della scuola normale, ritenendolo appannaggio e prerogativa della funzione degli educatori e degli psicologi che svolgono la propria attività nel carcere; ma questi la esercitano necessariamente in un rapporto duale col singolo carcerato; laddove la scuola carceraria dovrebbe svolgere in forma collettiva la funzione propriamente didattica incentrata e incardinata su quel prioritario obiettivo di educazione/rieducazione individuale e collettiva, senza il quale la scuola carceraria rischia di non essere altro che un vuoto pieno di vuoto.

Ciò che invece è necessario chiedere per la scuola carceraria è una formazione specifica per i docenti, l’individuazione di percorsi formativi appositi, una adeguata dotazione di strutture e strumenti didattici, e un livello remunerativo meno indecente per chi vi opera, in considerazione anche dell’impegno e dei rischi particolari che essa comporta.

*Insegnante di lettere già in servizio presso Regina Coeli e l’Istituto minorile di Casal del Marmo.