Lorenzo nasce in epoca fascista il 27 maggio del 1923.
Vivere eventi storici, quali quelli avvenuti tra le due grandi guerre e aver, in prima persona, sperimentato le complicità di classe con gli orrori del nazifascismo, ha consentito a Lorenzo di analizzare, con lucidità e sensibilità particolari, i meccanismi che sostengono il potere egemone della classe dominante. Dice Oreste del Buono, amico ai tempi del liceo, in un'intervista di Neera Fallaci: "Gli squadristi marciavano mentre noi eravamo dentro delle pance.
 

 
  Siamo cresciuti in famiglie della ricca borghesia che riuscivano a vivere abbastanza bene col fascismo; quando non lo avevano addirittura sostenuto e finanziato”. Il contesto sociale in cui è vissuto deve, in qualche modo, aver determinato una scelta di vita così estrema. La sua famiglia aveva condiviso, nel bene e nel male, le sorti di tante altre “buone famiglie” che messe insieme costituirono di fattoil retroterra al fascismo. Una classe sociale che non aveva esitato a barattare milioni di morti per proteggere l'industria delle armi, anche batteriologiche e chimiche, per difendere i propri privilegi.
Una famiglia in cui la cultura, con la “C” maiuscola, era di casa. Dove le ben radicate tradizioni intellettuali non consentivano alcun accenno a problematiche religiose. Nonno Luigi era un notissimo archeologo, la madre era una raffinata signora ebrea, il padre un professore universitario.
 
 

I Milani abitavano a Firenze, in una grande palazzina in viale principe Eugenio al numero 9: “Al primo piano c'erano le camere, le camere padronali e quelle per la servitù. Ognuno aveva la sua stanza. Al piano terreno c'era il salotto, la sala da pranzo, lo studio del signor Milani... Nel sottosuolo si trovava la cucina, una dispensa sempre piena di roba, il ripostiglio del carbone... Noi della servitù si mangiava in cucina. Invece all'istitutrice portavano il vassoio di sopra: mangiava da sola, dopo aver dato da mangiare ai bambini.” In questo modo Carola Galastri, balia di Lorenzo, descrive la casa Milani. Non parla degli scaffali pieni di libri e delle opere d'arte sparse nelle stanze e nei giardini.
Ricorda l'istitutrice tedesca, ma non dice niente di come Lorenzo, Adriano e Elena impararono a leggere e a scrivere. Nel salotto, al piano terra, avrà forse urtato oppure alzato lo sguardo all' Apollo Milani, scoperta archeologica del nonno Luigi.
 

     
  Ricorda la rabbia, ma non porta rancori per essere stata costretta, dalla miseria in cui viveva ad abbandonare, per un anno intero, i propri figli. Alla giornalista Neera Fallaci che le domanda quante volte ha potuto andare in permesso a casa sua, risponde: “A casa mia? Mai! Mai. I signori Milani erano talmente gelosi. Non si fidavano nemmeno di farmi vedere il marito, per dire. Forse avranno avuto paura che avessi qualche contatto. Io almeno, l'ho pensata in questo modo. Non dicono che il latte fa male al bambino se la donna rimane incinta mentre allatta?. Sono rimasta un anno intero senza vedere né i miei bambini né mio marito.”
 
 
Da generazioni, i Milani, producevano cattedratici fatti in casa e si dedicavano a raffinati interessi culturali vivendo tranquillamente di rendita. La tenuta di Gigliola a Montespertoli, composta da 25 poderi, aveva mantenuto intere generazioni di signori e letterati. D'estate, la famiglia Milani, trascorreva le vacanze alla villa “Il Ginepro” al mare di Castiglioncello. Essendo una tribù numerosissima, si trascinavano dietro una fila di automobili e di aiutanti: cuoco, cameriera, servitore, autista, balia e istitutrice.
 
 
   
 
   
       
  La grande crisi economica impediva di vivere di sola rendita e il sig. Albano è costretto ad andare a lavorare a Milano, come direttore di azienda, occupandosi della organizzazione industriale.
Nella città lombarda lo seguiranno la moglie e i figli che lì completeranno gli studi.
A Milano, Lorenzo, passerà tutta la sua infanzia e l'adolescenza.
 
       
  Le basi culturali ereditate dall'ambiente familiare erano ampiamente superiori a quelle della scuola di quei tempi, perciò, Lorenzo non fu mai uno studente modello! Della formazione ricevuta nella scuola pubblica fascista dirà nella Lettera ai Giudici: "Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero.
 
 
  I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli Etiopici erano migliori di noi.
Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti." Tra i morti, 6.OOO.OOO di ebrei. I coniugi Milani, nonostante avessero verso le religioni un comportamento agnostico, il 29 giugno 1933, sposati solo civilmente, celebreranno il matrimonio in chiesa e battezzeranno i tre figli. In questo modo si difenderanno dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro gli ebrei che era iniziata in Germania, con la presa del potere da parte di Hitler.
La giornata che Lorenzo racconta nelle sue lettere, datate in quel periodo, era piena di svaghi. Andava al campo, a tirar di scherma e di palla corda oppure tornava da scuola pattinando. Parlando dei compagni di liceo, dirà in Esperienze Pastorali: "Quei ragazzoni lisci, con la pelle che si strappa al primo pruno, con quel sorriso a dentifricio, con quegli occhi vivaci sprizzanti salute, vitamine, divertimento, vacuità d'anima ..." Lui invece era fragile di bronchi, assai emotivo e non soffriva scene di violenza. Aspetti della personalità che lo accompagneranno tutta la vita.
Solo per tradizione, nel '37, Lorenzo si iscrive alla prima ginnasio. Lo stesso anno, durante le vacanze, chiede, tra lo stupore della famiglia, di ricevere la prima comunione.


 

LORENZO PITTORE
 

Il 21 maggio '41, a causa della guerra le scuole chiudono, Lorenzo viene dichiarato maturo. In quel momento, esprime il desiderio di cimentarsi nella pittura. Vive per un anno intero a Firenze e frequenta assiduamente il pittore H.J.Staude. Il padre la ritiene "una bambinata", avrebbe dovuto intraprender una rapida quanto fortunata carriera da intellettuale universitario: "Noi ci si aspettava che prendesse la via accademica, che seguisse la tradizione di famiglia" dirà la madre, "invece, dopo il liceo, volle studiare pittura a Brera." Lorenzo, a causa del suo anticonformismo, non rinununcia al fascino di una vita "spesierata", ma l'esperienza diretta a contatto con la gente comune sostituisce, con i suoi messaggi "duri", le raffinatezze delle discussioni salottiere a cui era abituato.
Era un ragazzo dalla bella figura slanciata, simpatico, cortese. Aveva l'aria tipica del giovane di famiglia benestante quando, in una parentesi fiorentina mentre faceva merenda in un vicolo, seduto accanto al suo cavalletto, fu fortemente scosso dalla frase di una donna: "Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!"
Questo episodio raccontato da lui stesso a Adele Corradi, gli fa confidare: "Mi sono accorto di essere odiato e che me ne importava"
La professoressa Corradi, per anni insegnante alla Scuola di Barbiana, prosegue con questa testimonianza: "Un senso di colpa tremendo che aveva già provato quando l'autista di famiglia lo accompagnava a scuola. Voleva lo scendesse prima, perché si vergognava farsi vedere dai compagni".
Lorenzo Milani Comparetti, un ragazzo ebreo che mangiava il pane bianco dei ricchi, aveva presto preso coscienza dello stato di privilegio in cui viveva, condizionato dal peso della guerra, dall'altrui fame e dalla violenza delle discriminazioni razziali. Due anni prima, Edoardo Weiss, il cugino materno, era fuggito in America.
Sarà un periodo burrascoso e di sofferente transizione che gli farà abbandonare le "mollezze" e il tipo di linguaggio acquisito in famiglia. "Lorenzino Dio tuo", firmerà così, una lettera disperata a un compagno di liceo: "(....) se mi ammazzassi o impazzissi del tutto quando lo vieni a sapere fai una sghignazzata (...)Dicevo a Dio che doveva mandarmi un pittore della mia età. Dicevo: "Fratellino se non me lo mandi sei una vacca. Beh insomma se non me lo mandi almeno fammi piangere". (....) ciao Oreste io son Lorenzino Dio tuo." (vedi: Lettere a Del Buono) Con la pittura, inizia la stravagante vita d'artista "bohémien". E' ancora un giovane che non si è completamente liberato dalle forme di onnipotenza dovute anche all'età. In questo periodo di "decadentismo agnostico", è fortemente influenzato dal "bello e funzionale" di Le Corbusier e dal "lavoro collettivo" nell'architettura di Michelucci. Legge Claudel e si accende d'interesse per la pittura religiosa.
E' proprio attraverso una ricerca sui colori, usati nella liturgia cattolica che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa.
L'esperienza pittorica lo porta a cercare i significati profondi che stanno dietro l'immagine. Sono proprio questi significati che, una volta compresi, gli faranno superare i valori della cultura ereditata. Nel settembre del '42 s'iscrive all'Accademia di Belle Arti a Brera. La famiglia, pur non condividendo l'idea, lo aiuta ad aprire uno studio in quella città, ma nel novembre dello stesso anno si trasferisce nuovamente a Firenze. In questo modo, la madre di Lorenzo ricorda tale periodo, scosso dai bombardamenti anglo-americani:
"Erano gli anni della guerra. Presto si dovette sfollare da Milano, e ritirarci nella nostra villa di Montespertoli, vicino a Firenze. Lui intanto aveva incominciato ad interessarsi di architettura, oltre che di pittura.""(4)
Ma la pittura, arte solitaria, era insufficiente al suo bisogno di comunicare: "Non ho mai creduto, neanche per un momento, che la pittura fosse la strada di Lorenzo Milani.... . Si vedeva che stava volentieri in mezzo ai giovani, e che c'era in lui questo desiderio di vivere in una comunità (...) dichiarerà in un'intervista a Neera Fallaci, con assoluta convinzione, Hans Joachim Staude che era stato il suo maestro di Pittura, nell'estate del '41, e che continuerà a frequentarlo sia a San Donato che a Barbiana.
Il 12 giugno del '43 il giovane Milani, ormai convertito, riceve la cresima dal cardinale Elia Dalla Costa, in forma privata e nella cappella del Arcivescovado dedicata a S.Salvatore. Una conversione secondo la madre nata per gradi, anche se sboccerà improvvisamente: "Nacque per gradi. E nacque da un senso di vuoto, d'insoddisfazione (....) Poi, non so come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia cattolica. Lorenzo se ne entusiasmò, ma tutti, lì per lì, si pensò che fosse l'entusiasmo di un esteta. Invece era accaduto, o stava per accadere in lui qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi mesi,.... entrò in seminario."(4)

LORENZO INCONTRA DON BENSI

 

Una mattina d'estate, siamo nel '43, il giovane Milani entra nella sacrestia di Santa Maria Visdomini nel cuore di Firenze: " (...) per salvare l'anima venne da me", dirà in una delle poche testimonianze lasciate mons. Raffaello Bensi, padre spirituale di Lorenzo seminarista: "Da quel giorno d'agosto fino all'autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l'assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E così fu".
Questo desiderio d'assoluto era pane quotidiano per il vecchio sacerdote che credeva fra l'altro nelle vocazioni elitarie. Questo rapporto lo porterà a ricevere, insieme ad un affetto viscerale, molti "grattacapi": "(....) mi chiamava "il su' babbo" e "il su' nonno", e anche quando pareva che fosse venuto senza scopo, bastava quel certo modo di guardarmi perché capissi che dovevo far qualcosa per aiutarlo. Ho sempre fatto tutto quello che ho potuto, anche se lui, benedetto testone, si cacciava subito in guai peggiori(....) " (vedi: Don Bensi Intervista di Nazzareno Fabbretti)


 

IL SEMINARIO
 

All'età di 20 anni, l'8 novembre 1943, abbandona il colto mondo borghese a cui apparteneva e entra nel seminario di Cestello in Oltrarno dove, pur nei contrasti col rettore e i superiori, accetta le dure regole. Da allora sarà obbediente e ribelle a una Chiesa nella quale lui si sentirà inserito e che lo avvicinerà agli strati più poveri della società: "Eppure un giorno che s'era intasato un gabinetto del seminario e c'era due servitori a rimediare, sentii per caso il
discorso del più giovane di loro: "I signori bisogna servirli tutti: da cima.... fino in fondo". Un mio compagno che è nato ricco ed era entrato in seminario tutto gonfio di pio orgoglio di starsi facendo povero coi poveri, restò come pugnalato da questa frase. E sì che a quei giorni in seminario si pativa letteralmente la fame né v'era riscaldamento di sorta." vedi: Opere - Esperienze pastorali)
L'eliminazione del soggettivismo del signorino e l'onnipotenza di Lorenzino Dio e Pittore, grazie all'aiuto del vecchio sacerdote, lo porteranno a una maggiore predisposizione all'ascolto e all' "attesa" della verità che viene dall'alto. L'azione della fede lo porterà a spogliarsi di ogni privilegio: "E pensare che mi son fatto cristiano e prete solo per spogliarmi d'ogni privilegio!" (5)
Sarà una scelta che farà soffrire. I genitori non saranno presenti alla cerimonia della tonsura, atto di rinuncia al mondo per poter entrare nello stato ecclesiastico. La scelta sacerdotale lo costringerà a diversi piani di relazione. Scopre che non sempre si può comunicare e che esiste un livello che funge da soglia. La soglia della coscienza, dove risiede la parola, non era raggiungibile dal popolo.


Il montanaro di Barbiana aveva bisogno di un tramite e di una proposta unificante: la scuola...
Da sacerdote non amerà rivolgersi ai borghesi e agli studenti. Gli intellettuali, secondo lui, vivono un mondo sterile e fatto di dettagli: " (...) io parlo, e scrivo, non per farmi incensare dai borghesi come uno di loro"(....).


 

AUTOBIOGRAFIA
 


 

In "Università e pecore ", mettendo a confronto i mondi dell'infanzia in famiglia e della maturità tra i contadini di Barbiana, il priore si racconta. (Vedi: archivio fotografico Carmagnini). Parla di due mondi separati da confini invalicabili della cultura e che lui, passando da un mondo all'altro, riusciva a vedere entrambi con l'occhio curioso e attento del convertito. E' impressionato dai processi culturali per cui una parte dell'umanità, obbligata ad estraniarsi dalla propria coscienza, si identifica e diventa strumento passivo della realtà materiale che la circonda: le mode. Combattere l'alienazione per trasformare i metodi e i criteri di un sistema consumistico, diventato regime, sarà il suo modo di aderire alla realtà, sia come uomo che come credente. Un' aderenza che lo porterà a vedere nella mancanza di parola la miseria del popolo che gli era stato affidato. Un popolo che non si era ancora intimamente corrotto e nel quale, dietro alla maschera, vede innocenza e candore. Ancora sono lontani i tempi in cui il potere del consumismo volgare ci omologherà tutti e ci porterà, come dirà Pasolini, alla perdita del sacro.
"Università e pecore" è un'opera che il priore ha tenuto in archivio per tutta la vita e che non ha mai gettato nemmeno quando, prima di lasciare Barbiana e sapendo di andare a morire, distrusse tutto quello che non voleva fosse pubblicato. Ciò convaliderebbe una lunga e attenta verifica da parte dell'autore. In questa opera, scritta a un amico magistrato, il sacerdote, descrive, in un episodio reale e crudo, la vita dei pecorai, Adolfo e Adriano, e del signorino:
"(....) così Adolfo ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli agnelli e il cacio e la metà d'Adolfo basta solo per campare mentre la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi basta bene per andare a scuola fino ai 35 anni e far l'assistente universitario volontario cioè non pagato e vivere nei laboratori e nelle biblioteche là dove l'uomo somiglia davvero a colui che l'ha creato che è sola mente e solo sapere".
Lottando per la liberazione del povero dall'alienazione della materia, cioè dal solo lavoro, il Priore consente a una cultura muta il diritto alla parola: " (.... ) la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale (....)". (6)
Un diritto che difenderà sempre, con rigoroso anticonformismo. Non sarà "occasionale" o "ideologica" la scelta dei poveri, ma determinata dal senso di colpa, dall'amore e dalla concretezza dei rapporti che instaurerà con i suoi popolani. Il suo desiderio di giustizia mette a fuoco l'indifferenza della gente, una indifferenza che lui definirà cieca e assassina: " Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti.
Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell'arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti.
La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di Adolfo davanti all'unico Giudice cui ci dovremo presentare.
Se quel Giudice quel giorno griderà: "Via da me nel fuoco eterno" per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica?
E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l'aggravante della provocazione? " (vedi: Università e pecore)
La vita e gli eventi quotidiani diventano memoria storica di soprusi e angherie che avvengono davanti ai suoi occhi e dentro il suo popolo. La sua figura ha rappresentato, in questo secolo, un momento di riflessione dell'uomo su se stesso, completa delle esperienze vissute sia nella condizione di ricco che in quella di povero. I valori e il potere della lingua, appresa e assimilata dentro una "scuola del reale" , quale fu per lui l'ambiente familiare, lo portò a credere che solo la parità culturale avrebbe dato dignità all'uomo, per natura artista e creativo. Un messaggio profetico, non moralistico e che educa al rifiuto di una vita ripetitiva. Le novità per il priore rappresentavano la gioia di vivere, di combattere e di conoscere: "(....) il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso (....)".
Nell'assoluta mancanza di riferimenti, non siamo capaci di spiegare il suo comportamento così anticonformista verso il "piacere materiale", il "disimpegno" e il "privato". Le famose tre M: moglie, macchina e mestiere. Vede il Parlamento completamente dominato dal "Partito Italiano Laureati". Il suo pensiero, fuori da ogni schema e sofferto, parla direttamente all'anima.
Lorenzo Milani contrappone alla ricerca del benessere economico, della riuscita scolastica o professionale quello che per lui sarà il massimo delle aspirazioni: il piacere di sapere per non essere subalterni. Liberandosi, con l'insegnamento, dalle colpe materialiste e atee dei signori, libera i poveri dall'analfabetismo. L'intercapedine dura che separa l'uomo dal messaggio evangelico.


 

LA TESTIMONIANZA

 

Agire dentro la Storia ha, per lui come per papa Giovanni, valenza di fede. E' la fede di San Francesco, un santo che non proviene dalla gerarchia. Va subito detto che, per il priore, la Chiesa rappresenta l'emancipazione e liberazione del popolo di Dio. E' un Dio immanente, quello in cui Lorenzo crede. Un Dio che interagisce con la storia delle sue creature. Un Dio che soffre, rinasce e è trino. E' la fede che risponde a un grande santo a lui caro, l'apostolo Paolo, che scuote il cristiano convertito dicendo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
Una fede che ha riscoperto il grande valore delle culture "subalterne" e che, volendo conservare Dio all'interno delle proprie tradizioni, non vuole assimilare la cultura materialista e atea della classe dominante. Nella futura società, quella della manipolazione genetica e delle nuove tecnologie della comunicazione, bisognerà ricredere in ciò che è essenziale alla vita per poter condividere le risorse e per salvare noi e il pianeta: ... altrimenti, il Dio motore della storia se né andrà portandosi dietro tutti i suoi santi, Lorenzo compreso, e chissà per quanto tempo.

 

 

 

Barbiana " cattedra della Povertà"
 

Nel dicembre del 1954 Don Milani viene nominato priore della chiesa di S.Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia sul monte Giovi, nel territorio del comune di Vicchio del Mugello. La chiesa del '300 e la canonica, situate a 475 metri di altitudine sopra il vasto paesaggio della valle della Sieve, erano, e lo sono ancora, circondate da poche case e dal minuscolo cimitero.

Racconta Gina Carotti, amica e popolana: " Barbiana era una parrocchia di montagna con pochi abitanti, sprovvista di luce e di acqua. Di sera e nel mese di dicembre che faceva buio presto, era piuttosto triste ". Era una località irraggiungibile da automezzi perché non vi era ancora la strada ed era abitata solo da cento contadini che resistevano all'esodo verso la città. Da tempo, il vecchio parroco don Mugnaini aveva annunciato la chiusura.

Per la curia fiorentina, isolare don Lorenzo Milani era la giusta punizione da dare a un sacerdote che non amava le processioni, le feste, che privilegiava i più poveri e più umili e che aveva creato una scuola dove erano ammessi gli operai comunisti. Un uomo che vede nel consumismo, e nelle sue attrattive alienanti, la causa dell'allontanamento del povero dalla Chiesa e dai valori cristiani. In questo modo il vescovo pensò di riconciliarsi con i cattolici benpensanti e anticomunisti di Calenzano che erano andati da lui a lamentarsi. Morto don Pugi, il vecchio parroco, bisognava mandarlo via da San Donato.

E fu così che don Lorenzo Milani giunse a Barbiana quel lunedì del 6 dicembre 1954: " un'esperienza così intima e sofferta che non è tutta traducibile in parole, qualcosa che parla alla coscienza prima ancora che all'intelligenza " (Gaetano Arfè').


Quei 7 chilometri tagliavano fuori dal mondo! Le lettere bisognava andarle a prendere a Vicchio. Ancora oggi, la stanza e il pergolato, nella quale e sotto il quale si svolgevano le lezioni, restano ancora là. A testimonianza di questo prete. Posto dalla Provvidenza in un angolo sperduto. L'unico che potesse accoglierlo.

Il giorno dopo il suo arrivo, aveva raggruppato i ragazzi delle famiglie attorno a sé e in una scuola. Li liberò subito dalla passività e li rese responsabili. In questa scelta si fonderannono la pedagogia e la pastorale, il prete e la scuola.

Nel 1965 è portato in tribunale, accusato per apologia di reato, per la "lettera ai cappellani militari" in congedo. La sua autodifesa, la "lettera ai giudici", sono tra le pagine più belle della sua letteratura. L'impatto con la cultura contadina e l'analfabetismo di noi montanari maturerà e radicalizzerà in lui la necessità di dare più centralità alla scuola. Ed è proprio qui, nell'isolamento più totale, che emerge la figura del maestro.

Dopo l'esperienza a san Donato capisce che non si può amare, concretamente, che un numero limitato di creature. Per pochi ragazzi, semianalfabeti, figli di pecorai e contadini oppure orfani, apre una scuola che inizia all'8 del mattino e termina a buio. Una scuola che non conosce vacanze e che rifiuta le metodologie e le tecniche d'insegnamento nozionistico e trasmissivo.

" Lettera a una professoressa " è il risultato di un anno di attività a Barbiana, con un maestro ormai nel pieno della sua maturità. Il maestro Milani trasforma il giornale in materia scolastica. Trasforma, in ricerca e produzione di materiale didattico, il lavoro d'équipe, da lui diretto, svolto con i ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori. Una grande rivoluzione culturale, didattica e pedagogica che rifiuta l'indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente l'allievo. Un libro, che pur essendo all'interno della premessa di quel grande movimento trasformativo quale fu il '68 italiano, andava oltre e avrà validità fino a che esisteranno sacche di povertà e selezione. Un libro che crede nell'evolversi della storia e obbliga l'educatore a usare un metodo formativo aderendo al mondo dell'allievo. il maestro " dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l'umanità va avanti ".

Don Lorenzo Milani fu un educatore esigentissimo. L'esperienza di Barbiana, non è ripetibile, infatti più che una scuola, lui aveva creato una comunità. Francuccio direbbe: una famiglia. Povero tra i poveri, tenne gli occhi sgranati su una realtà, all'interno della quale, visse con coerenza feroce. Tutti i suoi scritti, nel periodo in cui abitò Barbiana, nacquero per motivi pedagogici.
 

 

Nel dicembre del '60 si manifestano i sintomi del linfogranuloma e della leucemia.
 

Muore in casa della madre il 24 giugno 1967 all'età di 44 anni.

 

PENSIERO PEDAGOGICO

Invece a Barbiana i ragazzi siederanno attorno ai tavoli.
Saranno eliminati pulpiti e cattedre.
La scuola, nata il giorno stesso dell’arrivo del Priore, prenderà lentamente una forma sempre più circolare.

aderenza
In uno spirito cooperativo e di ricerca l’intera Comunità lavorerà su progetti d’utilità comune, quali la formazione, l’acquedotto, la strada, i laboratori ecc..
Le prime lezioni del Priore consentiranno agli adulti del nuovo popolo di prendere la patente della moto e di liberarsi dall’isolamento.
Solo successivamente istituirà un doposcuola di supporto alla scuola elementare di Padulivo, aggregato di case a 1 km dalla chiesa. Era una pluriclasse con un’unica insegnante per tutti i bambini.
Più tardi, dopo la stesura d’Esperienze Pastorali, fonderà una scuola d’avviamento professionale, a tempo pieno, che con la riforma del ’62 diventerà Media Unificata. Le lezioni inizieranno la mattina all’otto e termineranno alle 20. Non era raro che proseguissero anche il dopocena. Di certo, nel periodo in cui fu scritta e pensata Lettera a una professoressa, si trattava di una scuola superiore.
La freschezza intellettuale e la ricchezza culturale del maestro sapranno aderire alle necessità e alle risorse umane e materiali già presenti su quel territorio.
I rumori erano allegri e la scuola divertente, si deduce anche dai racconti che fa alla madre: “Oggi abbiamo costruito una grande giara di legno e tela di sacco e stasera andiamo alle Casacce col trattore a prendere un carico di legname da muratori gentilmente offerto dal mio intimo amico Mayer per costruire il palcoscenico. Lo montiamo sull’aia e l’Ammannati tornerà domenica con la macchina da presa per riprendere a colori la Giara più realisticamente sceneggiata che sia mai stata fatta. Gli attori sono gli allievi di don Palombo ”.
In realtà la scuola ebbe un’evoluzione propria che non teneva conto di nessuna denominazione istituzionale. Era soltanto tesa a formare l’uomo e lo faceva organizzando vere e proprie lezioni di vita.
Il 13 agosto del ’59 scrive, sempre alla madre, a proposito di un pastore valdese di Torre Pelice, Roberto Nisbet che era stato in visita a Barbiana il giorno precedente: “Gli ho fatto fare scuola dalla mattina alla sera e era commosso e entusiasta”.
La sera dello stesso giorno riprendendo la lettera interrotta, stanco morto per le nuove visite e lezioni: “Stamani due preti a cui ho fatto far lezioni di canto. E stasera un giovane fotografo che ci ha insegnato lo sviluppo e la stampa. Abbiamo finito in questo momento e sono già le 9, tutti i ragazzi han provato a fotografare e poi sviluppare e fissare le loro foto. Tutti contentissimi naturalmente …”. In un’altra lettera sempre alla madre dirà: “Ti ho detto che abbiamo ammazzato una vipera qui sulla strada nel fosso dei tigli ? Là dove stiamo a scuola d’estate. Prima di ammazzarla abbiamo avuto il tempo di studiarla tutti ben bene tenendola ferma sotto un bastone. Abbiamo confrontato tutti i libri che abbiamo e non c’è dubbio. E’ uno degli effetti dello spopolamento …”.
In questo modo, il Priore esprimeva un amore d’intelligenza rara che diventava coinvolgimento totale tra il maestro e l’allievo, tra il prete e il suo popolo.
Tra l’uomo e i suoi amici. Un “vero e proprio patto di fiducia-alleanza - come ricorda Aldo Bozzolini, uno dei primi allievi - tra lui e le famiglie ”. Le quali non lo abbandoneranno mai. I babbi diventeranno dei pendolari, preferiranno allungare la loro giornata di fatiche pur di lasciare i figlioli alla scuola del prete. A cena i ragazzi raccontavano tutto ai loro genitori. Il popolo di Barbiana sparirà pochi giorni dopo la sua morte.
Abbiamo chiamato questo modo d’insegnare e apprendere direttamente dalla realtà: pedagogia dell'aderenza.
Partendo dall’ambiente in cui vive, l'allievo organizza e costruisce la propria conoscenza. Il docente, nel costruire il significato, struttura, con il discente, un ambiente d'apprendimento di partenza. Dal particolare all'universale. Dalla moto alla scuola di servizio sociale: dove furono formati prevalentemente sindacalisti e insegnanti.
Allievo e maestro pattuiscono le regole comuni.
Mi ci volle un anno per comprendere ed accettare di restare.

metodologie didattiche
E’ vero, quando parliamo di metodologie didattiche oggi usiamo un linguaggio molto raffinato: didattica per obiettivi, ricerca/azione, cooperative learning, didattica per concetti, sfondo integratore, ossia l'involucro, il contenitore che determina l'unità del percorso educativo, la percezione dei nessi, il senso della continuità che collega le molte attività didattiche che altrimenti resterebbero disperse e frantumate.
Per Lorenzo Milani tale sfondo era sia relazionale sia istituzionale, consonante con la sua metodologia.

arte dello scrivere
Pur essendo cosciente che non è la tecnica l’anima dell’insegnamento, ci spiegherà che l’arte dello scrivere si può apprendere ed insegnare.
Nella lettera alla signora Lovato scritta il 16 marzo 1966, Lorenzo difende il suo metodo. Rifiuta, nella scrittura, qualsiasi segno di personalizzazione.
Prima di continuare proviamo ad immedesimarci in quel luogo e tempo, se vogliamo capire lo spirito con il quale praticava pastorale e insegnamento: “Cara signora, da qualche mese in qua la posta che riceviamo è tanta che facciamo appena in tempo a leggerla. Io poi sono malato e da molto tempo non prendo in mano la penna. Un ragazzo o due a turno sbrigano tutta la corrispondenza, mi sottopongono solo le lettere che giudicano più private. Così accade che rispondo a lei.
Mi ricordo che nel '58 quando uscì il mio libro “Esperienze pastorali” (non ne ho scritti altri, quello sull'Obiezione della Locusta è una pubblicazione illegale. Ho diffidato l'editore dal seguitare a venderla, ma quell'onesto farabutto non se n'è dato per inteso) mi scrisse e poi venne a trovarmi un anziano signor Lovato vegetariano e veronese, se non sbaglio leggermente zoppo. Era un uomo simpaticissimo e i ragazzi più grandi serbano ancora il ricordo di alcune sue curiose motivazioni sul vegetarianesimo. Cos'è di lei. Me lo saluti e gli dia una copia dell'edizione mia che le accludo e che è l'unica che approviamo.
Rispondo ora a lei. Grazie della sua lettera. Spero di vederla un giorno quassù. Sto disfacendo la scuola. Ho mandato i più grandi a lavorare. Non prendo più ragazzi nuovi. Ho ancora una decina di ragazzi a cui faccio scuola qui in camera. Oppure quando son stanco si fanno scuola l'un l'altro nell'aula che comunica con questa camera. Allora la mia attività pedagogica consiste solo in qualche urlaccio per tenerli buoni. Ho una leucemia e non voglio morire stupidamente sulla breccia con ragazzi immaturi mezzo educati e mezzo no. Così sto organizzando da un anno un ragionevole e riposante tramonto. Mi godo i figlioli riusciti e i loro bambini. Ricevo con commozione i prodighi che tornano. Tengo lontani i prodighi che non tornano. Insomma vivo come un nonno amato e mi godo questa vita. Abbiamo scritto la lettera ai giudici come un'opera d'arte. Purtroppo nelle centinaia di lettere che ci arrivano dall'Italia e dall'estero ci accorgiamo che pochissimi se ne sono accorti. Tutti pensano che abbiamo delle bellissime idee. Pochi, forse due o tre persone in tutto, si sono accorti che per schiarire le idee così a noi stessi e agli altri bisogna mettersi a lavorare tutti insieme per mesi su poche pagine. Allora tutti sapranno scrivere come noi e non ci sarà più bisogno di rivolgersi a noi con venerazione come se fossimo toccati dalla grazia. Chiunque se vuole può avere la grazia di misurare le parole, riordinarle, eliminare le ripetizioni, le contraddizioni, le cose inutili, scegliere il vocabolo più vero, più logico, più efficace, rifiutare ogni considerazione di tatto, di interesse, di educazione borghese, di convenienze, chieder consiglio a molta gente (sull'efficacia non sulla convenienza). Alla fine la cosa diventa chiara per chi la scrive e per chi la legge. La lettera ai giudici è stato un dono che abbiamo ricevuto e abbiamo fatto. Prima di scriverla né io né i ragazzi sapevamo quelle cose. Le intuivamo né più né meno di quello che lei ha detto di se stessa: “Ero arrivata a capire da sola molte delle cose....”
Mi scusi, mi son distratto, le stavo dando una lezione dell'arte dello scrivere che lei non mi aveva chiesto. Ma è che l'arte dello scrivere è la religione.
Il desiderio d'esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l'amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo s'intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.

diatriba Piaget e Vygoskij
E’ con quest’unità d’intenti che a Barbiana, l'approccio alla conoscenza trova una pratica d'insegnamento che tiene conto dei principi causali della biologia e della storia.
E’ il tempo passato sui libri e a dialogare sui significati a creare le competenze. E’ il tempo in più della scuola che ricomporrà la falsa diatriba Piaget e Vygoskij.
Un metodo costruttivo che accetta i contributi di chi privilegia il mondo esterno, ma mai a scapito dell'esperienza individuale.

Bruner
Tale pratica c’invita a capire “alla luce dei processi interpretativi implicati nel fare significato. Non tener conto delle limitazioni biologiche del funzionamento umano è peccare di superbia. Sottovalutare il potere della cultura di plasmare la mente umana e rinunciare ad assumere il controllo di questo potere è commettere suicidio morale ”.

regista
e portatore di strumenti
E’ a Barbiana che il profilo dell’educatore si trasformerà in: regista e portatore di strumenti. Per questo motivo la sua esperienza anticipatrice è conducibile, con un po' di “provocazione”, alla scuola di domani, ossia a una scuola “post-attiva”.

 

IL “LABORATORIO MASSIMO” DELLA SCUOLA DI BARBIANA
 


la parola
Siamo così giunti ad una delle questioni principali che stanno all’origine del nostro lavoro: il valore degli strumenti per don Milani, dei quali la parola è il primo.
Oggi lo strumento per apprendere, è raggiungibile solo per mezzo di un'idea: il laboratorio massimo.

libro di testo
A Barbiana non esisteva il libro di testo. Nel nostro centro redazionale, la fruizione del libro, lo strumento didattico, coincideva spesso con la produzione dello stesso.

i vocabolari
Il supporto concreto alla didattica erano i vocabolari. Li avevamo tutti. Un altro supporto erano la Treccani e la biblioteca che a ferro di cavallo circondava la stanza principale della canonica.
Era comune interrompere la lezione per correre dietro alle origini, alle etimologie delle parole più astruse e sconosciute.

la realtà
La realtà, introdotta principalmente dal giornale e dalla corrispondenza, rappresentava la base e il fondamento d’ogni disciplina. Il materiale didattico prodotto si sviluppava sempre per argomenti.

la storia
Lo schema storico non era di tipo consequenziale, ma si costruiva spesso andando a ritroso. Cercando i significati e le origini di un termine casualmente letto o citato. Mettendo in risalto gli aspetti che più ci avevano impressionato tingevamo, per esempio, di colore nero la cartina dell'Europa ad indicare le invasioni della Germania nazista e dell'Italia fascista. Così la Storia si legava alla Geografia in un unico schema spazio temporale.

la geografia
Sui tavoli della scuola costruivamo le nostre cartine geografiche, accompagnate da schede indicative. Ognuna illustrava una caratteristica, linguistica, economica o politica.
La monografia rappresentata consentiva con un solo sguardo di individuare i momenti chiave dei processi di decolonizzazione dell’Africa.

tasse
Due alberi disegnati su un supporto di compensato, uno grande e uno piccolo, rappresentavano rispettivamente e in scala, la tassazione indiretta e diretta.
Esprimevano in un colpo d'occhio l'ingiustizia sociale.

astronomia
“Uno strumento, costruito a proposito nei nostri laboratori — ci racconta sempre Aldo — con dei tubi ricavati dalle colate delle docce, consentirà di fotografare e sviluppare, in negativo su carta fotografica in bianco e nero, le fasi di un’eclissi di sole.

trigonometria
Ci divertivamo a misurare le distanze tra il campanile di San Martino e la stazione di Vicchio con un teodolite che avevamo costruito noi, uguale a quello con il quale i geometri rilevano i punti cospicui per costruire le strade oppure fare rilevazioni topografiche ”.

le lingue
Le lingue, imparate direttamente all'estero, erano insegnate in lingua madre, anche ascoltando le canzoni dei cantautori stranieri: Bob Dylan e Brassens con vecchi registratori a nastro e tanti dischi.
Chi arrivava presto la mattina era solito trovare il Priore che preparava i materiali oppure registrava dalla radio le lezioni d’inglese, francese, tedesco o spagnolo.

i laboratori
Altri strumenti importanti erano il telescopio, il laboratorio fotografico, l'officina e la falegnameria.

elettricità
Nel 1965, insieme all'elettricità, arriveranno le macchine calcolatrici dell'Olivetti e il cineproiettore portato da mio cognato Luigi Lattuada.

nuove tecnologie
Oggi, con le nuove tecnologie della comunicazione, la scuola non può che dare centralità ad un metodo che pone nella “cassetta degli attrezzi ”, la Stazione Multimediale, con tutte le periferiche e collegata in rete telematica.

astrattismo
Oggi rischiamo di passare dall’astrattismo di ieri all’incapacità di trasmettere le competenze necessarie per usare i nuovi strumenti della comunicazione, i quali da soli integrano la scuola alla vita e al mondo del lavoro.

 

IL METODO
 

Alla scuola di Barbiana noi, figli di montanari, trovavamo la nostra identità e gli strumenti che ci rendevano capaci di esprimere la nostra cultura. Eravamo protagonisti attivi (Self help e tutoraggio).

profilo dell’educatore
In tale intelaiatura, l'educatore si trasformava da trasmettitore delle conoscenze in costruttore di schemi logici e di contesti flessibili, un intreccio d’idee e di fatti idonei a produrre apprendimento.
Il nostro maestro, privilegiando l’approccio globale, non rispetterà gli orari o la progressione lineare delle singole discipline, non disgiungerà mai la cultura umanistica da quella scientifica.
Quando il professor Agostino Ammannati veniva a trovarci il priore gli cedeva volentieri il posto per insegnare i Promessi sposi e la Divina Commedia, dimostrando umiltà e rispetto per le singole competenze.

tempo e luogo
A Barbiana che era un vero e proprio centro editoriale, il tempo e il luogo della fruizione dello strumento didattico coincidevano con il momento e il luogo della produzione.
Gli strumenti che mancavano si potevano inventare come racconta lui stesso in una lettera: “Abbiamo fatto fare un microfilm della partitura dell’allegretto della VII (sinfonia di Ludwig van Beethoven) e lo proiettiamo sullo schermo nel tempo che gira il disco. S’è fatto e rifatto tante volte quanto è bastato al più duro dei ragazzi a imparare a seguirla tutta colla canna voce per voce. Insomma una soddisfazione immensa …”

articolo
Andiamo per gradi e vediamo come da un dettaglio, un articolo di giornale, sia stato possibile produrre la Lettera ai giudici.
In questo caso non c’è stato un vero e proprio uso del Notes e dei fogliolini. Non c’è stato il tempo per una vera e propria Scrittura collettiva. Eppure la stesura di questa lettera rappresenta il periodo più ricco della scuola.

regia
Riassumo sinteticamente le fasi dell'itinerario di quella regia e lavoro di gruppo il cui input fu dato dall'articolo della Nazione, che mi pare fosse stato portato dall’Ammannati e da Ferrero Facchini, amici cari a Lorenzo. Siamo nel ’65.
Tutti i pomeriggi, subito dopo mangiato, leggevamo la corrispondenza e il giornale.
In quell’occasione il comunicato dei cappellani fu messo in evidenza. Tutta la rete di relazioni che ruotava attorno alla Comunità di Barbiana fu mobilitata.
Il Priore scrive quasi di getto la Lettera ai Cappellani Militari. Lo scritto letto e riletto è sottoposto a revisione.
Molte sono le matrici battute a macchina dai ragazzi e ciclostilate mentre la forbice e la colla scomponevano e ricomponevano i paragrafi cercando logiche d’aggregazione dei contenuti. Nascevano i capitoli che si collocavano su di uno schema che cambiava continuamente. Giuristi come Gianpaolo Meucci furono costretti a riflettere ignorando il rischio. Bisognava cercare verità oggettive.
La legge doveva cambiare.
La lettera viene incriminata.

Lettura collettiva della denuncia, degli articoli dei giornali e discussione.
La corrispondenza di quei giorni è ricca d’elementi per capire il laboratorio di Barbiana e l’intensità delle relazioni diventate ormai internazionali. Anche Erich Fromm si interesserà a don Milani.

Il Priore elabora uno schema di partenza. Produce un percorso monografico di ricerca sulla storia, a partire dalle guerre risorgimentali fino a giungere all’unificazione d’Italia. Lo fa principalmente mettendo a confronto testi come il Saitta e Mck Smith. Il primo ci viene presentato come la voce ufficiale della scuola di stato e subito se ne deduce il punto di vista. Il secondo è libero e spregiudicato. Lo si capisce subito, perché don Lorenzo lo predilige anche se ci avverte che è un inglese.
Più affidabile per alcuni motivi, inaffidabile per altri. Affidabilissimo per il giudizio dato su Garibaldi o Nino Bixio, sterminatore di contadini.

Interi concetti vengono estrapolati, discussi e sviluppati, in interminabili giornate di lavoro.

Coinvolgimento degli esperti esterni: gli storici. Anche i contadini che hanno fatto la guerra montano in cattedra. Sono proprio loro a valorizzare il punto di vista di chi è stato manipolato e a svalutare il pensiero comune incapace di critica.

Verifica del testo a tutti i livelli.
Attivazione di centri editoriali esterni: giornali e riviste.
Correzione delle bozze.
Analisi dei Media e loro uso.

Per mesi la scuola sembrava svolgere solo una disciplina: la storia. Dentro tale metodo, invece, si ricomponevano tutte le materie. Il prodotto finito era sempre una lettera: un tema d’italiano che si legava automaticamente al rapporto fra chi scrive e chi legge.

Mario Lodi
Per capire più nel dettaglio questa metodologia e viverla attraverso un’esperienza anche didattica, ossia non mediata da influenze esterne o di comodo, v’invito a rileggere, se l'avete dimenticata, la corrispondenza tra Barbiana e Mario Lodi (vedi Cd allegato).
In tali lettere si parla di vocabolario attivo. Le parole usate.
E di quello passivo. Le parole conosciute.
La scrittura collettiva, dice il Priore, attraverso il dialogo con il maestro e l'interazione tra gli allievi, consente di trasferire le idee, dal livello dell'orecchio, a quello della bocca e della penna, arricchendo in modo esponenziale il linguaggio personale e collettivo.

mappe concettuali
I titoli al bordo d'ogni paragrafo delle scritture collettive non sono altro che piccole mappe concettuali, la sintesi dei famosi fogliolini.

tecniche dello scrivere
Con la Lettera a una professoressa il metodo si perfeziona. Infatti, a pagina 126, proponiamo una vera e propria tecnica di apprendimento delle regole dello scrivere: “Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un'idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola.
Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi.
Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due.
Coi nomi dei paragrafi si discute l'ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.
Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l'ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene.
Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all'aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un'altra volta.
Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l'altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire.
Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.
Dopo che s'è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l'intellettuale cretino che sentenzia: “Questa lettera ha uno stile personalissimo”.
Dite piuttosto che non sapete che cosa è l'arte. L'arte è il contrario di pigrizia.
Anche lei, non dica che le mancano le ore. Basta uno scritto solo in tutto l'anno, ma fatto tutti insieme”.
Accettare quest’ultima considerazione che ci costringe alla riduzione del tanto a favore della motivazione e della qualità degli argomenti, è indispensabile per aprire un varco al modo d’insegnare di Lorenzo.
Il fatto che la tecnica di scrittura abbia consentito al Priore un'autodifesa e che lui abbia fortemente influenzato i contenuti di tale lavoro di gruppo (insegnanti, ragazzi, visitatori, popolo, esperti, ecc.) non significa che ciò possa diminuire il valore del metodo da lui adottato e insegnato.
 


LORENZO MILANI
L’UOMO, IL MAESTRO E IL PRETE

 


il progetto
Ho cercato di dimostrare che il Progetto educativo di Lorenzo Milani dà priorità alla Lingua, ma produce anche Metodi e Tecniche raffinate.
Le abbiamo estrapolate.
Analizzate insieme.

il maestro
Evidenziare il primo Milani di "esperienze pastorali" quando scrive: " non chiedetemi la tecnica, ma piuttosto come si deve essere per fare scuola" resta valido, ma suona sempre più mistificante.
Rifiuto l'interpretazione di chi vede solo nel prete di San Donato la rappresentazione vera del vissuto del nostro Maestro. Secondo tali interpretazioni l'esilio e la malattia inaridiranno il suo apostolato. Per noi, al contrario, rappresentano due cardini, punti di svolta capaci di produrre percorsi e approfondimenti utili ad una più articolata comprensione del pensiero di un uomo che è stato capace di valorizzare il dubbio, di vivere e superare il proprio tempo.
I suoi “ceffoni” bruciano ancora.
Ci fanno vergognare.
Ci fanno riconoscere complici, deboli e colpevoli dei processi degenerativi. Della vacuità delle idee e la perdita di valori di questa società.

due scuole
Mettere allo stesso livello, dal punto di vista didattico sia ben inteso, l'esperienza di San Donato, rivolta solo agli adulti e saltuaria, con quella di Barbiana, dove Lorenzo raggiungerà una maturità educativa, è semplicemente assurdo.

l'amore
Lorenzo, avuta la grazia o la disgrazia d'innamorarsi personalmente di poche decine di montanari che affogavano in problemi d’ordine sociale ed economico, inizia il suo apostolato con la grammatica in mano.
La molla che lo muove è l'amore. Affermiamo, però, che il nostro maestro, per quanto esperto giocoliere, non è stato uno spontaneista.

buon selvaggio
La suggestiva teoria del “buon selvaggio ” è stata da lui definita ipocrita, prima ancora che sbagliata. La sua strategia si basava sui bisogni veri della gente, le influenze ambientali e le motivazioni al sapere.

supporto
In una conferenza ai direttori didattici tenuta nel '62 su invito di Fioretta Mazzei e di cui, nel Cd, riportiamo il testo integrale, Lorenzo parla del suo progetto educativo.
Dice che il suo metodo è estratto direttamente dalla cultura contadina, “austera e non permissiva ”.
I contadini sono, per don Milani, gli unici capaci di educare con serietà.
In tale dibattito, però, lui stesso c’invita a non farci fuorviare dal parlato dei contadini toscani, ricco d’idiomi danteschi, ma incapace di afferrare le metafore e i simboli del linguaggio.
Un conto è usare la parola, altro possederla.
Nelle mie riflessioni che avete potuto leggere, ho tenuto conto del fatto che oggi questo retroterra familiare e culturale di supporto alla scuola non esiste più.
Non esiste più un’unica zona a rischio.
Nei numerosi incontri avvenuti con gli educatori, d’ogni ordine e grado, d’ogni regione d’Italia, emerge che il disagio, l'abbandono scolastico o la dispersione si spandono ormai a macchie di leopardo.

Gianni e Pierino oggi
Purtroppo, Gianni, il ragazzo sempre bocciato della “Lettera a una professoressa”, è finito per diventare ciò che il Priore temeva: un tragico burattino. Solo più elegante nei suoi vestiti di marca e alla moda.
Come dice Giorgio Pecorini, nel suo bel libro: “Don Milani. Chi era costui?”, Gianni non ha più le pezze al culo, non sta più con il cappello in mano davanti al farmacista.
Ride davanti alla TV che trasmette dai luoghi delle stragi e della distruzione. Una TV che si propone ad un pubblico che è solo spettatore, assente al dolore.
Se Gianni è cambiato, Pierino del dottore si è “in-giannato”, nel senso che assistiamo a un vero e proprio calo di Cultura.
Sparito Gianni è sparito anche il signorino!
Ecco che oggi, se vogliamo esportare i principi formativi barbianesi dobbiamo inserire nella nostra analisi uno scenario e dei personaggi diversi.

permissivismo
Dobbiamo fortemente invertire la logica del permissivismo borghese (vedi nel Cd la ricerca etimologica sulla parola borghese — lettera dei ragazzi di Barbiana agli allievi di Mario Lodi), ma anche quella degli schematismi ideologici e della frantumazione.
Solo in questo modo potremo modificare i dati allarmanti emersi dalle statistiche sulla dispersione e l'abbandono.
Ricordiamoci di un'altra provocazione paradossale di Lorenzo, e così forte da fare fremere i tanti asettici e freddi insegnanti, di certa fede sessantottina: “La scuola per fare cittadini sovrani deve essere Monarchica”. Quest’enunciato, così pesante, va interpretato.

identità del maestro
L'insegnante non deve rinunciare al suo ruolo d’esperto. Dovrebbe comportarsi come Lorenzo e diventare egli stesso strumento e tramite. Essere regista significa, come diceva Bowlby, essere un comandante della nave.
Solo così sarà possibile invertire l’orribile e violento classismo di cultura, difeso ormai solo dall'antiquata e famosa professoressa della “lettera”. La quale rinuncia al suo ruolo, quando candidamente dice:

“ ... scrittori si nasce”.

applicabilità
Comunque la testardaggine con cui Lorenzo Milani sostiene in tante lettere l'esistenza di un'arte e una tecnica dello scrivere, ci libera da ogni dubbio sull’esistenza e sull'applicabilità del suo metodo.
Per fortuna la nostra convinzione è in buona compagnia.
Finite le mistificazioni, il sacerdote di Sant'Andrea a Barbiana diventa finalmente strumento per i Riformisti della scuola che trovano in lui un'identità forte, non certo l'unica, per dignitosamente esprimersi all'interno del progetto educativo europeo e mondiale.
Non è il metodo che dobbiamo modificare, ma, nell'applicarlo, sarà necessario individuare strumenti e bisogni nuovi.
Non è vero che il progetto di Lorenzo era basato solo sulle qualità personali di chi insegna.
Se è vera la frase, rivolta a chi voleva esportare il modello barbianese: “Non resta che spararvi!” è altrettanto vera quell'altra frase: “A Barbiana verranno tutti a imparare il metodo: dall'ultimo bidello al primo ministro ”.
A parte i paradossi di cui il linguaggio del nostro maestro è ricco, chi crede nella geniale intuizione della scrittura collettiva, nell'importanza della Comunicazione e dei suoi Strumenti, può anche non spararsi, perché l'esperienza ci ha insegnato che:

“si può diventare scrittori ”.

Esistono valide tecniche e metodi da importare ed esportare, se vogliamo integrare ed espandere il pensiero di Lorenzo.

cittadini sovrani
L'acquisizione del sapere coincide con la ricerca dell’oggettività e richiede un confronto con il mondo circostante, per essere verificata.
Una scuola che forma i cittadini, non si può sottrarre al compito di preparare anche alla politica e alla vita sociale: “ … io non sono un sognatore sociale e politico: io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani ” (L.Milani — Strumenti e condizionamenti dell’informazione — Giorgio Pecorini).

trent’anni
Perché abbiamo atteso trenta anni si domanda e mi chiede il prof. Johannes Drumbl, prima d'essere capaci di digerire, sperimentare e trasformare in tecniche e metodi la pratica d'insegnamento di Lorenzo Milani? Pudore? Modestia? Timidezza interiore o fariseismo? Un tempo che, in ogni caso, ho rispettato anch’io.

epistemologia
La "voce più originale della Pedagogia Italiana del '900”, resta muta. Improponibile nei metodi.
Ancora non esiste un'epistemologia del Pensiero pedagogico del nostro Maestro e, di questo vuoto, ci sentiamo responsabili anche noi che siamo stati allievi nel periodo più fecondo della sua scuola.

Mi convinco sempre più che il tempo d'attesa era forse necessario per liberarci dalle passionalità e lasciare il posto ad una ricerca più rigorosa, vera e scientifica.

costruttivismo
Il costruttivismo di Lorenzo è contemporaneo, anche se parallelo, a quello di Bruner e d’altri pensatori che concordano sul fatto che il processo di crescita del soggetto risiede nell'interiorizzare modi di agire, di immaginare e simbolizzare che esistono nella sua cultura.
I significati prendono forma nell'incessante interazione allievo - maestro - ambiente.

coerenza
Se don Lorenzo fosse stato solo un “buon” sacerdote, probabilmente avrebbe obbedito e nessuno dei superiori lo avrebbe gravato di punizioni estreme, come ripopolare Barbiana.
Non è “l’indemoniato” Florit, come ironicamente lo appellava il Priore, ad allontanarlo, ma un vescovo coraggioso e antifascista, Elia Dalla Costa.
Il conflitto, tra don Milani e le istituzioni religiose, politiche e scolastiche, non è conducibile solo ad un problema d'autoritarismi o gerarchie.
Il popolo di Calenzano era diviso.
Non sarà il caso che lo avvicinerà agli ultimi, che gli farà produrre una nuova scuola e pastorale, ma piuttosto la coerenza tra i suoi comportamenti e il suo modo di pensare.
Quella coerenza di cui il legislatore sembra oggi incapace.

bontà
Ciò che ci ha fatto restare alla sua scuola non era quella bontà che potevamo ricevere anche da pessimi insegnanti. Ci ha trattenuto il fascino e il piacere che si provava a stare accanto ad un uomo così intelligente.
La bontà, quando è sola, produce persone eroiche o castrate, ma non educatori.
L'allievo si rivolge al maestro non perché è cattolico, giudeo o mussulmano oppure, semplicemente, perché è buono.
L'allievo si avvicina al maestro per imparare senza perdere la propria identità.
Un rapporto concordato su regole comuni.

la scuola elitaria
e la scuola pubblica
Quando mi sono rivolto al Priore ho conosciuto il silenzio, ma anche il diritto di parola. Ho avuto subito una cameretta tutta per me, pasti assicurati, lingue, falegnameria, officina, studio fotografico, audiovisivo, libro, quaderno e una comunità educante.
Dopo la sua morte, mi sono rivolto al padre spirituale di Lorenzo quando era in Seminario. Don Raffaele Bensi mi ha messo un libro in mano. Ricordo ancora il titolo e l’autore: “Sotto la ruota ” di Hermann Hesse. Bisognava comprendere il libro, per andare oltre e comunicare. Un esame che credo di aver superato perché sono riuscito a costruire un rapporto, quello con don Bensi, che mi ha dato tanto, in anni difficili della mia vita. Meno male che nel mio patrimonio genetico c'era un po' d'intelligenza.
Questi due insegnamenti sono stati, per me, complementari. Non sarebbero stati così importanti l’uno senza l’altro. E' Lorenzo, a fare da tramite tra il mio vecchio mondo muto e coloro che parlavano troppo.
Il comportamento di don Bensi non avrebbe modificato sostanzialmente la struttura della Piramide che troviamo nelle statistiche sulla dispersione di Lettera a una professoressa e che ancora oggi sussiste. La sua era una scuola elitaria.
Il Priore, viceversa, avrebbe ridotto gli analfabeti ad un fenomeno marginale.

Bensi e Milani.
Dobbiamo riconoscere che entrambi erano scevri d'ipocrisia nel trasmettere i valori. I loro, erano sistemi netti e spesso conflittuali, ma tale dialettica elevava il livello culturale.
La piramide era una realtà, nemmeno il '68 l'ha modificata. La piramide odierna dopo tante pseudo/riforme, mi riferisco ai bisogni culturali d'oggi, ha fortemente allargato i fianchi e abbassato il capo.

il prete
Frutto di una realtà storico-religiosa, il pensiero di Lorenzo Milani è ben radicato nella Chiesa di Firenze di don Giulio Facibeni, dedito totalmente agli orfani, di La Pira, il sindaco che ricordiamo per l’impegno verso gli oppressi, e della sinistra cattolica di Nicola Pistelli.
Da un punto di vista sacerdotale, vedo don Lorenzo ben collocato tra i padri non violenti della Teologia della Liberazione. A differenza del pensiero comune ai marxisti e ai cattolici, non credeva nell'intellettuale o nell'avanguardia di ieri, tanto meno avrebbe creduto nei leader o nei manager d'oggi.

il vescovo
Proprio a Pistelli, direttore di “Politica “ settimanale della sinistra cattolica fiorentina di allora, scrive una lettera che sembra dedicata esclusivamente al ruolo e al rapporto che doveva avere il cattolico con il proprio vescovo. Il testo che doveva essere pubblicato con il titolo: “Un muro di foglio e d’incenso ” diventa a poco a poco un esame di coscienza, fa capire i rapporti sempre tesi tra il Priore e la gerarchia ecclesiastica. La data è 8 agosto 1959, quando ancora la Spagna era franchista.
Lo spunto a scrivere tale articolo è dato dal cardinale di Palermo Ernesto Ruffini che in un’intervista a La Stampa avrebbe dichiarato: “Voi giornalisti, parlate pochissimo della Spagna. Direi che vogliate ignorarla di proposito. Eppure averla amica potrebbe esserci di validissimo aiuto contro il comunismo“.
Chi corregge o prova a parlar francamente al vescovo colto in fallo, troppo pieno di sé, saputello, superbo, ignorante?
E' giusto coprire la sua vuotezza? Si domanda don Lorenzo Milani.
La risposta la da lui stesso, denunciando un isolamento dalla realtà che cresce, per gerarchia o vicinanza.
Il cattolico comunica col giovane cappellano. Comunica meno col suo parroco di campagna. Per nulla col monsignore. Mai col suo vescovo che vede ogni cinque anni, mai da solo, dopo molta anticamera, in una sala imponente, imponente lui stesso per età, per carica, per grazia.
Compito d’ogni cristiano è dunque quello di informare il proprio vescovo che sbaglia, anche a costo di essere perseguitato oppure esiliato in vetta al monte Giovi. Se è Dio che la disegna, dobbiamo imparare la lezione direttamente dalla Storia, se vogliamo ravvederci: “… Quando si sente il cardinal Ruffini lodare il regime spagnolo, verrebbe voglia di dirgli che un dittatore sanguinario o un governante incapace fa più male alla Chiesa quando la protegge che quando la combatte.
Ma invece non ci deve essere bisogno di dire queste cose al cardinale. I principi li sa, il Vangelo lo conosce. Non è di idee giuste che occorre rifornirlo. Le avrebbe inventate da sé senza che nessuno gliele avesse suggerite se solo avesse visto certi fatti. Oppure se li avesse saputi con tanta precisione e insistenza da esser come se li avesse visti. Di fronte al bisogno ogni uomo diventa inventore come Robinson nell'isola. E il bisogno di una soluzione ideologica soddisfacente lo crea il cuore quando ha visto la sofferenza.
Un cardinale (fino a prova contraria) lo presumi in buona fede, onesto, buono e inorridito del sangue. Se la sua mente non cerca quali siano gli errori di fondo del regime spagnolo è segno che i suoi occhi non erano presenti a qualcuno di quei fatti disumani che visti da vicino bastano a schierare un cuore per sempre.
Nell'austero silenzio della biblioteca di un convento domenicano dove non entra né pianto di spose né allegria di bambini, si può ben disquisire sulla liceità della pena di morte, sui diritti del principe e sulla preminenza del bene comune.
Ma nel cortile di un carcere spagnolo quando il forte il vincitore uccide il debole il vinto, quando solo a guardarla in viso la vittima si rivela non un comune delinquente ma creatura alta che ha preposto il bene del suo prossimo al proprio tornaconto. Oppure fuori dei cancelli dove l'urlio di madri, spose, figlioli trasforma anche il comune delinquente in figlio, marito, babbo, in qualche cosa cioè che vorremmo far vivere e non morire, allora le conclusioni di biblioteca si vorrebbe tornassero in altro modo, allora si ritorna sui testi con un altro desiderio in cuore e nel giro di un'ora il meccanismo dei sillogismi ha bell'e sfornato la soluzione giusta.
Questo saprebbe fare anzi correrebbe a fare anche il cardinal Ruffini, ne son sicuro. Ma il cardinale, nel cortile del carcere di Barcellona nel giorno del Congresso Eucaristico non c'era. E non c'era neanche l'inviato speciale del muro di carta che lo circonda. L'inviato era pochi passi più in là in quella stessa Barcellona in quello stesso giorno. Era a fotografare il generale Franco genuflesso su un faldistorio di velluto rosso dinanzi a centomila fedeli sudditi, mentre leggeva la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore.
Il generale Franco non ha ascoltato neanche il telegramma del Papa per gli undici sindacalisti di Barcellona e li ha uccisi a sfida nel giorno stesso del Congresso ”.


 

Dal libro PEDAGOGIA DELL’ADERENZA
di Edoardo Martinelli
 

Per capire il senso profetico di "esperienze pastorali", bisogna tenere conto della provenienza dell'autore. Senza esperienze religiose nell'infanzia, don Lorenzo Milani, era entrato subito in seminario, passando dall'agnosticismo più totale alla vita sacerdotale.

Il clima interno alla diocesi fiorentina, pensiamo solo a don Facibeni, al Bensi e a La Pira, consentivano di non allinearsi. Il comportamento inconsueto e il loro rigore, anche formale, gli fece accettare subito le dure regole della vita sacerdotale, esprimendo una vocazione particolare. L'acutezza, con cui individuava le linee di tendenza, nelle mode e nella cultura, gli consentirà di godere il privilegio della preveggenza e gli farà assumere un linguaggio diverso dall'usuale. La cartina della Palestina collocata sul muro della Chiesa, per dar valenza storica al messaggio evangelico attraverso il normale insegnamento, era molto più che la Messa in italiano. Giudicato come rivoluzionario, nel senso tradizionale e d'incerta dottrina, il suo libro "esperienze pastorali", edito nel '58, tratta della "pastorale" del cappellano di S. Donato:

la più originale e significativa esperienza religiosa di questo secolo, in Occidente.
 

Non è possibile, per chiunque, oggi, studi pastorale e teologia morale, prescindere da questo libro e dai metodi utilizzati. Infatti, non volendo accettare acriticamente verità precostituite, don Lorenzo Milani, imposta l'analisi conoscitiva delle cause che determinano il distacco della Chiesa istituzionale dai credenti, attraverso un metodo scientifico che produrrà le statistiche inquietanti che conosciamo. "esperienze pastorali" costituirà un'originalissima ricerca sociologica.
 

Per prevenire critiche e attacchi previsti cercò una prefazione "autorevole". Dapprima pensò a monsignor Montini ma poi finì per preferire monsignor Giuseppe D'Avack, arcivescovo di Camerino, lo scrive a Gianni Meucci il 12.12.56, un anno e mezzo prima che il libro venisse dato alla stampa:
 

(....) ieri ho consegnato il libro a don Bensi perché lo desse a La Pira perché La Pira ci aggiungesse una lettera di accompagnamento e lo mandasse al vescovo di Camerino per chiedergli possibilmente due righe di prefazione oppure almeno la permissione ecclesiastica per stamparlo a Camerino (edizione Fiorentina tipografia Camerino).
 

Questa complicata manovra è quella che mi avete consigliato te e padre David e che io ho modificato solo nel senso di affidarmi a don Bensi di cui stimo molto il giudizio, l'esperienza e la conoscenza dei miei personali problemi in rapporto alla curia fiorentina."
 

Dopo il rumore provocato dalla stampa, nonostante il "nibil obstat" del revisore ecclesiastico, padre Reginaldo Santilli, l'imprimatur del cardinale Dalla Costa e la prefazione dell'arcivescovo di Camerino, "Esperienze pastorali" sarà ritirato dal commercio il 18 dicembre del 1958 perché dichiarato "inopportuno" con decreto del Santo Offizio.
La Civiltà cattolica, con l'articolo di p. Perego, stroncò Esperienze pastorali. La nota de "L'Osservatore Romano" motiva tale decisione dicendo che "nella concessione dell'approvazione ecclesiastica è intervenuta una serie di equivoci, ai quali è completamente estranea l'autorità diocesana" e che considerate le "severe critiche della migliore stampa cattolica" e i consensi "accordati da certa stampa comunista" conveniva ritirare il libro. L'estraneità dell'autorità diocesana, dopo che l'ortodossia del libro era stata sottoposta al vaglio di ben due vescovi e di un revisore ecclesiastico è alquanto assurda.
I giornali e i periodici cattolici favorevoli furono numerosi: "L'Italia", "L'Avvenire d'Italia", "Il Popolo", "I1 Giornale del Mattino" "I1 focolare" di don Facibeni, "Adesso" di don Mazzolari, "Politica" di Pistelli, "La SS. Annunziata" di padre Turoldo, "Questitalia" di Dorigo, e altri ancora. Don Lorenzo vive i suoi attimi di entusiasmo e solidarietà sacerdotale:
 

"Dopo avermi lasciato dedicare un numero intero del suo meraviglioso giornaletto ("Il focolare", 1 giugno 1958 con recensione tutta favorevole di don Rosadoni) e dopo aver detto a uno dei suoi collaboratori che voleva recensirmi anche di suo pugno ("Padre, si comprometterà". "Si e compromesso il cardinale, posso compromettermi io", rispose col suo riso sereno e felice), è morto il giorno dopo lasciando il mio libro aperto sul tavolo di lavoro".
 

Con poco entusiasmo, "povere voci", e molto realismo, don Primo Mazzolari scrive invece:
 

"Non mancheranno i lettori scandalizzati, reclutabili facilmente tra quelli che non hanno mai fatto cura di anime e tra quelli che di solito giudicano senza leggere o con le consuete pregiudiziali verso coloro che osano scrivere senza un titolo accademico. In genere, gli scritti dei parroci rurali fanno paura per la loro poco educazione nel dire le cose che vedono. Però, se qualche volta quel mondo poco commendevole della cosiddetta cultura pastorale cattolica badasse anche a queste povere voci, forse il problema della "cura d'anime nel mondo moderno" avrebbe camminato un po' più verso qualche soluzione meno inconsistente e balorda".
 

Don Lorenzo, a S. Donato di Calenzano, si trovò dinnanzi agli occhi un campione "privilegiato" per comprendere la grande tragedia storica della Chiesa cattolica che rischiava di rimanere culturalmente e sociologicamente tagliata fuori dai ritmi di una civiltà industriale. Era un campione che esprimeva bene i mutamenti etico-culturali degli anni '50. In collaborazione con contadini, disoccupati, giovani tessitori, casalinghe, muratori e zitelle, dirà parlando della religiosità trovata:
 

"... una religione così non vale quanto la piega dei pantaloni"
 

Gli episodi rigorosamente storici, le statistiche e i grafici prodotti, faranno dichiarare a monsignor D'Avack: " ... le conclusioni sono d'accordo col vero spirito della Chiesa ... ".
 

Sarà un punto di vista completamente innovativo rispetto alla pastorale tradizionale. Un'autocritica sugli atteggiamenti, i metodi, le cause che hanno impedito al prete di essere con il suo popolo. Parla della storia della parrocchia,dei metodi catechistici, dei Sacramenti, della frequenza nel riceverli, e della terapia (i brani sono tratti da "esperienze pastorali"):
 

La processione:
 

" Passa il Signore. Serenata di fiori, veli bianchi, festa di paese. Trionfo della fede? "
 

" Ma il gruppo d'uomini che segue il signore non è la parrocchia, è solo una chiesuola senza peso. La parrocchia si gode lo spettacolo e si tiene a dovuta distanza.
 

Proposto: Perdonali perché non sono qui con te.
 

Cappellano: Perdonaci perché non siamo là con loro ".
 

Fede e Sacramenti
 

" Tentiamo di riassumere ora il quadro delle idee base sulla religione che può farsi un nostro ragazzo non appena cominci a sgranare gli occhi sulla vita dei suoi genitori, dei vicini di casa della chiesa parrocchiale.
 

La religione è roba da ragazzi; la religione è roba da donne; il peccato originale sull'anima fa meno male d'una infreddatura; la Confessione serve per fare la Comunione; lo stare in grazia di Dio non è dunque un problema quotidiano; o meglio: non è il problema quotidiano fondamentale del cristiano; la Comunione non è un dono, ma un obbligo; la Comunione serve per celebrare le feste; la Presenza del Salvatore nell'Eucaristia non è dunque reale, se no nessuno aspetterebbe le feste per assicurarsi coll'Eucaristia la salvezza; la religione è solo adempimento di rito e non importa con se impegni di vita o di ideologia; la religione è nel suo complesso fatto di insignificante portata: non vale quanto la piega dei pantaloni, quanto una buona dormita, quanto l'opinione degli altri su di noi, quanto il denaro o il divertimento; l 'Olio Santo è un Sacramento spaventoso, il buon figliolo cura che i genitori non s'accorgano di riceverlo...
Il rimedio è semplicissimo perché il ragionamento che abbiamo fatto fila. Basta dunque prender a petto questi uomini e dir loro queste cose. Non potranno che riconoscere l'illogicità del loro modo d'esser cristiani e decidersi a una scelta coraggiosa e coerente...
Qui ricorderemo due rimedi provvisori e che si riferiscono più direttamente all'argomento del presente capitolo.
 

1. - Risanare con due o tre energici tagli ciò che è catechisticamente negativo nelle funzioni tradizionali (feste, processioni, ecc.). Su ciò che è catechismo positivo (prediche, catechismi, ecc.) non abbiamo riforme da proporre perché consideriamo tutto inutile finché perdura questo stato di inferiorità culturale negli uditori.
 

2. - Di fronte all'eccesso di esteriorità e collettivismo che caratterizza le attuali usanze parrocchiali, insistere provvisoriamente sull'aspetto interiore e personale della religione. A tesi estrema, antitesi estrema".
 

La ricreazione

Anno scolastico 1952-53, dopo aver "superato ogni interiore esitazione: la scuola è il bene della classe operaia, la ricreazione è la rovina della classe operaia. Con le buone o con le cattive bisogna dunque che tutti i giovani operai capiscano questo contrasto e si schierino dalla parte giusta".
 

" Mi perdoni dunque il lettore se non sono più capace di tornare indietro e se mi sono preclusa così anche la possibilità di formarmi un giudizio sereno sulla ricreazione "
 

L'istruzione civile
 

L'ignoranza impedisce la formazione religiosa del cristiano. Di qui la celebre scelta di don Milani:
 

" ... mi pare di poter dire che la scuola, in questo popolo e in questo momento, non è uno dei tanti metodi possibili, ma mezzo necessario e passaggio obbligato né più né meno di quel che non lo sia la parola per i missionari dell'Istituto Gualandi (istituto di sordomuti - n.d.r.) o la lingua per i missionari in Cina.
Domani invece, quando la scuola avrà riportato alla luce quel volto umano e quella immagine divina che oggi è seppellita sotto secoli di chiusura ermetica, quando saranno miei fratelli non per un rettorico senso di solidarietà umana, ma per una reale comunanza d'interessi e di linguaggio, allora smetterò di far scuola e darò loro solo Dottrina e Sacramenti.
Per ora questa attività direttamente sacerdotale mi e preclusa dall'abisso di dislivello umano e perciò non mi sento parroco che nel far scuola ".
" Non è esagerazione sostenere che l'operaio d'oggi col suo diploma di quinta elementare è in stato di maggior minorazione sociale che non il bracciante analfabeta del 1841 "
" La libertà di stampa è un immenso bene. Ma quando s'è fatto solo la quinta non se ne gode piu in Italia che in Russia. Che meraviglia se il povero non vorrà battersi per ciò che non ha mai goduto? "

L'indirizzo politico
 

Don Milani ha un atteggiamento che si discosta, nel metodo applicato alla sua pastorale, dalle direttive della gerarchia ecclesiastica e dagli altri preti. Mentre tutte le forze dei confratelli erano concentrate sulle organizzazioni cattoliche (ACI, Comitati Civici, DC, CIF, ACLI, ecc. ) a difesa del Governo e della DC, il cappellano esprime contrarietà per ogni genere di associazionismo e concentra le proprie energie solo nella scuola serale e aconfessionale. Nella sua scuola denigra governo e partito cattolico. Proibisce solo ai cattolici, perché contro l'ideologia cristiana, una certa stampa!
Il voto è un dovere di coscienza per i suoi effetti interiori, non si preoccupa di ottenere una "amministrazione e un governo cristiani".
Considera sporca e contro i poveri l' alleanza con i marxisti democratici e con i liberali.
Consiglia di votare solo per i candidati democristiani e di cancellare i nominativi degli alleati, l'unica cosa a cui è interessato è che gli elettori nel votare agiscano da cristiani: " Ai cattolici: voto DC con preferenza ai tre sindacalisti. Ai non cattolici: criteri strettamente classisti "
Negli ultimi tre capitoli: "L'esodo e i suoi preliminari", "Le case", e "Il lavoro" esprime il suo punto di vista sociale, politico e religioso mettendo in risalto il fallimento della pastorale cattolica in un paese che era cristiano ormai solo d'anagrafe.
Dopo aver trattato il fenomeno dello spopolamento della montagna e della campagna, conclude:
"E' con angoscia che vediamo partire i nostri infelici figlioli verso la città dove sappiamo che i metodi di evangelizzazione sono ancora più arretrati che qui e dove la separazione del sacerdote dall'ambiente operaio è totale e lo sarà forse ancora per secoli... Il 99% dei suoi parrocchiani non sa nemmeno il suo nome. "
Sottolinea lo stacco tra la gerarchia e i cristiani:
"Se lo cercano è come si cerca un funzionario. Se per disgrazia non capita loro di averne bisogno le loro vite non si incrociano mai con la sua. Quei pochi che vanno in chiesa lo sentono parlare. Ma che cosa serve sentire delle parole quando non si sa se la bocca che le dice appartenga a una persona viva che vive quello che dice oppure a un anonimo incaricato? Non sono più tempi in cui la gente credeva alla parola solo perché la sentiva infocata e rotta dal pianto. Nessuno si fida più di nulla che non sia vissuto prima che detto.
Ed è giusto. E Gesù stesso ha molto più vissuto che parlato. E molto più insegnato col nascere in una stalla e col morire su una croce che col parlare di povertà e di sacrificio".
 

In Don Lorenzo Milani esisteva sempre "uno spiraglio di consolazione" di tipo provvidenziale:
" Certo Dio che ha guidato gli uomini verso la città non negherà a situazione nuova la grazia di nuovi preti e nuovi metodi. Per ora ci si vede molto buio e non si può assistere a queste partenze senza un brivido...
Una popolazione come la nostra, di cui una parte si dice cristiana pur mostrando, come abbiamo visto, la più assoluta indifferenza per la Grazia e un'altra grossa parte si dice comunista e non è riuscita ancora a esprimere neanche un trasporto civile, è malata innanzi tutto di incoerenza. La città le potrà dunque far bene.
Come il formalismo incoerente dei montanari s'è attenuato qui a S. Donato così sparirà del tutto a contatto del mondo aperto e generoso degli operai cittadini.
Quando le loro menti saranno aperte sarà più facile riparlar loro del Signore.
Da un lato dunque vanno verso la mancanza di sacerdote, dall'altro vanno verso l'apertura interiore.
Guai a chi si rallegra, guai a chi si dispera.
Signore perdonaci per l'occasione che abbiamo sprecata".
 

L'ultima pagina della trattazione si chiude con una visione di sangue: si scatena l'ira dei poveri contro un clero e una Chiesa che non ha capito e soprattutto non ha praticato: la povertà e lo spirito del Vangelo:
 

 

"LETTERA DALL’ OLTRETOMBA"

Riservata e segretissima ai missionari cinesi

 CARI E VENERATI FRATELLI,
VOI CERTO NON Vl SAPRETE CAPACITARE COME PRIMA Dl CADERE NOI NON ABBIAMO MESSA LA SCURE ALLA RADICE DELL' INGIUSTIZIA SOCIALE.
E' STATO L' AMORE DELL "ORDINE" CHE Cl HA ACCECATO.
SULLA SOGLIA DEL DISORDINE ESTREMO MANDIAMO A VOI QUEST'ULTIMA NOSTRA DEBOLE SCUSA SUPPLICANDOVI Dl CREDERE NELLA NOSTRA INVEROSIMILE BUONA FEDE.
(MA SE NON AVETE COME NOI PROVATO A SUCCHIARE COL LATTE ERRORI SECOLARI NON Cl POTRETE CAPIRE).
NON ABBIAMO ODIATO I POVERI COME LA STORIA DIRA' Dl NOI.
ABBIAMO SOLO DORMITO.
E' NEL DORMIVEGLIA CHE ABBIAMO FORNICATO COL LIBERALISMO Dl DE GASPERI, COI CONGRESSI EUCARISTICI Dl FRANCO. Cl PAREVA CHE LA LORO PRUDENZA Cl POTESSE SALVARE.
VEDETE DUNQUE CHE C' E' MANCATA LA PIENA AVVERTENZA E LA DELIBERATA VOLONTA'.
QUANDO Cl SIAMO SVEGLIATI ERA TROPPO TARDI. I POVERI ERANO GIA' PARTITI SENZA Dl NOI.
INVANO AVREMMO BUSSATO ALLA PORTA DELLA SALA DEL CONVITO.
INSEGNANDO AI PICCOLI CATECUMENI BIANCHI LA STORIA DEL LONTANO 2000 NON PARLATE LORO DUNQUE DEL NOSTRO MARTIRIO.
DITE LORO SOLO CHE SIAMO MORTI E CHE NE RINGRAZINO DIO.
TROPPE ESTRANEE CAUSE CON QUELLA DEL CRISTO ABBIAMO MESCOLATO.
ESSERE UCCISI DAI POVERI NON E' UN GLORIOSO MARTIRIO. SAPRA' IL CRISTO RIMEDIARE ALLA NOSTRA INETTITUDINE.
E' LUI CHE HA POSTO NEL CUORE DEI POVERI LA SETE DELLA GIUSTIZIA.
LUI DUNQUE DOVRANNO BEN RITROVARE INSIEME CON LEI QUANDO AVRANNO DISTRUTTO I SUOI TEMPLI, SBUGIARDATI SUOI ASSONNATI SACERDOTI .
A VOI MISSIONARI CINESI FIGLIOLI DEI MARTIRI IL NOSTRO AUGURIO AFFETTUOSO.
UN POVERO SACERDOTE BIANCO
DELLA FINE DEL II° MILLENNIO "
 

 

Il provvedimento contro "Esperienze Pastorali" fu emanato durante il pontificato di Giovanni XXIII, don Lorenzo, in una intervista del 1965, così commenta:
"Giovanni XXIII per prima cosa dette l'autonomia ai vescovi e i1 cardinale Ottaviani condannò il mio libro, però Giovanni XXIII non permise che fosse messo all'Indice perché a lui gli andava molto bene".
Il decreto è del 15 dicembre, ma che la decisione era attesa lo si deduce dalla lettera del 10 ottobre scritta dal Priore di Barbiana al padre domenicano Santilli:
" Mi metto nei suoi panni e capisco la sua preoccupazione e le sono vicino sia per la gratitudine che le devo sia perché so che lei ha qualcosa di caro in pericolo."
Il giovane sacerdote, neofita e convertito, aveva rischiato tutto, lo dice lui stesso, per amore di poche creature:
"Io ci avevo rischiato tutto, non parlo di trasferimenti perché sono già quattro anni che mi hanno trasferito dalle 1200 anime di San Donato a queste 85 anime qui in vetta al Monte Giovi e siccome sto buono e non do noia a nessuno, nessuno, per grazia di Dio, mi potrà più levare di qui, ma parlo del rischio di trovarmi di fronte a una condanna del libro e questa sarebbe una tragedia, non tanto per me, che sono pronto a cedere in tutto, quanto per i miei infelici giovani di San Donato."
Lettera del 7 settembre 1958 ad Arturo Carlo Jemolo
Del resto, questa, era la posizione dell'episcopato del tempo. Nella lettera del 19 dicembre 1958, il card. Ermenegildo Florit scrive a don Milani per avvertirlo del ritiro del libro:
" Molto Rev.do e caro don Milani, da Roma sono stato incaricato di comunicarLe quanto segue:
La S.Sacra Congregazione del S. Offizio ha disposto, dopo aver sottoposto ad accurato esame la sua recente pubblicazione "Esperienze Pastorali" che essa venga ritirata dal commercio". Ho già avvisato l'Editore a mettere ciò in esecuzione.
Quanto sopra potrà recarLe qualche amarezza. Sono tuttavia sicuro che la sua pietà sacerdotale l'aiuterà ad accettare con docilità filiale la disposizione della Santa Sede. Il Signore non mancherà di venirLe incontro con i suoi Lumi e la sua grazia confortatrice.
Augurandole un santo Natale, le invio paterni saluti, benedicendoLa".
Suo rev.mo nel Signore
Ermenegildo Florit Arciv. Coad.
La motivazione del provvedimento, come abbiamo già detto, non fu teologica, ma solo di opportunità politica. Papa Roncalli, pontifice da pochi mesi, non aveva ancora espresso la sua linea pastorale, nella quale, distingueva tra l' "errore" da condannare e l'"errante" con cui dialogare. Le encicliche Mater et magistra e Pacem in terris verranno enunciate alcuni anni dopo. La profonda passione per l'uomo che don Lorenzo aveva lo metteva in contrasto con gli ordinamenti della società e della Chiesa mentre per lui la riforma sociale era un mezzo, uno strumento per elevare l'uomo e renderlo libero, perciò vicino a Dio.
Questa dimensione profonda e impostata sull'elevazione dell'uomo diventa una modalità educativa della scuola popolare di San Donato e di Barbiana al punto che non doveva:
" ... richiedere nemmeno un'adesione preventiva al cattolicesimo, né ai suoi ragazzi né agli ospiti della Scuola popolare".

Gaetano Arfè Pubblico Dibattito
16/17 dicembre 1988 Calenzano
 

Queste riflessioni fanno capire la serie di anacronismi che lo metteranno in contrasto con la mentalità del suo tempo. Il libro pur inquadrato e collocato storicamente dovrebbe essere, dalla Chiesa di oggi, restituito a quella dignità che deve a don Milani per averla così ben servita.