Ernesto Rossi, Abolire la miseria, Laterza, 2002

Il realista che voleva abolire la miseria

di Corrado Stajano (corriere.it)


Questo libro di Ernesto Rossi, Abolire la miseria , che è uscito ora da Laterza (pagine 239, euro 15), ha avuto una vita complicata. Fu scritto al confino di Ventotene dove Ernesto Rossi era arrivato nel 1939 dopo quasi dieci anni di carcere. In quello stesso periodo lavorava nell’isola, con Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, al «Manifesto di Ventotene», il documento del federalismo democratico. Abolire la m iseria fu pubblicato nel 1946, ma - scrisse poi il suo autore - «risultò stampato così male e su carta tanto brutta che mi vergognavo anche di mandarlo in omaggio; preferii, perciò, ritirarlo dalla circolazione e passare al macero quasi tutte le copie». Ernesto Rossi aveva in mente di rimettere le mani in quel libro che gli stava a cuore, di «tener conto degli studi comparsi negli ultimi anni e delle esperienze compiute, nei Paesi del mondo capitalistico, dopo la Seconda guerra mondiale». Non fece quel che si riprometteva, lavorò febbrilmente fino alla morte, nel 1967, doveva colmare tutti quegli anni passati nelle prigioni fasciste. Scrisse le sue famose Lettere scarlatte sul «Mondo» di Mario Pannunzio, il giornale amato, scrisse molte delle sue opere giacobine, Settimo: non rubare , Lo stato industriale, Il malgoverno, I padroni del vapore, Aria fritta, Borse e borsaioli, Elettricità senza baroni , nella collana inventata nel 1951 da Vito Laterza, i «Libri del tempo» (Jemolo, Calamandrei, Salvemini, Peretti Griva, Antonio Cederna, Danilo Dolci) che segnano con intelligenza e coraggio la presenza polemica di un’Italia civile che esprime un possibile modello di cultura delle riforme in un cupo momento di restaurazione politica.
Abolire la miseria uscì da Laterza nel 1977 presentato da Paolo Sylos Labini che di Ernesto Rossi era stato a lungo amico e che aveva avuto in comune con lui uno dei maestri, Gaetano Salvemini. Ora lo ripresenta con un’introduzione rivista e aggiornata. Il libro è ancora oggi ricco di stimoli e di vitalità. Come scrive Sylos Labini, Abolire la miseria «considera problemi tuttora largamente e appassionatamente discussi: il problema della miseria, il problema della crisi finanziaria dello stato assistenziale, i rapporti tra riforma della scuola e prospettive dell’occupazione».
Ernesto Rossi era soprattutto un economista. Luigi Einaudi lo considerava come il suo migliore allievo, Piero Sraffa ne aveva grande stima. Per Ernesto Rossi economia, politiche economiche e problemi politici si fondevano tra loro: «Ogni forza economica è sempre anche una forza politica», sosteneva. Ma non confondeva saperi e comportamenti, fu uno studioso rigoroso. I suoi scritti, secondo Sylos Labini possono essere raggruppati in cinque distinte categorie: gli scritti sulla finanza pubblica e sul mercato del lavoro; gli scritti critici delle costituzioni economiche; gli scritti sulla federazione europea; gli scritti sul fascismo; gli scritti sulle «partite passive che abbiamo ereditato dal regime» e sui problemi dell’attualità.
Se si volesse sintetizzare lo spirito che anima l’opera di Ernesto Rossi economista bisognerebbe prendere a prestito l’espressione che usa in uno dei suoi scritti ( Critica al capitalismo ): «La libera concorrenza non porta necessariamente a un massimo di benessere economico. Le critiche al capitalismo non significano giudizio favorevole al comunismo».
Ernesto Rossi è un liberale («in opposizione alla parola "servile"»), è anticomunista, ma sente viva la questione sociale e lo si capisce assai bene dalle pagine di Abolire la miseria . È un positivista, un anticlericale, un anticrociano, un europeista convinto. In una sua lettera, del 1966, a Gennaro Barbarisi - la si può leggere nella biografia di Giuseppe Fiori, Una storia italiana , (Einaudi, 1977) - fa il conto delle persone che nella vita sono state per lui il «sale della terra»: con Salvemini, tra gli altri, i Rosselli, Gobetti, Giovanni Amendola, Parri, Bauer, Tarchiani, De Viti De Marco, Einaudi, Augusto Monti, Spinelli, Colorni, Calamandrei, Enriques Agnoletti, Giorgio Agosti, Galante Garrone, Garosci, Franco Venturi, Vittorio Foa.
Con Foa, Massimo Mila e Riccardo Bauer - tutti di «Giustizia e libertà» - Ernesto Rossi passò anni nella stessa cella a Regina Coeli. Racconta Foa nel suo Lettera dalla giovinezza (Einaudi, 1998) che Ernesto è un capo naturale, che non dà tregua nelle letture dell’università carceraria. È un uomo ironico, un burlone, anche, disegna pupazzetti tremendi. Legge con lui testi di economia e di finanza, leggono tutti insieme libri di storia, di filosofia, di letteratura, con grandi litigi sul Croce rifiutato da Ernesto, venerato dagli altri tre.
Ernesto Rossi è un realista, ma è anche un utopista: per correggere il suo pessimismo. Abolire la miseria è un testo certamente invecchiato, ma di grande interesse perché resta un modello del pensiero riformista. Ernesto Rossi è estremamente razionale nell’informare, criticare, discutere. Non è mai noioso, è in costante contraddizione, anche con se stesso. I suoi capitoli sulla carità privata e sulla carità legale, sulle assicurazioni sociali, sul diritto al lavoro, sui servizi pubblici sono ancora attuali.
Che cosa sarebbe oggi Ernesto Rossi? Domanda illegittima, ma stuzzicante. Scrive Paolo Sylos Labini nella sua introduzione ricca di passione: «Le battaglie di Ernesto erano già contro quella che poi è stata chiamata Tangentopoli: Tangentopoli l’aveva individuata lui molti anni prima. Quanto vorrei poter leggere quello che Rossi scriverebbe adesso nei riguardi di Berlusconi liberista!»