Esperanto
di Camillo Levi
Se si dovesse giudicare solo in base alla sua
diffusione, cioè al suo successo "di massa", certo il giudizio
sull'esperanto non potrebbe essere molto lusinghiero. A quasi un secolo
dalla sua "creazione" ad opera del polacco Zamenhof, la grande maggioranza
della gente non ne conosce nemmeno l'esistenza e pochissimi se ne sono
interessati al punto di studiarlo e di cercare di utilizzarlo. E anche se il
giudizio dovesse basarsi sulla "composizione" ideologica e professionale
degli esperantisti in genere, non ci sarebbero conclusioni molto positive da
trarre: da questo punto di vista, così come nella sua struttura linguistica,
l'esperanto è una lingua neutra. Basterebbe citare in proposito il
(relativo) successo che ha incontrato in ambienti ecclesiastici (anche
Wojtyla è un esperantista!) e in altri settori tutt'altro che progressisti.
Eppure vi è più di una ragione per occuparsi dell'esperanto, vincendo
quello scetticismo (che è anche nostro, della redazione) dovuto in parte
anche all'ignoranza e al pregiudizio. Se è vero, per esempio, che in genere
il movimento esperantista è amorfo ed incolore, dedito esclusivamente alla
promozione del suo particolare strumento linguistico, non bisogna scordare
che vi è sempre stata (da quasi 70 anni) una corrente di sinistra che ha
posto l'accento sulla matrice cosmopolita, internazionalista e
anti-bellicista dell'esperanto, considerandolo uno degli strumenti
per l'emancipazione sociale dell'umanità. Organizzativamente questa tendenza
si è riconosciuta grosso modo nella Sennacieca Asocio Tutmonda (S.A.T.
- associazione mondiale a/nazionale), creata a Praga nel '21 su basi
razionaliste e socialistiche, in netto contrasto con il neutralismo "cieco"
dell'esperantismo "ufficiale". In seno al movimento anarchico, l'esperanto
poi ha sempre trovato dei ferventi sostenitori, propagandisti e
utilizzatori: se in alcuni paesi (come l'Italia) sono sempre stati
proporzionalmente pochissimi (anche se conosciuti, come Malatesta), altrove
invece si è abbastanza diffuso negli ambienti anarchici: è il caso del
Giappone, di vari paesi del Centro e Nord Europa, ecc. Dell'esperanto si è
discusso in congressi anarchici "celebri", come quello dell'Unione Anarchica
Italiana a Bologna nel luglio '20 (in pieno "biennio rosso") e in quello
della C.N.T. a Saragozza nel '36 (alla vigilia della rivoluzione sociale
spagnola): una lunga relazione sull'esperanto, proprio in vista del
congresso di Bologna, fu pubblicata con ampio risalto sul quotidiano
Umanità Nova. Ancora oggi gli esperantisti libertari hanno un loro
periodico, Liberecano Ligilo, oltre ad un certo numero di classici
dell'anarchismo tradotti in esperanto.
Ma ciò che maggiormente merita di esser conosciuta è la storia delle
persecuzioni che gli Stati in tutto il mondo hanno scatenato in diverse aree
e in diverse epoche contro gli esperantisti: sono pagine sconosciute, che
testimoniano della brutalità del Potere di fronte ad un'idea e ad un
progetto che, pur modesti, vengono percepiti come antagonisti proprio per il
loro carattere internazionalista. Già nel 1905 un quotidiano tedesco
classificava l'esperanto come "lingua internazionale degli anarchici"; ma in
quegli anni era soprattutto il regime zarista a tentare di ostacolare in
tutti i modi l'uso e la propaganda dell'esperanto in Russia. Nonostante
l'obiettiva facilità della lingua, il regime impiegò degli anni per farla
apprendere bene ai suoi funzionari addetti alla censura - e nel frattempo
vietò qualsiasi pubblicazione in esperanto. Circondato dalla fama di lingua
dei "massoni" e di strumento utilizzato dal nemico per comunicazioni "in
codice", in pratica fu vietato per anni: un capo di polizia russo nel 1911
ordinò che venissero distrutti dei manifesti in esperanto con la motivazione
(tutta sbirresca nella sua comicità) "perché gli abitanti non li capiscono".
Alle ambasciate russe all'estero fu trasmesso l'ordine di indagare
sull'attività della Liberiga Stelo (antesignana della S.A.T.), il
cui programma aveva entusiasmato molti rivoluzionari russi allo studio
dell'esperanto.
Pur ostacolato dai governi e anche dai partiti sedicenti della classe
operaia (i socialisti olandesi lo definirono "un pericoloso giochetto", i
socialdemocratici tedeschi "una stupidaggine borghese"), il movimento
esperantista non subì persecuzioni fisiche sistematiche fino all'avvento al
potere di Hitler. Già nel '25 il führer aveva scritto nel suo "Mein Kampf":
finché l'Ebreo non sarà diventato padrone degli altri popoli dovrà, volente
o nolente, parlare la loro lingua, ma appena essi fossero i suoi servi
dovrebbero tutti imparare una lingua universale (ad esempio l'esperanto!),
così che anche con questo mezzo gli ebrei potrebbero governarli più
facilmente! Nel '36, infatti, tutte le associazioni che si occupavano
della lingua internazionale (ufficialmente classificata come "lingua di
ebrei e comunisti") vennero sciolte in tutti i paesi successivamente annessi
o occupati dalle truppe naziste l'esperanto fu messo al bando, gli
esperantisti rinchiusi nei campi di concentramento.
Persecuzioni, condanne, torture, vessazioni di ogni tipo
caratterizzarono la difficile sopravvivenza degli esperantisti negli anni
'30 in Cina, in Giappone e soprattutto nell'U.R.S.S. stalinista. Qui il
regime non rinunciò mai, in proprio, al saltuario utilizzo dell'esperanto,
come quando nel '37 pubblicò anche in esperanto la Costituzione del '36 ed
alcune opere di Stalin. Ma, al di fuori di questo uso strumentale a fini
propagandistici di regime, lo vietò, ne perseguitò i cultori, ne fece
fucilare o eliminare in altro modo moltissimi. Dati precisi non se ne sono
mai potuti avere, ma - dati i tempi e quel poco che si sa delle immani
purghe staliniane - non è difficile immaginare che sorte sia toccata a tutti
coloro che venivano sospettati di avere a che fare con quella "lingua delle
spie" come veniva presentato l'esperanto. Da alcuni documenti ufficiali,
risulta che gli esperantisti ed i filatelisti erano accomunati nell'elenco
delle persone da eliminare nella Grande Purga del '37. Negli ultimi decenni,
anche l'esperanto è stato riabilitato in U.R.S.S., ma solo nell'ambito di un
associazionismo controllato dallo Stato e dal Partito: tutto il resto - come
sempre per i dirigenti del "socialismo reale" - viene dal maligno.
Queste poche informazioni storiche sul vero e proprio calvario imposto
dal potere agli esperantisti, ed in particolare ai suoi settori
progressisti, aprono uno squarcio nel velo del silenzio che ha contribuito a
relegare l'esperanto in un cantuccio, tra i giocattoli oziosi ed inutili.
Evidentemente anche l'esperanto può essere un mezzo efficace per
avvicinare, se non i popoli (il che può essere al massimo un obiettivo
"utopistico"), almeno quelle persone, quei militanti che sentono la
necessità di mantenere relazioni dirette con persone di varie nazionalità -
senza dover per questo mettersi a studiare (ammesso che se ne abbia la
possibilità) più lingue straniere. In questo senso, l'esperanto è già oggi
uno strumento usato su discreta scala nelle sue zone "primarie" (Estremo
Oriente, Nord Europa) e in piccola misura anche altrove: complessivamente,
circa 10 milioni di persone in tutto il mondo parlano e scrivono anche
in esperanto.
Alla classica obiezione che sarebbe assurdo quanto impossibile anche
solo pensare di "imporre" alla gente di parlare una lingua artificiale, gli
esperantisti libertari replicano che l'esperanto dovrebbe essere la
seconda lingua per ciascun popolo, quella "internazionale" appunto. E al
contempo insistono sulla necessità di salvare e sviluppare tutte le lingue
"locali" (spesso retrocesse e degradate a "dialetti"), in contrasto con le
lingue artificiosamente imposte come nazionali (come l'italiano, per
esempio, imposto ai sardi, ai siciliani, ai ladini e alle altre "minoranze
linguistiche") e con quelle imperialisticamente dominanti sulla scena
mondiale (in primo luogo, l'inglese). Il discorso sull'esperanto, dunque, ne
implica necessariamente altri che - in quanto anarchici - ci interessano
direttamente. Ecco perché, nonostante il nostro stesso scetticismo iniziale
(nessuno della redazione è esperantista), pensiamo utile affrontare anche
questo argomento.
Il materiale-base per questo
servizio è stato curato da Franco Melandri e Luigi Tadolini, che
ringraziamo e con i quali ci scusiamo per i prezzi che, pur
interessanti, siamo stati costretti a lasciar fuori per le solite
ragioni di spazio.
Per ulteriori informazioni su tutto quanto concerne l'esperanto ci si può rivolgere alla Federazione Esperantista Italiana con sede a Milano, via Villoresi 38. Il periodico libertario in esperanto Liberecano Ligilo ("L'adunata dei libertari") può essere richiesto direttamente alla redazione, al seguente indirizzo: Cor Bruins, W.B. Tamarinde, Herensingel T/O IIA, Lieden, Olanda. Un numero speciale, tutto in esperanto, è stato pubblicato lo scorso anno dalla redazione del periodico anarchico La questione sociale (casella postale 358, 47100 Forlì): alcuni componenti di quel collettivo redazionale sono infatti convinti esperantisti ed anche a loro, quindi, ci si può rivolgere per informazioni e contatti. |