Amour Anarchie
di Mauro Macario

 

da Rivista Anarchica on line

Si è tenuto in giugno a San Benedetto del Tronto l'annuale Festival dedicato a Léo Ferré. E ai suoi amici ribelli.

Un festival in Italia dedicato a un cantante anarchico? No, non è possibile. L'Opus Dei non lo permetterebbe e poi quest'anno è anche il Giubileo, cosa vuoi fare il Giubi-Léo Ferré? Di che nazionalità è? Francese? Figurati, un leader carismatico non può essere che americano e fare il rock! Come dici? La canzone di Saint Germain del dopoguerra? Ma è preistoria, amico mio! Georges Brassens, Jacques Brel, Boris Vian, Jean Roger Caussimon, che fanno questi, la techno, il rap, la disco? Chi, Ferré? Ah, si, lo stilista!
Si, ma lo stilista dell'utopia, il grafico della rivolta, l'impressionista della rivendicazione, il rimarginatore del sogno lacerato, l'accordatore delle armonie impossibili.
Proprio nel nostro paese, tra premi di poesia retti dalla mafietta cattolica e festival baudeschi di canzonette misogine nazional-popolari, un piccolo grande uomo che si chiama Giuseppe Gennari, è riuscito a creare dal nulla l'unico festival di altissimo valore qualitativo intitolandolo al grande poeta, interprete, compositore, romanziere libertario, scomparso il 14 luglio del 1993. Dopo dieci anni di devota amicizia, gli scrissi una poesia di cui un passaggio dice: Chi sotterra un anarchico/dissotterra un'ascia di guerra/miserere Bakunin/il canto del gufo/addensa le nuvole nere/in un cielo bandiera/che promette tempesta/e così sia/.
Quel prof. di letteratura francese,

Giuseppe Gennari, già amico di Ferré, lo portò a San Benedetto del Tronto per due recital datati '87 e '90.
Nel primo cantò i poeti da lui musicati: Baudelaire, Villon, Rimbaud, Verlaine, Apollinaire, Pavese, Aragon, Rutebeuf, Angiolieri. Nel socondo presentò il suo repertorio libertario: "Franco la Muerte", "Madame la Misère", "Allende", "Ni Dieu ni Maitre", "Y en a marre", "Les Anarchistes", "Thank you, Satan". Nel 1994, a circa un anno della sua morte, Gennari ideò una serata protofestival denominata "Mémorial Léo Ferré" dove Enrico Medail ed io, tra canzoni poetiche, tenemmo il primo omaggio italiano all'artista. Nella stessa sera venne presentato il romanzo di Léo "Benoît Misère" edito da Maroni e mirabilmente tradotto da Gennari, e la mia piccola antologia di testi voluti dalla casa editrice Elèuthera "Léo Ferré, il cantore dell'immaginario". Il recital fu tenuto alla Sala Consiliare, ricca di presenza studentesca, mentre i versi di Léo incendiavano di rabbia e di nostalgia gli animi orfani del maestro e del compagno.

"Quando del Capitale che si prende per Marx
Non si parlerà più se non per onore di firma
Quando il Papa prenderà i vescovi per la mitra
E gli dirà: "Latino? Porno o no, io tasso!

( da "Allende" )

"Hanno votato... e dopo?
È un paese che mi fa vomitare
Ma nemmeno ci si può fare inglese
O svizzero o coglione oppure insetto
Ovunque sono confederati
Bisogna vederli a tele-urna
Questi vespasiani elettorali
Con i loro bolletini in saccoccia
E il disprezzo su un manifestino"

(da "Hanno votato")

"So di assassini che sono in stato d'arresto
E che sono belli come gli stronzi che vanno a votare
Degli assassini assassinati e la loro maniera
Di non voler mai crepare come sono crepati i miei fratelli Comunardi
e lo dico ad alta voce:
BISOGNA DECOSTITUZIONALIZZARE
il fottere
E portare la scomodità cucita sotto la pelle
A quei borghesi che, oltretutto, si permettono di godere!

(da "La violenza e la noia")

Laddove istituzioni pubbliche, ricche e potenti, che hanno le loro sedi nelle città più "ascoltate" del paese, non hanno avallato iniziative culturali atte a salvare il patrimonio umanistico di un novecento "contro" a causa di accademici bolsi e reazionari, ci è riuscito Giuseppe Gennari, un uomo senza potere se non quello della passione, del sogno e della poesia, dimostrando come l'utopia -qualunque utopia- possa sposarsi con la realtà del gesto stirneriano.
Così il 18 e 19 maggio dell'anno successivo, grazie all'amministrazione comunale e altri enti, nasce ufficialmente il Festival Ferré e non solo ma anche il Centro Léo Ferré per la ricerca e la documentazione sulla poesia e sulla canzone francese.
In scena, due cantanti, due donne, dal talento straordinario: la belga Ann Gaytan e la francesina Catherine Boulanger. Due personalità contrapposte: la Gaytan è tellurica e snoda il pentagramma come una valanga che tutto travolge ripercorrendo gli stessi tumulti tempestosi dell'autore con interpretazioni aggressive e colleriche, la Boulanger è l'altra anima di Léo, il versante più delicato, più intimista, più interiore. Il versante della tenerezza infinita ben espresso con la sua stupenda canzone "Pour Léo".
Anche la Gaytan, autrice, propone un "Thank you Ferré" particolarmente coinvolgente ed emozionante. Terminerà con l'ultima creazione di Léo: "Vous savez qui je suis maintenant?".
Nel '96 il II° festival Ferré, propone una cantante del Canada francese, Renée Claude, nel suo recital "On a marché sur l'amour", al pianoforte Philippe Noireaut. L'interprete ripercorre l'opera centrale di Ferré con accenti misteriosi, notturni, talvolta un po' glaciali, ma tecnicamente alti e impeccabili.

"Inanzitutto le lavanderie automatiche, agli angoli delle strade sono imperturbabili così come il rosso o il verde dei semafori.
I poliziotti del detersivo vi indicheranno dove vi sarà possibile lavare ciò che voi credete sia la vostra coscienza e che non è altro che una succursale di quel fascio di nervi che vi serve da cervello. E pertanto... la solitudine...

(da "La solitudine")

"La sigaretta di prammatica
Accesa all'alba democratica
Con il rimorso del custode
Mentre il terrore vi corrode
Di questo prete il ministero
E la pietà che sta al balcone
E il cliente che non ha
Né Dio né padrone"

(da "Né Dio Né Padrone")

"Insieme ai nostri dolori
Potete preparare le vostre lacrime
Un giorno faremo il nostro pane
Con le nostre armi nelle madie
Ora basta!

(da "Ora basta!")

Carne e sangue

"L'originalità della scrittura poetica e musicale di Léo Ferré è esaltata da un tipo di interpretazione vocale che la arricchisce di un'altra originalità miracolosa: la sua è la sola voce al mondo che al momento del canto partecipi ancora così intensamente all'istante della scrittura, tanto da dare l'impressione che egli non canti qualcosa che ha scritto, ma qualcosa che scrive ogni volta che canta. E il miracolo è questo: Léo scrive - non riscrive - anche ciò che ha scrito".
Con queste parole Gennari apre il programa del Festival '97, il terzo. Diviso in due serate, la prima è denominata "FerréRock", la seconda "FerréJazz". A Mama Bea Tekielski tocca rivisitare Ferré in chiave rock che non è la dimensione del maestro, ai Têtes De Bois invece la responsabilità di jazzare con rispetto e riconoscibilità le musiche originali.
Ma neanche il jazz è la dimensione del maestro. La vera sorpresa che restituisce profonda verità e commozione all'identità dell'estetica ferreiana è Lucio Matricardi, quasi un ragazzino, che a tutt'oggi è il più grande interprete di Ferré in Europa, come la Gaytan, tra le donne pùo essere annoverata la più vicina all'interiorità dell'autore.
"Le canzoni di Léo Ferré sono di carne e di sangue: nel passaggio dalla vita all'arte non si è perso il fremito dell'esistenza, non c'è stato quel processo di disidratazione della vita che dà ai comuni prodotti artistici il sapore smorto di un liofilizzato". È ancora Gennari che in questo modo apre il IV festival Ferré e gli fa da controcanto Guido Armellini, già traduttore de "La musica mi prende come l'amore" secondo album di Léo in italiano (in questi giorni è uscito il terzo). Fin dagli inizi, anarchia e poesia sono per Ferré un'unica cosa. Nelle sue canzoni il ricordo dell'89, dei fratelli "comunardi" degli anarchici spagnoli, l'evocazione della "rivoluzione" del maggio '68, vanno di pari passo con un amore, viscerale fino all'autoidentificazione per i poeti "maledetti", da Rutebeuf a Verlaine a Rimbaud, che gli tramandano una concezione fatale, mitica, della contrapposizione tra artista e società, qualcosa che ha a che vedere con l'orecchio mozzato di Van Gogh, con la sordità di Beethoven, col tumore di Ravel..."
Ed è ancora il Marche Jazz Orchestra di Bruno Tommaso a incantare per il livello raffinato e l'esecuzione straordinaria dei suoi componenti, ma Ferré è il mondo degli archi e delle armonie e nel jazz viene dissolto come negli acidi.
Il gruppo giovanile "Statale 16" eseguone "Né Dio né padrone", "Col Tempo", "Thank you Satan", "I pop".

"Col tempo sai
Col tempo tutto se ne va
Ogni cosa appassisce
Io mi scopro a frugare
In vetrine di morte
Quando il sabato sera
La tenerezza
Rimane senza
Compagnia"

(da "Col tempo")

"Per il curato che l'agnello
Perduto attende a braccia tese
Per il vinello da due soldi
Che prende per champagne francese
E per l'anarchico a cui dai
Del tuo blasone i due colori
Rosso per nascere in Spagna
E nero per morire fuori
Thank you Satan"

(da "Thank you Satan")

 

Torna nella seconda serata il fantastico Lucio Matricardi che apre il concerto di Moustaki, leggendario cantautore di cui si legge nel programma: "L'inizio del successo coincide con il maggio '68 ed alcune sue canzoni diventano il simbolo della contestazione giovanile: "Ma liberté," "Le temps de vivre", e soprattutto "Le métèque" che rimane tuttora il suo biglietto da visita. Joan Baez ed Ennio Morricone gli chiedono la traduzione in francese della "Ballata di Sacco e Vanzetti".
Incomincia a girare il mondo ed interessanti incontri ne ispirano la creatività: Piazzolla in Argentina, Theodorakis in Grecia, Jobim e Vinicius de Moraes in Brasile, Paco Ibañez in Spagna . Per l'omaggio a Ferré sceglierà tra: "Paris Canaille", "La chambre", "Pauvre Rutebeuf", "Le parvenu", "Monsieur William", "Les amoreux du Havre", "Graine d'ananar".

Juliette, Paco e ...

L'edizione del '99 è allargata a Brassens e Brel e porta sulle scene di San Benedetto del Tronto, al teatro Calabresi, due giganti della canzone francese e spagnola: Juliette Gréco e Paco Ibañez.
Così Gennari si rivolge a lei: "Non eri ancora ventenne in quegli anni del dopoguerra quando Parigi la bella, morsa dai lupi, curava a baci le recenti ferite. L'hai aiutata a rialzare la testa con la tua carica di libertà insolente. Al tuo fianco, una brigata di cervelli acuti e strambi ti aveva incoronata Musa dei loro estusiasmi "outrés". Da allora, di male in fiore, di fiore in male, la tua magia vocale di tramutare le parole in pietre preziose è diventata patrimonio artistico "off limits" alla volgarità."
E di Paco Ibañez così dice: "Paco Ibañez è venuto a S. Benedetto per amicizia spontanea, per onorare Ferré, per cantare Brassens e la grande poesia, per sventolare come sempre la bandiera della libertà contro ogni forma di schiavitù appariscente o arcana, contro la stupidità della violenza armata che nega la ragione e rivela le pericolose velleità della debolezza irata. Tutto in lui dice la stessa verità in una duplice faccia: la violenza è il contrario della forza, chi è forte non è violento mai. Riflettere sulla sua Arte di cantare i poeti è anche riflettere su questo messaggio d'amore di cui Ibañez è portabandiera."
Si giunge così al Festival Ferré 2000, 1-2 giugno di quest'anno. Ho avuto il privilegio di presentarlo e di recitare brani del maestro accompagnato al pianoforte da Lucio Matricardi. Molti artisti sono sfilati sul palcoscenico del teatro Calabresi, italiani, francesi, e giapponesi.
Ricorderò Alessio Lega, giovane e impetuoso cantautore anarchico, gia autore di una bellissima ballata dedicata a Fabrizio de André "Il funerale del pirata" eseguita per la prima volta a Genova alla Sala chiamata del porto in occasione di un omaggio al grande poeta ligure. Ricorderò i "Chantango", gruppo veneto che abbina alla canzone francese l'atmosfera dei tanghi argentini con un risultato suggestivo di grande originalità veicolati dalla stupenda voce di Gianluigi Cavaliere. Ricorderò il nipote del grande Serge Reggiani, Nicolas, che ha interpretato Ferré, Aragon, Prevert.
Sorpresa d'eccezione: Celine Caussimon, figlia di Jean Roger, amico e collaboratore di Ferré per una vita intera e che ha creato insieme a lui pezzi incantevoli e indimenticabili come "Monsieur William", "Les loubards", "Comme a Ostende", "Le temps du tango". Perla della serata, la poetessa e cantante giapponese Keico Wakabayashi che ha tradotto nella sua lingua Baudelaire, Verlaine e Rimbaud sempre con la musica di Ferré. Operazione translitterale che ha confermato l'universalità di Ferré anche in quelle culture e quelle forme liguistiche apparentemente lontane e impossibili per noi europei. Joan Pau Verdier ha cantato in occitano, l'antica lingua provenzale, testi e musiche di Ferré, creando strane suggestioni dal sapore medioevale. Enzo Nardi, cantautore maceratese, ha riproposto brani di Ferré, Ferrat, Brassens, con assciutto intimismo e fedeltà alla causa della cultura musicale francese. Francesco Tranquilli, attore, regista e traduttore, ha cantato Brel e Ferré con grande intensità, sopratutto "L'opera du ciel" un testo di Léo che non veniva eseguito dal 1941! Infine, il buon Matricardi ha toccato ancora una volta il diapason più viscerale della poesia di Ferré con vibranti interpretazioni che lo confermano la vera scoperta di tutti i festival Ferré.
All'apertura della prima serata mi sono concesso alcune parole d'ingresso: "La chiglia alata del Festival Ferré solca le acque temibili e torbide del terzo millennio, mi piace pensare a questo teatro come una grande arca non istituzionale, non di biblica propaganda, ma simile al "bateau ivre" di Rimbaud dove Léo Ferré Noé imbarca il suo equipaggio speciale di speciali sognatori: poeti, musicisti, ribelli, anarchici, oppressi, per traghettarli non solo nel 2000 - data opinabile- ma verso il 10.000 sua data emblematica e simbolica quando "riavremo tutto" per diritto di rappresaglia. Quest'anno, su questo "bateau ivre" sale anche un grande poeta libertario italiano, Fabrizio De André che avremmo lasciato volentieri sulla riva insieme a noi. Fabrizio verrà ricordato con alcune sue canzoni interpretate da una bravissima cantautrice torinese che si chiama Lalli, dotata di una voce bellissima e inquietante. Questo "bateau ivre" di persone "contro" non verrà mai affondato perché la poesia è una vela nera."

Mauro Macario

"Hanno bandiere nere
Sulla loro speranza
E la malinconia
Per compagna di danza
Coltelli per tagliare
Il pane dell'Amicizia
E del sangue pulito
Per lavar la sporcizia
Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
Stretti l'uno con l'altro e se in loro non credi
Li puoi sbattere in terra ma sono sempre in piedi
Sono gli anarchici

(da "Gli anarchici")

 

Le poesie di Léo Ferré sono state tradotte da Cesare Medail