Interviste a cura di STEFANO FABBRI

Le interviste sono state il punto focale di tutto il lavoro, anche se poi mi hanno dato la possibilità di fare finalmente un discorso sul "beat", che da tempo cercavo. Non tutte appaiono su "A", perché altre, realizzate insieme ai compagni del gruppo "Malatesta" di Roma, usciranno sulla loro rivista, di prossima pubblicazione, che avrà nome Bounty, l'ammutinamento del pensiero. Saranno conversazioni con Allen Ginsberg, con la Pivano e con Peter Orlovsky, oltre che con Ferlinghetti. Domande sulla poesia, su "i poeti e lo stato", sulle prospettive dell'anarchismo. Lo stato è la negazione dell'individuo, della libertà in genere, e come tale assolutamente nocivo per la società. Come poeta non posso che essere sfavorevole allo stato: queste le parole di Ferlinghetti; mentre la Pivano ci ha illustrato le sue convinzioni circa la possibilità di svilupparsi e propagarsi che oggi hanno le idee libertarie e il nostro movimento, oltre che le sue concezioni personali.
Orlovsky invece ci ha mostrato più che altro il suo interesse... per gli alberi di noci, la coltivazione dei quali pare assorba buona parte della sua esistenza. Naturalmente, invece, e chi avrà già letto il mio articolo se lo potrà immaginare, quando il discorso ha toccato, com'era inevitabile, la "beat generation", sono sortite alcune polemiche.
È della Pivano la definizione negativa di Timoty Leary, peraltro da me condivisa in pieno, su riportata. Secondo lei nel discorso di massa propagato dai "beats" (continuare ad usare questo termine comincia a diventarmi scomodo), non sono avvertibili, fra l'altro, criticabili "ingenuità politiche", bensì semplicemente i sintomi ed i risultati di una grande "illusione politica" alla quale tutti (lei compresa) credevano: l'illusione di poter trasformare il mondo tramite il linguaggio e la sua spettacolarità, ed il comportamento.
Fra le interviste invece qua riportate, significative quella con Ted Joans, dove pur fra tentennamenti registrati in seguito a domande "impegnative" come quella sul ruolo della tecnoburocrazia nei paesi africani, vi sono affermazioni che raggiungono a sprazzi, intuitivamente, una consistenza libertaria. Molto interessante, a mio avviso, è la parte dedicata alla musica ed alla cultura afroamericana, che ne tocca, purtroppo, appena l'orizzonte, ma quel tanto che basta per far riflettere.
Questo nonostante rimanga il pericolo che certe cose, di fondamentale importanza, possano dispersi nell'ambiente culturale "off", o in quella via scadente all'integrazione in concezioni "progressiste-riformatrici", che trovano il loro ambito sia nella società "moderna occidentale", che in quelle "progressiste" appunto, "socialiste" del terzo mondo "in evoluzione".
Più "culturale", vago e "complesso", il colloquio con Fried, ricco, anche se venato di un certo "legalitarismo".
La parte dedicata al "sovietico" resta invece cosa a sé. Tutto risente della "battaglia", che si è svolta a colpi di risposte elusive, occhiatacce e risentimenti reciproci. Lodevole il suo tentativo di apparire "puro e indignato" di fronte ad affermazioni ormai impossibili da smentire, cosa dovuta più che altro alla folta presenza di "pubblico", nell'astanteria dell'albergo, che ha presenziato al dibattito ed è spesso intervenuto.
Alcune domande, soprattutto all'inizio, che possono apparire blande e con poco mordente, sono dovute alla necessità di non fare arroventare troppo l'atmosfera. A questo proposito, pur ritenendolo superfluo, chiarisco che, quando lo abbiamo avvicinato, non conosceva la nostra "identità" di anarchici, e che non è stato facile introdurre il discorso in modo tale da evitare che venisse troncato in partenza (non si contano i tentativi di "rimandare" tutto all'indomani). Per quanto riguarda il contenuto, che appare scontato, lo ripropongo qui, perché simili esempi di "conformismo al potere" sono sempre carichi di spunti interessanti e sono anche capaci di far divertire, soprattutto se si è in vena di ricercare forme di "macabra" ironia. È infatti evidente come le risposte si commentino da sé.
Ad ogni modo risolleverà sapere che il "poeta" in questione è stato abbondantemente fischiato (oltre che fatto bersaglio di rifiuti) il secondo giorno del festival; un festival che, nel nome della poesia, giustificava anche la presenza di simili individui.

Marxista nel senso dei fratelli

Intervista con Ted Joans

Visto che siamo ad un raduno di poeti, dove predominante è la presenza della "Beat cultura" e dei suoi esponenti, e visto che tu insieme a Leroy Jones rappresenti la cultura afroamericana, ti voglio chiedere una opinione circa il ladrocinio operato dalla cultura bianca nei confronti di quella dei neri d'America, soprattutto in considerazione del fatto che in larga misura i cosidetti "Pop, Country, Beat" ecc. hanno attinto a piene mani, stravolgendone il significato, dagli schemi e dalle idee del blues, musica di chiara matrice afroamericana, proseguendo in questo un'opera di mistificazione cominciata sin dagli albori del Jazz, da numerosi musicisti bianchi senza scrupoli che firmavano col loro nome pezzi scritti invece da neri e che si arricchivano poi a loro spese sfruttando l'ostracismo della società razzista nei confronti della gente di colore, e che venivano coadiuvati in questo da "critici" anch'essi bianchi, che, o si arrogavano il diritto di pontificare su quale fosse la "vera" musica jazz, la più primitiva, spontanea, ecc., secondo la loro visione del buon nero, "buon primitivo", e così via, oppure arrivano persino a dire che il "vero" jazz era esclusivamente quello fatto dai bianchi, col chiaro intento di fare di questo un'appendice "bizzarra" della musica classica europea.

Sì, è vero che ci hanno rubato le nostre matrici culturali, ed è appunto un'operazione che dura molto. Per quanto riguarda il "Pop", ritengo che sia funzionale al potere. La maggior parte di quelli che vanno a sentire i concerti "pop", si imbottiscono di droghe in modo sconclusionato, ed aiutati dagli impianti di amplificazione assordanti, raggiungono uno stato di ebete evasione. Non che io abbia qualcosa contro il fumo, ma ormai la diffusione delle droghe pesanti è enorme. Eppoi qui parliamo di un contesto in cui ogni cosa ne esce degradata.
L'impressione che si ricava da questo è quella di una grande messa in scena nella quale predomina l'esibizionismo di tutti i partecipanti (compresi gli strumentisti), ed il gioco di potere delle case discografiche, che tirano le redini di tutto ciò. Inutile dire che i contenuti delle canzoni sono quantomeno scialbi, se non proprio apertamente reazionari, bene si sposano con la mancanza di cultura e di realtà che si celano dietro queste manifestazioni.
Sebbene in alcuni casi, anche da un punto di vista musicale, qualche gruppo (penso ad esempio ai Beatles) ha sviluppato una certa ricerca ed ha vissuto periodi felici, quello che oggi rimane, nella quasi totalità dei casi, è solo il risultato della creazione e della manipolazione delle case discografiche.
Il blues ha invece una struttura più naturale, più vera e più sentita, è l'evoluzione di un linguaggio antico, in esso sono stati sempre presenti gli elementi sociali che determinano la vita di chi lo canta e lo suona. Il "pop" ne ha copiato gli schemi armonici rendendoli però piatti e banali, così come ne ha stravolto i significati esistenziali e di rivolta.
Per quanto riguarda la musica bianca, ci sono stati dei cantanti e dei musicisti bianchi, che sia come autori di ballate ed anche come interpreti di Jazz, hanno prodotto buone cose; ma facevano capo però ad un altro filone, in poche parole erano espressione dell'emigrazione e della povertà presenti sia nelle campagne che nelle località suburbane, e che vivevano in quel tessuto sociale, spesso proprio dell'emigrazione, nel quale erano e sono (anche se ora in differente misura), a contato di gruppi etnici più svariati (afroamericani, portoricani, ebrei, irlandesi, scozzesi, italiani, ecc.) e che contribuì per un buon 50% alla nascita del Jazz. Naturalmente la restante (e principale) spinta culturale ed emotiva venne data a questa musica degli afroamericani.
Per il blues il discorso è diverso: è un prodotto unico, degli afroamericani.
Nel Jazz invece la presenza di altre culture si è fatta sentire (basti pensare all'influenza esercitata sui primi musicisti, sia creoli che negri, di New Orleans, dalle marcette francesi). È indubbio che in certa misura la conoscenza degli strumenti dei bianchi venne appresa dai creoli e dai neri nelle bande, e che questo diede loro anche la possibilità di suonare melodie classiche europee. Essi nel corso delle peregrinazioni forzate nel mondo dei bianchi ne hanno visitato anche la cultura, apprendendo per sé le tecniche necessarie a comprarsi e contrapporsi a loro, e per riacquistare la propria identità culturale nel mondo dei padroni bianchi e per liberarsi dai condizionamenti da questi esercitati.

Tu ti definisci un poeta del Jazz, qual è il tuo modo di vivere questa musica?

Il Jazz è la mia religione. Il Jazz è la forza del popolo e non può venire strumentalizzato. Sono un poeta del Jazz perché questo è un modo naturale per me di incidere e trasformare la realtà.

Come vedi, a grandi linee, l'evoluzione che il Jazz ha avuto dall'inizio a oggi?

I musicisti Jazz sono andati man mano sfuggendo, nel corso degli anni, agli schemi, culturali e commerciali, che gli si voleva imporre. Hanno teso insomma a riappropriarsi di questa espressione, ed in particolare i neri, a riaffermare tramite essa la loro identità. Bisogna dire però che, naturalmente, non sono mancati gli esempi di integrazione: chi, più o meno palesemente, si comportava, e scriveva musica, in omaggio alle regole e mode del momento, le quali a loro volta sono il portato dei periodi storici e del sistema. Bene, il Jazz, durante la sua storia, esprime i differenti stati d'animo e le differenti situazioni, ma ha in sé sempre qualcosa di dinamico che gli permette di sfuggire in qualche modo ai condizionamenti del momento, ed, in linea di massima, in tutti i musicisti che hanno contribuito alla sua evoluzione, si avverte una tensione anticonformista (nel senso positivo del termine) ed una ricerca contraria alla formalizzazione del potere in tutti i suoi aspetti. Rimanga chiaro comunque che vi sono stati modi più o meno sinceri, più o meno opportunisti di vivere tutto ciò; ed una differente qualità di impegno, sia politico che musicale, che impongono un diverso criterio di giudizio e di valutazione al riguardo dei vari musicisti.
Ho parlato di impegno politico perché diversi jazzisti hanno passato una buona parte della loro vita nelle lotte sociali, specialmente a favore del popolo nero, ed in modi anche assai movimentati, anche se questo tipo di cose sono poco conosciute.
Qui c'è un altro discorso da fare: mi riferisco alla visione che il potere, l'industria, la stampa e la propaganda ad essi collegate, intendono diffondere del Jazz e dell'ambiente culturale ed umano in genere che lo ha prodotto. Essi ne vogliono dare un'immagine collegata esclusivamente allo "spettacolo" (ed in ciò sono coadiuvati da tutti quelli che dal gioco dello spettacolo di consumo si lasciano irretire), amputandone, quando possono, o nascondendone, i lati più scabrosi per loro, i più incisivi sul piano sociale; naturalmente i critici e i "biografi" del Jazz sono stati spesso in primo piano in questa operazione. Essi vorrebbero fare ora, del Jazz, una specie di "pop più istruito", cercando di imbrigliarne lo spirito originale con i loro lacci. La lotta contro costoro è sempre aperta.
Il mondo degli impresari e quello della "cultura ufficiale" hanno dapprima considerato il Jazz come una musica da selvaggi, e questa era la concezione con cui venivano prodotti i "race records" (letteralmente dischi razziali: le case discografiche incidevano canzoni e musiche di artisti neri destinate esclusivamente al mercato afroamericano ndr) poi accortisi che gli si offrivano possibilità di speculazioni sia economiche che ideologiche hanno allargato il mercato convinti di poterne controllare la qualità, facendolo apparire, di volta in volta, come nuova invenzione dell'arte bianca, come un risultato dell'"integrazione razziale" (il nero ha un ruolo in più, oltre a quello di pugile, anche quello di musicista), o come la musica del buon primitivo, che tutto sommato diverte e rispetta i bianchi.
Il Jazz è stato esportato all'estero come la musica della "Grande e democratica America", ed in questo modo è stato recepito. Nei paesi "socialisti" esso viene considerato poco più che un fenomeno da baraccone, "tipico prodotto del capitalismo". Ma questo naturalmente dimostra quanta poca attenzione e sincerità ispirino i criteri di valutazione ufficiale di questi governi, che palesano una concezione statalista della cultura che è poi quella tipica imperante nel mondo occidentale.
È contro queste idee massificanti, pianificatrici per forza, dottrinarie, che hanno la pretesa di dire ed imporre l'ultima parola su tutto, che la creatività e la semplicità degli esclusi e degli sfruttati, devono combattere (...).

Dello stato attuale del movimento di emancipazione afroamericana, cosa ci dici?

Attualmente si presenta molto diviso, ma nonostante ciò posso dire che l'attività nei quartieri e sul sociale continua. Dopo i primi anni '70 c'è stata una revisione generale al suo interno, che ha avuto come centro i problemi dell'organizzazione e quelli collegati all'ideologia, alle alleanze ed al campo di intervento; questo comunque ha sortito effetti a mio avviso positivi. Premetto comunque che non posso esserne considerato un portavoce, ed oltretutto ora vivo da tempo in Mali.
Tutte le organizzazioni facenti parte di questo movimento sono state molto represse dal potere. Spesso i "leaders" sono stati imprigionati ed uccisi, secondo un metodo di annientamento (che non risparmiava neppure militanti e simpatizzanti) che prese l'avvio con l'omicidio di Malcom X, il leone, e di Martin Luter King, che può essere definito invece l'agnello.

L.R. Jones è attualmente uno dei massimi esponenti della corrente marxista di questo movimento. Qual è la tua posizione rispetto al marxismo?

L.R. Jones ha questa visione, e porta avanti una ricerca individuale per molti aspetti valida; ma è diversa dalla mia. Infatti anche io sono marxista, ma il mio è... il marxismo dei fratelli Marx.

In che senso?

La mia azione culturale rientra nel campo del surrealismo. Amo C. Chaplin, B. Keaton, le loro mosse, i loro discorsi, così come sono rimasto profondamente colpito dal modo di suonare l'arpa di Harpo Marx... dai suoi bellissimi silenzi.
 

Tu adesso vivi in Mali: qual è la tua funzione in quel paese?

Insegno in una scuola per bambini, e insegno loro l'amore per la loro terra, la loro cultura, la loro indipendenza personale. Ad esempio ripetiamo insieme i nomi africani delle varie terre ancora sottomesse ai bianchi; io dico i nomi, e loro di risposta li ripetono secondo le loro usanze ritmiche:... Azania... Namibia... Zimbabwe... (che ora vengono chiamate Sud Africa e Rhodesia).
 

Anche i paesi del cosiddetto "socialismo realizzato" e cioè l'URSS,(vedi l'intervento contro l'indipendenza del popolo eritreo), Cuba, (legione straniera dell'URSS in Africa), la Cina (sostegno con tecnici ed armamenti ai filo-occidentali dell'FLN e dell'Unità, durante la guerra civile in Angola), sono in corsa per il predominio politico-economico in Africa.

In una mia poesia, parlando di questi stati, che definisco simbolicamente come "caviale" (URSS) e "bacchetta" (Cina), denuncio proprio i loro atti e dico che di nessuno di loro bisogna fidarsi, anzi, ricacciarli indietro.

Nei giovani paesi africani nati da rivoluzioni anticolonialiste, in breve si è ritornati all'organizzazione statale. Non credi che questa sia poco affine alla cultura dei popoli di questi paesi, che hanno spesso per tradizione espresso forme autoorganizzative decentrate nel rispetto dell'autonomia dei vari gruppi etnici e sociali?
In secondo luogo voglio chiederti se hai notato una tendenza alla burocratizzazione ed alla formazione di una nuova classe di detentori di potere, legati agli apparati statali, in quegli stessi stati, e se sì, a cosa ciò è dovuto secondo te.

Risponderò prima alla seconda domanda. Negli stati si avverte sempre una tendenza alla burocratizzazione (e questo è uno dei motivi per cui non amo lo stato in genere, anche se penso che purtroppo ci vorrà ancora tempo prima che si riesca a toglierlo di mezzo), ed in particolare in Africa tutto ciò si sposa con il peso che hanno sempre avuto i clan familiari. È difficile spiegare. Ad esempio in Mali, la famiglia è molto strutturata e molto importante, ed appena raggiungi una certa età ne vieni completamente assorbito. Le famiglie, oltre ad essere centri di potere, hanno al loro interno una grave divisione gerarchica, ed impongono all'individuo il suo ruolo, già predeterminato, secondo questa struttura. Tutto ciò ha naturalmente un'influenza negativa sulla società e soprattutto sulle donne. Sono queste ultime che risentono di più di una situazione atavica di oppressione.
Per quanto riguarda l'altra tua domanda, ritengo sia inutile che ripeta quello che ho detto poc'anzi sullo stato, quindi ti dirò circa l'Africa. Il movimento africano sta andando alla distruzione; è troppo diviso innanzi tutto, e queste divisioni sono dovute in larga misura alle ingerenze estere, ed in ciò giocano una parte rilevante sia il contesto internazionale (è una civiltà tecnica e l'Africa è il secondo continente del mondo), sia l'idea diffusa in chi governa di seguire schemi indotti, che essi possono anche ritenere appropriati, ma che sono di derivazione occidentale. La cultura africana originale e le possibilità di sperimentazione, moderne ma originali, che ad essa si possono riferire, hanno in tutto ciò un esiguo spazio. Ci vorrà tempo perché l'asse che mantiene tutta questa situazione venga ribaltata, ma io penso che ci siano delle possibilità perché ciò possa accadere.

Quali sono i tuoi libri pubblicati in Italia?

Miei scritti sono stati pubblicati da Sansoni sotto il titolo "Negri USA", e da Lerici, sotto quello di "Potere Nero".

Achtung Germania

Intervista con Erich Fried

D. Cosa pensi dell'anarchismo?

R. Gli anarchici sono storicamente gli unici ad avere il giusto rapporto con la libertà. Invece nulla rimane di quel genere di spirito nei grandi partiti dell'Internazionale Comunista e Socialista, Socialdemocratica.
In Germania è molto importante ora fare vedere che l'anarchismo non significa Baader-Meinhof e 2 giugno, ma significa altre cose.

D. La Baader-Meinhof, la RAF ed il 2 giugno infatti non sono anarchici.

R. La Baader-Meinhof era marxista, ed Ulrike era molto marxista, così come tutta la struttura del gruppo. C'erano invece delle differenze nella struttura del 2 giugno che era più decentralizzata rispetto a quella della Baader-Meinhof, che era assolutamente incompatibile con ogni genere di anarchismo. Era veramente una cosa centralizzata tutta nelle mani di Baader, che irradiava la sua soggezione su tutti gli altri.
Comunque tutti e due questi gruppi erano caratterizzati da stupidità politica e pratica ed avevano al loro interno anche molti infiltrati.

D. Questo gruppo era insomma caratterizzato da una forte forma di leadership.

R. Sì. Io ho differenti punti di vista a seconda dei vari personaggi.
Non ho dubbi per esempio su Baader, del quale non ho mai avuto una impressione molto buona. Invece di Ulrike fui molto bene impressionato, come di Malher, nonostante stia uscendo. Mahler non è mai stato strumentalizzato dai servizi di sicurezza come alcuni erroneamente pensano. Egli ha subito tutti gli intrighi a cui Baader ha dato inizio.
C'è un terribile spettacolo in Germania ora. Molta gente che è in prigione si accusa reciprocamente.

D. Cosa pensi della cultura della "Beat Generation" dopo il '68?

R. È differente in ogni paese, voglio dire che è molto differente in Inghilterra da come è per esempio in Germania. In Germania i giovani usciti da quell'esperienza sono ancora essenzialmente una "riserva" della sinistra, dell'ala più radicale; ma siccome quest'ala non sembra capace di far uso di questa riserva, allora c'è il pericolo che le forze della destra diventino di nuovo forti.
Io penso che dopo ciò che è accaduto nel '68-69, la gente ha iniziato a dimenticare quello che aveva imparato.

D. E del movimento degli studenti nato in quegli anni?

R. L'SDS è stata essenzialmente antiautoritaria, essenzialmente, non completamente. Ma quando Rudy Duthske subì l'attentato e venne in Italia a riposarsi e a fare conferenze (successivamente venne con me a Londra) e quindi si ammalò quasi fino a morire, ci fu probabilmente un migliore sviluppo della sinistra di Francoforte, quando gli studenti videro che le loro dimostrazioni non potevano crescere di più, essi divennero disperati, ed alcuni aderirono (i più) ai comunisti, altri ai filo-cinesi o a tutti gli altri movimenti più o meno onesti che ci sono tuttora in Germania, e che sono molti e molto diversi.
Quelli del KBW sono molto onesti ma molto sciocchi, e quelli del KB sono di gran lunga più intelligenti, e anche loro sono onesti; ma finché esiste il "centralismo democratico" alla lunga solo il centralismo rimane e non lo spirito democratico.

D. Che opinione hai di Lenin?

R. Non penso che Lenin sia stato un grande e buon filosofo, ma piuttosto un rivoluzionario pedante. I suoi pensieri sulla filosofia furono miserabili, ma anche le sue idee; per esempio nelle discussioni che ebbe sulle donne sul "sesso come bicchier d'acqua". Mi riferisco a quando la Kollontai disse che fare l'amore e come bersi un bicchier d'acqua, cosa già abbastanza stupida se si pensa che un bicchiere è un oggetto inanimato e che semmai "bere un bicchier d'acqua" si può paragonare alla masturbazione, perché io credo che "il sesso" implichi un atto fra due persone (era quindi già un paragone abbastanza alienato); e a quando Lenin a questo proposito disse: "sì, ma a molti uomini non piacerebbe prendere acqua da un bicchiere già usato da altre persone e sporcato).
Questa non è altro che la quintessenza dei costumi repressi della piccola borghesia. Ma ciò non è sorprendente, perché si possono trovare similitudini di questa impostazione e di questo frasario anche nella corrispondenza fra Marx ed Engels, spesso ugualmente miseramente repressiva.
... E pensare che la loro idea era che questo fosse un modo per essere "più vicini al popolo".

D. Nella guerra di Spagna, così come in Russia tempo prima, i comunisti autoritari hanno commesso dei veri e propri crimini contro la corrente rivoluzionaria e libertaria. Pensi che questo episodio storico insegni qualcosa?

R. Su quello che i comunisti fecero per distruggere gli altri gruppi, gli anarchici ed il POUM è stato pubblicato il libro "Omaggio alla Catalogna" di G. Orwell, che io ritengo sia un libro estremamente veritiero. Quelle non erano altro che forme scandalose di tradimento e di cecità politica.

D. Fra i libri pubblicati da grosse case editrici c'è anche quello di H.M. Enzensberger, il quale tra l'altro era anche annunciato a questo festival.

R. Ah, sì, "La breve estate dell'Anarchia". Senza anarchia non ci sarebbe stata una posizione molto importante nella gamma della "sinistra". Infatti io non vedo nessun futuro per tutte le varie sette comuniste; anche se può avvenire, a volte, che esse siano sincere in determinati periodi storici, come avviene in parte oggi in Germania, dove sono particolarmente piccole e deboli. In ogni battaglia contro l'alienazione, oggi, e contro l'energia atomica, per esempio, è assolutamente necessario portare l'anarchismo; ma naturalmente non quello che torna solo e semplicemente indietro a Bakunin, ma in forme aggiornate.

D. Passiamo ad un'altra domanda. Cosa sai sulle morti di "Stammheim"?

R. A cominciare dalla Meinhof, sono sicuro che ella non morì suicida, ma d'altra parte non credo neanche che sia stata assassinata volutamente. Penso che ciò che è accaduto sia stato un incidente. Un incidente sopraggiunto mentre stavano cercando di portarla ad un interrogatorio, e probabilmente dopo averle somministrato qualche droga. Io penso che quando entrarono nella cella, ma non lo so con certezza, lei abbia cercato di gridare, e probabilmente qualcuno le ha stretto la gola. Questo perché esiste la possibilità soprattutto nella donna, che comprimendo sia la carotide che il nervo vago contemporaneamente alla vena principale sotto la carotide, il cuore si fermi nel giro di due secondi.
Dopo la morte cercarono di accreditare la tesi del suicidio. Ho raccolto, e sto ancora raccogliendo, delle prove che possano dimostrare ciò che ho affermato.

D. Non credi che lo stato possa avere avuto interesse ad uccidere la Meinhof?

R. Non lo penso perché non credo servisse alle autorità.

D. E delle altre morti?

R. Sono personalmente convinto che sono stati uccisi, ma non ne ho le prove. Solo su Ulrike sono abbastanza certo di quello che ho già detto. Ho sentito che Lotta Continua ha scritto che io avrei detto che il gruppo Baader-Meinhof si trovava a Mogadiscio. Io non l'ho detto. Fu un pilota francese a dire che quelli della BM erano lì pronti per lo scambio, ma la mia opinione è che essi fossero agenti di sicurezza, e non della BM, e che avevano preso le loro sembianze. Essi avevano studiato il gruppo della BM in prigione, il loro aspetto e i loro modi di fare; e penso che essi, tornati indietro dopo, uccisero quelli che avevano visto o che sapevano. Ma purtroppo non ho ancora le prove. Penso che gruppi come i servizi di sicurezza sempre diventano un gruppo a parte, e che hanno giocato anche in questo caso il loro ruolo. Questo tipo di gente avrà pensato: "uccideremo quei bastardi, e se Schmidt dovrà dare le dimissioni per questo, ciò non ci disturberà", perché queste persone non sono socialdemocratici, ma molto probabilmente convinti nazisti.

D. Io comunque sono convinto che lo stato tedesco nella sua totalità fosse coinvolto in tutta la faccenda e che quindi ci fosse anche la responsabilità diretta del governo. Non a caso Schmidt passò in quell'occasione da "uomo forte" e da ciò trasse certamente giovamento, di fronte all'opinione pubblica.
Questo risulta chiaro, se si pensa per esempio ai sistemi adottati nelle carceri verso i prigionieri politici. Veri e propri sistemi di annientamento della personalità degli arrestati, in un modo silenzioso di distruzione che è stato approvato dal governo tedesco.

R. C'è un libro buono a riguardo in Germania, che si chiama "medicina e punizione". In questo libro si cerca di provare chi ha ucciso Ulrike Meinhof e gli altri.
Quello che ho detto prima non deve accreditare l'idea di un "governo buono", ma è la mia opinione su di un fatto specifico. Il governo e la giustizia naturalmente mentono più che possono. Prima della loro morte, i prigionieri dissero che c'era un passaggio segreto dal settimo piano di Stammheim a fuori. Il governo disse che queste era un'idiozia. Dopo la morte di Baader, Raspe e Gundrun Ensslin, una commissione del parlamento del Wuttenberg andò alla prigione e trovò il passaggio segreto e la porta che i prigionieri avevano sempre indicato; tre giorni dopo la morte di Ulrike Meinhof fu aperta la cella dove avrebbe dovuto esserci qualche traccia che potesse chiarire l'episodio, ma dopo poco i muri vennero subito ridipinti.
Particolarmente se si studia lo "stato post-mortem" redatto dal medico, assolutamente niente rimane corretto, tutto è enormemente contraddittorio. In nessuna "buona democrazia" questo caso sarebbe stato classificato come è stato. Il medico deve fare una dichiarazione preliminare dopo la morte, e una finale, che deve essere la conclusione di quella preliminare. Quella definitiva su Ulrike Meinhof non è mai apparsa fino ad oggi.

D. È possibile, secondo te, che ai prigionieri, per esempio alla Meinhof, fossero state somministrate droghe, anche in modo prolungato come da tempo venne da più parti affermato?

R. Penso che per esempio alla Meinhof, nella notte in cui morì, cercarono di darle del "Penthotal". Io ho delle prove circa Ulrike che danno la sicurezza che non morì in modo naturale.

D. Cosa ne pensi dei poeti sovietici come Issaev ed Evtuscenco, che dicono che in URSS i giovani non si interessano di politica, non pensano a niente ecc.?

R. Perché in Russia i giovani sono così demoralizzati dal regime...

D. È il solo modo di dissentire che gli viene concesso.

R. Sì, sfortunatamente. Ma se tu guardi a questo dissenso, solo molto pochi di loro hanno idee rivoluzionarie; e se uno di loro ne avesse, se qualcuno critica in senso rivoluzionario il marxismo per prima cosa pensano che lavori per la polizia segreta, e quando vedono che non lavora per essa, lo guardano e pensano che abbia idee anormali, e gli chiedono come possa pensare cose di questo genere. Perché tutto ciò che hanno avuto modo di conoscere è stato il marxismo, e quel genere di "socialismo", e ciò li ha messi in un ordine di idee tale che li spinge a voler piuttosto un "nuovo patriottismo russo", "una nuova cristianità russa", insomma nuove forme di capitalismo.

D. Generalmente quando si parla all'opinione pubblica del dissenso nei paesi dell'est, si parla solo di Solgenitsin o Sacharov, ecc.. Perché sia l'occidente che l'est sono concordi nel nascondere quell'altro tipo di dissenso, antistatalista, autogestionario, socialista ma libertario.

R. Qualcosa hanno certamente da nascondere. La polizia segreta, in URSS, quando c'è uno sciopero, cerca sempre di arrestare gli scioperanti e di decapitare ogni movimento, operando sempre tramite l'intimidazione della gente. E per far rientrare le loro richieste e isola forzatamente i "leaders" dagli altri.

D. A Issaev hanno chiesto come mai ci sia nella "libera URSS" una legge contro gli omosessuali, e lui con tutta calma ha risposto che, siccome gli piacciono solo le donne, la cosa non lo riguarda né lo interessa.

R. Questa è evidentemente la sua solidarietà con gli esseri umani... come se io dicessi che siccome sono ricco me ne frego di chi ricco non è. È miserabile tutto ciò, ma d'altra parte, cosa ci si può aspettare da persone simili?

D. Per saltare di palo in frasca, cosa ci puoi dire ancora sulla repressione in Germania?

R. Ultimamente c'è stata un'importante manifestazione contro il fascismo, a Francoforte, organizzata solo dalla sinistra rivoluzionaria, e, nonostante fosse proibita, ci sono andate trentamila persone, e si è tenuta lo stesso.
Un caso emblematico, a proposito dell'autoritarismo dello stato tedesco, e poco conosciuto all'estero, è questo. In Germania esistono rappresentanze studentesche nelle Università. Queste hanno il nome di "Asta". A Baden, Wuttenberg, ed in Baviera, l'Asta fu vietata usando vecchie leggi naziste. Gli studenti ad Heidelberg, Baden, e Wuttenberg, fecero le elezioni lo stesso, e le loro rappresentative furono elette, ma dopo vennero imprigionate, da uno a tre anni, per questo motivo.

D. Come vedi la situazione italiana?

R. Non sono, personalmente, entusiasta delle Brigate Rosse. Penso che possano danneggiare moltissimo la nuova sinistra come è successo in Germania con la Baader-Meinhof ed il 2 Giugno? Ed anche se non ne sono sicuro, qualche volta penso che ci siano infiltrati in questi gruppi.
Penso che essi abbiano perduto il senso di ciò che si può fare. Le azioni politiche non sono fini a se stesse, ma sono positive solo quando all'esterno si crea un movimento, un coinvolgimento, o una tradizione che può difendere il movimento. Ma loro hanno l'aria di disinteressarsi di ciò e di pensare che bisogna solo fare "qualcosa". Come il gruppo della Baader-Meinhof, queste hanno un forte senso di superiorità.
A proposito dell'autoritarismo di questi gruppi, ti posso dire, che c'erano delle differenze all'interno della Baader-Meinhof, ma che esse non venivano risolte "dialetticamente". Fu per questo che Baader, che ne era il leader, venne piano piano abbandonato da tutti, da Ulrike, Raspe ed Holger Meins, e tutti loro presero ad odiarlo, perché videro che era sadico, repressivo e così via. Quando il bambino di Gundrun Ensslin ebbe bisogno di cure so che Baader, che stava insieme alla Ensslin, una volta saputolo andò al tavolo e disse: "sarebbe ora che questa merda di bambino se ne andasse di qui". Invece fu lei ad andarsene, dicendo che quello era un linguaggio sciovinista ed alienato. In una occasione un membro della RAF della Baader-Meinhof, disse che, se Baader fosse stato liberato, avrebbe dovuto pagare per i maltrattamenti inflitti agli altri, ed alla Meinhof in particolare.

Gulag fa rima con domani

Intervista con Egor Issaev

Noi sappiamo che si lamenta un certo disimpegno politico da parte dei giovani, in URSS; però, allorquando questi giovani cominciano a fare politica, guarda caso, vengono costretti a un silenzio totale, relegati quasi ad una sorta di emarginazione, nei loro confronti inizia un certo processo di repressione. Noi vorremmo sapere quali spiragli effettivi sono lasciati ai giovani quando questi agiscono a livello politico.

Ora vi guardo, e sono per la prima volta in Italia, e il mio amore per il vostro paese è grande. L'importante non è tanto quello che diciamo noi, ma quello che esiste dentro di noi, e che non sempre riusciamo ad esprimere, ed in questo momento non vorrei fare il diplomatico; vorrei esprimere le prime cose che mi vengono in mente, per essere sincero, senza pensarci magari troppo, per non essere troppo intelligente, diciamo. Ora ritorniamo ai giovani, alla vostra domanda.
Prima di tutto i giovani devono rimanere sempre giovani; qualche volta vediamo che essi diventano un po' troppo seri per la loro età. Infatti da noi (nel nostro paese) qualche volta c'è la tendenza di volere che i giovani russi siano più seri. Diciamo che debbono avere più esperienza, e invece scordiamo qualche volta che i giovani sono sempre giovani, che hanno la loro età, le loro tendenze e non possiamo forzare questo processo; insomma fare dei giovani delle persone più mature. Però non mi piace quando sul tema dei giovani si specula, come è stato fatto da Trotzky, oppure da Hitler, e speculava sui giovani anche Mao-Tse-Tung; cioè, in poche parole, sfruttava le energie e la poca esperienza dei giovani, e questo sfruttamento dei tratti peculiari della gioventù ne offuscava i contenuti reali. Praticamente questi personaggi volevano sfruttare i giovani per ottenere i loro scopi ed obbiettivi di parte. Forse sbaglio, ho già detto che i giovani devono rimanere sempre giovani, e devono essere compresi e trattati come una generazione diversa dalla nostra. Essi devono essere più allegri di noi, più belli di noi, devono saper divertirsi e che so, ballare, meglio di noi, essi devono sentire meglio di noi, perché sanno sentire le cose meglio di noi, e magari anche senza sapere bene le cose come noi.

Scusa se ti interrompo, ma vorrei dire una cosa specifica. I giovani hanno delle ambizioni precise, spesso, sotto il profilo politico, cioè oggi, nella maggioranza dei casi, chiedono un maggiore pluralismo, più libertà, chiedono un contatto diretto con gli operai, coi proletari.
Ci sono delle lotte che nascono dal basso verso l'alto e che non sono affatto rispettate in URSS dal comitato centrale, dai vertici del Partito Comunista stesso, che possono essere inquadrate anche sotto la prospettiva anarchica, come lotte radicalmente rivoluzionarie...

Ma ragazzi, il discorso è molto complicato, perché voi con le vostre domande mi fate capire che non conoscete affatto la situazione dei nostri giovani, nel nostro paese.

Esiste il dissenso giovanile però, ed anche il dissenso generalizzato, non solo dei giovani.

Ci sembra strano sentire questo, comunque se tornate domani, parleremo con calma di queste cose; le vostre domande mi sembrano proprio dell'altro mondo. Vi ho detto che non volevo sembrare più intelligente di me stesso, oggi sono stanco, quindi, visto che si tratta di cose serie, facciamo domani, con calma. Sono certe domande... adesso non voglio fare delle lezioni.

(Domanda rivoltagli da uno dei presenti all'intervista).
Volevo sapere, lui che parla di questi giovani così spensierati, che cosa ne pensa di una frase di Nizan, che dice: "Avevo vent'anni; non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita". Cosa pensa lui di questa frase, lui che parla di questi giovani che sono l'allegria, sono la vita.

Prima di tutto, qualsiasi giovane, o ragazzo, ha il diritto di trattare la propria età in un certo modo; però il tema dei giovani è molto complesso. Nel senso che qui dobbiamo trattare delle cose molto precise o diciamo importanti. Per esempio, tante volte, per quanto riguarda i giovani, come diciamo noi, se pensano una cosa la devono realizzare.

Un'altra domanda, di carattere storico. Volevo sapere che cosa pensi rispetto alla soppressione degli abitanti di Kronstadt, ordinata nel 1921 da Lenin ed eseguita da Trotsky.

(L'interprete: "vedi che è un po' stanco, se gli vuoi chiedere qualcosa d'altro...).

(Ripresentazione della medesima domanda).

Prima di tutto una piccola precisazione: io sono per la prima volta in Italia. Oggi ho incontrato un autista (l'interprete: "quando gli ho ricordato che la cosa riguardava Kronstadt, mi ha detto che vuole parlare dell'autista che ha incontrato oggi").
Perché per esempio, l'atteggiamento vostro verso Trotsky, è un atteggiamento troppo facile, diciamo, troppo superficiale...

Ma in che senso?

Nel senso, per esempio, che fare il rivoluzionario vuol dire soprattutto essere profondo, cioè non basta solo essere all'avanguardia, ma bisogna andare fino in fondo...

Ma noi sappiamo che gli abitanti di Kronstadt combattevano per gestire il loro potere decisionale all'interno della loro città, perché non condividevano le piattaforme politiche portate avanti da Lenin.

A Kronstadt non c'erano abitanti, Kronstadt era una base navale, e una base navale non è una città, e c'era una sommossa dei marinai di Kronstadt.

Noi sappiamo che a Kronstadt c'erano 40.000 persone che combattevano contro il potere di Lenin, contro le concezioni assolutiste, dittatoriali, dei bolscevichi.

Sì, però era una rivolta militare.

Per prima cosa quei marinai erano gli stessi che avevano sciolto la "Duma" (il Parlamento) durante la rivoluzione e che erano stati chiamati con l'appellativo di "eroi e gloria della rivoluzione", poi sappiamo bene che esisteva anche una popolazione di quella città, composta in massima parte da operai delle strutture adiacenti al porto, e che questi solidarizzarono con i ribelli.
(Non risponde, anzi dice che questo tipo di domande non gli piacciono molto, ma dopo un po', a seguito delle nostre insistenze, dopo aver cercato di rimandare il discorso all'indomani, cercando di recuperare, riprende con ciò che segue)

Siamo un po' pigri quando si tratta di realizzare le nostre idee, nel senso che parliamo così: "siccome la nostra idea è bella, è l'idea più umana, essa dovrebbe vincere da sola". A me piacciono i giovani, e noi ne abbiamo parlato oggi, però non solo nel senso "le forze più energiche", ma i giovani nel senso di quelle forze che sanno approfondire e vogliono andare più a fondo, vogliono ragionare magari meglio di noi e più di noi, cioè i giovani non sono solo le forze che sanno agire ma, appunto, mi piacciono i giovani che sanno pensare, sanno meditare, sanno ragionare.
Questo mi fa ridere, queste sono proprio le domande che mi fanno ridere. Certo, anzi tutto il contrario; le vostre domande sono tutte sbagliate. Noi comunisti in URSS, abbiamo più fiducia di quanto facciamo in pratica. La nostra fede, diciamo, è più grande della nostra azione, in pratica noi, come generazione più anziana, abbiamo il momento della fede che supera il momento dell'azione, mentre ai giovani nostri spetta ora l'azione. Nel senso che i giovani nostri adesso agiscono invece di noi, usano la nostra fede, perché i nostri giovani costruiscono e non demoliscono, e questo è molto importante. Il momento rivoluzionario non è un'esplosione dirompente, che distrugge, anche se in un primo momento ci può essere questo fenomeno, ma una rivoluzione vera e propria è la costruzione, non la distruzione delle cose.

Certamente, ma con questo tu dici che non esiste il dissenso giovanile?

Ma sì, i giovani di per sé sono dissenso. I giovani non possono essere diversi. Essi, per forza, devono pensare non così come pensiamo noi, e per esempio, tra oggi e domani ci sarà sempre diversità: il sole che è spuntato questa mattina, di sera è già diverso. Ma ciò non vuol dire che il tramonto negherà il tramonto di prima, nel senso che deve esserci sempre una continuità, cioè i giovani non negheranno mai tutte le cose che facciamo noi, però essi devono accumulare le cose nuove, l'esperienza.
 

Questo presuppone che rimangano sempre nella stessa linea, perché voi non gli date la possibilità di agire in un altro modo.

Io non ho detto mai che noi non diamo la possibilità ai giovani di agire, però nel nostro paese rimangono sempre giovani, sono energici eccetera, però seguono, non perché glielo imponiamo noi, la nostra linea.

E se ritenessero invece di cambiare questa linea, anche violentemente?

Ma quelle domande così non si pongono perché sono poco storiche, nella storia non esiste "se fosse".

Ma noi sappiamo che esiste il dissenso ed esistono i campi di concentramento, per cui vuol dire che c'è qualcuno che si oppone.

Ma siete matti?

Non esistono i "Gulag"?

Per questo vi dico, ragazzi, se a questo punto vogliamo discutere sul serio, dobbiamo parlare magari domani con calma, perché per parlare dobbiamo parlare seriamente, senza ripetere delle cose che non esistono più, che sono state condannate...

Secondo noi invece esistono eccome.

Se non mi credete, perché dobbiamo continuare a discutere?

A questo punto si crea una certa confusione, in tono un po' concitato ci dice che dovremmo credergli in tutto, perché lui conosce meglio l'URSS di noi. Anche il traduttore si altera un po' (si trattava di un interprete ufficiale fornito dall'ambasciata sovietica). Secondo loro non è possibile per noi avere un'opinione diversa dalla loro che aderisca alla realtà. Comunque, dopo un poco, la situazione si sblocca con queste altre domande che gli vengono rivolte da un ragazzo presente, fra tanti, nella hall dell'albergo, dove si svolge la discussione).

La domanda è questa: cosa pensate voi del fatto che in URSS esiste una legge anti-omosessuale, che tuttora condanna e carcera omosessuali in galera? Cosa pensate di fare voi su questa cosa? E se pensate che questo tipo di ordinamento e giusto.

Scusate, l'unica cosa di cui io non mi intendo è proprio degli omosessuali. Comunque a me piacciono di più le donne.

Di fatto questo esiste però, che lui sia eterosessuale, d'accordo, però esiste questa discriminazione nei confronti degli omosessuali.

Forse.

Noi chiediamo perché l'individuo non è libero di esprimere la propria omosessualità.

Sì, va bene, le leggi sono cose serie....

Allora se tu non capisci, io voglio fare un'altra domanda di replica. Come mai voi pensate che mentre nella Russia rivoluzionaria, del periodo di Lenin, anche se non di Lenin, c'era il discorso del "sesso come bicchier d'acqua", c'era l'attribuzione di appartamenti per coppie di omosessuali non sposate; nel '34, dopo gli articoli di Gorky ebbe inizio la repressione anti-omosessuale, e fu introdotto nel codice penale sovietico l'articolo contro l'omosessualità?

Nella vita della società c'è il momento della morale, il momento della coscienza, il momento della legge, e poi c'è quello della storia. Sapete che cos'è la storia? Io sono per la prima volta a Roma, ho sbagliato tre volte prendendo altri edifici per il Colosseo; la storia è una cosa molto seria.