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		 I giudici della Corte 
		d’appello di Milano hanno seguito un copione già scritto negli anni 
		passati. Rimediando al “passo falso” della prima sentenza del 2001. 
		Quella strage non ha colpevoli. E così hanno assolto i tre neonazisti 
		Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. Per non parlare dei 
		“pezzi da novanta” solo sfiorati dalle indagini. Ma liberi e tranquilli. 
		Oppure ormai sepolti. Gli anni passano per tutti...  
		I colpevoli? Non ci sono. Non bisogna più cercarli. Fatica e soldi 
		sprecati. Così si potrebbe chiudere il commento alla sentenza d’appello 
		del “nuovo corso” giudiziario sulle bombe del 12 dicembre 1969. Quella a 
		Milano in piazza Fontana (Banca nazionale dell’agricoltura) con 16 morti 
		(più uno) e più di ottanta feriti (i registrati, ma in verità sono 
		almeno una decina in più) e quelle a Roma. Nella capitale esplode una 
		bomba alla Banca nazionale del lavoro, con 14 feriti, e due all’altare 
		del Milite ignoto, quattro feriti.  
		Sì, basta cercare colpevoli dopo 34 anni (a dicembre saranno 35), la 
		politica, la società civile e chi più ne ha più ne metta, non ne 
		vogliono più sapere (dicono) di questa storia vecchia. E i giudici di 
		Milano hanno mandato tutti a casa. Cioè non colpevoli. Pazienza. Solo un 
		imbecille potrebbe sostenere che la verità viene scritta nei tribunali.
		 
		Residuati neonazisti  
		Ricominciamo da capo. Il 12 marzo 2004, la Corte d’appello di Milano 
		ha annullato la sentenza del 30 giugno 2001 che aveva condannato 
		all’ergastolo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi (Ordine Nuovo del Veneto) e 
		Giancarlo Rognoni (gruppo La Fenice di Milano) per la strage di piazza 
		Fontana. Quella strage non ha più colpevoli. Nemmeno quei tre residuati 
		del neonazismo. E non c’è da stupirsi. Aveva stupito la prima sentenza 
		del 2001, così come aveva stupito la prima sentenza a Catanzaro. Quella 
		del 23 febbraio 1979 che aveva condannato all’ergastolo, sempre per lo 
		stesso reato, Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini. Quelle 
		due sentenze, infatti, rappresentano un’anomalia. Se piazza Fontana è 
		stata una strage di stato, perché mai quello stesso stato dovrebbe 
		condannare se stesso? E, quindi, nemmeno gli esecutori materiali. I 
		militanti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale strumenti 
		consapevoli-inconsapevoli di una strategia che utilizzava i neonazisti 
		non per instaurare un regime autoritario e gerarchico che facesse piazza 
		pulita della “democrazia borghese”, ma molto più semplicemente per 
		mantenere nelle stanze del potere chi già le occupava senza dover cedere 
		il posto alle sinistre. Anche perché non volevano le sinistre al potere 
		i “padroni americani”. Così, oggi, tornati alla ribalta i successori di 
		quella Democrazia Cristiana (Forza Italia più satelliti fra cui Alleanza 
		Nazionale, ex Movimento Sociale Italiano, guidato nel 1969 da Giorgio 
		Almirante), la strage di piazza Fontana deve andare nel dimenticatoio. 
		Se ne riparlerà quando forse saranno passati quasi quarant’anni dalla 
		strage.  
		E, diciamolo con chiarezza, non è nemmeno il caso di sottilizzare sulle 
		incongruenze e contraddizioni di quella sentenza. Lasciamo questo lavoro 
		agli “azzeccagarbugli” di turno. Però c’è da sottolineare una vera perla 
		dei giudici milanesi: ricostruendo la sequenza degli attentati del 1969 
		riconoscono che Giovanni Ventura e Franco Freda potrebbero essere i 
		responsabili di piazza Fontana e non solo degli attentati del 25 aprile 
		a Milano e ai treni del 9 agosto: per i quali erano già stati condannati 
		a 15 anni.  
		Insomma, a Milano si è compiuta l’ultima beffa. I due colpevoli 
		individuati dal giudice istruttore di Treviso, Giancarlo Stiz sarebbero 
		i colpevoli, mentre non sono sufficientemente provati i loro rapporti 
		con gli ordinovisti di Venezia-Mestre e Milano. C’è, però, un piccolo 
		particolare: Freda e Ventura sono stati definitivamente assolti l’1 
		agosto 1985, quindi non possono più essere processati per quella strage. 
		Siamo arrivati alla farsa. E questi giudici non tengono nemmeno 
		vergogna. E perché dovrebbero averne?  
		 Al di là della decenza 
		 
		Quando mai i giudici che si sono occupati di piazza Fontana hanno 
		cercato la verità? No, l’obiettivo era un altro: coprire le malefatte 
		dei servizi segreti americani e italiani e incastrare gli anarchici.  
		Però, anche se anarchico e dunque diffidente (a ragione) dei giudici, 
		debbo riconoscere per dovere storico che almeno due giudici sicuramente 
		anomali, e infatti messi al margine, ci sono stati. Il primo, 
		ovviamente, Stiz, il secondo Guido Salvini. Quello che alla metà degli 
		anni Novanta (dopo un’indagine durata anni) arrivò a individuare i 
		responsabili di piazza Fontana (Zorzi, Maggi, Rognoni e altri) senza 
		dimenticare Freda e Ventura, precisando che non erano più perseguibili 
		perché altri suoi colleghi li avevano assolti definitivamente.  
		La storia giudiziaria di piazza Fontana è un susseguirsi di cose 
		incredibili, di falsi giudiziari al di là del decente. Un esempio. I 
		primi magistrati che si occupano del caso, Vittorio Occorsio ed Ernesto 
		Cudillo, non sentono ragioni: per loro Pietro Valpreda (“l’anarchico 
		ballerino”) è il colpevole, mentre Freda e Ventura sono “due persone 
		perbene”. Non importa che Stiz abbia raccolto confessioni e prove che 
		incastrino i due neonazisti. L’importante è indicare Valpreda (quindi 
		gli anarchici, quindi le sinistre) come colpevole. E adesso dopo il 
		riconoscimento dei giudici d’appello di Milano che cosa si dovrebbe dire 
		di quei due giudici? Tralasciamo gli insulti. Sarebbero parole sprecate.
		 
		Torniamo all’ultima sentenza. In sostanza, i giudici di Milano hanno 
		detto che il pentito Carlo Digilio è inattendibile perché si è più volte 
		contraddetto, ha commesso errori. Certo, li ha commessi adesso dopo aver 
		subìto un ictus che lo ha un po’ rinscemito, mentre l’altro pentito, 
		Martino Siciliano, è attendibile, ma fornisce testimonianze di “seconda 
		mano”, quindi inutilizzabili ai fini processuali. Peccato che non si 
		tenga conto che il giudice che ha istruito quel processo, Salvini, non 
		si fosse fermato alle testimonianze dei pentiti e avesse cercato e 
		trovato riscontri precisi a quanto dichiaravano Digilio e Siciliano. Non 
		è bastato che Zorzi (difeso in un primo tempo da Gaetano Pecorella, 
		presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati e anche 
		difensore del premier Silvio Berlusconi) abbia a più riprese minacciato 
		e allettato con pacchi di soldi Siciliano perché ritrattasse.  
		E in effetti Siciliano è stato un pentito “ondeggiante”, ma che alla 
		fine, in aula, ha confermato tutte le accuse. Non è bastato. 
		L’assoluzione dei tre ricalca la vecchia formula, oggi abolita 
		formalmente, dell’insufficienza di prove.  
		  
		 Buttato dal quarto piano 
		 
		Dopo tanti anni questa storia, veramente infinita, mi riempie solo di 
		tristezza. E di rabbia. È la tristezza e la rabbia di chi all’età di 24 
		anni ha visto le sue speranze, i suoi sogni di un mondo migliore 
		offuscati da uno scoppio con tanti morti. Di uno che d’improvviso vede 
		«in presa diretta» la criminalità del potere. Quella alla grande, quella 
		che non lascia dubbi. Una criminalità che ti fa risvegliare all’alba del 
		16 dicembre quando un tuo compagno, Amedeo Bertolo, ti chiama al 
		telefono per dirti che un altro tuo compagno di gruppo, Giuseppe Pinelli, 
		è stato buttato dal quarto piano della questura di Milano.  
		Beh, provate a pensare che cosa si sente in un momento simile. Io so 
		soltanto che la mia vita è stata profondamente segnata da quelle bombe, 
		dalla morte di Pinelli. Poi è stato tutto diverso. In modo profondo. C’è 
		una rabbia che non mi lascerà mai. Quei criminali (i servizi che hanno 
		orchestrato la strage, i neonazisti che l’hanno effettuata, i politici 
		che l’hanno coperta perché erano i mandanti) oltre a cambiare il corso 
		della storia, hanno fatto una cosa tanto, tanto più piccola, una cosa 
		che non interessava a nessuno, ma per me importante: hanno cambiato 
		anche la mia piccolissima storia personale. Quella di un giovane 
		(allora) che si è visto sommerso da un gioco tanto grande e criminale. 
		Ma che, con tanti altri, ha trovato la forza per reagire. E per fortuna 
		c’è chi non si «arrende». Per fortuna ogni 12 dicembre migliaia e 
		migliaia di studenti manifestano in tante città d’Italia e quelli di 
		Milano concludono il corteo in piazza Fontana. Quella strage continua a 
		essere un atto di accusa contro la criminalità del potere. Quanto viene 
		occultato nelle aule dei tribunali è «verità» per molti. Per tanti. Non 
		è poco.  
		 Luciano Lanza  |