La libertà come fondamento assoluto
di Mirko Roberti

Attualità del pensiero bakuniniano.
Al centro del pensiero del grande rivoluzionario russo, la libertà si pone contemporaneamente come soggetto di conoscenza e come oggetto di prassi rivoluzionaria - Il ruolo fondamentale della divisione gerarchica del lavoro alle origini della disuguaglianza sociale - Il sapere scientifico base del potere delle future classi dominanti: dall'analisi materialistica Bakunin trae gli strumenti per le sue anticipazioni sui nuovi padroni, confermate in pieno dallo sviluppo storico.

Si impone oggi, a cento anni esatti dalla morte di Bakunin, una lettura del suo pensiero che, nell'evidenziarne l'eccezionale attualità, riveli nel contempo l'intima coerenza unitaria della sua vasta e multiforme riflessione. Si farà così giustizia di tutte le interpretazioni mancanti o falsificatrici finora pervenuteci e si scoprirà anche il senso della logicità del suo discorso. Una logicità fondata non sulla completezza di una schematicità formale, ma sull'interdipendenza necessaria dì tutte le sue tesi di fondo, qui raccolte attorno al progressivo, incessante approfondimento di quello che è il nucleo centrale della sua ricerca: la libertà. Ecco che si può spiegare, da una parte, quello che potremmo chiamare il suo "sistema aperto", disponibile, cioè, alla continua rivedibilità perché fondato appunto su un orizzonte permanentemente libero e critico, dall'altra la ragione stessa di questo riflettere, vale a dire, per contro, il tentativo di articolare, in modo teoricamente omogeneo, ogni analisi sociale, politica, economica, riconducendola sempre a comprendere l'inverso principio informatore che innerva ogni realtà storica fino ad allora costituita: il principio di autorità.

Nel pensiero di Bakunin la libertà diventa dunque, insieme, soggetto di conoscenza scientifica ed oggetto di prassi rivoluzionaria. Soggetto in quanto è il criterio peculiare per decifrare e valutare tutto ciò che si erge contro di lei, oggetto perché è il fine ultimo, mai completamente raggiungibile, di una perenne tensione umana che costituisce il senso stesso della vita presa nella sua interezza: la sintesi fra mezzi e fini trova così già qui una prima grandiosa delineazione. Ma, ci si domanda a questo punto, cosa intende Bakunin per libertà? Pensiamo non vi sia altro modo di rispondere se non raffigurandola con il suo equivalente termine operativo (meglio: rivoluzionario) che si enuclea da tutta la sua riflessione teorica: la possibilità. Estensibile all'infinito essa è il termine materialmente irriducibile che compendia il farsi della rivoluzione sociale, della società senza classi, dell'uomo libero, emancipato e completo. Ora, proprio perché questi fini non sono un sicuro approdo dell'evoluzione umana, se non nella prospettiva aperta da essa, ne consegue che la possibilità diventa una realtà oggettiva: la libertà risulta così l'unica certezza rivoluzionaria. E tanto maggiore è questa certezza quanto più grande viene a radicalizzarsi il concetto e la pratica della libertà. Concepita come estensione infinita di ogni possibilità materiale, essa impersona, nel disegno strategico bakuniniano, il mezzo più rivoluzionario in grado di applicarsi sovversivamente in ogni punto del tessuto gerarchico della società per scardinarne la sua fonte autoritaria.

È in questo modo che si delinea il criterio scientifico e critico di essa, diretto a decifrare, come dicevamo, il generale principio di autorità che investe ogni realtà storicamente costituita. Sottolineiamo proprio, con le parole di Bakunin, "principio di autorità" perché esse ci permettono di capire quella che è la preoccupazione teorica fondamentale del grande anarchico russo. Spiegare cioè l'effettivo concreto svolgersi del potere economico, sociale, politico, religioso, scientifico, al fine di pervenire ad una comprensione che, attraverso l'analisi dell'aspetto storico-variabile dello sfruttamento, risalga alla radice strutturale della disuguaglianza: il generale meccanismo autoritario che presiede alla riproduzione di ogni potere, anzi, del potere in quanto tale, trova perciò qui una straordinaria interpretazione.

La riflessione teorica bakuniniana per arrivare a questo risultato centra la propria attenzione attorno ai rapporti fra la divisione gerarchica del lavoro e le classi sociali, fra le classi sociali e lo Stato. Questo rapporto è analizzato prima sotto l'aspetto storico, nella disamina della società borghese, poi sotto l'aspetto strutturale, nella disamina della divisione gerarchica del lavoro. Per capire il doppio aspetto, strutturale e storico, della formazione delle classi, Bakunin riprende il metodo proudhoniano dell'equazione scienza-lavoro che individua, nella divisione del lavoro tra intellettuale e manuale, la trama del tessuto sociale ed economico che nella società storica capitalistico-borghese si traduce in capitale e forza-lavoro, in proletariato e borghesia. Allo stesso tempo il linguaggio bakuniniano rispetto alla definizione delle classi si fa estremamente generale: esse non sono definite in base al loro aspetto storico-variabile, ma in base al rapporto gerarchico-strutturale che intercorre fra loro. Un rapporto che va sempre dal basso all'alto, dalla base al vertice; è una definizione che delinea il rapporto autoritario fra le classi per arrivare a decifrare la radice strutturale della disuguaglianza.

Questi rapporti di dominazione-dipendenza, invero, si sviluppano sulla rete dell'organizzazione gerarchica del lavoro, sul cui disegno geometrico piramidale vivono ed interagiscono le funzioni sociali dalle più semplici alle più complesse, collocate secondo un ordine crescente di importanza e funzionalità intellettuali date dalla società storica del momento. Si comprende ora come si configura, nel pensiero bakuniniano, l'emancipazione degli sfruttati: essa è data dall'eguaglianza di tutti di fronte al lavoro e precisamente di fronte alla radice che ne sta alla base: la scienza. Ecco dunque che l'abolizione della proprietà privata diventa a questo punto una conseguenza dell'abolizione della divisione gerarchica del lavoro, cioè della radice strutturale della disuguaglianza. L'elaborazione teorica bakuniniana, infatti, chiarisce fino in fondo i nessi logici, necessari e consequenziali del rapporto intercorrente fra questi due aspetti nel senso che uno - la divisione gerarchica del lavoro, ne è la causa - l'altro, lo sfruttamento capitalistico-borghese, ne è l'effetto.

Il processo rivoluzionario deve perciò seguire il processo di riappropriazione integrale della scienza da parte delle classi inferiori. Ma questo comporta con l'abolizione delle classi, quella immediata dello Stato. Quest'ultima affermazione teorica emerge dall'analisi delle condizioni storiche favorevoli alla rottura rivoluzionaria. Esse non vengono individuate solo sulla base dello sviluppo del sistema capitalistico, ma più in generale nella struttura autoritaria presente in ogni forma socio-economica di disuguaglianza. Di conseguenza vi è da parte di Bakunin il rifiuto della "fase di transizione" ipotizzata da Marx ed Engels, proprio perché lo Stato, avendo una sua propria autonomia strutturale, è ben lungi dall'estinguersi qualora siano cambiati solo i rapporti capitalistici di produzione: occorre, infatti, abolire le classi, e cioè ancora e sempre la divisione gerarchica del lavoro. La sua integrazione fra l'attività manuale e l'attività intellettuale diventa perciò una necessità rivoluzionaria, vale a dire un mezzo e un fine allo stesso tempo. Nel rifiuto della costruzione a tappe del socialismo Bakunin quindi rivela quello che è il suo pensiero circa la dimensione temporale della rivoluzione. Essa si specifica nella sua strategia operativa che così si può riassumere per segno negativo: non possono darsi tutte le condizioni della libertà se non si danno contemporaneamente tutte quelle dell'eguaglianza e viceversa. In questo modo cadono implicitamente le possibilità di una progressiva sostituzione dei fini originari, cosa che invece avverrà puntualmente nella verifica storica del marxismo. Il contemporaneamente, inoltre, stabilisce per un altro verso un'alleanza fra classe operaia e masse contadine, nel senso appunto che esse devono attaccare insieme "il sistema" senza nessuna subordinazione strategica fra di loro. Struttura e sovrastruttura, tanto per usare due termini marxiani, qui interagiscono fra loro senza primato proprio perché la società, secondo Bakunin, si trasforma assieme all'individuo e l'individuo assieme alla società.

L'inestricabile connessione che lega i piani interagenti della libertà e dell'eguaglianza costituisce dunque a questo punto la chiave di volta per capire quale fosse l'abissale differenza fra Marx e Bakunin. Questi, logicamente, come rifiutava la divisione gerarchica del lavoro produttivo, così rifiutava la divisione gerarchica del lavoro rivoluzionario. E, come alla divisione gerarchica del lavoro produttivo contrapponeva, teoricamente nei fini, la sua integrazione egualitaria, così alla divisione gerarchica del lavoro rivoluzionario - teorizzata da Marx con il "partito" - contrapponeva, praticamente nei mezzi, la sua eguale integrazione. Vale a dire la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria dove, già nel suo porsi in atto, fossero prefigurati gli obiettivi finali della libertà e dell'uguaglianza. Quindi, nessuna struttura gerarchica, nessuna divisione verticistica tra funzioni intellettuali-direttive e funzioni manuali-esecutive. Un'organizzazione, cioè, fatta dal basso, senza una testa autonominatasi "avanguardia del proletariato". Solo in questo modo la crescita dell'autocoscienza delle masse popolari si sarebbe trasformata in un mezzo prefigurante già il fine.

È con questa dimensione interpretativa che il pensiero bakuniniano perviene a quella straordinaria lucidità profetica circa gli effetti futuri della divisione del lavoro rivoluzionario propugnata dai marxisti attraverso la costituzione del partito politico. Costituendosi inevitabilmente in organismo produttore e monopolizzatore della "scienza rivoluzionaria", perché diretto in ultima analisi da un'élite di intellettuali, questo non fa altro che favorire, nella divisione fra sfera intellettuale direttiva e sfera manuale esecutiva, la formazione di una "nuova classe", riproponendo così, con contenuti diversi, ma con identica modalità formale, i gradi gerarchici di ogni struttura autoritaria. La statalizzazione dei mezzi di produzione, l'accentramento ai vertici direzionali dello Stato delle funzioni economiche, tecniche, scientifiche, la pianificazione della produzione e del consumo, costituiscono la giustificazione ideologica fondamentale di essa data qui a sua volta dalla teorizzazione della meritocrazia che, sanzionando non più una disuguaglianza storica ma naturale, si esprime come "l'ultimo rifugio della volontà di dominio". Nello stesso momento in cui abolisce la proprietà giuridica dei mezzi di produzione, la "nuova classe" degli "scienziati" - inteso questo termine nel senso più lato - stabilisce la sua nuova proprietà che non può essere, per l'appunto, che una "proprietà intellettuale". L'avvento in tutto il mondo industrialmente avanzato della tecno-burocrazia che sostituisce il dominio capitalistico-borghese, avvento che ha costituito peraltro il risultato effettivo di tutte le rivoluzioni cosidette "socialiste", viene qui intuito con cinquanta, settant'anni di anticipo. Non solo. Con questa analisi Bakunin intuisce anche qualcosa di più profondo e cioè la duplicità generativa del processo rivoluzionario, nel senso che esso è sempre allo stesso tempo una possibilità di distruzione e di formazione del potere. La lotta di classe, pertanto, deve essere continuamente trasformata in lotta rivoluzionaria, perché solo l'irruenza del "soggettivo" mantiene aperta la possibilità della distruzione del potere in quanto tale.

Da qui la continua ricerca di una strategia rivoluzionaria che non riproduca, nel suo farsi, la struttura della disuguaglianza e quindi dello sfruttamento sotto altre vesti e altre funzioni. Occorre perciò sottrarre tale strategia alla logica della lotta di classe, per le implicazioni di potere in essa latenti, per ridarla sotto forma di lotta sociale popolare di tutte le masse oppresse. La lotta rivoluzionaria liberando le energie popolari si trasforma in in auto-creatività popolare, nullificando così gli aspiranti tutori del processo storico della liberazione umana.

A questo punto il modello generale della ricorrente formazione dell'autorità è dato per intero: interdipendenza consequenziale e necessaria tra monopolio della scienza e divisione gerarchica del lavoro, tra divisione del lavoro e classi sociali, tra classi sociali e Stato. Il disegno rivoluzionario bakuniniano si configura perciò in modo integrale: il suo collettivismo è la risposta storica all'aspetto variabile dello sfruttamento: il capitalismo; la sua totale socializzazione del sapere è la risposta rivoluzionaria all'aspetto strutturale della disuguaglianza: la divisione gerarchica del lavoro. Ne consegue che l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione passa attraverso la distruzione di ogni loro proprietà intellettuale, compresa quella del processo rivoluzionario.

Si delinea ora per intero il fondamento ideologico ultimo del pensiero bakuniniano, fondamento diretto a concepire il passaggio dalla necessità alla libertà dentro la prospettiva della possibilità rivoluzionaria. Questa non esprime solo il rifiuto di una pretesa ogettualità del corso storico, ma definisce anche il criterio irriducibile della dimensione progettuale umana, la sola certezza in grado di dissolvere ogni autorità storica precedentemente costituita, nello stesso momento in cui genera tutte le condizioni della libertà quale futuro storico dell'uomo. In questo orizzonte annegano tutti il fatui schemi accademici e dottrinari dell'"idealismo moderno" che comprende, naturalmente, oltre ad ogni forma religiosa, qualsiasi "astrazione" scientifica, specie sotto la forma di una nuova e più sottile divinizzazione. Ecco dunque la definizione bakuniniana di "teologia", termine che sta a indicare un castello teorico fasullo, privo di ogni base reale, oppure la sclerotizzazione di iniziali spunti vivificatori di concrete verità.

Ed è qui che si chiarisce fino in fondo il significato autentico dell'ateismo bakuniniano. La lettura materialistica di tutto il reale è determinata, infatti, dal suo universale assunto antiautoritario che denuncia come religiosa, divina e metafisica ogni dottrina, come ad esempio il marxismo, che, nel vissuto storico, riproponga di fatto l'eterna divisione fra sacerdoti e fedeli, fra chierici e laici, fra Chiesa e popolo. Per Bakunin materialismo, rivoluzione e libertà sono quindi tre momenti interdipendenti, poiché il materialismo presuppone la libertà e la libertà la rivoluzione; la libertà, cioè, si presenta come l'unica effettiva e irriducibile forza rivoluzionaria presente nella storia umana. Ne consegue, a sua volta, che la storia si presenta come un'eterna possibilità.

Ma se la possibilità di per sé distrugge ogni prigione pratica e teorica della vita, chi dà vita alla possibilità? La necessità, risponde Bakunin. Occorre quindi spiegare ed esaudire tutti i suoi imperativi categorici al fine di esaltare la libertà, poiché quanto più grande risulta lo svuotamento progressivo della necessità, tanto maggiore è la dilatazione della libertà, secondo le scadenze di un rapporto inversamente proporzionale che non ha fine. Risulta chiara ora l'ampiezza del radicale materialismo naturalistico e meccanicistico di Bakunin, da non confondersi, però, come vorrebbero i suoi critici o i suoi falsi apologeti, con quello storico o dialettico.

Si può comprendere, adesso, quanto dicevamo all'inizio circa il significato della coerenza logica del suo pensiero espressa nell'interdipendenza di tutte le sue tesi di fondo e cioè come abbiamo visto, la dimostrazione dei necessari e consequenziali rapporti fra l'abolizione delle classi e l'abolizione dello Stato, fra l'abolizione dello Stato e quella della "teologia", fra l'abolizione di un particolare potere storico e quella del potere in quanto tale. È un significato al tempo stesso etico e scientifico perché è volto a dimostrare la necessità rivoluzionaria della libertà e, per converso, la libertà in quanto voluta necessità rivoluzionaria. Verificandosi come volontà e come necessità, essa trova così il suo fondamento assoluto.