Civiltà educativa e professionalità docente per contrastare la mercificazione dei saperi     di Stefano Lonzar


È opportuno che si inizino a considerare gli effetti destabilizzanti della “globalizzazione” sul mondo dell’istruzione nel suo complesso e, contemporaneamente, a riflettere su come i processi di deregolamentazione, di decentramento, di massiccio uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che coinvolgono, in maniera più o meno avanzata, i sistemi educativi di tutti i paesi del mondo occidentale, introdotti indifferentemente da ministri di “destra” o di “sinistra”, rispondano fondamentalmente all’esigenza, divenuta pressante da 10 anni a questa parte, di modellare la Scuola sui bisogni dell’impresa, al fine di favorire la sua competitività e flessibilità, per adeguarla ai bisogni di un “mercato” in continua mutazione, in funzione di una supposta nuova impiegabilità, tutta favorevole al sistema del capitale. Per quanto attiene al primo punto del ragionamento, è sotto gli occhi di tutti il drammatico divario esistente, anche nel campo dell’istruzione, tra il mondo occidentale e i paesi in via di sviluppo.

Da noi il settore dell’educazione ormai ha assunto una dimensione imprenditoriale, il business sta crescendo con un budget annuale del valore mondiale di 2000 miliardi di dollari e si parla sempre più apertamente di “mercato dell'istruzione”, “ dei prodotti e dei servizi pedagogici”, di “imprese educative”, fino ad arrivare addirittura a parlare di “mercato dei professori e degli allievi”.

Proprio a Vancouver, in Canada, si è svolto nel 2000 il primo Mercato mondiale dell'istruzione, (World Educational Market) dove l’hanno fatta da padroni gli editori dei prodotti multimediali, gli ideatori e fornitori di servizi on line o di teleinsegnamento, gli operatori delle telecomunicazioni e delle imprese informatiche, i rappresentanti delle“università virtuali” con i loro programmi di formazione “chiavi in mano” da proporre on line. È questo un mercato in vertiginoso sviluppo in tutti i paesi industrializzati” e la tendenza è quella di andare sempre più verso un sistema di istruzione organizzata su base individuale, a distanza (via Internet), variabile nel tempo, lungo tutta la vita e personalizzato; l’intenzione, neanche troppo nascosta, è quella di portare il cittadino, ed in particolare il lavoratore, a riciclarsi di sua spontanea iniziativa, da solo, sul proprio computer, a propria spesa e durante il suo tempo libero.

Quanto alle regole, essendo questo un settore in via di sviluppo, risultano poco chiare e la liberalizzazione e la deregulation che sta investendo il settore educativo tradizionale, non promette certamente niente di buono.

Di contro, nei paesi in via di sviluppo, ci troviamo di fronte alla situazione drammatica di oltre 130 milioni di bambini in età di scuola elementare che crescono senza poter disporre dell'istruzione di base, ed in generale, nel mondo che si è da poco affacciato sul 21° secolo, abbiamo una tale situazione di disparità con quasi un miliardo di persone incapaci di leggere un libro o di scrivere la propria firma, e tanto meno di usare un computer o di capire un semplice modulo, i quali sono condannati a vivere in condizioni più disperate, di povertà e di cattiva salute, rispetto a chi invece possiede almeno queste conoscenze di base. Sono gli "analfabeti funzionali del mondo" il cui numero è in continuo aumento, a riprova di come la disuguaglianza educativa sia ancora un mezzo di legittimizzazione di nuove forme di divisione sociale; un fenomeno evidente e diffuso a livello planetario, ma presente anche là dove meno te lo aspetti e cioè nel “ricco mondo occidentale”, dove la conoscenza ritorna ad essere il principale materiale per l’edificazione di un nuovo muro tra un ristretto numero di detentori della stessa, organizzati nelle nuove corporazioni professionali planetarie, e la massa, nuovo proletariato del capitale mondiale, alla quale viene assicurato un bagaglio di competenze minimali, strettamente necessarie per l’inserimento in impieghi precari e poco qualificati.

D’altro canto sembra proprio che la “nuova economia” reclami soprattutto impieghi di basso livello di qualificazione. Dieci anni or sono, negli Stati Uniti, l’informativa FAST II sull’impiego aveva dimostrato che, tra le professioni con maggior tasso di crescita si trovavano gli spazzini, gli infermieri, i venditori, i cassieri e i camerieri. Successivi studi hanno confermato tale tendenza e dimostrato che la domanda di manodopera tende a polarizzarsi con una forte crescita degli impieghi ad altissimo livello di qualificazione (ingegneria, informatica, biotecnologie...) da una parte, ma dall'altra parte, con una crescita ancora maggiore, a carico di quei lavori che necessitano di un basso grado di formazione specializzata, la cosiddetta“short term on the job training”. La prospettiva, quindi, è che gli estremi lavorativi crescano, i settori intermedi diminuiscano e alla dualizzazione del mercato del lavoro corrisponda inevitabilmente una parallela dualizzazione dell’insegnamento.

Se il 50-60% delle proposte d’impiego non esige altro che lavoratori poco qualificati, al mercato risulta poco vantaggioso continuare con una politica di massificazione dell’insegnamento (preferisco parlare di massificazione piuttosto che di democratizzazione dell’accesso all’istruzione, come qualcuno ci ha voluto far credere) e così dalla fine degli anni ’80, i sistemi educativi dei paesi industrializzati sono stati sottomessi a critiche e a riforme senza fine: la decentralizzazione, la deregolamentazione del sistema e la riduzione dei programmi che favoriscono lo sviluppo ineguale in un quadro formalmente egualitario (in questa ottica si inserisce pienamente la recente Riforma Moratti in Italia), la crescente autonomia dei centri scolastici che permette di ridurre i costi delegando, appunto, la gestione dell'austerità al livello locale (come non pensare alla legge 59 del 2000 che ha istituito l’autonomia scolastica), la diminuzione del numero di ore di lezione per gli studenti, l’introduzione massiccia delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), l’incremento dell’insegnamento privato e a pagamento che si affermano proprio là dove si realizza la progressiva deregolamentazione del sistema pubblico.

Ma anche là dove la liberalizzazione della scuola non ha preso il sopravvento, là cioè dove le politiche pubbliche svolgono ancora un ruolo preminente nella ricerca e nell’istruzione, le stesse si fanno promotrici di uno spirito imprenditoriale, del “modello impresa” visto come il soggetto e il luogo principale della promozione, organizzazione, produzione, valorizzazione e diffusione della “conoscenza che conta”. Come si è detto in precedenza le modifiche che si stanno apportando ai sistemi educativi non sono frutto di scelte personali di alcuni ministri o del caso, ma sono inseriti in un piano generale di adeguamento della scuola alle nuove esigenze dell’economia capitalista e si realizzano sia sul piano dei contenuti didattici (ad esempio attraverso l’affermazione di un funzionalismo pedagogico di matrice anglosassone, e la svalutazione, di contro, dell’interpretazione storica e dell'oralità dialogica, che evidentemente rispondono in maniera non sufficiente all’esigenza di profitto economico che sta alla base di queste scelte) che su quello dei metodi, per cui la sfera educativa tende a trasformare l”istituzione scuola” in un “luogo” o peggio in”servizio”dove si impara una cultura di competizione «ognuno per sé… riesci meglio degli altri e al posto loro», piuttosto che una cultura di vita, di cooperazione «vivere insieme agli altri, nell’interesse generale».

Ma soprattutto le attuali condizioni dei sistemi educativi globalizzati appaiono la puntuale messa in pratica delle ciniche affermazioni presenti in un documento pubblicato nel 1996 per i servizi di studio dell’OECD da parte di Christian Morrison“...Se si diminuiscono le spese per il funzionamento di scuola e università, bisogna fare in modo che non si diminuisca la qualità del servizio, ancora a rischio che la qualità si abbassi. Si possono ridurre, per esempio, i finanziamenti per il funzionamento della scuola o delle università, ma sarebbe pericoloso ridurre il numero di immatricolazioni. Le famiglie reagirebbero violentemente se non si permettesse ai loro figli di immatricolarsi, ma non faranno fronte ad un abbassamento graduale della qualità dell’insegnamento e la scuola può progressivamente e puntualmente ottenere un contributo economico dalle famiglie o eliminare alcune attività. Questo si fa prima in una scuola e poi in un'altra, ma non in quella accanto, in modo da evitare il malcontento generalizzato della popolazione”. Ora, basta sostituire il funzionario dell’organizzazione con ciascun ministro dell’istruzione dei paesi occidentali e …il gioco è fatto.

In questo contesto, quello che Massimo Bontempelli definisce “totalitarismo neoliberista”, assume ancora più valore la proposta, che faticosamente, ma con molta costanza, conduce l’UNIcobas, insieme ad altre organizzazioni sindacali europee e a singoli insegnanti di diversi paesi dell’Unione Europea, di costituire la FESAL (Federazione europea del sindacalismo alternativo della scuola). Un progetto, avviato per difendere la civiltà educativa, la professionalità docente, l’idea di cultura disinteressata ed il libero accesso di tutti alle conoscenze portatrici della comprensione del mondo, inserito in un più ampio fronte sociale e culturale, capace di opporsi all'attuale sistema di vita, dominato da un'economia interamente mercantile, tecnica ed autoreferenziale.