Marx mit uns
di Camillo Levi

La guerra non è altro che la continuazione della politica, fatta con altri mezzi: Lenin amava molto questa definizione del generale Von Clausewitz, i cui scritti costituivano per lui la massima fonte di ispirazione in tema di strategia. È un'affermazione che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Potrebbe essere di monsier De La Palisse.

D'altronde nemmeno in tutte le numerose pagine di Lenin e degli altri capi-scuola del marxismo-leninismo più o meno realizzato si trova la chiave per comprendere almeno un po' quello che sta accadendo nel Sud-Est asiatico. Lo sanno bene tutti gli intellettuali marxisti, delle più varie tendenze, che si affannano in queste settimane a scartabellare i "sacri testi" alla ricerca di ciò che non c'è. Che non c'è, guarda caso, proprio perché non può esserci.

Non perché i capi-scuola del marxismo-leninismo non abbiano affrontato l'argomento "guerra" e non l'abbiano trattato con la dovuta attenzione. Chè, anzi, molte pagine vi sono dedicate. Semplicemente perché per loro la guerra, in questa fase storica, altro non è - e non può essere - che il prodotto dell'imperialismo tipico degli stati capitalisti, della crescita tumultuosa delle loro economie nazionali, dell'incontenibile bisogno di espansione e di dominio delle loro borghesie, ecc. ecc.. Con la presa del potere statale da parte del proletariato e dei suoi naturali dirigenti (i partiti comunisti), tutto sarebbe cambiato. Non più guerre, se non contro i nemici del comunismo e della rivoluzione. Non più massacri, bombe, distruzioni. La nostra vittoria - hanno sempre sostenuto Lenin & C. - sarà la vittoria della libertà e della pace.

Sessanta e più anni di dittatura ferrea, di lager, di partiti unici, di colpi di picozza a destra e a manca (più a manca, tra l'altro, che a destra), sono qui a dimostrare che il trionfo della libertà nei paesi comunisti non è ancora del tutto realizzato. La pace invece sì, hanno sempre sostenuto i marxisti di tutte le scuole: nessuno può mettere in discussione la strutturale vocazione alla pace degli stati comunisti. A chi esprime qualche dubbio veniva sempre risposto con sicurezza che gli eserciti comunisti sono esattamentel'opposto di quelli capitalisti, perché mentre questi sono fatti per la guerra quelli non anelano che alla pace. Che tutto il proletariato doveva esultare nel vedere i carri armati ed i missili con testata nucleare sfilare sulla piazza Rossa o su quella Tien An Men. Che solo un antimilitarismo di stampo piccolo borghese come quello degli anarchici poteva indurre a rifiutare qualsiasi esercito, qualsiasi struttura militare gerarchicamente strutturata. In conclusione, chi andava dicendo che tutti gli eserciti, capitalisti o marxisti-leninisti, borghesi o proletari, sono tra loro uguali nella struttura interna come nelle funzioni "sociali" non poteva che essere un imbecille o un provocatore. Avevi voglia a citare Kronstadt '21 o Praga '68, Berlino '53 o Canton '69: tutte questioni "interne" al processo di costruzione del comunismo, ti rispondevano. E tu restavi imbecille e provocatore.

Il tempo, ancora una volta, si è dimostrato galantuomo, purtroppo. "Purtroppo", perché ancora una volta le nostre analisi/opinioni/indicazioni di imbecilli o provocatori si sono confermate esatte, tragicamente esatte, al confronto con una storia di morte, con la loro storia. Il Vietnam marxista-leninista ha occupato militarmente la Cambogia marxista-leninista, abbattendo il regime del marxista-leninista Pol Pot per instaurare un governo-fantoccio marxista-leninista. La crescente influenza di Hanoi nel Sud-Est asiatico (anche il Laos è in mano ad un regime marxista-leninista filo-vietnamita) ha irritato non poco i dirigenti marxisti-leninisti di Pechino, che - dopo aver ottenuto il sostanziale tacito accordo di Washington e di Tokio (additati fino a qualche anno fa come i capisaldi del capitalismo e dell'imperialismo mondiali) - hanno invaso una fascia di territorio vietnamita, spingendosi fino a poco più di centocinquanta chilometri da Hanoi. Noi non abbiamo aggredito nessuno, abbiamo solo prevenuto una manovra aggressiva di Hanoi - spiegano a Pechino, senza molta originalità. I dirigenti dell'aggredito (dalla Cina) Vietnam motivano da parte loro la loro aggressione (alla Cambogia) con il dovere morale di accorrere in aiuto dei rivoltosi cambogiani, che avevano tutto il popolo al loro fianco nella sollevazione contro l'odiato Pol Pot. Il quale, ora strenuamente difeso dalla Cina in funzione anti-vietnamita e quindi anti-sovietica, aveva a sua volta scalzato dal potere, qualche anno fa, il principe marxista-leninista Norodom Sihanouk, appoggiato all'epoca dall'intero fronte marxista-leninista, compresa la Cina che così ora si trova a difenderli tutt'e due.

Non indaghiamo oltre: il quadro, nelle sue linee essenziali, è ben delineato. Stati marxisti-leninisti ed eserciti marxisti-leninisti si stanno combattendo tra di loro: il che significa, come al solito, che sono i poveri, i lavoratori, i contadini, la gente del popolo ad essere mandati gli uni contro gli altri, in una guerra, come al solito, senza altro senso che non sia quello dell'affermazione di potenza dei governanti. Come al solito, è il popolo a pagare le scelte dei suoi "rappresentanti", sono i villaggi contadini a bruciare, non i palazzi del potere. Chè anzi in questi palazzi prima o poi inizieranno le trattative a livello ufficioso o ufficiale, con tanto di storici abbracci, di riconciliazione in nome dei comuni ideali marxisti-leninisti, di inni nazionali e proletari. La perdita di vite umane, i corpi straziati, le amputazioni, le cecità, le famiglie spezzate, l'economia distrutta, la natura sconvolta: si vorrà cancellare tutto con la firma di un trattato di non-aggressione e magari di stretta e fraterna collaborazione. Invano.

Se le vicende del Sud-Est asiatico ci colpiscono profondamente, al pensiero dell'antica, tragica quanto inutile sofferenza inflitta a quelle popolazioni che, anche solo per sopravvivere, avrebbero bisogno innanzitutto di pace, ci pensano i marxisti-leninisti di casa nostra a tirarci su il morale. A loro vada la nostra gratitudine: nella vita si ha ben il diritto anche di sorridere.

Una prima avvisaglia, che già ci aveva spinto al buonumore, l'avevamo colta al recente convegno indetto dal Manifesto a Milano, che aveva raccolto alcuni tra i più noti intellettuali delle varie scuole marxiste. Il tema in discussione, cioè i rapporti tra ideologia marxista-leninista e "socialismo realizzato" (curiosa espressione che indica il suo esatto contrario), era dei più ghiotti per degli anti-marxisti-leninisti come noi. Li aspettavamo al varco. Tanto più che proprio in quei giorni il socialismo realizzato vietnamita stava aggredendo/occupando/"liberando" il socialismo realizzato cambogiano. Vedere questi noti intellettualoni, alcuni dei quali fisicamente poco prestanti, arrampicarsi su per i vetri della sala-congressi nel tentativo di spiegare ciò che marx-leninisticamente è inspiegabile ha contribuito al nostro buonumore. La lettura dei loro quotidiani e periodici in tutto questo periodo, fatta con il dovuto senso dell'umorismo, ha poi fatto il resto. Certi numeri della Sinistra e di Ottobre, anzi, ci sono sembrati, a prima lettura, dei sarcastici falsi, di quelli gustosi ai quali ci hanno abituato i redattori del Male.

Buona parte dei marxisti-leninisti nostrani, imbarazzata di fronte al conflitto tra stati marxisti-leninisti, esorcizza il problema limitandosi ad auspicare la cessazione di questa guerra "fratricida" (come se poi, tra l'altro, tutte le altre guerre tra stati non lo fossero). Chi si addentra nei meandri di un'analisi marxista-leninista del conflitto, sprofonda inevitabilmente nelle paludi delle profonde contraddizioni, oppure, per procedere nell'analisi, è costretto a reinventare o ad ignorare, a seconda dei casi, i "sacri testi", finendo nel più squallido linguaggio patriottardo: difesa dei sacri confini nazionali, mobilitazione generale, tutti uniti per la salvezza della patria, credere obbedire combattere. In nome dell'internazionalismo proletario, naturalmente.