Progettare per abitare
di Adriano Paolella

da Rivista anarchica on  line

 

Così si intitola il libro, appena uscito, del nostro collaboratore Adriano Paolella. Ne pubblichiamo, di seguito, alcuni stralci.

 

 Comunità e sito
 

Se si vuole recuperare una comunità nelle sue relazioni con l’ambiente non si può rinunciare al ruolo che in questo può svolgere l’edilizia. Costruirsi la casa è un “collante” con il sito e con i propri vicini è un momento centrale per la vita delle persone che non può essere completamente alienato.
La costruzione e il recupero degli edifici possono contribuire a riconfigurare quelle relazioni fondamentali con l’ambiente e con la comunità la cui mancanza ha così negativamente inciso sulle condizioni di qualità della società contemporanea.
Evidenziati i limiti insiti nel progetto definito all’interno di una dimensione esclusivamente disciplinare, del proprio linguaggio, delle richieste della committenza, indipendentemente dalla condizioni sociali ed ambientali in cui si colloca ed a cui il progetto è asservito, si pone la necessità di individuare un sistema attraverso il quale riuscire a non disperdere la capacità propria della comunità di trasformare e gestire lo spazio fisico.
È opportuno riflettere, partendo dall’acquisizione di un dato culturale di fondo, e cioè dalla considerazione che gli abitanti non possono essere esclusi dalla definizione dello spazio abitativo e nemmeno ingannati con un sostegno formale di prassi teorizzate, sull’entità e la forma della loro presenza all’interno del processo progettuale.
E ciò è possibile attraverso una sperimentazione che parta da quanto esistente e da quanto già attuato in questa direzione.
Situazioni di adattamento del costruito o di costruzione di nuovi edifici sono riscontrabili in gran parte degli insediamenti del pianeta ed è difficile ipotizzare che nel prossimo futuro le pratiche di costruzione diretta, che già oggi producono gran parte del patrimonio edilizio mondiale, tenderanno a ridurre la propria incidenza.
L’estesa povertà, le leggi del mercato, i fenomeni di inurbazione, l’esponenziale incremento della popolazione, ma anche la difficoltà nei paesi ricchi ad adattarsi alle regole economiche vigenti, sono fattori che non lasciano presagire un cambiamento di direzione.
Il fatto che i progettisti abbiano considerato in maniera inadeguata le esigenze e i desideri della popolazione non implica però che l’autocostruzione possa essere indicata come la forma ottimale per raggiungere un miglioramento della qualità dell’edificato.
L’autocostruzione non speculativa è praticata, per la quasi totalità, in condizioni di necessità e di ristrettezze economiche. Vi sono però delle situazioni in cui essa è stata ed è praticata da comunità autonome e coscienti in modo consapevole ed appropriato proprio come strumento per aumentare la condivisione di obiettivi, criteri e tecniche.
Se dunque l’autocostruzione, così come essa generalmente si presenta, non può essere presa a riferimento per un modello diffuso essa non può nemmeno essere ignorata, sia per la sua estensione sia per il suo rappresentare, come visto, la capacità tecnica e la volontà di gestione diretta da parte degli abitanti.
La capacità di autocostruire si presta dunque a divenire strumento per migliorare l’efficienza ambientale delle soluzioni e atta a sostenere una consapevolezza di quanto praticato.
L’attuale limite della partecipazione appare proprio nell’avere individuato ruoli separati tra i soggetti partecipanti (la cittadinanza è condotta in un percorso prestabilito) mentre il senso della costruzione in comunità risiede nel fatto che gli abitanti non partecipano ai esclusivamente ai procedimenti definiti ma contribuiscono attivamente al processo edilizio nelle diversi fasi, non ultima nella manutenzione.
Solo riconoscendo la competenza del cittadino è possibile ricostruire un’organicità di interventi, di tecniche e di forme sottratti all’esclusivo dettame del mercato, organicità la cui assenza rende il progettista un soggetto isolato, poco incisivo, raramente compreso e comprensibile.
Al progettista viene richiesto un ruolo di interprete competente dei desideri della comunità insediata.
L’interpretazione che viene operata attraverso la comprensione dei segni fisici, dei comportamenti e delle richieste esplicite è volta ad aumentare il benessere locale della popolazione (ovvero mettere in atto tutte le soluzioni che possano migliorare le condizioni di vita degli abitanti, dalla scelta di materiali non tossici alla riduzione della manutenzione, alla definizione di forme che possano migliorare le relazioni con l’esterno e la qualità del vivere interno) ed ad aumentare il benessere globale della popolazione (ovvero mettere in atto tutte le soluzioni che evitano di danneggiare seppure indirettamente la qualità dell’ambiente).
In questo la partecipazione sembra fondamentale non come processo di condivisione, e nel caso di creazione del consenso, attraverso cui si fanno rispettare regole e condizioni estranee al contesto, ma come strumento, nelle diverse modalità in cui si può attuare, in grado di recuperare l’individuale capacità di discernere le soluzioni compatibili, non autoritarie, condivisibili da parte degli abitanti e di lavorare con questa capacità per la definizione del progetto.
Si tratta di agganciare la creatività del progettista a quella della comunità insediata

 Marginalità, disordine, riduzione del mercato
 

Recuperare la marginalità
Coloro i quali hanno determinato i linguaggi, la cultura, le modalità di relazioni praticate sono avvantaggiati rispetto a coloro i quali partendo da condizioni culturali diverse si uniformano.
Inoltre nell’imitazione si definisce la sudditanza culturale e quindi l’impossibilità di una relazione paritetica tra propositore del modello ed epigono.
È molto diffusa nel mondo contemporaneo la perdita di identità locali in seguito all’adesione acritica a comportamenti e criteri proposti/imposti. Questa adesione indotta fa sì che gli individui non si riferiscano più alla società ed alla cultura originaria ma si adattino al modello esterno senza relazionarsi ad esso in modo critico; in ciò si aumenta la disomogeneità rispetto alla comunità d’origine e si aumenta l’omogeneità non geografica per gran parte ottenuta attraverso le merci ed i comportamenti ad esse connessi.
Il recupero o il mantenimento di una condizione di equilibrio con i luoghi e di consapevolezza è possibile attraverso la promozione di relazioni e di attività tendenti ad una autonomia culturale e produttiva, sociale ed economica, ovvero attraverso la completa utilizzazione non distruttiva delle risorse naturali e umani esistenti localmente.
I sistemi ecologici si diversificano tra di loro per la capacità di utilizzare al massimo l’energia presente in un determinato luogo: più sono complessi e maggiore è la capacità di uso, maggiore è la capacità d’uso e minore è l’energia non utilizzata.
Rispetto all’energia in ingresso nel sistema ciascuna elemento biologico cerca un ambito di uso che no sia concorrenziale rispetto ad altri elementi ed occupa uno specifico e tendenzialmente non sovrapposto ambito. Gli ecosistemi si differenziano in ragione delle condizioni di energia in cui si sviluppano aumentando nel tempo il loro livello di efficienza rispetto alle condizioni del contesto.
Così come i sistemi naturali le comunità umane si sono in passato specializzate nell’uso dell’energia disponibile e solo attraverso processi di uniformazione produttiva dei comportamenti, che trovano nella nostra contemporaneità il massimo esempio finora riscontrabile, si sono allontanati dalla condizione di ottimale utilizzazione praticando soluzioni astratte dal contesto.
Sembra opportuno che le comunità recuperino la capacità di adattarsi e non sprecare energie e quindi necessariamente differenziarsi ed interagire sia al loro interno sia, non essendo sistemi chiusi, con altre società.
Così si consolida, o si avvia, la ricostruzione di comunità all’interno delle quali siano riconosciuti ruoli e competenze e dove gli individui, da acquirenti di merci, divengono soggetti interattivi utili di nuovo gli uni per gli altri.
A tale ipotesi il settore delle costruzioni può contribuire in quanto ambito operativo fortemente collegato alle condizioni locali, capillarmente diffuso, profondamente diversificato nelle soluzioni e nei metodi.
La consapevolezza della propria marginalità rispetto al modello, se la centralità o l’appartenenza sono uniformazione, della propria condizione di sottosviluppo, se sviluppo è inteso come pedissequa imitazione, appaiono le premesse per cercare soluzioni appropriate in una autonomia aperta e feconda.

Mantenimento e ripristino della complessità e del disordine
L’azione di progettazione sviluppata in un recente passato ha teso a semplificare i fenomeni per poter procedere a sintetizzare le soluzioni in azioni uniformi e ripetibili.
Così facendo ha operato alla riduzione delle infinite forme dell’abitare a sistemi e modalità abitative uniformi.
È come il passaggio dalla ricchezza del bosco, dalla sua complessità, alla semplicità del giardino urbano di prati e grandi alberi: quest’ultimo, per quanto piacevole, non ha la ricchezza né la autonomia e potenzialità ecologica che è propria del primo.
Ogni individuo ha proprie esigenze e tali esigenze non possono essere sopraffatte dalle necessità di uniformazione. Ciascun individuo ha bisogno di un proprio progetto per la propria abitazione che espliciti la sua differenza, in quanto la forme e le soluzioni devono essere adatte alla sua modalità di vita e all’immagine che della vita egli possiede.
Il carattere principale dei progetti che tengono in considerazione le esigenze degli abitanti è la grande variabilità delle forme. Risulta difficile rispondere a specifiche richiese nell’ambito di una scelta progettuale tipologica e ripetitiva.
Si compone così una situazione di organico disordine tipico delle situazioni di elevata naturalità; situazioni dunque adeguate alla soddisfazione delle esigenze umane che quando non obnubilate da modelli economici e di potere, possono essere profondamente naturali.
Nel mondo contemporaneo esistono moltissime comunità che vivono al di fuori dei modi praticati dal modello preminente ed esistono una infinità di individui diversi con necessità e desideri tra loro diversi; anzi, al di sotto della pellicola di uniformità imposta, permane una vitalità fatta di molteplicità e diversità che non può essere ignorata dal progetto.

 Fuori dal mercato
 

In una economia, come quella contemporanea, che cura solo i profitti e i metodi per produrli è difficile ipotizzare che attività non produttrici di profitto possano essere ritenute interessanti. È evidente come, dove non vi sia una convenienza in termini di guadagno, non vi sia attenzione.
L’auspicato aumento di efficienza è connesso alla possibilità del mercato di produrre merci che trovino acquirenti e che non riducano il mercato di merci consolidate.
Questa strategia fa sì che molte tecniche già disponibili in grado di risolvere alcuni correnti problemi, non vengano utilizzate diffusamente poiché non rispondono ai requisiti richiesti dal mercato.
Sulla base di quanto avvenuto negli ultimi venti anni, ovvero dopo l’acquisizione di una consapevolezza della situazione di alterazione ambientale e in presenza di tecniche e modalità in grado di ridurre gli effetti negativi apportati dallo svolgimento delle attività, è difficile ipotizzare che questo modello produca dal suo interno in breve tempo il superamento delle attuali condizioni.
I danni sono evidenti, le soluzioni praticabili sono disponibili ma manca la volontà di perseguirle. Non vi è intendimento, da parte di chi ha di più, di limitarsi ma, in primo luogo, non vi è interesse, da parte di chi sostiene il modello, di ridurre le produzione e di rendere socialmente e ambientalmente sostenibile il mercato.
È forse più congruo ipotizzare che il recupero di alcune modalità di agire marginalizzate dall’attuale modello, fondate ad esempio sull’equità, sulle relazioni paritetiche, sulla soddisfazione diffusa, possano essere recuperate al fine di contribuire concretamente a migliorare la qualità della vita.
Anche in questo l’edificare può divenire strumento efficace al raggiungimento di questo obiettivo. La costruzione di un edificio è parte di un comune insediarsi e come tale esso può essere il prodotto di un comune lavoro e della condivisione dello stesso.

 Adriano Paolella