PER FINIRLA (a proposito di astensionismo ed anarchismo)
di Camillo Berneri

A proposito di astensionismo ed anarchismo, è ancora su "L'Adunata dei Refrattari" (N.Y. 27.6.1936), che il nostro dice la sua ultima parola con un altro articolo pubblicato sotto il titolo "Per finire" (che invece Berneri avrebbe intitolato "Per finirla"), fatto apparire in una sezione del giornale tutta destinata a quel dibattito specifico sotto il “distico”: "Revisionismo elettorale dell'Anarchismo".

"Secondo G.Grasso io avrei dato prova di scarso rispetto per le vedute dell'Adunata e per i lettori che le condividono, e pubblicando roba da chiodi da forca (frutto di uno snobismo culturale che mi appaia a Mariani, ai futuristi e ai riformisti), mi sarei rivelato un allegro vessillifero e galoppino delle future fiere elettorali! L’Adunata, sempre secondo G.Grasso, avrebbe dovuto cestinare un articolo di due colonne che obbliga la redazione ad occupare altrettanto spazio e più per ridare al giornale i suoi veri connotati «strategici».
M.S., poi, mi attribuisce di aver definito cretino l'astensionismo anarchico, mentre io considero e dico cretine soltanto le superstizioni astensioniste di certi cretini che si credono anarchici. Vediamo di mettere un po’ a posto le cose.
Rispondendo all'inchiesta di Mas Lejos (16 aprile 1936) scrivevo: «L'astensionismo è per gli anarchici una questione di principio, per il fatto che questa questione è intimamente legata alla rappresentanza, parlamentare o comunale, in un regime statale, in forme che fanno del rappresentante - deputato o consigliere comunale - una autorità e non il "mandatario esecutivo" della volontà degli elettori. Come "questione tattica", l'astensionismo elettorale è un principio anarchico nel senso che eleggere un rappresentante ed incaricarlo di strappare al Governo od alla borghesia una concessione di libertà o dati miglioramenti economici, è cosa che sta in contrasto con l'azione diretta, alla quale gli anarchici cercano di educare il proletariato».
Dato che non ho affatto menomato l'astensionismo anarchico, tutte le lezioni di M.S. su questo argomento sono a me inutili e non possono che parere stonate a chiunque abbia esattamente afferrati i termini della questione da me sollevata.
I problemi che ho posto sono due. Il primo è: la propaganda astensionista è sempre opportuna in rapporto alla situazione politica nella quale si possono trovare il proletariato ed i partiti di avanguardia? Il secondo è: l'astensionismo anarchico deve essere circoscritto alle elezioni parlamentari e comunali o a tutte le elezioni e anche ai referendum, plebisciti, ecc.?
I due problemi sono nettamente distinti. M.S. non ha risposto né alla prima né alla seconda domanda in modo tale da lasciarmi persuaso.
Il ricordare che sono venuto all'anarchismo dai feudi di Prampolini e il fare dell'ironia sulla mia popolarità di quartiere è certamente più facile del dimostrare che l'astensionismo non abbia lati negativi che vanno compensati dall'azione diretta, da un’attività sindacale, da un’intelligente critica politica al sistema rappresentativo.
Affermare che «nessuna bilancia elettorale è suscettibile di pendere in alcun senso in tal natura da creare una situazione rivoluzionaria» basandosi sul fatto che l'idea di rivoluzione ed il fatto dell'azione diretta sono completamente agli antipodi dell'idea di elezione vale, a mio parere, pronunciare un assurdo apriorismo che ipoteca su di uno schema fisso, arbitrariamente posto, gli sviluppi di tutte le rivoluzioni possibili.
Affermare che le elezioni sono sempre uno strumento di conservazione statale e borghese e come tali considerate dallo Stato e dalla borghesia vale, a mio parere, semplificare arbitrariamente il gioco delle forze politiche in uno Stato contemporaneo. Quando i prefetti giolittiani assoldavano i camorristi napoletani e lasciavano carta bianca ai «mazzieri» pugliesi, quando il fascismo terrorizzava candidati ed elettori antifascisti, quando Mussolini faceva accoppare gli oppositori parlamentari, il 90% del proletariato era condotto a pensare che lo Stato e la borghesia difendevano la propria conservazione contro le forze di sinistra affermantisi nell'agone elettorale e parlamentare. Né si deve sopravvalutare il significato delle astensioni. L'astensionismo era in Italia massimo nelle regioni politicamente più arretrate e sarebbe stupido indurre che in Polonia il proletariato ha il senso dell'azione diretta più sviluppato di quello del proletariato spagnolo dal fatto che nelle elezioni legislative polacche del 1935 vi sono state il 50% di astensioni. Continuo a pensare che le elezioni politiche nel 1921 aprirono definitivamente la strada al fascismo e che nel 1924, al tempo dell’affare Matteotti, gli anarchici avrebbero dovuto incuneare la propria azione nella prassi parlamentare, senza curarsi di passare per sostenitori dell'Aventino.
Tra il parlamentarismo e l'elettoralismo da un lato e l'astensionismo alla M.S. vi è, mi pare, posto per un astensionismo che non schematizzi i rapporti e non semplifichi i processi. In politica non si può ragionare con dei se. È evidente che il proletariato spagnolo e quello francese avrebbero fatto meglio a marciare direttamente contro lo Stato e contro la borghesia invece di limitarsi ad un trionfo elettorale. Ma è anche evidente che tale trionfo ha creato una situazione nuova, più favorevole della precedente ad ulteriori sviluppi rivoluzionari, così come, in Italia, in moti costituzionalisti del 1821 prepararono i moti del 1848 ben diversi dai precedenti. Leggo in un recente articolo di S.Faure: «Presto, presto, che il Fronte Popolare prende potere! Presto, presto, che vi si dimostri incapace o di cattiva volontà!». Come è anarchico, questo desiderio! Ma come è discutibile, sul piano della realtà. Se il governo del Fronte Popolare in Francia farà un grosso fallimento, l'anarchismo vedrà ingrossare le proprie file, ma questo non impedirà l'avvento del fascismo. Allo stato attuale delle cose, non posso che augurare al proletariato francese che il governo di Leon Blum tenga duro e riesca a permettere alle avanguardie operaie e rivoluzionarie di rafforzarsi di maturare.
Storicamente, meglio Bruning che Hitler, meglio Giolitti che Mussolini, meglio Lenin che Stalin, e via di seguito.
Siamo, ormai, sepolti vivi in una miniera allagata. È assurdo, quindi, se vi è aria a sufficienza, dare colpi di piccone; dalla breccia entrerebbe l'acqua che ci affogherebbe. Meglio aspettare che andare incontro a morte sicura. Alla teoria del «tanto peggio tanto meglio» bisogna sostituire quella del «meglio il male attuale che uno peggiore». Questo, ben inteso, con il tradizionale grano di sale.
Mi pare che da tutta questa polemica a tra me e M.S. sia saltata fuori una cosa interessante, che è questa: vi sono due astensionismi anarchici. Il primo non nega a priori che una situazione rivoluzionaria possa scaturire da un trionfo elettorale delle sinistre parlamentari, sia perché tale trionfo tonifica la combattività delle masse, sia perché le disillusioni create dal governo popolare spingono le masse ad aver fede nell'azione diretta e a praticarla, sia perché il governo popolare concede alle estreme sinistre maggiori libertà di propaganda, di organizzazione e di agitazione. Tale astensionismo non si sogna di negare il valore della tattica astensionista e non rinnega i propri principi antiparlamentaristi, ma ha una concezione dialettica della rivoluzione.
Il secondo, non solo nega al trionfo elettorale delle sinistre un qualsiasi valore rivoluzionario, ma estende la propria negazione a tutte le forme di elettoralismo, compresa quella plebiscitaria.
Far presente che il risultato delle elezioni spagnole fu l'effetto e non la causa del malcontento e dell'opposizione popolare contro il governo clerico-fascista spagnolo, come fa M.S., è dire una cosa ovvia, che niente ha a che fare con il problema. Nessuno si è sognato di dire che le elezioni politiche spagnole hanno creato il malcontento e l’opposizione, mentre continuo a dire che il risultato di quelle elezioni è stato quello di tonificare sia il malcontento sia l'opposizione. Il che vale anche per il risultato delle elezioni francesi. Basterebbe a dimostrarlo la recente ondata di scioperi metallurgici proprio alla vigilia della formazione del gabinetto Blum.
Debbo segnalare un'altra sofisticheria. Io non ho detto che l'anarchico spagnolo doveva essere astensionista come membro della FAI e elettoralista come membro della CNT, ma ho distinto il problema tattico, proprio della FAI ed il problema strategico, proprio della CNT, in merito alle elezioni. La FAI è un'organizzazione politica, alquanto omogenea, comunista-libertaria, mentre la CNT è un'organizzazione sindacale, eterogenea e libertaria soltanto tendenzialmente. L'aver voluto dare alla CNT una parola d'ordine astensionista avrebbe implicato conseguenze enormi ed è in qualità di dirigenti sindacali e non di semplici membri che il problema apparve complesso ai faisti membri della CNT. Non è caricaturando il problema, né sfoggiando frasi melodrammatiche, che lo si risolve. Se gli 80% degli anarchici spagnoli sono rimasti imbarazzati di fronte alle elezioni, se Paul Reclus, se Pierrot, se il sottoscritto hanno creduto opportuno riesaminare l'assolutezza tattica dell'astensionismo anarchico, se Bertoni e se Faure hanno rivelato qualche incertezza, tutto questo non lo si spiega con insulti e con insinuazioni, che non hanno neppure l'attenuante di una ritorsione polemica.
Malatesta, ad esempio, non faceva dello spirito alle spalle di quei compagni che prendevano sul serio la questione dell’astensionismo anarchico, come dice M.S. ed io non ho mai definito cretino l'astensionismo anarchico, come M.S. pretende e, da lui suggestionati, ripetono taluni lettori... indignati. Malatesta riteneva che avessero ben poco capito l’astensionismo anarchico quei bei tipi di Londra che non volevano rispondere al referendum relativo all'istituzione di una biblioteca perché credevano che rispondere significasse cadere nell'elettoralismo. Se quei bei tipi avessero data una giustificazione del genere di quella che M.S. loro attribuisce, Malatesta, che era un uomo intelligente ed era un anarchico, non li avrebbe accomunati a coloro che, per non votare, rifiutano di approvare un ordine del giorno rispondente alle loro vedute.
E veniamo al problema della partecipazione ad una votazione che non sia strettamente elettorale. Il comune del circondario parigino in cui abito mi manda un foglio-referendum nel quale mi domanda se desidero l’istituzione di una biblioteca nel quartiere. M.S. si asterrebbe dal rispondere, perché il Comune è incompetente a fondare e ad amministrare una biblioteca, e perché le biblioteche fondate od amministrate dall'autorità politica non rispondono, o rispondono male, ai bisogni culturali. Non solo M.S. si asterrebbe dal rispondere, ma sarebbe propaganda... astensionista. Se vedessi la possibilità di interessare un numero sufficiente di persone del mio quartiere, io proporrei che la scelta dei libri, l'orario, il regolamento della distribuzione, ecc. della biblioteca da costituirsi fosse affidata ad una commissione di cittadini, che rappresentasse i lettori in qualità di consiglio direttivo, come propone M.S.. Se questa proposta fosse accettata dal Comune, questi diramerebbe una circolare-scheda elettorale per la nomina della sopra indicata commissione. Allora M.S. voterebbe, io voterei e voterebbero tutti gli anarchici del XX circondario parigino. Ma se tutto questo fosse impossibile, io voterei lo stesso, poiché una biblioteca è sempre una cosa utile, anche se create e diretta con criteri non del tutto soddisfacenti. Mi pare che da questo esempio risulti che in materia di astensionismo possono essere in gioco i principi come possono, invece, essere in gioco soltanto delle vedute personali.
Veniamo ad un esempio più complesso. Sono tedesco, abito la Saar, nel gennaio 1935. Non sono affatto soddisfatto della amministrazione francese, ma non sono neppure indifferente al fatto che la regione cada sotto il tallone hitleriano. L'ideale sarebbe un'insurrezione che sboccasse nell'autonomia della Saar, abolendo Stato e borghesia. Ma non vedo la possibilità di tale insurrezione. Il problema è là: o la Saar va alla Germania o resta alla Francia. La soluzione è una sola: plebiscito. Io posso pormi il problema se è meglio votare per la Francia, perché non-fascistizzata od invece votare per la Germania, in considerazione del fatto che la Saar è tedesca e che voglio riaffermato il principio dell'autodecisione degli allogeni come base di un più giusto ed equilibrato assetto europeo, ma voto. M.S., invece, non vota, convinto che votare vale sempre, in qualsiasi circostanza, conferire nuovo vigore alle istituzioni dello Stato.
A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica.
Credo che la discussione sia stata utile, ma non credo opportuno dilungarla. Vi sono, secondo me, quattro sistemi politici possibili: l'amministrazione diretta, la rappresentanza generica o autoritaria, la democrazia propriamente detta e l'anarchia.
L'amministrazione diretta è un sistema politico nel quale il popolo in massa delibera volta a volta sulle varie questioni d’interesse generale, e provvede all'esecuzione delle proprie deliberazioni. La rappresentanza generica o autoritaria è un sistema nel quale il popolo delega la propria sovranità ad un certo numero di persone da lui scelte e lascia a quelle il potere deliberativo ed la stessa esecutivo. L'astensionismo politico è una reazione contro la rappresentanza generica, reazione salutare, ma non ha più ragione di permanere di fronte alla democrazia propriamente detta, sistema nel quale il popolo delega le varie faccende di interesse generale a dei tecnici, riservandosi di approvarne gli atti, controllando il loro operato, riservandosi di destituirli e destituendoli quando ciò occorra. Gli anarchici hanno ragione di continuare in seno alla democrazia alla loro opposizione correttiva e la loro propaganda educativa al fine di permettere il passaggio dalla democrazia all'anarchia, sistema nel quale l'amministrazione diretta e la democrazia si integrano, sopprimendo qualunque residuo della rappresentanza autoritaria.
Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui".