Il controllo delle risorse
a cura di Adriano Paolella e Zelinda Carloni

da Rivista Anarchica on line

Globalizzazione.
Idee per capire, vivere e opporsi al nuovo modello di profitto.

Risorse, profitti, sviluppo

Il mondo come risorsa
 

Il modello economico corrente è teso all’incremento della quantità delle merci e per suo mezzo all’aumento dei profitti. L’incremento della quantità delle merci è raggiunto attraverso l’aumento dei consumi e l’ampliamento geografico della distribuzione delle merci. Per permettere l’aumento dei consumi si inventano prodotti non necessari, si inducono bisogni, si soddisfano desideri indotti. Per permettere l’ampliamento del bacino di utilizzatori si occupano, attraverso il controllo culturale, politico e spesso militare, interi territori in cui si introducono merci che impegnano parte della disponibilità economica delle popolazioni interessate anche nei casi in cui essa sia molto ridotta.
Il mezzo principale dell’espansione è comunque quello di creare merci ed il modello interpreta l’intero pianeta e la popolazione che in esso risiede come la principale potenzialità di trarre profitti.
Gli oggetti, le persone, i fenomeni sono visti esclusivamente dall’ottica merceologica; perdono senso i valori ambientali, sociali, antropologici, culturali ed assumono valore esclusivamente nella capacità di produrre profitti.
Così il valore di un albero non è quello di fare ombra, di trattenere le acque, di produrre ossigeno, di mantenere il ricordo di persone e fatti, di essere punto di riferimento del territorio, di costituire segno caratterizzante di una comunità, di rappresentare il senso e la modalità di relazione tra comunità e ambiente ma è solo, ed esclusivamente, connesso alla sua capacità di produrre profitti e quindi di essere merce.
Con questa premessa tutto il pianeta diviene una risorsa.


La trasformazione della risorsa
 

Il concetto di risorsa, nel modello economico corrente, esprime la potenzialità degli oggetti di divenire merce e dunque di produrre profitto, ma per fare questo essi debbono essere trasformati.
Una sorgente, ad esempio, ha potenzialità di risorsa non in quanto è utilizzata autonomamente dalla società locale, ma in quanto garantisce profitti in una utilizzazione più estesa e mediata dalla produzione, distribuzione, commercializzazione.
Nella quasi totalità dei casi l’individuazione della risorsa è connessa ad una trasformazione delle modalità di utilizzazione o dello spazio fisico ad essa connesso.
L’oggetto sorgente, la presenza delle acque sul territorio, la capacità di mantenere sistemi naturali e paesaggistici non hanno alcun valore e non è data la possibilità di essere alla sorgente se non quella di essere risorsa e quindi captata attraverso un acquedotto per servire popolazioni distanti, imbottigliata per essere venduta, utilizzata dall’agricoltura.
In un ottica di ricerca di massima utilizzazione di tutti gli oggetti in forma di merci nel modello economico vigente si trasforma tutto. Tutto può divenire oggetto di interesse, su tutto e con tutto si può fare profitto.
Anche nel caso che si volesse conservare la sorgente, il criterio sarebbe quello di vincolarla: diverrebbe area protetta e quindi di fatto se ne cambierebbe la percezione: diviene luogo di fruizione dell’ambiente naturale, luogo su cui fondare un’economia, seppure “sostenibile”, utilizzando come risorsa la sua esclusiva presenza e la sua non trasformazione fisica.
Il modello, e quindi le società che lo praticano, è strutturato per trasformare le risorse: è per questa ragione che è difficile attuare la conservazione della natura e delle popolazioni; la conservazione non produce se non marginali profitti in quanto rallenta, da’ inevitabilmente spazio a sistemi produttivi locali e leggeri, è dunque esattamente il contrario dei sistemi di guadagno in uso.
I materiali, le risorse, sono così importanti all’interno dell’economia vigente che non sono contabilizzati all’interno dei bilanci dei paesi.

 


La quantificazione economica della risorsa
 

Gran parte dei prelievi avviene senza un reale pagamento da parte dei concessionari, che sfruttano le risorse nella loro totalità (solitamente beni comuni) per ottenere benefici individuali.
Ma non solo non viene considerata questa rapina ai danni della comunità dell’intero pianeta ma non sono considerati i danni che il prelievo comporta.
Così, all’interno di questo modello, la conservazione della foresta pluviale potrebbe essere facilitata se di essa potessero valutarsi in termini economici i benefici connessi alla sua esistenza mentre diviene assai difficile attuare una conservazione in ragione di motivazioni specificamente antropologiche, di autonomia delle popolazioni, ambientali, di diversità biologica che nulla hanno a che vedere con la mercificazione imperante.
Studi economici innovativi tentano di connettere al bilancio degli stati, ed in generale all’economia, la valutazione degli effetti che le attività hanno sui sistemi naturali. Dando valore economico alle risorse ed al loro consumo si ritiene di poterne ridurre lo sfruttamento mitigando all’interno del medesimo modello di mercato il peso ambientale ad esso connesso.
Sebbene di grande interesse in quanto inserisce una criticità all’interno del modello, criticità di cui si vedono fattivamente le possibili risultanti anche senza destrutturare il modello stesso, proprio questa condizione limita la capacità dell’azione di ricerca e proposizione.
Questa tendenza innovativa, che ha un interesse proprio nella sua impostazione critica, involontariamente rafforza il modello praticato evidenziando le sue capacità ad assorbire variabili, quali quelle non economiche, estranee alla propria disciplina. Di fatto si sostiene che il soddisfacimento delle regole di questa economia sia l’unico mezzo per realizzare scenari sociali ed ambientali.
Questa economia, piuttosto che essere settore e strumento, piega e governa la società alle sue regole ossia la usa come oggetto per garantire i massimi profitti.

L’impronta ecologica
 

Per comprendere quanto la ricerca di merci e l’aumento dei consumi abbia disequilibrato le condizioni del pianeta, sono stati elaborati diversi modelli atti alla valutazione.
Tra questi quello che ha una maggiore capacità sintetica e di comunicazione è la definizione dell’impronta ecologica.
Attraverso di esso si definiscono le superfici necessarie per produrre le merci consumate e quelle necessarie per recuperare gli inquinanti emessi. In tale maniera si può confrontare la quantità di superfici disponibile per ogni paese o per ogni individuo di un determinato paese e quella utilizzata. Dall’applicazione dell’impronta si evidenzia che lo spazio ecologico disponibile pro capite è di circa 1,7 ettari mentre l’impronta è del 30% superiore (Chambers N., Simmons C., Wackernagel M., 2002),. I cittadini degli Stati Uniti hanno un’impronta pro capite di 6,2 ettari e i cittadini dell’India una impronta di 0,4 ettari pro-capite (Wackernagel M., Rees W.E., 2000).
In una ulteriore elaborazione definita in termini di unità di superficie pro capite si mostra che considerando la popolazione a 5,8 mld di individui il deficit ecologico è pari a 0,67 unità di superficie pro capite ovvero che i consumi complessivi e l’alterazione delle risorse è del circa 30% in più di quanto disponibile (Stati Uniti +118%, Paesi OCSE +111%, Paesi non OCSE –0,01%) (WWF Internazionale, 2000).
Al di là della enorme differenziazione tra paesi ricchi e paesi poveri è evidente che si stanno consumando più risorse di quelle disponibili. Ovvero si stanno consumando risorse non rinnovabili, risorse quindi che facevano parte di un patrimonio ecologico del pianeta e che una volta consumate non possono ricrearsi, ovvero si stanno consumando risorse rinnovabili con tempi lunghissimi (tipico il caso delle foreste) e la mancanza delle quali comunque porta ad un peggioramento delle condizioni dell’ambiente planetario e della salute della popolazione, ovvero si stanno emettendo sostanze inquinanti che non sono riassorbite all’interno dei cicli naturali e che permangono nell’atmosfera, nelle acque, nei suoli provocando danni alla salute degli uomini e degli ecosistemi.


Su questo tema:
Chambers N., Simmons C., Wackernagel M. (2002), Manuale delle impronte ecologiche, Edizioni Ambiente, Milano
Wackernagel M., Rees W.E. (2000), L’impronta ecologica. Come ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra, Edizioni Ambiente, Milano
WWF Internazionale (2001), Rapporto Living Planet 2000, Dossier in Attenzione n. 21, maggio
Bilanzone G., Pietrobelli M. (1999), Un’applicazione sperimentale dell’impronta ecologica, Attenzione n. 13
Bologna G., Paolella A. (1999), L’impronta ecologica. Uno strumento di verifica dei percorsi verso la sostenibilità, Dossier Attenzione n. 14

 

 

La crescita e lo sviluppo
 

Tutto il modello è basato sulla continua crescita. Quando le Borse internazionali non riescono a crescere si parla di rischio di recessione, e quando uno stato ha un PIL non in progressione positiva si parla di crisi economica.
Queste crescite non sono immateriali. Nonostante molte operazioni finanziarie non comportino più una effettiva trasformazione delle risorse, alla base del PIL e degli scambi del mercato vi sono le risorse e la loro trasformazione.
La materia ha un’importanza fondamentale nella vita economica. Il prodotto mondiale lordo è di circa 20.000 miliardi di dollari, ad ogni milione di euro di prodotto corrisponde la movimentazione di circa 1.500 tonnellate di materia, escluse aria ed acqua.
La crescita del benessere è, in questo modello, connessa direttamente alla crescita della quantità delle merci e dei servizi acquisiti e acquisibili. L’impronta ecologica della popolazione mondiale dal 1961 al 1996 è aumentata del 50% (alla media di 1,5% annuo).
Il modello praticato mostra tutti i limiti nella meccanicità della connessione tra consumo e benessere, nella incapacità di produrre benessere diffuso, non solo nei paesi poveri ma anche nei ricchi, nella insostenibilità degli effetti ambientali prodotti.
Ma è stato capace di promuoversi in maniera molto efficiente. Oggi la valutazione di un paese sviluppato è direttamente connessa alla quantità di consumi e di merci relativa a quel paese, e la penetrazione del rapporto diretto tra merci e benessere è così capillare che il positivo giudizio rispetto a questa artefatta connessione è esteso ad ampi settori della popolazione.
Il modello fondato sulle merci, sui consumi e sulla crescita ha un’assoluta inefficacia rispetto al fine che ne motiverebbe l’esistenza (il benessere degli uomini) ma possiede una assoluta efficacia nella capacità di autosostenersi e autogarantirsi.
Il raggiungimento del benessere è rimandato al futuro, e il mezzo per questo raggiungimento è lo sviluppo.
Lo sviluppo è collegato alla crescita degli indicatori economici e quindi all’aumento delle merci e dei consumi. Tutto questo meccanismo, evidente finalizzato esclusivamente alla creazione dei profitti, diviene obiettivo sociale e culturale di intere collettività. In questa maniera si conferisce all’accumulo di ricchezze, strumento per acquisire le merci e il benessere ed esito della vendita delle merci, una centralità così disequilibrata da annullare qualsiasi altra variabile e qualsiasi altra ipotesi tendente al miglioramento della qualità della vita.

 

I limiti della crescita

Nel 1972 fu pubblicato in italiano il libro di Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J., Behrens III W.W., I limiti dello sviluppo, Mondadori Editore, Milano. Lo studio valutava la disponibilità delle risorse in relazione alla crescita della popolazione e dei consumi e tracciava uno scenario futuro caratterizzato dalla modificazione coatta del modello in ragione della mancanza di risorse.
Quel futuro ipotizzato nel ’72 è il nostro presente. Quanto previsto non si è realizzato nelle forme ipotizzate; il petrolio non è finito né la produzione è calata, anzi. E come per il petrolio molte sono le risorse il cui uso ha subito una continua crescita nonostante siano tutti consapevoli dei limiti di disponibilità della stessa.
Gli stessi autori (senza Behrens III) nel 1992 hanno elaborato un altro studio in cui, partendo dall’affinamento di un modello, definiscono scenari differenti e individuano le carenze della precedente ricerca. In questo sono inserite diverse precisazioni utili a comprendere come e perché le risorse non si siano già esaurite. Questi sono i principali fattori:
la quantificazione delle risorse utilizzabili varia (scoperta di nuovi giacimenti);
i sistemi di prelievo si ottimizzano (maggiore produttività);
le tecniche di utilizzazione migliorano (minori consumi di risorse a parità di prodotti);
alcuni prodotti danno origine a materie seconde (ad esempio dalla depurazione si genera compost);
alcune merci possono essere riciclate (carta, alluminio, vetro, etc);
è aumentata una attenzione verso la produzione energetica da fonti rinnovabili (eolica, idroelettrica, biomasse, etc).
Sulla considerazione della possibilità di ottimizzare l’uso delle risorse, e quindi di garantire livelli di utilizzazione non solo uguali a quelli attuali ma anche incrementati, si è mossa la Commissione delle Comunità Europee attraverso il libro bianco di J.Delors Crescita competitività occupazione. In questo documento si sono posti i fondamenti per la politica occupazionale e ambientale europea di tutti gli anni novanta. In esso risultava evidente l’interesse verso il miglioramento dell’efficienza tecnologica come mezzo atto a permettere la massima utilizzazione delle risorse e quindi come unico mezzo atto a fare aumentare i consumi e quindi la produzione.
Sulla stessa linea di ottimizzazione del sistema produttivo come principale strumento per ridurre l’impatto ambientale ed aumentare l’efficienza della produzione si è mossa la ricerca del Wuppertal Institut pubblicato con il titolo Fattore 4 all’interno del quale risulta evidente come sia possibile una riduzione dei consumi di materiali e di energia a parità di unità di merce.
Il problema dei limiti delle risorse è un problema qualitativo e quantitativo. L’uso sconsiderato di materiali ha già oggi peggiorato le condizioni del pianeta, peggiorando direttamente le condizioni di vita della popolazione e, nonostante le risorse non si siano esaurite, ha prelevato una quantità di materiale non più riformabile o riformabile solo in tempi lunghissimi che era patrimonio comune e componeva il benessere delle persone.
Il problema non è dunque la fine delle risorse che diviene limite della crescita, ma la fine della crescita, perché il consumo delle risorse ha già peggiorato le condizioni del pianeta.
L’uso delle tecnologie è condizione necessaria ma non è sufficiente. Obiettivo è l’uso delle tecnologie appropriate socialmente ed ambientalmente e finalizzate alla riduzione dei consumi.


Su questo tema:
Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J., Behrens III W.W. (1972), I limiti dello sviluppo, Mondadori Editore, Milano
Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J. (1993), Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano
Commissione delle Comunità Europee (1994), Crescita, Competitività, Occupazione (Il Libro bianco di Jacques Delors), Il Saggiatore, Milano
Von Weizsacker, Lovins A.B., Lovins L.H. (1998), Fattore 4, Edizioni Ambiente, Milano
Bologna G. (a cura) (2000), Italia capace di futuro, EMI, Bologna
Wuppertal Institut (1997), Futuro sostenibile, EMI, Bologna
UNEP, IUCN, WWF (1991), Prendersi cura della terra. Strategie per un vivere sostenibile, Gland, Svizzera

 

La crescita della popolazione

La crescita della popolazione
1.000.000.000 di individui nel 1804 dopo 123 anni
2.000.000.000 di individui nel 1927 dopo 33 anni
3.000.000.000 di individui nel 1960 dopo 14 anni
4.000.000.000 di individui nel 1974 dopo 13 anni
5.000.000.000 di individui nel 1987 dopo 12 anni
6.000.000.000 di individui nel 1999
Gli scenari futuri delle Nazioni Unite prevedono il raggiungimento del nono miliardo nel 2043 con un incremento medio di un miliardo ogni 14,5 anni.
Essendosi la popolazione mantenuta sotto il miliardo per la decina di millenni della sua presenza sulla terra è evidente che qualche meccanismo ha fatto saltare l’autoregolazione della presenza della specie facendo così intraprendere una crescita esponenziale.
Questo meccanismo è stato l’allontanamento delle comunità dal controllo e dalla gestione delle risorse al quale ha significativamente contribuito l’industrializzazione delle risorse.
Attraverso di esso infatti si concentrano grandi quantità di richiesta di materie e grandi quantità di merci il cui controllo è al di fuori della comunità insediata.
In questo bisogna stare attenti a non connettere l’aumento delle merci, e quindi i processi di industrializzazione, con il benessere delle persone. Per millenni vi sono stati popoli felici e nel benessere senza consumi di merci e il consumo di merci non garantisce il benessere, come è evidente dallo stato di salute degli abitanti dei paesi ricchi.
È facilmente ipotizzabile che tale allontanamento aumenterà nel prossimo futuro e questo non solo in ragione dell’aumento della popolazione in assoluto ma principalmente in ragione dell’aumento della popolazione urbana passata dal 30% del totale nel 1950, al 47% del 2000, al previsto 50% del 2007.
La popolazione urbana è quella in assoluto più dipendente dal mercato non avendo la possibilità di autonomia alimentare né di gestione di qualsivoglia risorsa.
L’aumento della popolazione urbana aumenta di fatto la concentrazione della gestione delle risorse nelle mani di pochi, l’industrializzazione della loro utilizzazione e quindi il peggioramento delle condizioni complessive ambientali e sociali.
In generale, l’aumento di 500.000.000 di persone ogni 7 anni è una manna per il mercato che attraverso di essi si garantisce comunque, al di là del loro livello economico, la continua crescita.
Se non si definisce una effettiva riduzione nel numero della popolazione e nel consumo non è possibile ipotizzare un futuro se non all’interno di rigidi schemi produttivi che consentiranno maggiori favori ad alcuni e maggiore miseria ai molti.


Su questo tema:
UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) (2002), Popolazione e cambiamenti ambientali. Lo stato della popolazione nel mondo 2001, AIDOS, Roma


Le risorse
 

La globalizzazione internazionalizza i beni ambientali. I “beni comuni” (acqua, terra, mare ecc.) e i prodotti che ne derivano naturalmente sono commercializzati: cresce a dismisura il commercio delle risorse e il profitto che ne deriva conferisce agli investitori internazionali poteri crescenti in ogni parte del globo. Mentre i governi nazionali non sono in grado di gestire il problema, che trascende i loro confini, le strutture economiche hanno trovato il canale della internazionalizzazione del profitto e organizzato il sistema del saccheggio delle risorse.
A titolo esemplificativo si percorrono alcuni dati utili a definire il livello di saccheggio in corso.

La risorsa foresta
 

Ogni anno vengono abbattuti 14 milioni di ettari di foreste tropicali pari a 3 volte la superficie del Costarica. Il 42% delle foreste vengono distrutte per produrre legno e cellulosa (dal 1980 il settore cartiero è cresciuto del 700%) quasi completamente assorbito dai paesi occidentali.
Il taglio e l’utilizzazione del legno dei paesi tropicali è frequentemente connesso a filiere produttive controllate da soggetti occidentali che praticano modalità produttive spesso illegali. La cartiera Indah Kiat a Sumatra, ad esempio, è finanziata da investitori scandinavi, spagnoli e canadesi; essa distrugge ogni anno 200 Kmq di foresta pluviale vergine, negli ultimi dodici anni una superficie pari al territorio del Lussemburgo. Nel 1993 è stata multata per essersi appropriata illegalmente di almeno 3000 ettari di foreste appartenenti al popolo indigeno Sakai, averla rasa al suolo e aver lasciato i Sakai senza cibo né mezzi di sostentamento. Anche l’agenzia italiana per il credito all’esportazione, SACE, ha dato garanzie per ulteriori finanziamenti a tale cartiera.
Il valore globale dei prodotti forestali commercializzati a livello mondiale è continuato a crescere negli ultimi decenni, passando da 47 miliardi di dollari nel ’70 a 139 miliardi nel ’98. Particolarmente rapida è stata la crescita del commercio di prodotti forestali semilavorati, come compensato, pasta di legno e carta. E la tendenza è in continua crescita.
Rispetto agli anni sessanta il commercio di pasta di legno e di carta è più che quintuplicato in volume. I prodotti del settore cartario rappresentano circa il 45% del valore totale dell’esportazione dei prodotti forestali.
Solo il 10% della carta finisce in prodotti di lunga durata, come i libri. Il restante 90% viene impiegato una sola volta e quindi gettato. Nel 1997 pressoché la metà della carta prodotta è stata utilizzata per imballaggi.
Il legname utilizzato per la produzione della carta rappresenta quasi un quinto del raccolto mondiale di legno vergine. Circa il 54% del legno impiegato per la fabbricazione della carta proviene da foreste secondarie, circa il 17% da foreste primarie, principalmente quelle delle regioni boreali di Russia e Canada.
All’uso per la produzione della carta si aggiunge quello agricolo. Ogni anno decine di migliaia di ettari di foreste vengono abbattute per fare posto a coltivazioni ed a pascoli. Anche in questo caso il motore principale di tale azione è l’esportazione della risorsa verso i paesi ricchi consumatori di carni, a cui si affiancano gli interessi dei latifondisti che ampliano le loro proprietà o indirizzano su questi terreni forestati le aspettative dei senza terra.
Anche le estrazioni minerarie e di combustibili hanno un’influenza sulla salute delle foreste, oltreché sullo stato delle montagne, delle acque ecc. Spesso accade che interi territori vengano devastati per estrarne scarsissime quantità di prodotto “prezioso”. Ad esempio, ogni chilogrammo di oro prodotto negli Stati Uniti comporta una produzione di 3 milioni di chilogrammi di detriti di roccia. Spesso i siti di estrazione primaria sono all’interno di foreste o aree vergini. L’estrazione mineraria, lo sviluppo energetico e le attività ad essi connesse rappresentano – dopo il taglio degli alberi- la più grave minaccia al sistema forestale, e riguardano circa il 40% delle foreste oggi in pericolo.
Queste attività hanno spesso anche effetti drammatici per le popolazioni indigene: non solo le operazioni estrattive distruggono la foresta di cui le popolazioni vivono, ma i prodotti tossici utilizzati nel corso dell’estrazione e delle lavorazioni in loco avvelenano i fiumi.

La risorsa acqua
 

Nonostante nel pianeta si utilizzi solo il 7% dell’acqua dolce disponibile il sistema idrico planetario è gravemente alterato.
Ciò dipende dal fatto che l’acqua non è omogeneamente distribuita né geograficamente (vi sono luoghi in cui vi è molto meno acqua e luoghi in cui vi è molto più acqua di quella necessaria) né temporalmente (vi sono periodi in cui vi è più acqua e periodi in cui vi è molto meno acqua del necessario). Al dato globale di abbondanza si riscontra una situazione locale molto problematica.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2000 un miliardo e 100 milioni di persone non disponevano di sufficienti risorse di acqua potabile. Queste persone si potrebbero definire come “deprivate del diritto fondamentale all’acqua”
Nella maggior parte dei casi la scarsità d’acqua è un fenomeno che si manifesta quando la siccità e la diversione delle risorse idriche per l’agricoltura e l’industria limitano la quantità di acqua disponibile per rispondere ai bisogni primari della popolazione.
Il 70% dei consumi di acqua mondiale è per l’agricoltura ed è per gran parte connesso alla volontà di aumentare la produzione attraverso l’irrigazione (il 40% del cibo globale è prodotto con il 17% dei terreni coltivati, tutti irrigui e per gran parte situati nei paesi ricchi).
L’assenza di fonti disponibili e accessibili di acqua potabile e di servizi igienici è strettamente collegata all’elevato tasso di malattie e di mortalità.
In alcune regioni (India p. es.) lo sfruttamento eccessivo dell’acqua di falda sta aggravando le disuguaglianze sociali legate al reddito. Via via che le falde freatiche si abbassano, i coltivatori devono scavare pozzi più profondi e comprare pompe più potenti per portare l’acqua in superficie: e i più poveri non possono permetterselo, cosicché spesso lasciano le loro terre agli agricoltori più abbienti e diventano braccianti di questi.
Finora è stata la scarsità di terre a determinare il modello del commercio dei cereali: ora anche la scarsità di risorse idriche sta diventando un fattore decisivo. Per un paese con gravi carenze di acqua importare una tonnellata di frumento significa importare 1000 tonnellate di acqua. Nel 1997, l’acqua necessaria per produrre cereali e altri prodotti agricoli in nord Africa e Medio Oriente è stata circa pari al flusso annuale del Nilo. È evidente come questo induca una dipendenza sempre più stretta di questi paesi dall’importazione da paesi terzi.
A livello mondiale, circa il 70% delle acque deviate dai fiumi o pompate dal sottosuolo viene utilizzato per l’irrigazione, il 20% per l’industria e il 10% per usi residenziali.
Mille tonnellate d’acqua possono essere utilizzate in agricoltura per produrre una tonnellata di frumento, che vale 200 dollari, oppure possono essere usate per scopi industriali per un valore produttivo di 14.000 dollari. È evidente che la tentazione del guadagno industriale ha quasi sempre la meglio, e nel tempo potrebbe averne sempre di più. Ma non sarà facile imparare a digerire uno spinterogeno.
A causa dei prelievi d’acqua molti grandi fiumi si prosciugano prima di raggiungere il mare, e alcuni sono spariti del tutto.
Nel sud-est degli Stati Uniti il fiume Colorado solo raramente riesce a raggiungere il golfo di California; l’Amu Dar’ja, immissario del lago d’Aral, viene completamente prosciugato dai coltivatori di cotone uzbeki e turkmeni molto prima di raggiungere il lago, le cui acque sono in forte ritiro fino a farne temere la scomparsa.
L’immenso Fiume Giallo è andato in secca per la prima volta – in tremila anni di storia della Cina – nel 1972 e non ha raggiunto il mare per circa quindici giorni. In seguito la situazione è verticalmente peggiorata e, a fronte dei progetti che prevedono l’ulteriore utilizzo delle sue acque per scopi agricoli, industriali e urbani, è possibile che il Fiume Giallo diventi un fiume interno, che non raggiunge mai il mare.
Situazioni simili si hanno per il Nilo e per il Gange. La battaglia per accaparrarsi le residue acque di questi fiumi potrebbe diventare intensissima nei prossimi anni, a fronte della prospettiva di incremento demografico dei paesi che insistono su questi bacini.
I fenomeni di deforestazione vanno a contribuire all’aggravamento della siccità, anche nei periodi di maggiori precipitazioni, perché favoriscono i processi di inaridimento del terreno e quindi una difficoltà maggiore per la captazione delle acque. Questi stessi fenomeni hanno facilitato il propagarsi dei terribili incendi che nel 1997/98 hanno colpito Indonesia e Brasile.
Infine si deve considerare anche il degrado della qualità delle acque. A livello globale meno del 10% della massa totale dei rifiuti (scarichi industriali, residui di produzione agricola e rifiuti umani) viene trattato prima di essere scaricato nei fiumi; gli stessi fiumi la cui acqua viene utilizzata per bere, per l’irrigazione e per l’industria. In tutti i continenti le acque sotterranee sono a rischio di contaminazione.

Che cosa e chi spinge al consumo di risorse
 
Quanto consuma il cittadino italiano nella vita
Consumi alimentari  
100.000,00
Consumi non alimentari  
400.000,00

Abitazione

90.000,00  

Trasporti/auto

70.000,00  
Totale consumi  
500.000,00
In Italia si consuma ogni anno
Importo di merci  
430.000.000.000,00
Come è diviso l’importo per diverse fasi
Ditte produttrici
40%
 
Pubblicità
5%
 
Grossisti
10%
 
Dettaglio
35%
 
Trasporti
10%
 
Come è diviso l’importo tra i diversi soggetti (1)
Imprenditori (2)
70%
10% speso in merci
   
90% accumulato (investimenti e proprietà)
Manodopera
30% (3)
80% speso in merci
   
20% risparmi (4)

Note
(1) Nel mondo 200 aziende gestiscono il 40% del totale di questo importo.
(2) Produttori, grossisti, imprese di pubblicità, di trasporto, negozianti, etc. Il costo dei materiali di fatto è divisibile tra imprenditori, che ne gestiscono il prelievo, e la trasformazione e la manodopera che lavora per essi.
(3) Nel mondo circa il 20% di tale 30% è distribuito tra 2 miliardi di persone.
(4) Gestiti da imprenditori (banche, istituti, assicurazioni, etc).
L’elaborazione dei dati è del tutto indicativa. La fonte dei dati dei consumi pro-capite in Italia è: ISTAT (2001), I consumi delle famiglie anno 1999, Roma.

Le risorse minerarie
 

I combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) forniscono oltre il 90% dell’energia nella maggior parte dei paesi industrializzati e il 75% dell’energia su scala mondiale. Il 30% è petrolio, il combustibile fossile più “conveniente” e più diffuso.
Nel 2000 sono stati utilizzati 3.200 milioni di tonnellate di petrolio con una crescita media nei consumi per tutti gli anni novanta dello 0,8% annuo (USA nel 1999 crescita del 2%).
Nei principali ambiti estrattivi si sono organizzati dei veri monopoli: ad esempio in Arabia Saudita vi è una sola società che gestisce il 95% dei prelievi, la Saudi Aramco, la compagnia che produce la maggiore quantità di barili al giorno 9.000.000 bb/g saldamente controllata dagli Stati Uniti d’America.
Il sistema energetico, così come è organizzato oggi, lascia completamente fuori circa due miliardi di persone che non hanno combustibili ed elettricità, e serve in maniera inadeguata altri due miliardi di persone che non possono permettersi la maggior parte dei comfort derivanti dal consumo di energia del modello occidentale. Ma anche in questa situazione, in cui i consumi energetici sono così malamente distribuiti e senza ipotizzarne una eventuale e disastrosa estensione (disastrosa per via, per esempio, delle emissioni, già a livello di guardia), l’affidamento all’impoverimento di risorse non rinnovabili fa sì che si sia costruito un modello il cui andamento non è sostenibile nemmeno per un altro secolo.
Se si dovessero soddisfare le crescenti necessità della Cina (ed è possibile che questa lo esigerà presto), dell’India e degli altri paesi in via di sviluppo nello stesso modo in cui vengono soddisfatte oggi quelle dei paesi industrializzati, sarebbe necessario triplicare la produzione petrolifera mondiale, anche in assenza di aumenti dei consumi nei paesi industrializzati. Questo, ovviamente, comporterebbe che le risorse durerebbero tre volte meno.
Ma oltre ai danni all’ecosistema planetario la ricerca e lo sfruttamento del petrolio, come di tutte le risorse minerarie, comporta la destrutturazione dell’ambiente naturale e sociale in cui le attività di prelievo si svolgono. La sconvolgente entità dei profitti che si ottengono su questi materiali e la possibilità di concentrarne i ricavi sconvolge le comunità, ne annulla i caratteri produttivi e insediativi, li sottomette a enormi interessi non gestiti localmente.
I paesi industrializzati sono grandi consumatori di minerali: utilizzano più del 90% delle importazioni di bauxite, circa il 100% delle importazioni di nichel, l’80% dello zinco, il 70% del rame, del ferro, del piombo e del manganese. I paesi in via di sviluppo possiedono gran parte delle risorse minerarie del mondo e si tengono gran parte dei guasti ambientali.
Per ciascuna delle risorse minerarie di interesse dei paesi industrializzati sussistono delle condizioni specifiche di conflittualità. Un esempio tra i molti il settore della gioielleria. Cresciuto negli ultimi 15 anni del 250%, è per gran parte fondato sul commercio dei diamanti alla cui estrazione lavorano decine di migliaia di poveri sottopagati. Per comprendere l’entità della forza destrutturante dello sfruttamento delle risorse: l’area dell’Angola dove si raccolgono ufficialmente circa 600 milioni di dollari l’anno di diamanti è una delle più povere del mondo ed è teatro di un conflitto trentennale.

Altre risorse naturali
 

Gli oceani forniscono più della metà dei beni e dei servizi necessari all’equilibrio del pianeta. Più della metà delle minacce che mettono in pericolo la loro sopravvivenza sono addebitabili all’uomo. Con il loro volume e la loro densità assorbono, immagazzinano e trasportano grandi quantità di calore, acqua e sostanze nutritive. Possono assorbire calore ben 1000 volte di più che non l’atmosfera. Attraverso la fotosintesi e l’evaporazione, i sistemi e le specie marine aiutano a regolare il clima, mantengono vivibile l’ambiente, convertono l’energia solare in cibo e contribuiscono a limitare le catastrofi naturali. Il valore economico di questi servizi “gratuiti” supera di gran lunga quello delle industrie che hanno fatto degli oceani la fonte della loro ricchezza.
Il valore di tutti i beni e servizi provenienti dal mare è stimato in 21.000 miliardi di dollari all’anno (1999); il 70% in più rispetto agli ecosistemi terrestri.
Dal 1950 la pesca è quintuplicata; la disponibilità pro capite è aumentata da 8 a 15 chili nel ’96; 200 milioni di persone dipendono dalla pesca per la sopravvivenza; l’83%, in valore, del pesce viene importato dai paesi industrializzati.
L’industria della pesca non fa eccezione al processo di globalizzazione dei mercati. Dal 1970 al ’98 le esportazioni di pesce sono cresciute di circa cinque volte; le nazioni industrializzate dominano il consumo globale di pesce, con l’80% delle importazioni in termini di valore. I paesi in via di sviluppo contribuiscono per circa la metà di tutte le esportazioni ittiche. Ma l’aumento costante della pesca, insieme all’inquinamento e alla distruzione degli habitat, stanno mettendo a repentaglio gli stock ittici mondiali: la FAO stima che 11 delle 15 maggiori aree di pesca e il 70% delle principali specie ittiche sono sovrasfruttate o sfruttate al limite del biologico. Già nel 1998 il pescato totale è fortemente diminuito (7,5%), in parte per effetto di condizioni meteorologiche eccezionali, ma anche per effetto delle forme di pesca selvaggia che sono alimentate dalla richiesta. In un oceano impoverito il livello di pesca viene in parte mantenuto pescando specie sempre più piccole, l’azione delle reti procura un pescato involontario di grandi quantità di pesci non selezionati che vengono restituiti all’acqua morti o moribondi. Ogni anno la pesca involontaria ammonta a circa 20 milioni di tonnellate, un quarto del pescato totale.
Ma questa spinta all’esportazione nel terzo mondo, che è più redditizia, rende la vita dei pescatori autonomi sempre più dura e i prezzi del prodotto per uso interno crescono al di là delle possibilità delle popolazioni locali. In Senegal, ad esempio, molte specie tradizionalmente consumate da tutta la popolazione vengono oggi esportate o acquistate solo dai benestanti. Si tratta di una tendenza con implicazioni gravi per la sicurezza alimentare, poiché per circa un miliardo di persone – soprattutto in Asia – il pesce è la fonte primaria di proteine.
A parità di sforzo in molte zone la quantità del pescato si è ridotta dell’80% rispetto a dieci-quindici anni fa. Ciò comporta che vi sia maggiore attività, più costi e quindi meno benefici locali . Un patrimoni distrutto a vantaggio di pochi commercianti.

Gli accordi con le comunità locali
 

Il prelievo di risorse minerarie avviene anche in zone abitate. In questo caso le compagnie che hanno le concessioni provvedono a definire accordi con le comunità insediate.
È il caso dell’Accordo di “mutua cooperazione” definito tra AGIP e l’organizzazione degli Huaorani, popolazione indigena dell’Ecuador. L’accordo impegna gli indigeni a non opporsi alla costruzione ed al funzionamento di un impianto che produrrà circa 30.000 barili di petrolio al giorno mentre l’AGIP: si impegna a fornire un quintale di zucchero, burro e sale per la colazione dei bambini della scuola “ma solo una volta e unicamente nei mesi maggio, agosto e novembre dell’anno 2001”, 15 piatti, 15 tazze, 15 cucchiai, una pentola e due secchi; fornirà per le attività sportive un fischietto per l’arbitro, un cronometro e due palloni, una lavagna, una bandiera dell’Ecuador; pagherà 40 dollari al mese per sei insegnanti ma solo da maggio a dicembre; finanzierà la costruzione di un’aula scolastica che non deve costare più di 3.500 dollari; doterà ogni comunità (sono sei) di un armadio farmaceutico più un massimo di 200 dollari di medicine; formerà dei “promotori della salute” che riceveranno 25 dollari al mese ma solo per il 2001; inoltre ha rifatto le tubature dell’acqua potabile di una delle comunità (costo 2.500 dollari).
Un buon accordo per sfruttare le risorse comuni, distruggere parti di foresta, inquinare, ignorare gli effetti che tale attività avrà sugli abitanti dell’area.
Un buon accordo per l’AGIP.

 

Il controllo militare delle risorse

Alcune risorse risultano essere fondamentali sia per la loro centralità nei processi produttivi sia per la capacità di produrre profitti.
Tra esse in questo momento il petrolio è la prima. L’enorme facilità del prelievo, gli elevati consumi, i bassi costi di produzione e l’elevato prezzo di vendita delle merci, la centralità come combustibile per la maggior parte dei processi produttivi fanno del petrolio la risorsa che in questo momento produce il maggiore movimento di denaro.
Il sistema di controllo non si pone in atto solo per il petrolio ma per la quasi totalità delle risorse concentrate il cui uso è globale.
Tale controllo è stato richiesto da parte delle grandi compagnie e si attua prima attraverso accordi commerciali, poi con la creazione di concessioni monopolistiche alle compagnie, poi con la costituzione di governi asserviti, infine con l’occupazione militare ed i governi fantoccio.
Gran parte di queste operazioni di controllo sono attuate da Stati Uniti & C., in quanto gran parte delle compagnie e quindi degli interessi risiede in quei paesi.
L’instabilità dell’area del Caspio dipende dalla presenza del 5% delle risorse petrolifere e di gas mondiali che dopo divisione dell’URSS non hanno avuto padrone e dalla necessità di trovare tracciati controllabili per oleodotti.
Se si verifica la localizzazione delle basi inglesi e statunitensi nel Golfo Persico si noterà che esse sono situate tutte in corrispondenza dell’area di maggiore sfruttamento del petrolio e del gas (circa il 40% della produzione mondiale).
L’interesse per l’Afghanistan, oltre ad essere di strategia militare, è connesso con la presenza di petrolio, di pietre preziose, ed alla necessità del passaggio di oleodotti.
Ma forse è necessario considerare altri elementi. L’oppio dell’Afghanistan soddisfaceva circa l’80% della domanda mondiale. Un affare che lascia pochi soldi ai coltivatori ma moltissimi soldi ai gestori del mercato (gli Stati Uniti sono il maggiore mercato mondiale per uso personale e farmaceutico).
Centinaia di miliardi di dollari di guadagno che improvvisamente, nel luglio 2000, è stato interrotto dai talebani. Nel luglio 2001 non c’è stato raccolto. A luglio 2002 ci sarà un nuovo raccolto.
Dietro ogni conflitto vi è una risorsa: in Angola e Sierra Leone i diamanti, nella Repubblica Democratica del Congo il rame e i diamanti, nel Sud Est asiatico (Timor, Malesia, Indonesia, etc) il legname, nel Golfo Persico, nel Mar Caspio, in Algeria, Angola, Ciad, Columbia, Indonesia, Nigeria, Sudan e Venezuela il petrolio e il gas, etc
In alcuni casi si tratta di interventi degli Stati Uniti & C. per il controllo diretto, in altri casi di guerre infinite nell’ambito della medesima economia tra gruppi imprenditoriali che finanziano soggetti locali.
Dove c’è stabilità ci sono governi feudali e monopolio di potenze occidentali, come in Arabia Saudita dove il 95% del petrolio estratto è controllato da società statunitensi.
Per ora si tratta di guerre per i minerali e i combustibili, ovvero risorse locali controllate da pochi e usate globalmente. Cosa succederà quando si controlleranno globalmente, localmente già avviene, acqua e suoli?
La prima guerra moderna in cui l’uso dell’acqua è uno dei fattori propulsivi è il conflitto mediorientale.
Intanto gli Stati Uniti impegnano circa il 5% del loro bilancio per spese militari: 675.775,00 Euro al minuto (350.000.000.000 dollari l’anno) pari al 40% delle spese militari dell’intero pianeta.


Su questo tema:
AA.VV. (2201), No Global. Gli inganni della globalizzazione sulla povertà, sull’ambiente, sul debito, Zelig Editore, Milano
Brisard J.C., Dasquié G. (2002), La verità negata, Marco Tropea Editore, Milano
Blum W. (2002), Con la scusa della libertà, Marco Tropea Editore, Milano
Cheterian V. (2001), Dal golfo alla Cina. Conflitti ad alto rischio, in Le Monde Diplomatique - Il Manifesto, 10.11.01
Gouverneur C. (2002), Teheran alla guerra dell’oppio, in Le Monde Diplomatique - Il Manifesto, 10.3.02
Klare M.T. (2001), Nuova geografia dei conflitti, in Guerra e Pace, novembre 2001
Kennedy P. (2002), L’arsenale dell’impero, in Internazionale n. 426, anno 9, marzo 2002

 

Di necessità, risorsa

Le modificazioni climatiche, l’instabilità del clima e le mutazioni registrate nelle quantità e nella frequenza dei periodi di pioggia hanno fatto insorgere il problema acqua anche in zone in cui tale emergenza non era storicamente presente. Una delle cause principale del collasso idrico di molti territori è l’enorme uso, spesso motivato solo da ragioni di profitto, delle acque in agricoltura. In molte regioni, anche del nostro paese, invece di controllare l’adeguata utilizzazione delle acque, si è iniziato a ipotizzare la realizzazione di impianti di potabilizzazione. Così facendo non si rende compatibile l’uso con la quantità di acque, in quanto l’uso incompatibile è parte di un sistema produttivo e di profitto, ma si aggiunge un altro strumento che produce profitti, la vendita delle acque potabilizzate, ed aumenta la dipendenza della comunità dal gestore o proprietario degli impianti che definirà costi e quantità distribuite.
In un sistema di mercato ogni necessità diviene risorsa.

Gli esiti
 

L’entità del prelievo indiscriminato di risorse, a cui si è appena accennato ha comportato un danno irreparabile nell’ambiente e nella popolazione. La connessione infatti tra prelievo, alterazione dell’ambiente e delle comunità e danni alla salute è strettissima e diretta.
Gli ecosistemi di acque dolci sono stati profondamente trasformati: le zone umide sono state ridotte in quantità e dimensione (il 60% in meno in Europa nell’ultimo secolo, il 50% circa nel mondo) per bonifiche agricole e insediamenti; i fiumi sono stati rettificati e artificializzati (nel 1950 nel mondo vi erano 5.750 dighe sopra i 15 metri di altezza, oggi ve ne sono 41.000); i fiumi che in alcune stagioni dell’anno non riescono ad arrivare alla foce per la quantità dei prelievi sono in aumento (Colorado, Fiume Giallo si sono prosciugati negli anni passati fino a 600 km dalla foce), interi serbatoi d’acque superficiali, quali il lago di Aral sono in via di prosciugamento lasciando migliaia di kmq di deserto.
Il 90% del totale mondiale degli scarichi urbani vengono immessi non trattati nei fiumi, nei laghi, nelle acque costiere. Ogni anno 5.000.000 di persone muoiono per avere bevuto acqua inquinata e il 28% della popolazione mondiale non ha facile accesso all’acqua potabile.
Come visto gli ecosistemi forestali si riducono ogni anno di una superficie enorme; il 30% delle aree potenzialmente interessate da foreste è stato convertito in agricoltura in parte irrigua (la superficie delle aree irrigue pari al 17% del totale è aumentata dal 72% dal 1966 al 1996).
I suoli sono continuamente utilizzati per insediamenti (471 milioni di ettari il 4% della superficie delle terre emerse è occupata da insediamenti), il 26% è utilizzato ad agricoltura intensiva. Il 24% dei suoli agricoli presenta moderati fenomeni di degrado, il 40% gravi fenomeni di degrado (che comporta la perdita di capacità produttiva); ogni anno 5 ml di ettari di terreni si desertifica.
La superficie degli ambiti naturali è in continua riduzione (in tutti i continenti è molto al di sotto del 50%), come è in riduzione la loro qualità.
Gli incendi dei sistemi naturali (foreste, praterie, etc), quasi tutti dolosi, colpiscono milioni di ettari l’anno. La biodiversità è in riduzione con la perdita annuale di centinaia di specie animali e vegetali. Ghiacciai in scioglimento, innalzamento dei mari e aumento delle temperature, inquinamento dell’atmosfera, etc, etc.
Questo è molto sinteticamente il risultato di un’azione di sfruttamento che non ha confronti con nulla di quanto avvenuto in passato. Uno sfruttamento inutile, evitabile, insensato, tragico, che colpisce non solo l’ambiente ma le comunità in esso insediate.
Dal 1978 il commercio mondiale è aumentato di 18 volte eppure dal 1997 la povertà è aumentata del 50%.
Al benessere raggiunto localmente dalle comunità in presenza di limiti ambientali è stato sostituito un benessere di merci che ha aumentato le distanze tra le società e all’interno del società del pianeta: chi era ricco è diventato più ricco vendendo, chi era povero è diventato più povero comprando merci.
Indicatori della enorme distanza incrementatasi con il modello economico è ad esempio il confronto tra il consumo medio pro-capite degli Stati Uniti d’America con quello del Zambia: rispettivamente un cittadino americano ed uno dello Zambia consuma ogni anno: 21 Kg e 8,2 Kg di pesce; 122 kg e 12 kg di carne; 975 kg e 144 kg di cereali; 293 kg e 1,6 kg di carta; 6.902 kg e 77 kg di petrolio equivalente; e dispone di 489 e 17 auto ogni mille abitanti. Sempre a titolo esemplificativo il più pagato giocatore di pallacanestro USA ha un ingaggio di 20 milioni di dollari annui; un lavoratore indonesiano dovrebbe per essere pagato con lo stesso importo 23.000 anni; con lo stesso importo si raddoppierebbero gli stipendi annuali di 55.000 persone, cambiandone significativamente le condizioni di vita; con lo stesso importo 20.000.000 di persone raddoppierebbero il loro budget quotidiano.
Circa un miliardo di persone vive con un reddito inferiore al dollaro giornaliero ma due sono i miliardi che vivono sotto una soglia (definita internazionalmente) di povertà; 27.000.000 di persone lavora a costo zero (schiavi); centinaia di milioni sono i minorenni sfruttati lavorando per una miseria dieci e più ore al giorno, milioni i bambini violati (1.000.000 di minorenni prostitute in Thailandia, 500.000 in Brasile, 300.000 negli USA)
A Manaus in Brasile il 90% delle bambine che è nel giro della prostituzione sono state prima violentate a casa, la prestazione di una ragazza molto al di sotto dei 17 anni (già considerata matura) viene valutata 4,5.
Ma il Brasile è il 4° produttore mondiale di alimenti e ogni giorno lì muoiono circa 800 bambini con meno di un anno e il 15% di quelli sotto i 5 anni soffrono di denutrizione; e il Brasile è lo stesso paese della depredazione della foresta, dei giacimenti di minerali, della coltivazione di cereali per gli allevamenti stranieri.
Ogni anno nel mondo 13.000.000 di bambini muoiono di fame; 140.000.000 sono i bambini tra i 6 e i 14 anni che non vanno a scuola; se andassero a giocare ci starebbe anche bene ma essi compongono un aparte dei 250.000.000 di bambini che forniscono manodopera a basso prezzo per le multinazionali.).
Ad un ambiente destrutturato corrisponde una società destrutturata, volontariamente così da lasciare spazio, senza controllo, al mercato ed ai mercanti, ovvero per produrre ricchezza e per fare divertire (sic) pochi.
Come visto per il controllo delle risorse che sono ritenute strategiche si strutturano dinamiche in cui gli interessi economici originano quelli politico-militari I conflitti hanno una genesi mercantile ed al di là delle cause artatamente costruite è sempre più evidente e leggibile la strategia delle multinazionali tesa ad una gestione diretta delle risorse ritenute primarie.
A ciò corrisponde l’esproprio operato ai danni delle comunità locali della gestione delle risorse che afferisce a soggetti forti lontani dalle situazioni e dagli interessi locali. Così per molte comunità avere delle risorse nel proprio territorio è stata una vera tragedia.
Lo sfruttamento delle risorse privatizza l’ambiente natura e divide le comunità eliminando i beni comuni e portando enormi profitti proprio in ragione della razzia, seppure concessa, all’ambiente ed alle comunità.
Attraverso questo meccanismo i poveri diventano più poveri e più dipendenti e i ricchi diventano più ricchi attraverso l’espoliazione delle comunità locali.

 

Gli scenari futuri
 

Le ipotesi sul futuro sono connesse al tipo di rapporto con le risorse che si vorrà instaurare. Nella figura si è schematizzato il ragionamento svolto.
Le risorse del nostro pianeta sono limitate. In questo momento l’uso delle risorse supera in quantità la disponibilità delle risorse stesse. Questa quantità di consumo eccedente si riscontra nel prelievo di risorse rinnovabili solo nel lungo periodo (foreste etc), di risorse non rinnovabili (desertificazione dei suoli, prelievo di risorse minerarie) e nell’immissione di sostanze alteranti nell’ambiente (inquinamento dell’aria, delle acque etc)
Questo superamento dipende in alcuni paesi dalla quantità troppo elevati dei consumi, in altri paesi dalla quantità della popolazione assai più numerosa di quanto la disponibilità di risorse consentirebbe e in altri della compresenza dei due fattori.
Per permettere il mantenimento di questa situazione di disequilibrio si potrebbe intervenire sui consumi e sulla crescita demografica riducendo entrambi.
La scelta fatta è invece quella di permettere la continua crescita di popolazione e di consumi sia nei paesi ricchi che nei paesi poveri attraverso l’uso di tecniche che permettano un migliore funzionamento del sistema produttivo e commerciale esistente.
La tecnica in questa accezione permette di fare aumentare i consumi e la popolazione ma non la crescita complessiva del consumo di risorse.
In questo fare la tecnica diviene motore di ulteriore artificializzazione del sistema. Ovvero per permettere l’aumento dei consumi e della popolazione i processi produttivi e insediativi sono industrializzati, estranei all’ambiente, lontani dal controllo della comunità insediata.
Il modello della industrializzazione globalizzata concentra le attività e la produzione di merci nelle mani di pochi creando una sudditanza nella gran parte della popolazione planetaria a cui è tolta l’autonomia ed il controllo della propria esistenza.
In tale maniera si assiste alla realizzazione di una infelicità programmata dove la libertà degli individui è uno slogan e dove la dipendenza dal sistema e da chi lo gestisce non è un astrattezza ma una concreta limitazione nella vita delle persone.
In questa politica dell’infelicità programmata le risorse hanno un’importanza centrale in quanto sono sicuramente sottodimensionate rispetto alle seppur fittizie necessità ed alla quantità di popolazione presente nel pianeta.
Per cui il controllo da parte di chi produce delle risorse che trasforma è inalienabile. E come è concentrata la produzione e commercializzazione delle merci così è concentrata la gestione delle risorse. Presente e futuro di guerre di sofferenze di violenza sui deboli di sfacciata tracotanza dei forti sono i caratteri di questo scenario.
La soluzione diversa e alla portata di tutti è quella di ridurre l’incremento demografico e ridurre i consumi. Questa è condizione necessaria ma non è sufficiente.
Il disequilibrio ha creato un’alterazione profonda nell’ambiente naturale che se sottoposto a seppur ridotta pressione da parte dell’uomo avrebbe tempi di recupero così lunghi da rendere difficile ipotizzarne un completo ripristino.
Ma il disequilibrio ha creato una profonda alterazione culturale e sociale.
In questo la tecnica può essere utile a ristabilire una relazione con l’ambiente e gli individui.
Una tecnica volta al recupero ed alla riduzione dell’uso delle risorse; soluzioni appropriate connesse con i luoghi e le persone, che aiutino a consolidare o ricreare l’autonomia delle popolazione e rendano possibile la gestione diretta dei mezzi di sostentamento da parte delle comunità ed il controllo che in esse avviene per l’uso comune di sistemi quali quelli naturali che sono indivisibili.
A questa ipotesi riduttiva si oppone il modello vigente paventando una continua minaccia di un catastrofico peggioramento delle condizioni di vita.
In una società in continua crescita la riduzione dei mercati, o anche la sola stagnazione, è vista come un enorme rischio sociale, sia per la riduzione occupazionale che comporta sia per la riduzione della circolazione del denaro.
Ma nella società contemporanea le quantità di merci prodotte non sono collegate direttamente con la quantità degli addetti. In quasi tutti i settori le nuove soluzioni tecniche hanno ridotto gli oneri connessi con l’impiego di personale, sia per la riduzione degli addetti necessari a mantenere i processi produttivi sia per la qualifica richiesta agli addetti. Pochi addetti non specializzati riescono a produrre enormi quantità di merci. La minaccia “riduzione del mercato – aumento della disoccupazione” oggi più che mai ha poca ragione di esistere e le condizioni di effettiva, seppur non formale, schiavitù in cui la maggior parte dei lavoratori del mondo è costretta ad operare conferma tale interpretazione.
Sicuramente la mancanza di aumento delle merci e quindi la riduzione del mercato avrebbe degli effetti e questi avranno ripercussioni maggiori per coloro i quali hanno condizioni di vita già al limite. Ma la minaccia paventata è superiore agli effetti. Se si costituiscono sistemi di solidarietà e si ricompongono le relazioni interne alla comunità e si gestiscono direttamente le produzioni la minaccia potrebbe rivelarsi un enorme bluff.
In ogni caso non vi è scelta. Il sistema attuale non è perseguibile per i danni che porta alla popolazione e nell’ambiente.


Come intervenire

Azioni dirette
 

Le risorse minerarie
 

La riduzione dei consumi è il primo sistema per ridurre il mercato. La riduzione del mercato riduce direttamente i profitti e dunque riduce il potere di chi gestisce il mercato.
La riduzione dei consumi si rivolge evidentemente ai paesi occidentali dove l’uso di merci inutili interessa la gran parte della popolazione e non soltanto i ricchi.
Ridurre i consumi è dunque soluzione semplice che porta benessere diretto (risparmi, meno angosce, meno nevrosi), indiretto (meno inquinamento, meno problemi sullo smaltimento) e anche un sensazione di soddisfazione (uscire dalla condizione di “pollo” gestito anche nei desideri di acquisto).

 


Controllare le merci
 

Acquisire ed utilizzare merci di cui si conoscono le origini. In particolare delle merci verificare le modalità produttive (uso della manodopera) e i comportamenti utilizzati nel trattamento delle risorse e gli effetti nell’ambiente.
Attraverso questa verifica e privilegiando merci che abbiano una qualità ambientale e sociale superiore si indirizza il mercato stimolando i produttori a perseguire una maggiore qualità.
Tale ambito operativo si sviluppa all’interno delle regole del mercato attuando esclusivamente un consumo critico e dunque orientando il mercato stesso.

 

Relazionarsi direttamente con i produttori
 

Se possibile è fondamentale acquisire le merci direttamente dalle comunità che producono scavalcando in questa maniera tutti gli intermediari del commercio e quindi direttamente favorendo l’autonomia delle comunità produttrici. Ciò diviene di particolare importanza per tutti le merci che provengono da paesi in cui lo sfruttamento delle risorse naturali è molto elevato e dove solitamente si accompagna ad un enorme sfruttamento sociale.
Favorire soggetti che producono localmente e con i quali si attua un rapporto diretto consolida le relazioni tra gli individui ed aumenta di fatto la qualità delle merci. Il produttore infatti conoscendo il consumatore è interessato a mantenere tale relazione e quindi a garantire una qualità della merce. Il consumatore da parte sua potendo verificare tutte le variabili potrà dare un giudizio complessivo sulla merce ossia un giudizio in cui fattori sociali, ambientali e di qualità siano pariteticamente considerati.

 


Utilizare il dono e “uso libero”
 

Le società autonome per millenni hanno rafforzato le relazione tra gli individui attraverso il dono. Ovvero l’omaggio di oggetti e di favori anche utili alla vita quotidiana. In questo fare, oltre ad uscire dalle logiche sia di scambio sia di compravendita, si innestano meccanismi di gratuità tipici delle società con un uso marginale del denaro.
In questo molte sono state le esperienze attuate anche in tempi più recenti.

 

Uso libero

Da metà degli anni sessanta fino a metà degli anni settanta furono condotti esperimenti di Uso libero da parte del Gruppo Dioniso. Ispiratore e fondatore del gruppo, anarchico, era Giancarlo Celli. Il gruppo operò in diversi luoghi ed ebbe sede nel quartiere Tiburtino a Roma.
L’uso libero era fondato sul principio della messa a disposizione di oggetti (vestiario, libri etc ) ed in alcuni periodi anche alimenti. Le persone portavano nella sede materiali e si rifornivano di materiali a loro utili portati da altri, ciascuno secondo le proprie esigenze e la disponibilità presente. L’esperimento interessò anche il lavoro: numerosi artigiani ed alcuni professionisti misero a disposizione del loro tempo lavoro.
Per ulteriori informazioni: antiglo@email.it

 

Azioni di denuncia e proposta

Boicottare
 

Non credere troppo nei regolamenti, inclusi quelli di qualità, e nella capacità da parte dei grandi produttori di esservi ossequiosi. Le norme si modificano a seconda dei desideri dei potenti.
Anche nelle relazioni con il mercato vi è la possibilità di attuare una strategia di azione diretta. Boicottare le ditte che inquinano, che sfruttano oltre misura gli addetti, che controllano le comunità locali, che impongono i loro prodotti sostituendoli a quelli locali.
Boicottare i prodotti inutili: quelli che sono l’evoluzione di una merce ancora funzionante (il campo dei computer e delle tecnologie domestiche e delle automobili sono quelli a maggiore rinnovamento finalizzato solo alla vendita).
Boicottare le merci che per essere prodotte prelevano risorse non rinnovabili, o prelevano risorse rinnovabili in maniera incongrua (la distruzione della foresta pluviale).
Ridurre al minimo l’uso dei prodotti monopolizzati. Primo tra tutti il petrolio, le droghe, gli autoveicoli, bevande ed alimenti globali.

 

Mantenere sistemi di produzione diretta
 

Cercare di non essere parte del mercato. La condizione rurale facilita ma non è indispensabile: orti urbani, piccole coltivazioni sui terrazzi, forme di conduzione congiunta facilitano l’autoproduzione alimentare.
Per limitare la propria presenza sul mercato è fondamentale riparare quello che si ha, recuperare quello che viene buttato da altri, riutilizzare più volte ed in forme diverse le merci che si acquistano.


Non sostenere finanziariamente
 

Non affidare i risparmi ad assicurazioni, banche, investitori che non ne dichiarino l’uso. I risparmi, per quanto singolarmente piccoli, sono una delle maggiori fonti di sostegno del sistema dopo l’aggressione compiuta ai danni del welfare (aggressione compiuta appunto per potere gestire in privato queste disponibilità).
Prestare i soldi eccedenti ad amici che ne facciano richiesta o affidarli a soggetti che li investano in azioni socialmente e ambientalmente corrette.

 

Ridistribuire le risorse
 

Uno dei maggiori sprechi di risorse è quello derivato dal loro accumulo.
L’accumulo viene realizzato per ottenere maggiori profitti. Si accumulano concessioni, materiali, merci. Vi è una diretta corrispondenza tra ricchezze e risorse. Anche le situazioni apparentemente meno connesse quali i mercati finanziari sono fondate sull’uso o sulle potenzialità d’uso di spazi fisici, di risorse di materiali.
Un soggetto che ha accumulato denaro ha di fatto utilizzato una quantità di risorse direttamente proporzionata. Maggiore è l’accumulo e maggiore è la quantità di danni provocati all’ambiente ed ai beni comuni.
È dunque necessario agire su coloro i quali hanno accumulato per riportare quell’energia al sistema ovvero per ritrasformare quei capitali in recupero di condizioni di qualità ambientale e sociale, qualità che hanno ridotto privandola delle risorse attraverso le quali hanno accumulato.
Accanto al sempre troppo esteso gruppo dei grandi accumulatori vi sono centinaia di milioni di persone che hanno accumulato piccole ricchezze. Una casa in più, oggetti, terreni sottoutilizzati, soldi. Ognuna di queste cose ha comportato un uso di energia e una trasformazione dell’ambiente. Questo tipo di accumulo non è necessariamente speculativo. Esso spesso è motivato dalla necessità di avere garanzie per il futuro. Ma queste garanzie non possono essere ricercate a livello individuale a meno di enormi sprechi di materiali ed energia. Queste garanzie debbono essere trovate nelle relazioni sociali e le risorse accumulate debbono essere redistribuite nella comunità al fine di ridurre la continua richiesta di materiale e raggiungere un benessere che se comune è meno energivoro e più soddisfacente.
Le risorse debbono rimanere disponibili e quindi non possono essere trasformate solo per essere accumulate.

 

 

Denunciare

Denunciare le imprese, le attività e le merci che non pongono attenzione all’ambiente ed alle comunità. In questo è necessario porre attenzione a dividere tra ciò che non è corretti anche rispetto ai valori diffusi di questa società (ad esempio lavoro minorile, inquinamento, sfruttamento oltre i limiti sindacali) e ciò che non è corretto in quanto attua le regole istituzionalizzate dell’attuale modello.
I primi, in questo momento, hanno una maggiore potenzialità nella capacità di evidenziare i limiti del modello vigente; ad esempio la vastità della loro presenza, ritenuta una aberrazione, in realtà dimostra la congenicità rispetto alle pratiche di globalizzazione, colonizzazione e industrializzazione praticate

Riaccomunare i beni
 

Mantenere i beni comuni e indivisibili. Acque, terreni etc.
Ricomporre un patrimonio indiviso (con amici, parenti, piccole comunità) Attraverso di esso si aumenta la sicurezza personale nel futuro, si rende meno necessario attuare degli accumuli per garantire l’eventualità di situazioni di improduttività e quindi in questa società di benessere individuale.

Gestire i beni
 

Il fine della gestione non è quello di ottimizzare i profitti che scaturiscono dall’uso delle risorse ma quello di conservare i caratteri dell’oggetto di uso onde garantirne una qualificata utilizzazione nel tempo.
L’interesse deve essere rivolto non alla trasformazione ed alla commercializzazione ma al mantenimento di una potenzialità ed al suo usufrutto nel tempo.
Il soggetto a cui può essere demandata la gestione non può che essere la comunità insediata che riesce a distribuire direttamente i benefici ottenibili dalla conservazione delle risorse tra i propri componenti.
La comunità è interessata al mantenimento delle proprie condizioni di benessere e dunque alla possibilità di mantenere o migliorare le condizioni ambientali in cui essa è insediata. Tale mantenimento prevede una utilizzazione non alterante e non distruttiva dei caratteri dei luoghi e degli elementi usufruiti dalla società insediata.
Ciò non implica la costituzione di comunità chiuse, autistiche, isolate. Implica esclusivamente la possibilità di consapevolezza da parte della singola persona della disponibilità dei beni e delle interazioni che esistono tra i propri comportamenti e le condizioni dell’ambiente.

 

Alcune iniziative in corso

Di seguito si illustrano molto sinteticamente alcune recenti iniziative che promuovono delle soluzioni per ridurre il gli effetti negativi del sistema. Nonostante la loro efficacia in alcuni casi sia piuttosto discutibile sono iniziative che sostengono pratiche alternative a quelle perseguite dal modello vigente.

Il controllo del prezzo delle materie prime
Il caffè di qualità “arabica” aveva un prezzo per cento libre di 180 dollari nel 1998 e di 55 dollari nel 2001. Attraverso la riduzione del prezzo da parte degli importatori si attua una politica di controllo del mercato, si sottomettono ed impoveriscono interi paesi, si producono enormi danni alle persone e all’ambiente.
Un’azione richiesta è quella di un controllo politico dei prezzi delle materie prime da parte dei paesi importatori. “Acquisti trasparenti” che influenzino positivamente le condizioni sociali e ambientali di produzione, che favoriscano le merci che usano materie prime correttamente pagate, che permettano ai paesi importatori di vigilare sul proprio mercato.

Annullamento del debito estero
I paesi in via di sviluppo (PVS) pagano ogni anno tra i 250 e i 300 Mld di dollari di interessi per i prestiti ricevuti ovvero circa cinque volte quanto ricevono in aiuti.
Attività volte a favore della eliminazione del debito dei paesi in via di sviluppo nei confronti dei paesi ricchi. Gran parte del prodotto dei paesi poveri è dedicato al pagamento degli interessi dei prestiti ricevuti. Il fare prestiti ai paesi è il meccanismo di massima destabilizzazione dei governi ed il maggiore strumento di controllo delle popolazioni.
È evidente che la riduzione o eliminazione di tale debito permetterebbe ai paesi oggi sottoposti ad una vera vessazione economica a potere investire in settori finalizzati al benessere della popolazione. È altrettanto evidente che è una battaglia perseguibile solo considerando l’emergenza della situazione in quanto non cambia assolutamente i rapporti tra i paesi né costituisce alcun percorso verso situazioni future diverse.

Revisione delle politiche di cooperazione
I paesi industrializzati trasferiscono una quota minima del Prodotto nazionale lordo ai PVS; meno dello 0,22% (50 Mld di dollari) con una riduzione continua degli importi (ad esempio solo dal 1999 al 2000 sono stati ridotti del 6%). Le risorse private volte alla speculazione stanziano circa 250 Mld di dollari in alcuni di questi paesi.
Vi è un movimento che tende al rilancio della cooperazione pubblica, con l'obiettivo preciso dell’aumento del benessere delle popolazioni (e quindi non al sostegno di azioni imprenditoriali), e con la richiesta ai paesi di finanziamenti con un elemento di dono almeno del 25% del totale degli importi.

Tobin tax
L’ipotesi è che siano tassati tutti i movimenti finanziari. Attualmente il reddito di una persona è definito al di là di quelle che sono le transazioni e i capitali investiti in borsa. Questo avviene anche per le società. Ipotizzando che gran parte dei profitti negli ultimi sono stati ottenuti attraverso operazioni di borsa e che a queste azioni hanno corrisposto effetti in campo sociale e ambientale di portata enorme tassarle sembra essere un sistema per controllare e per avere una significativa disponibilità economica (riducendo di poco i profitti) da utilizzare per l’interesse comune.
La Tobin tax è stata ed è elemento di caratterizzazione della politica fiscale di alcuni partiti della sinistra in Europa. Fieramente osteggiata dell’economia liberista, ha un carattere di palliativo nei confronti di un meccanismo molto più destrutturante di quello che si riesce a controllare attraverso l’imposizione di questa tassa.

Bilanci di giustizia
Iniziativa a cui aderiscono singoli individui che vogliono ridurre i propri consumi. Il valore è quello di tenere in relazione persone che hanno fatto scelte di vita autonome e che di fatto aumentano l’autonomia personale rispetto al sistema.

Sostegno diretto a comunità
Il sostegno diretto alle comunità dei paesi in via di sviluppo è stato per anni monopolio delle organizzazioni missionarie. Oggi il quadro si è sufficientemente allargato sia in ambito cattolico dove sono molto numerosi i gruppi di base direttamente connessi a comunità locali sia nel mondo laico dove si sono strutturati gruppi ed associazioni con il medesimo fine. La grande acquisizione culturale effettuata negli ultimi anni è che il rapporto con le comunità locali non è fondato solo sull’invio di materiali ma nel tentativo di comporre una relazione paritetica basata sullo scambio culturale e di merci.

Il commercio equo e solidale
Una delle attività più innovative realizzate nel corso degli ultimi anni. Le associazioni che partecipano a tale rete distribuiscono nei paesi ricchi merci prodotte direttamente dalle comunità locali.
In questa maniera non si utilizzano intermediari, si riesce a valutare in maniera significativamente più consistente il lavoro degli operatori locali, si garantisce nel corso degli anni una continuità nella quantità di merci e una stabilità nel prezzo che le forme di sfruttamento attuate dalle grandi compagnie ed in genere dal mercato non solo non garantiscono ma ostacolano.
Gli esiti di tale azione sono la maggiore autonomia delle comunità locali, il maggiore benessere economico da parte degli operatori locali, la possibilità di indirizzare la produzione verso forme di minore impatto ambientale, il controllo di qualità delle merci, la ricomposizione di una relazione quasi diretta tra produttore e consumatore.
Le “botteghe del mondo” in Europa sono circa 3.000 sostenute da circa 96.000 volontari per un giro di affari di prodotti equo solidali di circa 400 milioni di euro.

Caricare la produzione di tutti gli oneri
Il prezzo delle merci non considera appieno il valore del prelievo ambientale e degli effetti negativi che la loro produzione, il loro consumo ed il loro smaltimento comportano nell’ambiente e nella società.
Introdurre all’interno della definizione del prezzo tali variabili potrebbe modificare integralmente il valore delle merci e potrebbe consentire il recupero di una parte di tali importi al fine del recupero ambientale e alla riduzione degli effetti negativi sociali comportati dalle merci.
Tale considerazione dovrebbe essere estesa ai bilanci degli stati. Il essi le quantità sono considerate in termini di Prodotto interno lordo; anche in questo non sono valutati i costi relativi all’impoverimento sociale ed ai danni ambientali connessi.
Le ipotesi di recuperare all’interno dei costi di produzione le variabili ambientali e sociali sono alla base della posizione di alcune associazione ed in parte di alcuni organizzazione politiche.

Finanza etica
È stato calcolato, dalla stessa Banca Mondiale, che i paesi ricchi investendo un dollaro nei paesi poveri ne otterranno 13 di guadagno; questo dato unito a quello dell’importo dei 50 Mld di dollari annui di interessi sui prestiti dimostra come siano i paesi poveri a finanziare quelli ricchi. E ciò è ottenuto attraverso la distruzione dell’ambiente e delle società locali.
Alcune organizzazioni hanno lanciato l’ipotesi di una finanza etica ovvero investimenti privati o pubblici socialmente e ambientalmente responsabili, volte alla gestione trasparente del risparmio, al rifiuto della logica speculativa, alla valorizzazione delle persone e non delle attività.
Nell’ambito di questa azione da una parte si è avviato un controllo degli investimenti attuati dai paesi e dagli investitori e dall’altro si è promossa l’organizzazione di “banche etiche”.
Sono soggetti, molto diffusi nell’Europa centro-settentrionale finalizzati alla gestione dei risparmi in maniera corretta socialmente ed ambientalmente. Aderire a tale iniziative è garanzia che i propri risparmi non finiscano in armi, al finanziamento di guerre, al sostegno di operazioni commerciali socialmente e ambientalmente dannose, di interessi contenuti, di prestiti ad iniziative di persone e comunità volte al recupero dell’autonomia alimentare, produttiva, culturale, politica.



Su questo tema:
Pianta M. (2001), Globalizzazione dal basso. Economia mondiale e movimenti sociali, Manifestolibri, Roma
AA.VV. (2001), Sbilanciamoci! Come usare la spesa pubblica per la società, l’ambiente, la pace, Manifestolibri, Roma
Gesualdi F. (1999), Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano
Chiappero Martinetti E., Semplici A. (2001), Umanizzare lo sviluppo, Rosemberg & Sellier, Torino
Brown L.R. (2002), Eco-economy. Una nuova economia per la terra, Editori Riuniti, Roma

 

Bibliografia generale

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Brown L. et al. (1999), State of the world 1999, Ed Ambiente, Milano
Brown L. et al. (2000), State of the world 2000, Ed Ambiente, Milano
Brown L. et al. (2001), State of the world 2001, Ed Ambiente, Milano
Clò A. (1997), Economia e politica del petrolio, Editrice Compositori, Bologna
Demichelis D., Ferrari A., Masto R., Scalettari L. (2001), No Global. Gli inganni della globalizzazione sulla povertà, sull’ambiente, sul debito, Zelig Editore, Milano
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FAO (2001), Global Forest Resoruces Assessment 2000, FAO, Roma
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Worldwatch Institut (2001), I trend globali 2001 (Vital Signs 2001), Edizioni ambiente, Milano
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