Augusto “César” Sandino: fra spiritismo e Rivoluzione

Nota su Augusto “César” Sandino. Messiah of Light and Truth di Marco Aurelio Navarro-Génie

di Massimo Introvigne

Nel 1986, coltivando un interesse personale e grazie a una serie di contatti locali, avevo occasione di visitare esponenti nicaraguesi in esilio in Honduras e in Costarica – insieme ad altri che vivevano in una zona del Nicaragua non controllata dal governo filo-sovietico “sandinista” al potere a Managua – allo scopo di indagare sulle dimensioni religiose di una resistenza che gran parte dei media internazionali presentavano come esclusivamente politica, e come incarnazione centro-americana di quella dialettica fra Stati Uniti e Unione Sovietica che allora sembrava ancora destinata a durare per sempre. In quell’occasione, intervistavo sia vescovi cattolici, sia pastori protestanti ostili al regime “sandinista”, nonché i principali dirigenti dell’opposizione politica (fra cui Violeta Barrios de Chamorro, che sarebbe poi diventata presidente del Nicaragua nell’aprile 1990, dopo la caduta dei “sandinisti”). Curiosamente – pur trovandosi di fronte a pressanti urgenze politiche e militari – molti dei miei interlocutori ritornavano con insistenza su un problema storico: i dirigenti marxisti (e quelli catto-comunisti) al potere a Managua avevano veramente diritto di chiamarsi “sandinisti” o sfruttavano abusivamente il nome e la figura di Augusto C. Sandino (1895-1934)? La risposta di tutti gli oppositori del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), il partito allora al potere in Nicaragua, era negativa: Sandino, a differenza del FSLN, non era mai stato comunista. Divergenti erano tuttavia le valutazioni su Sandino: i dirigenti politici dell’opposizione ne parlavano in modo sostanzialmente positivo, i leader religiosi ne criticavano l’anticristianesimo con grande circospezione, quasi temessero – come si sarebbe detto in Italia – di “parlare male di Garibaldi”. Né l’esempio è scelto a caso: una serie di letture di e su Sandino mi avevano convinto rapidamente che il paragone più adeguato è appunto quello con Giuseppe Garibaldi (1807-1882). Come il rivoluzionario italiano, anche quello nicaraguense era caratterizzato da un virulento anti-cristianesimo di marca massonica e nascondeva, dietro l’apparente razionalismo, un vivace interesse per l’occultismo e lo spiritismo. Giacché nel mondo dei “rivoluzionari di professione” questi esempi continuavano a ripetersi, nel 1990 citavo brevemente Sandino nel mio Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo (SugarCo, Milano: cfr. p. 60), segnalando la sua affiliazione a un movimento spiritista. Nel 1992, maggiori dettagli sarebbero stati pubblicati da Donald C. Hodges nel suo Sandino’s Communism. Spiritual Politics for the Twenty-First Century (University of Texas Press, Austin), peraltro assai timoroso di turbare una certa immagine agiografica del rivoluzionario. Ora – dopo avere dedicato al tema un corposo articolo nel 2000 (“’Augusto ‘César’ Sandino: Prophet of the Segovias”, in Martha F. Lee [a cura di], Millennial Visions. Essays in Twentieth-Century Millenarianism, Praeger, New York, pp. 147-171) – Marco Aurelio Navarro-Génie, nicaraguense e professore di scienza politica al St. Mary’s College e al Mount Royal College di Calgary (nell’Alberta, in Canada), pubblica un’opera tendenzialmente definitiva sull’argomento: Augusto “César” Sandino. Messiah of Light and Truth (Syracuse University Press, Syracuse [New York] 2002).

 

Appassionato da anni alla figura di Sandino, cui ha dedicato anche un interessante sito Internet (http://www.sandino.org/), Navarro-Génie è – a differenza di molti che si sono interessati precedentemente al tema – completamente libero da timori reverenziali nei confronti di un personaggio che appartiene al mito quanto alla storia. In effetti, il politologo nicaraguense sfata numerosi miti riguardo al suo rivoluzionario connazionale, a cominciare da quello relativo al nome. Sandino nasce il 18 maggio 1895 a Niquinohomo, a trenta chilometri dalla capitale del Nicaragua, Managua, dalla relazione fra un proprietario terriero e una sua cameriera. Benché il padre acconsenta (solo qualche anno dopo la nascita) a riconoscerlo, della nascita del futuro rivoluzionario come figlio illegittimo rimane traccia all’anagrafe, dove resta registrato con il cognome della madre (Calderón) precedente e non successivo (come avviene in Nicaragua per i figli legittimi) a quello del padre: dunque “Augusto Calderón Sandino”. Solo da adulto, trascriverà la C. di Augusto C. Sandino non come Calderón ma come “César”, per sottolineare l’alta consapevolezza (secondo Navarro-Génie, spesso tale da sconfinare nella megalomania) delle sue capacità militari, paragonate a quelle di Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.). La condizione di figlio illegittimo è causa di sofferenza per il giovane Sandino, che trascorre un’infanzia difficile; a diciotto anni va a lavorare in Costarica come apprendista meccanico, e – tornato a Niquinohomo, dove comincia a interessarsi di politica, militando nel Partito Liberale (tradizionalmente anti-clericale e filo-massonico) – nel 1921 deve lasciare precipitosamente il Nicaragua dopo avere sparato a un compaesano nel corso di una rissa, pare scoppiata per questioni di donne. Dopo avere cercato fortuna senza esito in Honduras e in Guatemala, nel 1923 va a lavorare come magazziniere per una società petrolifera a Cerro Azul, in Messico.

 

L’esperienza messicana è decisiva per gli interessi politici e religiosi di Sandino: già formato all’anticlericalismo negli ambienti della sinistra liberale in Nicaragua, si entusiasma per le idee politiche di Plutarco Elias Calles (1878-1945), che diventa presidente del Messico nel 1924. L’anti-cattolicesimo di Calles è tanto estremo da essere stato spesso descritto come patologico, e poco dopo la partenza di Sandino dal Messico (1926) inizia la guerra fra le truppe di Calles e il movimento di resistenza cattolico dei cristeros. Sandino partecipa con entusiasmo al movimento anticlericale, ma non è tentato dalle sue propaggini esplicitamente atee e marxiste: al contrario, aderisce brevemente agli Avventisti del Settimo Giorno, che abbandona per un altrettanto effimero passaggio in una scuola yoga (da cui trae un interesse, che gli rimarrà, per la dottrina della reincarnazione); nel frattempo, è iniziato nella massoneria messicana e comincia a interessarsi allo spiritismo. La data del suo ritorno in Nicaragua nel 1926, secondo Navarro-Génie, non è dovuta – come più tardi il rivoluzionario sosterrà, e molti biografi riporteranno – al precipitare dello scontro in patria fra liberali e conservatori (“Guerra Costituzionalista”), ma più semplicemente alla puntuale scadenza dei cinque anni di prescrizione che mettevano Sandino al sicuro dalle conseguenze penali della sparatoria del 1921.

 

All’inizio dell’insurrezione costituzionalista contro il governo conservatore del presidente Adolfo Díaz (1877-1964), Sandino lavora come minatore in una zona remota del Nicaragua: qui, si distingue come agitatore sindacale e dopo pochi mesi con una ventina di compagni si ribella ai suoi datori di lavoro, li deruba, acquista armi con il ricavato e il 2 novembre 1926 attacca le truppe governative nel villaggio di El Jicaro. Benché si tratti di scaramucce del tutto secondarie, queste attività attirano le attenzioni del comandante militare liberale, il futuro presidente del Nicaragua José María Moncada Tapia (1871-1945), i cui aiuti permettono a Sandino di reclutare qualche centinaio di uomini. Moncada rimpiangerà in seguito di avere contribuito a creare un pericoloso rivale: quando, dopo che l’intervento dei marines statunitensi lo avrà convinto dell’impossibilità di vincere la guerra, Moncada firmerà nel 1927 il trattato di pace di Espino Negro alla presenza del mediatore statunitense Henry L. Stimson (1867-1950), Sandino lo tratterà da traditore e si ritirerà nella regione montuosa delle Segovias, dove ribattezzerà Ciudad Sandino il villaggio di El Jicaro. Inizia qui un circolo paradossale che è uno dei temi centrali del libro di Navarro-Génie: più le cose vanno male per Sandino, i cui vantati successi militari in realtà sono di rado significativi, più egli rilancia il suo personaggio proclamandosi erede di Giulio Cesare, unica autorità politica e morale del Nicaragua, anzi di tutta l’America Centrale (di cui domanda l’unione politica), quindi dell’intera America Latina. All’indubbia megalomania corrisponde una sapiente coltivazione della stampa non solo nazionale e della propria immagine, che fa sì che il mito di Sandino viva ancora oggi.

Nel 1929 il suo nemico (benché, almeno sulla carta, compagno di partito) Moncada è eletto presidente del Nicaragua in elezioni la cui correttezza è controllata da inviati statunitensi. Sandino sceglie nuovamente la via dell’esilio in Messico. Qui è diventato presidente l’ex-Ministro dell’Interno di Calles, Emilio Portes Gil (1890-1978), impegnato dopo la fine della guerra dei cristeros in una cauta politica di conciliazione con la Santa Sede e con gli Stati Uniti. I tempi non sono più quelli di Calles: a Sandino il governo riserva una sistemazione confortevole ma lontana dal centro della politica a Mérida, nello Yucatan. Il rivoluzionario nicaraguense si trova così diviso fra lealtà al governo messicano – che non solo rappresenta l’eredità massonica e rivoluzionaria di Calles, ma gli paga un congruo stipendio – e il Partito Comunista del Messico (PCM), che è oggetto della repressione di Portes Gil e cerca di sfruttare la popolarità di Sandino facendogli balenare la possibilità di una tournée in Europa (dove potrà dare una dimensione mondiale al suo personaggio e alle sue idee) finanziata dall’Unione Sovietica. I comunisti, tuttavia, pongono come condizione una pubblica condanna del governo Portes Gil da parte di Sandino: questi tergiversa, rimanda e infine rifiuta, rompendo così con quello che era stato in guerra e in pace il suo fidato luogotenente, il rivoluzionario di professione salvadoregno Augustín Farabundo Martí (1893-1932), dal canto suo fermamente legato al comunismo di obbedienza sovietica. Del resto, se Farabundo Martí professa l’ateismo comunista, Sandino – mentre scala i gradi più alti della massoneria messicana – compie nel secondo soggiorno messicano la sua scelta religiosa finale e decisiva (che autori diversi da Navarro-Génie vorrebbero peraltro retrodatare al soggiorno precedente): l’adesione alla EMECU, la Escuela Magnético Espiritual de la Comuna Universal, un’organizzazione spiritista tuttora esistente e fondata nel 1911 in Argentina dall’elettricista spagnolo Joaquín Trincado (1866-1935). Navarro-Génie analizza il pensiero di Trincado come combinazione dello spiritismo francese di Allan Kardec (pseudonimo di Hippolyte Denizard Léon Rivail, 1804-1869) e della Teosofia di Madame Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), e come opposizione ideologica e magica da una parte al cristianesimo (in quanto religione organizzata, mentre Gesù Cristo è considerato un grande iniziato e un medium) e dall’altra al comunismo. Ne mette anche in luce il millenarismo e l’utopismo politico, che culmina nell’idea di una federazione transatlantica fra la Spagna (dove Trincado era nato) e i paesi dell’America Latina, la Unión Hispano-América-Oceánica, sola realtà in tesi capace di resistere all’imperialismo americano. Sandino accetta con difficoltà la presenza spagnola (in precedenza, aveva vantato la superiorità della razza india), ma a poco a poco si convince di poter diventare egli stesso il leader politico e militare del grandioso progetto politico trincadista.

 

Non si sa con quanta approvazione da parte di Trincado – certo lusingato di potere avere nelle sue fila un personaggio così noto –, Sandino inizia a firmare i suoi manifesti politici a nome della EMECU e si presenta come il “messia di luce e verità” preconizzato da Trincado, nonché come incarnazione della Giustizia Divina (la figlia di Dio) e reincarnazione dell’iniziato Gesù Cristo. Dopo il tremendo terremoto di Managua del 1931, inizierà anche a profetizzare la fine del mondo così come lo conosciamo: una guerra mondiale con epicentro in Nicaragua, la distruzione di due terzi dell’umanità, e l’instaurazione di un regno della Giustizia presumibilmente presieduto dalla sua incarnazione divina, Augusto César (che firma ormai César Augusto, equiparandosi al primo imperatore romano) Sandino. Come sempre, il tono roboante dei proclami è in stridente contrasto con la realtà: Sandino torna in Nicaragua nel 1930 (anche perché il governo messicano, a fronte di proclami sempre più bizzarri, gli ha tagliato i fondi) e riesce a controllare solo la consueta zona delle Segovias, considerata strategicamente irrilevante dal governo di Moncada. Piuttosto, nota Navarro-Génie, il carattere messianico di Sandino lo induce a considerarsi svincolato dalla morale e a tollerare che i suoi uomini commettano atrocità inaudite, spesso neppure per ragioni politiche ma a semplici fini di banditismo. Né in questi episodi, secondo Navarro-Génie, si deve vedere solo una caratteristica tristemente consueta nelle guerre civili latino-americane: per Sandino, “messia della luce”, si tratta letteralmente dello “sradicamento delle tenebre” (p. 113), per cui nessun mezzo è troppo violento.

 

Il 1° gennaio 1933 un nuovo presidente, il dottor Juan Bautista Sacasa (1874-1946), succede a Moncada, e i marines statunitensi lasciano il paese. Si tratta di due sviluppi che Sandino – nemico acerrimo degli Stati Uniti, e che rispetta Sacasa come il capo storico del liberalismo nicaraguense fin dai suoi primi passi politici – non può non salutare con favore. Meno positivo per Sandino è l’arrivo a Managua, come nuovo responsabile della Guardia Nazionale, dell’ambizioso nipote di Sacasa, Anastasio Somoza García (1896-1956): ma, dopo tutto, si tratta sempre di un membro del Partito Liberale. Sandino pensa alla pace, e riorganizza i suoi guerriglieri in una comune spiritista ispirata agli ideali dell’EMECU, per cui chiede lo statuto di regione speciale che intende chiamare “Luce e Verità”. Sacasa, il cui ideale è quello di una pacificazione nazionale, accetta. La pace, tuttavia, è di breve durata. Sandino continua a lanciare proclami da cui emerge che si considera sempre la vera autorità suprema del Nicaragua, se non di tutta l’America Centrale (per non parlare del mondo intero, in tesi tutto sottoposto al suo regno messianico di incarnazione della Giustizia Divina). La Guardia Nazionale di Somoza non sopporta l’esistenza nel paese di un’organizzazione militare concorrente e impegna i seguaci di Sandino in frequenti scaramucce. Quando, il 21 febbraio 1934, Sandino scende a Managua per risolvere amichevolmente i problemi pendenti con il presidente Sacasa, Somoza lo fa rapire all’uscita dal palazzo presidenziale e assassinare insieme con due compagni. Il giorno seguente la Guardia Nazionale attacca la comune di Sandino e ne uccide la maggioranza dei membri; gli ultimi superstiti continueranno una disperata resistenza sulle montagne fino al 1936. Dopo averli sconfitti, Somoza diventerà presidente del Nicaragua a partire dal 1° gennaio 1937 e rimarrà nella sostanza, con qualche intervallo, il padrone del paese fino alla sua morte nel 1956, quando gli succederà il figlio Anastasio Somoza Debayle (1925-1980). A sua volta, nel luglio 1979, Somoza Debayle è rovesciato da una rivoluzione cui avevano inizialmente partecipato anche esponenti democratici, ma di cui si era finalmente impadronito un gruppo chiamato Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), guidato da comunisti di osservanza sovietica e da catto-comunisti ispirati dalla “teologia della liberazione” di impronta marxista.

 

Da molti punti di vista, gli oppositori del FSLN da me intervistati nel 1986 avevano ragione. I “sandinisti degli ultimi giorni” del FSLN (un gioco di parole riferito a movimenti millenaristi statunitensi, fra cui i mormoni, il cui nome “ufficiale” è “Santi degli Ultimi Giorni”, che Navarro-Génie prende a prestito dallo storico e politologo Michael Barkun), in effetti, non sarebbero piaciuti a Sandino, nonostante la vendetta postuma sulla famiglia Somoza. Il FSLN metteva insieme due elementi incompatibili con Sandino: il comunismo, con cui il rivoluzionario nicaraguense aveva a lungo discusso e trattato senza tuttavia mai riuscire a intendersi; e una forma comunisteggiante di quel cattolicesimo di cui Sandino era sempre stato, alla scuola del suo eroe Calles, implacabile e anzi fanatico avversario. Il volume di Navarro-Génie mostra qualche ingenuità nell’analisi metodologica del millenarismo: l’autore, per esempio, sembra non sapere (cfr. p. 164) che nel classico studio di Leon Festinger, Henry W. Riecken e Stanley Schachter, When Prophecy Fails (University of Minnesota Press, Minneapolis 1956) il nome del gruppo millenarista descritto, “The Seekers”, e quello della sua fondatrice, “Madame Keech”, sono pseudonimi, e celano il noto culto dei dischi volanti di Dorothy Martin (1900-1992); né tiene conto della numerosa lettura critica che ha messo in dubbio le conclusioni di quello studio. A prescindere da questi difetti secondari, l’opera offre un importante contributo non solo agli studi sul Nicaragua ma a quelli sul millenarismo rivoluzionario in generale e sullo spiritismo e l’occultismo come faccia nascosta del Giano bifronte del pensiero rivoluzionario moderno, solo apparentemente laico e razionalista.