Il sonno della ragione
di Francesco Codello

da Rivista anarchica on line

 

Meglio essere considerati sognatori o utopisti che essere servi sciocchi dei potenti al potere o all’opposizione.

 

Questa guerra, come tutte le guerre combattute dagli Stati, ci logora dentro, affonda la nostra umanità, mortifica i nostri sogni e i nostri desideri, e, purtroppo, rischia di obnubilare il nostro pensiero critico.
Questa guerra ha già oscurato la ragione degli uomini esaltando quella degli Stati. Sta producendo disastri, rovine, morti, nuovi fanatismi e non abbiamo bisogno di altre disgrazie, quelle che ci sono state sono davvero già troppe.
Questa guerra ha ridestato un grande e spontaneo movimento internazionale di protesta ma, purtroppo, ha anche rivelato una scontata azione egemonico-politica e tante squallide idee e affermazioni disoneste.
È una guerra che, come sempre, trova la sua giustificazione solo ed esclusivamente nella volontà di potenza mondiale (attraverso la politica dell’amministrazione statunitense) e nella volontà di potenza locale (con il regime dittatoriale di Saddam Hussein). Ma fa confluire dentro questo schema esemplificato molto di più. Le ragioni geo-politiche sono quelle della volontà dell’Impero di garantirsi strategicamente il dominio politico, economico e culturale sul mondo. Che questo mondo si chiami adesso Iraq poco importa, potrà chiamarsi dopo Corea del Nord, Pakistan, ecc. C’è ed è palese la volontà da parte dei governi statunitensi, dopo la caduta del muro di Berlino, di ridisegnare la propria sfera di influenza anche in paesi non tradizionalmente satelliti.
Le «ragioni» di chi sostiene l’uso della forza militare statale, anche se strumentalmente sbandierate come un mezzo per affermare la democrazia sulla dittatura, non mi interessano perché in realtà costituiscono alibi dietro cui si nascondono esclusivamente scelte di potere e di dominio.

Presunte scelte “pacifiste”
 

Ma trovo raccapriccianti ancor di più le presunte scelte «pacifiste» di stati come la Francia, protagonista di scelte imperialiste e guerrafondaie in Africa e in Oriente, la Germania, con i suoi molteplici interessi economici anche nell’area dell’Iraq, o peggio la Russia con i massacri sistematici in Cecenia, la Cina con le guerre nel Tibet e le sistematiche repressioni di ogni dissenso interno.
Chi, anche in questa guerra, è senza interessi di potere parli o taccia per sempre.
È una guerra che fra i contendenti ha Saddam Hussein, sanguinario e spregevole dittatore, già fido alleato degli USA in funzione anti-Iran e ora «furbescamente» paladino degli interessi espansionisti e fanatici di una parte della civiltà islamica, che dà voce al terrorismo internazionale e ad una cultura e una prassi di assoluta intolleranza anti-occidentale e anti-israeliana mortificando una cultura e una civiltà, quella islamica, portatrice di straordinarie e uniche caratteristiche.
È veramente squallido assistere a ciò che i media ci trasmettono a tutte le ore contribuendo ad assuefare le persone che vi assistono impotenti. Ma si sa lo scopo è probabilmente proprio quello di parlarne tanto per aumentare il senso di impotenza e di abitudine tra la gente. Ma io non accetto tutto ciò e mi ribello ad un mondo che contempli ancora guerre e violenze, Stati e dittatori che sono la causa di morti, sofferenze e tribolazioni che a loro volta producono solo altre guerre.
Così come sono inorridito davanti al massacro dell’11 settembre a New York, oggi soffro nel vedere gli occhi profondi e straziati dei bambini iracheni, nel sentire le urla delle donne davanti alle devastazioni delle bombe «intelligenti», ma anche alle esecuzioni in diretta dei prigionieri.
E questi sentimenti così profondi, voglio proprio urlarli forte, impedire che si affievoliscano, affermare il diritto di esprimerli pubblicamente, di diffonderli con tutti i mezzi di cui dispongo, nella speranza che a New York e a Bagdad li sentano e altri cittadini americani e iracheni trovino la forza per unirsi a me e a tutti coloro che la pace la vogliono sul serio, a tutti coloro che pensano che sia giusto affermare «morte ai tiranni e pace tra i popoli».
È una posizione etica, perché penso che la Politica non sia in grado di produrre alcun risultato positivo di fronte alla logica del dominio e all’oblio della ragione.
Purtroppo ancora una volta la Politica (al potere o all’opposizione) parla un altro linguaggio, pensa e ribadisce che bene e male sono facilmente identificabili, che si sta da una parte o si è costretti a schierarsi con l’altra. Io rivendico il diritto di pensare ad altre possibili strade, preferisco impegnarmi e consumarmi nel cercare altre soluzioni, perché non sono anti-americano così come non mi sento anti-iracheno, ma sento di appartenere ad un’umanità esclusa dalle tragiche e violente logiche del Potere e della sua perpetuazione.
Allora non chiudo e non restringo il mio pensiero dentro la solita storica dualità ma rivendico la possibilità di pensare non solo terze, ma quarte, quinte, infinite vie, pur di trasformare in pacifica e solidale una convivenza tra diversi.
Preferisco sporcarmi le mani, compromettere i miei comportamenti, senza rinnegare le mie convinzioni, nel cercare di meticizzare le culture del mondo, nella direzione però di un mondo più libero, più solidale, più uguale.

Resa, diserzione, rifiuto
 

Preferisco la resa, la diserzione, il rifiuto di giurare fedeltà ad una bandiera, quando questa si macchia di innocente sangue umano. Questa «anti-Politica» non è una nuova forma di reclutamento ideologico, ma una speranza e una fede etica nel valore della diversità, della ricchezza degli uomini e delle donne che non sono compromessi col Potere.
Purtroppo anche nel mondo pacifista la purezza e la trasparenza della propria identità viene sistematicamente compromessa da logiche e politiche strumentali e a volte speculari nel fanatismo e nell’ideologismo di parte. Che dire altrimenti del silenzio, dell’assenza di ogni protesta, di presunti «disobbedienti» nei confronti dei massacri della Russia in Cecenia, e in tutte le altre guerre in cui non è presente l’odiata America? Che dire delle sconcertanti (ma rivelatrici) espressioni di Berlinguer e Cofferati che, nell’augurarsi che la guerra in Iraq non si concluda in tempi brevi, riaffermano con spregevole realismo il trionfo del cinismo del Potere sul primato dell’etica? Cosa pensare di questo pacifismo ad oltranza solo quando ci sono di mezzo gli Stati Uniti e si confonde la parola pace con l’odio a senso unico nei confronti degli americani? Forse che gli americani sono tanti piccoli Bush o Clinton, gli inglesi Blair o Thatcher? Non dimentichiamo che questi popoli hanno creato valori, opere e sentimenti dei quali non possiamo che andare fieri, così come non possiamo che nutrirci nella saggezza dei grandi pensatori dell’Islam che hanno cullato le nostre radici e le nostre civiltà.
Preferisco pensare che questa volta si possa essere a favore di qualche cosa piuttosto che contro qualche cosa d’altro. Allora dietro allo slogan «Né con Bush, né con Saddam», che se inteso come il rifiuto di schierarsi è condivisibile, ci apparirà chiara l’egemonia di una cultura antiamericana che non credo debba appartenere a degli uomini liberi e ragionevoli, così come nella real-politik dei guerrafondai si nasconde solo una incapacità di sperare o peggio nuove forme di razzismo, di violenza e di dominio.
Non importa essere considerati sognatori o utopisti, meglio pensare di essere dei «vigliacchi» per la logica del Potere che degli assassini per quella del vero pacifismo. Meglio essere a favore degli uomini e delle donne che da questa e da tutte le guerre non hanno nulla da guadagnare, che servi sciocchi dei potenti al potere o all’opposizione ma accomunati dall’accettazione del dominio come ineluttabile forma di convivenza sociale.
Allora conviene sostenere la logica della Pace integrale quando si parla di confronti tra popoli diversi e non temere la debolezza della ragione nello scontrarsi con la forza dello Stato.

 Francesco Codello