La strage di Stato
Controinchiesta
a Giuseppe Pinelli, ferroviere
a Ottorino Pesce, magistrato.
Nota editoriale
La strage di piazza Fontana ha cambiato la storia d'Italia. Su questo non esiste
praticamente difformità di opinione tra nessuno dei principali o secondari
soggetti politici, osservatori, politologi, storici attendibili o contafrottole
di bassa lega. Le bombe esplose il 12 dicembre inaugurarono la "strategia
delle stragi", prolungatasi fino al 1980 - quella con il bilancio più
alto di vittime, il 2 agosto, alla stazione di Bologna. Tutte incontrovertibilmente
stragi di Stato, ovvero stragi compiute da uomini facenti parte direttamente
degli apparati più "coperti" dello Stato, oppure da fascisti
da loro personalmente organizzati, indirizzati, finanziati, protetti - senza
alcuna eccezione, fino al momento di andare in tipografia con questa nuova edizione.
Il libro La strage di Stato ha a sua volta cambiato la storia di questo
paese. Non la "mentalità della sinistra", ma proprio la Storia
in senso stretto. Ha infatti impedito che la strage di piazza Fontana raggiungesse
il suo scopo: far scattare un "riflesso d'ordine" nel paese, chiudere
il biennio rosso '68-'69, rinchiudere nuovamente gli studenti nel ghetto delle
scuole e gli operai nell'inferno delle fabbriche, senza più resistenze,
contestazioni, antagonismo.
Come è potuto riuscire un libretto scritto da 15 anonimi compagni qualsiasi,
alcuni dei quali allora praticamente bambini (con il metro attuale), a fare
tanto?
Con l'inchiesta, attenta e non indulgente alle facili suggestioni. Una contro
inchiesta, più precisamente.
Ma andiamo con ordine.
Lo scopo politico della strage di Milano poteva essere realizzato soltanto se
tutta l'Italia fosse rimasta convinta che i responsabili fossero alcuni di quegli
"estremisti di sinistra" che quotidianamente attraversavano in corte
le strade della penisola. I più deboli tra quegli "estremisti"
- sul piano politico, delle allenze o anche solo nell'immaginario sociale -
erano gli anarchici. Loro - fu deciso nelle segrete stanze dei palazzi governativi
e di quelli della cospirazione governante - dovevano essere indicati come i
responsabili di una mattanza tanto truce quanto ingiustificabile. Non un'azione
di guerriglia, per quanto poco comprensibile potesse essere. Una strage casuale,
invece, indifferente nella scelta delle vittime. C'è un legame di continuità
- ma anche una decisa rottura - con la strage di Portella delle Ginestre, compiuta
il primo maggio del '47. Quella infatti aveva preso di mira una manifestazione
sindacale, "i comunisti" in festa sotto le bandiere rosse. Troppo
facile individuarne i mandanti politici. A Milano nel '69 si prova a rovesciare
le parti vittima-carnefice, ma ad esclusivo beneficio dell'immaginario popolare.
Il gioco, si diceva, non riesce grazie alla resistenza del movimento degli studenti,
che istintivamente non accetta l'idea stessa che gli anarchici possano essere
responsabili di una strage del genere. Ma un ruolo enorme, decisivo, va al movimento
operaio, che fin dal primo momento si slega dalla tutela idiota del Pci - altrettanto
immediatamente aggregatosi tramite il proprio quotidiano, l'Unità,
al coro dei reazionari che gridavano al "mostro Valpreda".
Il gruppo di compagni che ha redatto questo libro, giorno dopo giorno, dà
corpo alla convinzione di tanti. La strage è di Stato. E lo provano
proprio smontando pezzo pezzo l "'inchiesta" poliziesca che per mano
del commissario Calabresi, del questore Guida e del capo della squadra politica,
Allegra, si erano indirizzate "a colpo sicuro" sugli anarchici.
L'altro elemento che scombina il "piano" di incriminazione di Valpreda
e compagni è la morte di Giuseppe Pinelli all'interno dalla questura
di Milano. Per giustificare questa morte gli "inquirenti" milanesi
fanno ricorso a una massa di "giustificazioni ad hoc" che, nel loro
insieme, compongono un quadro senza senso, una massa di contraddizioni che è
da sola un ammissione di colpevolezza. Smagliature nella trama della "verità
di Stato' che doveva seppellire gli anarchici - e con loro il '68-'69 - sotto
l'infamia e la condanna popolare. Dentro queste smagliature gli autori della
controinchiesta infilano il robusto cuneo dell'intelligenza politicamente orientata;
niente affatto cieca o preconcetta. Fino a smontare completamente la versione
della polizia sia in merito alla strage di piazza Fontana, sia alla morte Pinelli.
I due fatti stanno insieme, indissolubilmente. Se gli anarchici sono innocenti,
la polizia è colpevole per la morte di Pinelli. E anche per la strage
(sa chi sono i responsabili, o chi l'ha ordinata, ma si muove consapevolmente
e volontariamente all'interno dello stesso "disegno criminoso", indirizzando
le indagini nella direzione voluta da chi ha compiuto la strage).
Di qui non si esce. La versione finale della procura di Milano sulla morte di
Giuseppe Pinelli (un "malore attivo"; non proprio un suicidio, ma
quasi) è un monumento all'impunità dei funzionari dello Stato,
all'ipocrisia del potere, alla mai abbastanza riconosciuta dipendenza della
magistratura dal potere politico. Il fatto che l'archiviazione delle indagini
sulla morte di Pinelli porti la firma di Gerardo D'Ambrosio è la chiusura
di un cerchio - logico e politico - non un "incidente di percorso".
Certo, oltre D'Ambrosio, alcuni altri "santi" dell'iconografia ufficiale
escon male da queste pagine. Lo stesso Calabresi, credibilmente raggiunto d
un attentato di sinistra, e Occorsio, ucciso dal neofascista Concutelli, non
fanno una gran figura di "democratici". Ma questo è un problema
di chi nel "doppio Stato" crede. Non degli antagonisti.
La controinchiesta non si limita a demolire quella poliziesca. Va un attimo
più in là, individuando nei fascisti i possibili "manovali"
di una strage decisa "nelle alte sfere". È straordinario come
in questa autentica inchiesta non venga mai smarrito il senso della realtà,
della misura, l'attenzione alla verità per come è.
Questo, infatti, non è un libro dietrologico. Non ricostruisce
fatti trascegliendo solo gli avvenimenti che possono far comodo alla versione
che si intende sostenere. Non chiude gli occhi di fronte alla violenza dicendo
- cioè mentendo - che "la violenza è solo fascista".
Sa vedere e distinguere la violenza dei fascisti, quella dello Stato e anche
quella del movimento antagonista. Se c'è conflitto - sembra banale dirlo,
ma a molti suona oggi quasi come un'eresia - i colpi si prendono, ma si danno
anche. Questo libro non ha insomma nulla a che spartire con quella sub-cultura
della "teoria del complotto universale" fiorita negli anni successivi.
Gli autori non cadono mai nella trappola della teoria del "doppio Stato",
cara ai dietrologi (pseudo-storici) di ascendenza Pci che si sono, al massimo,
limitati a definire le stragi come semplicemente fasciste. Non credono insomma
che in Italia sia mai esistito uno" Stato buono" che conviveva conflittualmente
con quello "cattivo". Lo Stato era ed è soltanto uno: l'apparato
(i servizi, la polizia, i carabinieri, la magistratura, ecc.) non si muove indipendentemente
dal potere politico. Ma lo Stato non è neppure la riproduzione organizzata
delle molteplici presenze politiche in parlamento. Esistono anche nell'apparato
i "sinceri democratici" o semplicemente i funzionari onesti. Ma la
controinchiesta svela senza possibilità di errore come i secondi vengano
sempre rimossi, sostituiti, allontanati, quando la loro opera non coincide con
le finalità dell'azione generale dell'apparato.
Senza teoria del "doppio Stato" non ci può essere dietrologia.
La dimostrazione di una simile affermazione sta tutta nel fatto che quasi quattro
anni di governo di centrosinistra (la stessa formula in vigore nel '69, ma con
in più una fetta consistente dell'ex Pci) e un ministro dell'interno
ex "comunista:" (Giorgio Napolitano) non hanno fatto uscire dagli
archivi una sola notizia in più sulle stragi e i loro autori. Quando
i dietrologi sono andati al governo, insomma, la verità sulle stragi
è rimasta occultata esattamente come prima. Il che dimostra non solo
la loro malafede, ma l'inattendibilità stessa della "teoria".
In questo senso La strage di Stato è un libro sull'irriformabilità
democratica dello Stato, quanto meno di questo paese, sul suo consistere reazionario
indipendentemente dal succedersi di governi che se ne servono senza mai metterlo
in discussione.
Senza illusioni su una sempre invisibile "parte buona dello Stato",
insomma, ci può invece essere la capacità di vedere le cose come
stanno. È questa inchiesta che porta per la prima volta alla ribalta
della notorietà nomi che diventeranno tristemente famosi nei decenni
successivi: Sindona, Màrcinkus, Rauti e tanti altri che ricorreranno
come una litanìa in tutti gli scandali a sfondo golpistico tra i '70
e gli '80.
Dopo trent'anni le stragi sono ancora e sempre "impunite". È
un'espressione ormai consunta. Perché mai lo Stato dovrebbe punire se
stesso per quello che ha fatto? Perché dovrebbe, se i movimenti che lo
misero in crisi, e per la cui repressione la strategia delle stragi prese corpo,
non sono più sulla scena politica? Perché dovrebbe criticarsi,
se i suoi più accesi critici hanno percorso in pochi anni la via del
"pentimento" e l'approdo al liberismo più selvaggio, al bellicismo
senza remore, alla distruzione sistematica delle residue garanzie della forza
lavoro?
Al contrario, quanti si sono opposti allo Stato stragista - qualcuno anche armi
alla mano - sono stati tutti ,e più che duramente "puniti".
E oltre duecento prigionieri politici di Sinistra, e altrettanti esuli, a vent'anni
dai fatti, stanno ancora lì a dimostrarlo. Come non mettere confronto
la raffica di assoluzioni nei processi per piazza Fontana, Brescia, l'Italicus,
la stessa stazione di Bologna, e i ben trentadue ergastoli dati - e scontati
- per il sequestro di Aldo Moro? Come non veder che i Merlino, i Delle Chiaie,
i Tilgher sono tuttora personaggi politica mente attivi, protetti, assistiti,
senza aver praticamente mai conosciuto la galera? L'evoluzione degli avvenimenti
a partire dal '69 non lasci molti dubbi. Al di là delle diverse teorie
e progetti politici dei diversi gruppi armati di sinistra negli anni '7O, è
storicamente certo - evidente, diremmo - che la straordinaria partecipazione
quantitativa alle organizzazioni armate di sinistra trova una delle sue più
forti ragioni proprio nella reazione allo Stato delle stragi.
Un libro, dunque, non per "ricordare". Leggere La strage di Stato
serve a capire l'oggi, da dove viene questo paese, da quale storia sorge il
presente, di quali infamie sia capace il potere pur di conservarsi. Un libro,
ma soprattutto un metodo. Che non è l'esercizio della "memoria"
costa moltissimo e dura sempre troppo poco - ma un modo di guardare il presente.
Una diffidenza vigile, una convinzione non contingente nelle proprie ragioni,
un interrogarsi costante. Guardare con gli occhi ben aperti, non credere
alle favole dei media, imparare a distinguere sempre (tra il compagno ingenuamente
estremista e l'agente provocatore infiltrato, per esempio!). Perché l'antagonismo
ha bisogno di intelligenza, soprattutto. Di "rabbia" è fin
troppo pieno questo schifo di mondo.
Odradek
Il "gruppo dei compagni/compagne che indagarono
e scrissero 30 anni fa per smascherare la strage di Stato" ci ha chiesto
di rieditare questo aureo libretto e farlo uscire in tempo per il 12 dicembre,
rispettando il loro anonimato. Il libro esce con la firma di Eduardo Di Giovanni
e Marco Ligini, deceduti in questi anni, ma che peraltro furono gli animatori
del gruppo e gli estensori del testo.
Nella nota che precede abbiamo spiegato le ragioni politiche che ci hanno spinto
a corrispondere al loro desiderio; qui accenniamo brevemente ai criteri seguiti
nel preparare il materiale per questa edizione. Premesso che il pochissimo tempo
a disposizione ci ha impedito di preparare quell'edizione critica che il libro
meriterebbe, ci siamo basati sulla V edizione dell'ottobre 1971 (la I edizione
è del giugno 1970) ma dalla quale, per motivi di spazio, non abbiamo
ripreso la prefazione. Abbiamo del pari evitato di riprodurre le foto che corredavano
la I edizione, per le difficoltà che l'operazione comportava. Nella I
Appendice di questa edizione abbiamo riprodotto i materiali che corredavano
la V edizione. Nella II Appendice abbiamo inserito una cronologia e qualche
scheda di aggiornamento, richieste ad alcuni giornalisti "specializzati"
- che hanno preferito rimanere anonimi, nello spirito dell'iniziativa, ma che
qui ringraziamo a nome di tutti. Abbiamo inoltre tratto dalla "Ristampa
per il 12 dicembre 1993", supplemento al n° 48 di Avvenimenti - che
uscì a firma di Eduardo M. Di Giovanni e Marco Ligini - "Processi
a un libro" e "Come importammo la controinformazione"; riproduciamo
quest'ultimo testo con la firma di Edgardo Pellegrini, anche lui scomparso lo
scorso anno.
In questa ennesima ristampa, proponiamo come III Appendice il testo dell'intervista
del giudice Guido Salvini che compare nel video "12 dicembre. Critica allo
Stato dei misteri" realizzato da SUTTVUESS.
Resta il disappunto per la contraddizione che siamo costretti a registrare.
Il giudice Salvini, tra i pochi a continuare le indagini sulle stragi di Stato,
dimostra con la sua azione di essere persona onesta e coscienziosa, sia pure
avvalendosi di tutte le scorciatoie meno presentabili che la legislazione gli
mette a disposizione, come "pentiti" e intercettazioni. Vede con chiarezza
i blocchi politici frapposti alle indagini per 30 anni; vede che persino la
sedicente "sinistra di governo" ha rapidamente depennato dalla sua
agenda (ma non dalla propria retorica) la "ricerca della verità"
sulle stragi pur di sedersi senz'altri intoppi sulle più scomode poltrone
ministeriali (interni, giustizia, presidenza del consiglio). Eppure, Salvini
- forse per la solitudine in cui lo ha condotto il suo indagare - è costretto
a sperare in un soprassalto di dignità della Commissione parlamentare
d'inchiesta sulle stragi. Ovvero nell' "onestà" dell'organismo
che da quasi 20 anni, peggio che il "porto delle nebbie" della procura
di Roma, gestisce l'occultamento di ogni verità possibile sotto un cumulo
di ipotesi perennemente riformulate e programmaticamente non verificabili.
Nota degli autori
nel trentennale della strage
1) Il titolo di questo libro non a tutti piacque. Anche nella sinistra extra-parlamentare
nella quale militavamo, molti pensavano - contro ogni evidenza, secondo noi
- che la strage fosse fascista, forse con qualche copertura o complicità
di apparati statali. La storia ha dimostrato che non era così. Anche
le successive stragi degli anni '70/80 (piazza della Loggia, Italicus, strage
alla stazione di Bologna, ecc) hanno confermato, fuor di ogni dubbio, che lo
Stato promuoveva o consentiva stragi e delitti eccellenti, spesso gestendoli
in prima persona e comunque coprendoli; ultimi esempi Ustica, Casalecchio di
Reno, la morte di Ilaria Alpi, le navi dei profughi speronate e il Cermis; crimini
di guerra e di pace, sempre con la stessa logica del puro dominio.
2) L 'inchiesta fu militante/collettiva e così la diffusione del libro.
Fu anche una indicazione di metodo che oggi vogliamo/dobbiamo rilanciare. Tanto
più che se alla fine degli anni '60 e inizio dei '70 ancora esistevano
taluni spazi d'informazione più o meno liberi, oggi si sono ridotti al
lumicino. Difficile credere che qualche giornalista "normale" oggi
indagherà sui delitti/bugie di Stato (la guerra '99 della Nato, per dire
il fatto più grave) e comunque che queste inchieste avranno un'eco. Non
possiamo però tacere che molti/e oggi chiudono le orecchie, preferiscono
non sapere. Dobbiamo dunque informarci da soli e contro-informare con le forze
che abbiamo, trovando il modo di sturare le orecchie e aprire le menti cloroformizzate.
3) In coda al libro trovate le prefazioni (Aldo Natoli, Lelio Basso, Alessandro
Natta e Ferruccio Parri) che allora chiedemmo a 4 esponenti, seppure un po'
atipici, della sinistra tradizionale. Perché noi - extraparlamentari
-sentimmo il bisogno di coinvolgere persone da cui eravamo più o meno
lontani come prassi politica? In parte fu per dare copertura politico/giudiziaria
a un libro che temevamo fosse bloccato e/o passato sotto silenzio; in parte
(ben maggiore) perché la gran parte di noi era allora convinta che, per
quanto grandi fossero le distanze dalla "vecchia" sinistra, c'era
un terreno minimo (di difesa delle regole democratiche uscite dalla Resistenza,
di opposizione al fascismo vecchio/nuovo) su cui comunque ci saremmo potuti
trovare insieme. Fu questo un grave errore d'analisi, come infatti successivi
dimostrarono; al di là di singole persone infatti, tutta la "vecchia"
sinistra (intendiamo con ciò il Psi, la Cgil, il Pci e i suoi vari figlioli
Pds, Ds/Ulivo) non si è schierata per "far luce", come all'epoca
si diceva, e con triste coerenza ha tradito persino una delle pagine fondanti
della Costituzione, quella che ripudia la guerra come strumento d'offesa. Esistono
fra noi - che oggi siamo politicamente impegnati in luoghi assai diversi - divergenze
di idee sulle ragioni e sui passaggi di questa "devastazione" della
sinistra, come di altri nodi storici. Al di là però di queste
diverse valutazioni, tutti noi abbiamo la certezza che oggi la sinistra vera
può essere solo extra-parlamentare, che i meccanismi del potere impediscono
ogni possibilità d'accesso democratico/elettorale a chi vuole scardinare
le ingiustizie (italiane e mondiali), che i veri utopisti sono coloro che non
sentono la necessità di una rivoluzione dal basso. Curioso che noi -
extraparlamentari ieri - siamo oggi al fianco degli "extra-comunitari"
(che noi preferiamo comunque chiamare migranti); ci dev'essere in questo "extra"
qualcosa che ci sfugge, al di là delle sprezzanti definizioni di chi
è "dentro". Forse essere "fuori" (dai meccanismi)
è l'unico modo d'agire nel profondo, il che spaventa i cani da guardia
dell'ingiusto ordine costituito.
4) In copertina a La Strage di Stato ci sono i gendarmi di Pinocchio
o forse i carabinieri di Valpreda; continuità dello Stato forte con i
deboli e debole con i forti. Viviamo sempre più all'interno d'una nazione-poliziotto
e in una rete di sbirri mondiali: impediscono agli esseri umani di passare le
frontiere proprio mentre capitali, armi e veleni non hanno confini; affamano
interi continenti e uccidono (o imbavagliano, se si vive nella parte privilegiata
del mondo) chi ne spiega le vere ragioni; si lamentano in Italia della sicurezza
(imbrogliando sui dati, diffondendo razzismo) mentre ogni giorno 4/5 persone
muoiono in Italia nei luoghi della produzione, per colpa provata di un'organizzazione
del lavoro criminale; c'è anche chi vorrebbe sempre più portare
il poliziotto/prete dentro le nostre camere da letto. Trent'anni dopo abbiamo
la certezza o forse solo la conferma che esiste un filo, un continum fra lo
Stato armato e terrorista e la piccola/spiccia repressione, fra i grandi trafficanti
d'armi internazionali (che poi piangono sulle vittime e organizzano le "missioni
Arcobaleno") e il tentativo di controllare e/o ingabbiare le nostre esistenze.
Un discorso lungo e complesso che, come altri, qui accenniamo solo. Noi crediamo
che questo filo vada spezzato, ovunque sia possibile. Non abbiamo grandi organizzazioni/energie
per farlo. Anzi, come direbbe Totò, "alla forza pubblica possiamo
opporre solo la nostra privata debolezza". Però lo faremo e invitiamo
a farlo ogni giorno: ci si chiami tute bianche o rete Lilliput, centri sociali
o Greenpeace, lavoratori auto-organizzati o Cantieri Sociali, zapatisti o sem-terra
di ogni parte del mondo, "Dire mai al Mai" o altro ancora, i nomi
contano poco, è come s'agisce quel che fa la differenza. Se un anello
della catena dello Stato poliziotto viene lacerato, più facile sarà
che anche altri anelli si spezzino. E viceversa: ogni volta che chiudiamo gli
occhi sui diritti di "un altro/a", perché non sappiamo identificarci
con lui/lei, stiamo saldando una catena che stringe/stringerà il collo
di tutti/e. Perché lo Stato globale oggi è una falsa democrazia
che in realtà si basa sulla dittatura degli 850 leader che si riuniscono
al Forum internazionale di Davos (e possiedono il 95% o giù di lì
dei massmedia mondiali, tanto per dare un 'idea) e che hanno 50 mila "luogotenenti"
per controllare qualche miliardo di consumatori a Nord (se sono buoni, altrimenti
diventano criminali) e di schiavi al Sud (che se provano a ribellarsi vengono
uccisi con le armi, con gli embarghi o con "le politiche di aggiustamento
strutturale" della Banca mondiale). Oggi come ieri, lo ripetiamo: ribellarsi
è sempre giusto, possibile, necessario.
5) Ovviamente questo libro non ha copyright: non crediamo alla proprietà
privata delle idee, figuriamoci se pensiamo che la memoria possa essere registrata
con diritto d'autore. Chiunque può, se crede, riprodurlo. V'invitiamo
però, oggi come ieri, a diffidare di chi sui libri s'arricchisce: non
pagare un libro più del dovuto è un atto di elementare giustizia,
sabotare chi sul caro-sapere s'arricchisce (ed esclude i più) è
un irrinunciabile dovere.
6) Anche questa ri-edizione è firmata solamente dai nomi di due compagni,
(Edoardo e Marco) che nel frattempo sono morti; perché materialmente
ne scrissero gran parte, ma anche per ricordarli. Nel '98 è morto anche
Edgardo Pellegrini, uno dei tanti/tante che ci diede una mano: per lui - scrive
la sua compagna Elettra Deiana -"il metodo che portò alla stesura
di Strage di Stato fu sempre un punto di riferimento, una memoria feconda anche
per l'oggi". Gli altri e altre "co-autori" non ci tengono a far
sfoggio dei loro nomi, anche se sono orgogliosi di aver preso parte a quest'impresa.
La ragione di questo essere "anonimi" ben la spiega Sarina (la poetessa
del gruppo): "nel regno dell'avere, al tempo della ufficializzazione del
nulla, chi aspira a essere non può che essere clandestino". O, se
preferite! una versione più politica, noi comunque (con il triste privilegio
dell'età, in parole povere pur invecchiati e ingrassati), continuiamo
a sentirci parte d'un grande movimento, ad aver senso/ragione solo dentro questa
mobile, eterogenea folla che combatte "lo Stato presente delle cose".
7) Non siamo dunque pentiti di questa contro-inchiesta (anzi ne siamo assai
fiere/i), come non siamo pentiti d'aver lottato e di continuare a farlo (ognuno/a
a suo modo), dopo 30 anni. Ci sentiamo di sottoscrivere quanto, nel '95; scrisse
un "pazzo" compagno statunitense, Albert Hoffman, in prima fila nel
movimento degli anni '60-70: "Certo, eravamo giovani. Certo, eravamo arroganti.
Eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati, sciocchi. Ma avevamo
ragione". Avevamo ragione noi, anche su questo: la strage è
di Stato. E diciamo a voi, gente perbene, che "per quanto vi crediate
assolti", come cantava allora Fabrizio De Andrè, "noi verremo
ancora a bussare alle vostre porte", perché siete sempre - e per
sempre - tutti coinvolti.
Un gruppo dei compagni/compagne che indagarono e scrissero 30 anni fa
per smascherare la "strage di Stato"
Nota dell'editore.
Questo libro è il frutto di un lavoro paziente e sistematico di un
nutrito gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, che hanno - spinti
dal desiderio di accertare i fatti e di risalire alle responsabilità
politiche - raccolto informazioni e testimonianze, messo a confronto dichiarazioni
pubbliche di funzionari di polizia e altri personaggi implicati nelle vicende,
ricostruito le attività e gli spostamenti di ben individuati personaggi,
fornendoci, alla fine, attraverso notizie in parte già note, in parte
inedite, un quadro certo impressionante di una realtà politica (quella
dei fascisti e dei loro collegamenti nazionali e internazionali, delle altre
forze politiche reazionarie che hanno in quei fascisti un loro strumento), con
una ricchezza di dati e una capacità di persuasione fino ad oggi difficilmente
raggiunte.
Il lavoro - è giusto dirlo - è stato svolto in modo del tutto
indipendente dalle organizzazioni della sinistra, senza nessun aiuto politico
e finanziario. Solo quando il manoscritto era completato, l'editore ha preso
l'iniziativa di chiedere ai rappresentanti dello schieramento politico-parlamentare
di sinistra un giudizio e un avallo. Ciò non perché si sia ritenuto
necessario riproporre in questa sede un dibattito fra diverse forze politiche
della sinistra, che già si svolge altrove: ma perché ci è
sembrato che il tipo di battaglia, nel quale si inserisce il testo che qui presentiamo
al lettore, richiedesse - al di là delle divergenze politiche che pur
permangono e che traspaiono dalla lettura e del libro e dei giudizi espressi
in fondo da Basso, Natoli, Natta, Parri - l'unità di uno schieramento
di sinistra che, quali che siano gli errori o le manchevolezze di questi o quelli,
rimane l'unico strumento valido per opporsi concretamente alle mene reazionarie
degli autori degli attentati di Roma e Milano e dei loro complici consapevoli
o inconsapevoli.
L'editore
NOTA DEGLI AUTORI
Questa
controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare
e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati dei 12 dicembre,
si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra" - non nasce da esigenze
di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni dello stato democratico"
o "la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini". Sappiamo che questi
diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole
del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo dei servi o l'opposizione istituzionale
dei falsi rivoluzionari. Per noi, "giustizia di classe" e "violenza di stato"
non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti
con l'esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni
giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto
nelle "situazioni di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia.
Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema
colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta
sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno
in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Per questo non ci stupisce ne' ci indigna il ricorso dei
padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo;
ne' che l'apparato ne copra le responsabilità con l'assassinio e con l'incarcerazione
di innocenti. Lasciamo ai "democratici" il compito di scandalizzarsi, di chiedere
accertamenti e indagini parlamentari, di gridare: "Questo non deve accadere!
Qui non siamo in Cambogia" come se esistessero tanti imperialismi anziché uno
solo, come se i sistemi che esso usa abitualmente in Asia, Africa, America Latina
o in Medio Oriente, fossero privilegio esclusivo dei popoli di colore o sottosviluppati:
inammissibili per un "paese di alta civiltà", come il nostro. Fin dall'inizio
eravamo coscienti che non avremmo potuto fornire agli altri militanti molto
di più di quanto essi già sapevano sulle responsabilità dirette e indirette
che stanno dietro la strage di Milano.
Prima ancora che i giornali progressisti definissero "oscuro
suicidio" la morte di Giuseppe Pinelli, sui volantini alle fabbriche e all'Università,
sui giornali rivoluzionari e sui muri delle città italiane, i colpevoli venivano
indicati con nome e cognome. Quando i deputati della sinistra ufficiale denunciavano
"l'oscura manovra reazionaria" rivolgendo appelli di unità antifascista a quegli
stessi settori politici che di questa manovra, nient'affatto oscura, erano i
gestori e i portavoce ufficiali, migliaia di militanti si scontravano in piazza
con la polizia gridando esplicitamente i risultati della loro analisi di classe.
Il significato di questa contro-inchiesta, quindi, è quello di offrire ai compagni
un modesto strumento di lavoro per l'approfondimento e la diffusione a livello
popolare dell'analisi sullo stato borghese; perché, come ha detto Lenin prima
di Gramsci, la verità è rivoluzionaria. Siamo convinti, nello stesso tempo,
che essa fornisca la dimostrazione di quanto e meglio avrebbero potuto fare
- se solo lo avessero voluto - le forze della sinistra istituzionale, politiche
e sindacali. Le quali però non hanno voluto perché il farlo significava dimostrare
che dietro le bombe di Milano e di Roma, dietro la morte di Giuseppe Pinelli,
esistono complicità che non lasciano spazi riformistici.
L'abbiamo dedicata a due compagni: Giuseppe Pinelli e Ottorino
Pesce. Il primo, un operaio, è rimasto ucciso per predisposizione storica, come
i suoi compagni che quasi ogni giorno muoiono nei cantieri e nelle fabbriche
dei padroni; il secondo giacché aveva scelto di mettersi dalla parte degli sfruttati
anziché degli sfruttatori, pretendendo di rifiutare il ruolo sociale che gli
era stato assegnato. Lo ha fatto dichiarando - proprio quando la sinistra ufficiale
assisteva pressoché impassibile alla caccia all'"anarchico" e al "maoista" che
la giustizia italiana è una giustizia di classe: la stampa "indipendente" lo
ha linciato, i magistrati "progressisti" lo hanno invitato alla prudenza e al
tatticismo. E' morto d'infarto il 6 gennaio 1970.
Un gruppo di militanti
della sinistra extra-parlamentare
13 dicembre 1969-13 maggio 1970
I CAPITOLO
Le bombe del 12 dicembre -- La morte di Armando Calzolari - Venerdì 12 dicembre - Italia 1969, un attentato ogni tre giorni - Si tirano le somme della "strategia della tensione" - I profeti del 12 dicembre - Riunioni segrete - La confessione di Evelino Loi.
Premessa
Strage di Stato si apriva con la morte di Armando Calzolari, già
uomo di fiducia di Junio Valerio Borghese. Sono passati due anni dal giorno
di Natale del '69, quando scomparve per essere ritrovato, qualche tempo dopo,
ucciso. Sono passati molti mesi dall'uscita della prima edizione di Strage
di Stato. E l'inchiesta su Armando Calzolari non è ancora a punto.
Il magistrato che si occupa del caso non ritiene evidentemente sufficienti gli
elementi raccolti nella istruttoria. Il giudice De Lillo, lo stesso che conduce
le indagini sul fallito tentativo golpista dell'anno scorso, è stato
più volte al Nord e nel corso di uno di questi viaggi ha potuto interrogare
Maria Piera Romano, la vedova del Calzolari. La deposizione della donna è
stata definita "sconcertante". Parlando di lei, il libro ne riporta
una frase: la non archiviazione del caso la danneggerebbe economicamente. Commentano
gli autori: "fatto inspiegabile, visto che Armando Calzolari non risulta
assicurato: a meno di pensare che qualcuno abbia promesso alla vedova di aiutarla
economicamente, nel suo silenzioso dolore, solo quando e a condizione, che il
caso fosse stato definitivamente archiviato".
Qualcuno l'ha aiutata prima: Maria Piera Romano vive ora in Piemonte, aiutata
con un assegno da un noto carrozziere. E il caso è ancora aperto. E le
sue dichiarazioni sono sconcertanti. La fine di Armando Calzolari resta, come
avevano intuito gli autori dell'inchiesta, una delle tessere decisive del lugubre
mosaico.
Qualche altra tessera, come pure era stato dichiarato in apertura del libro,
la possiede Evelino Loi. Anche qui, i fatti hanno confermato molte delle rivelazioni.
Sulla figura del giovane sbandato sardo, Strage di Stato formulava tre
ipotesi: si tratta di un mitomane; è un confidente, pilotato dalla polizia;
è un provocatore. Quale delle tre? Possiamo aggiungere che si tratta
di un personaggio a molti scomodo, probabilmente ad altri assai comodo. Il suo
posto di dentro-e-fuori nel meccanismo dell'indagine giudiziaria è quanto
meno singolare. Gli autori avevano sottolineato che, dopo una sua visita all'Espresso,
la cassaforte del giornale era stata rubata. Aggiungiamo che, dopo una sua visita
alla casa editrice che ha pubblicato Strage di Stato, gli uffici editoriali
sono stati oggetto di un immediato tentativo di perquisizione notturna, ad opera
di ignoti. Il giudice Cudillo non interroga Loi perché "irreperibile".
Ma Loi si vede facilmente in giro e quando, un giorno, si presenta di nuovo
alla casa editrice, passano soltanto pochi minuti e suonano alla porta gli agenti
dell'ufficio politico della questura. Loi è dunque pedinato (salta dalla
finestra, fugge); ma se è pedinato, come sostenere che è irreperibile?
Quando, finalmente, Loi si reca "di sua volontà" dal giudice
Cudillo, ad aspettarlo fuori dell'ufficio ci sono ancora gli agenti della "politica".
Non riescono prenderlo, perché viene fermato - con un istante di anticipo
- dai carabinieri. I militari gli contestano l'infrazione al foglio di via;
Loi afferma, lo documenta, di trovarsi a Roma con un foglio di via per Roma,
perché doveva essere interrogato dal giudice. Tuttavia lo tengono dentro
quattro o cinque giorni. Quando esce, nuovo fermo e successivo arresto: è
imputato di aver fatto circolare piccoli assegni di provenienza furtiva. Almeno
per ora, Loi non può più parlare. Eppure risulta che dirigenti
della "politica" romana hanno dovuto confermare molte delle cose che
Loi aveva detto nella "confessione" a Strage di Stato.
Le riunioni segrete: ecco un altro paragrafo di questo primo capitolo che ha
suscitato apprensioni e reazioni. Gli ex generali dei paracadutisti Caforio
e Frattini, per esempio, hanno querelato gli editori: Caforio dice che non c'era,
alla riunione del 15 novembre. Ha un alibi: era a Reggio Calabria (sic!). Nella
denuncia, afferma di poter agevolmente provare ciò che dice: il volo
lo ha fatto con un aereo militare. Vedremo in sede processuale (il processo
è in corso) come stanno esattamente le cose; vedremo e diremo se si tratta
di uno sbaglio nella datazione. Ma non è questo il punto. Ci chiediamo
quanti pensionati, in Italia, abbiano la possibilità di vedersi mettere
a disposizione un aereo militare. Anche su questo sarebbe bene fare luce. Forse
si potrebbe chiedere qualche cosa, in proposito all'ex tenente dei paracadutisti
Succucci, che il pensionato Caforio conosceva bene. Il tenente, segretario dell'associazione
paracadutistica di viale delle Milizie, covo dei "duri" oppositori
del "caos dilagante", è d'altra parte facilmente reperibile.
È in galera, imputato per il tentativo golpista del Fronte nazionale.
È notevole che in tutte le inchieste che ad un ceno punto la magistratura
è stata costretta ad aprire sui gruppi fascisti appaiano elementi che
provengono dalle fila dei 'paras" italiani: a Roma come a Foggia, a Bari
come a Verona e così via. Questi sono fatti, e i generali (in pensione
o in servizio) hanno un bel pontificare sul "lealismo" dell'arma!
D'altra parte, riunioni segrete non ci sono state soltanto prima della strage
di Stato. I giornali, riferendo sulle inchieste aperte dalla magistratura, hanno
fornito nuovi particolari; molti giornalisti sanno altre date. Nessuno però
ha ancora parlato delle riunioni che si sono tenute, nel periodo pre e post
elettorale, in una villa disabitata di un complesso residenziale vicino a Velletri.
Riunioni ristrette e riunioni allargate, con mogli, amici e rinfresco. E con
una saletta appartata, in cui alcuni dei partecipanti si riunivano nel bel mezzo
della festa. Elementi in borghese ed elementi in divisa. Erano presenti anche
elementi della "politica"? Erano presenti agenti del SID? Se c'erano,
sarà bene che facciano rapidamente il loro rapporto. In quelle riunioni
sono state messe a punto, verosimilmente, alcune linee della prossima strategia
della destra. Dopo Milano, sappiamo bene che cosa ciò significhi. Non
vorremmo che questo libro dovesse passare alla storia come l'inchiesta sulla
"prima strage di Stato".
La morte di Armando Calzolari
L'uomo scompare la mattina di Natale 1969, a Roma. E' uscito
come al solito alle otto con il suo cane, un setter inglese di nome Paulette,
dicendo alla moglie che sarebbe tornato verso le dieci, per la messa. A mezzogiorno
la donna comincia a preoccuparsi, si è accorta che il marito ha dimenticato
a casa il portafoglio con i documenti. All'una scende in strada, vede che la
"500" bianca non è al parcheggio e prega un vicino di accompagnarla al parco
di Villa Doria Pamphili: ma i guardiani quella mattina non hanno visto l'uomo
e il suo cane. Nessun altro nei dintorni li ha visti. La donna telefona agli
ospedali. Avverte un amico, un monsignore del Vaticano, perché si informi
in questura. In serata denuncia la scomparsa ai carabinieri. Il giorno dopo
i quotidiani romani danno la notizia in poche righe di cronaca.
Il cadavere dell'uomo viene scoperto più di un mese dopo,
la mattina di mercoledì 28 gennaio, dall'operaio di un cantiere edile che lo
scorge in fondo a un piccolo pozzo, affiorante nell'acqua insieme alla carogna
di Paulette. Il pozzo è alla periferia di Roma, in località Bravetta, e i carabinieri
non si sono spinti sin qui perché la moglie ha escluso che questa fosse una
meta delle passeggiate con il cane, su strade fangose per la pioggia e troppo
lontane da casa.
Il corpo è in stato di avanzata decomposizione ma l'autopsia
esclude che siano presenti tracce di violenza. L'orologio da polso è fermo sulle
8,34. Chi conduce le indagini parla subito di disgrazia: forse l'uomo, per salvare
il cane caduto nel pozzo, vi è caduto a sua volta e non è più stato capace di
uscirne; ha chiamato ma nessuno, dato che il luogo è isolato - un terreno da
costruzione, con alberi e canneti - ha sentito le sue invocazioni di aiuto.
L'uomo è Armando Calzolari detto Dino, nato a Genova 43 anni
fa. Ex ufficiale di coperta della marina mercantile, poi commissario di bordo.
Da otto anni non navigava più. Il suo lavoro dichiarato era di addetto alle
pubbliche relazioni per una impresa di costruzioni di strade e ponti. In realtà
procurava e in parte amministrava i fondi del Fronte Nazionale di Junio Valerio
Borghese. Le numerose amicizie all'estero, specialmente negli Stati Uniti, la
conoscenza di diverse lingue e la facilità con la quale stringeva rapporti,
oltre alla sua provata fede di ex marò della Decima Mas, facevano di lui un
personaggio prezioso per le attività del "principe nero".
L'ipotesi di un delitto, e per giunta di un delitto politico.
Viene avanzata esplicitamente per la prima volta a soli nove giorni dalla scomparsa
di Calzolari, il 2 gennaio 1970, con un articolo del quotidiano filofascista
di Roma Il Tempo. L'articolo sottolinea che il lavoro per il Fronte
Nazionale "aveva evidentemente portato (Calzolari) a conoscenza di alcune situazioni
i cui particolari potrebbero interessare gruppi organizzati di avversari politici.
Qualcuno, infatti, ha detto che negli ultimi tempi in cui lavorava per il Fronte
il Calzolari aveva ricevuto delle minacce: per esempio, era stato visto rispondere
al telefono ed impallidire".
Tuttavia Il Tempo non lancia accuse contro la sinistra:
"gli avversari politici" di cui parla potrebbero benissimo essere identificati
nella tormentata geografia delle organizzazioni di estrema destra che sono proliferate
in Italia negli ultimi anni. Molto diverso, dodici giorni dopo, l'atteggiamento
dell'organo ufficiale del MSI, Il Secolo d'Italia. Il giornalista Sergio
Tè insiste sull'ipotesi del delitto politico e parla esplicitamente di estrema
sinistra. Ma è molto vago quando si tratta di definire l'attività della vittima:
tra i molti a "pare" il Fronte Nazionale è scomparso, si parla solo di un indefinito
"gruppo politico". L'articolo di Sergio Tè, ex militante del gruppo fascista
Avanguardia Nazionale, si chiede inoltre se la inchiesta senza risultati dipenda
solo da una eccessiva lentezza nelle operazioni di ricerca "oppure da una troppo
efficiente organizzazione interessata a " far sparire" certe persone dopo essersene
servita per sottrarre loro importanti informazioni". Ma di quali informazioni
poteva essere in possesso Armando Calzolari, tanto importanti da costargli la
vita?
Che di delitto si tratti, è difficile dubitare. Il pozzo
della Bravetta è nascosto agli sguardi da una scarpata sopraelevata e da un
canneto, in mezzo a un ampio terreno recintato. reso fangoso dalle piogge: un
posto tutt'altro che ideale per una passeggiata col cane, in una mattina di
dicembre. D'altra parte è molto difficile cadervi dentro, per un uomo e tanto
più per un cane da caccia. La buca, del diametro di circa m. 1.50, è ben visibile
e protetta da una spalletta di mattoni alta 40 centimetri. Il punto più profondo
misura un metro e 76 centimetri, cioè poco più della statura di Calzolari, e
!'acqua stagnante non supera gli 80 centimetri. Inoltre le pareti offrono molti
appigli. Improbabile morire d'inedia lì dentro, come afferma chi ha assistito
all'autopsia, specie per un uomo come Armando Calzolari, un atleta robusto,
campione di lotta giapponese ed esperto nuotatore subacqueo.
Tre giorni dopo la sua scomparsa, il 28 dicembre, mentre
i cani poliziotto seguono inutili piste, la "500" bianca di Armando Calzolari
viene improvvisamente ritrovata in un parcheggio a 200 metri dalla sua abitazione.
La moglie e i vicini escludono di averla notata prima. Il giorno successivo
la donna, Maria Piera Romano, riceve la visita di alcuni "amici del partito".
Dice loro che vuole dichiarare a qualche settimanale di conoscere i rapitori
e le loro intenzioni, ""per impaurirli e impedire che facciano del male a Armando".
Gli amici, dei quali la donna non vuole fare i nomi, la sconsigliano dicendo
che la sua iniziativa "potrebbe avere l'effetto contrario". Il 4 gennaio la
signora Calzolari riceve un'altra visita: questa volta è il capitano dei carabinieri
Castino il quale, nel corso di un lungo colloquio, cerca di convincerla a scartare
l'ipotesi del delitto politico adombrata dal Tempo e la consiglia di aver fiducia
nel ritorno del marito.
L'unica persona, a parte carabinieri e camerati, che sino
a oggi è riuscita ad avvicinare Maria Piera Romano, racconta così l'incontro:
"La stanza di questo appartamento al quarto piano di via
Baglioni, al Quartiere Gianicolense, è modesta e impersonale: una piccola libreria,
una scrivania, una poltrona, un paio di tavolinetti e poche altre cose. Mi colpisce
una serie di volumi con legature nuovissime delle quali non riesco a decifrare
i titoli in carattere dorati, poi mi accorgo che i volumi sono tutti capovolti.
Altra cosa che mi sembra strana, una serie di frasi di Kipling chiuse fra parentesi
e tradotte in italiano su un foglio dattiloscritto. La signora mi dice che conobbe
Calzolari dieci anni fa e che si sposarono quando lui era ancora commissario
di bordo, la qual cosa contrasta con quanto afferma il portiere che sostiene
che non sono legalmente marito e moglie. E' agli ultimi due anni di navigazione
che risalgono tutte le "importanti amicizie" contratte dal Calzolari. Si sono
trasferiti a Roma da Genova solo due anni fa e adesso l'attività principale
del Calzolari consisterebbe in un lavoro di pubbliche relazioni presso una ditta
che costruisce strade e ponti, della quale però la signora non vuole fare il
nome. Questo lavoro lo interessava moltissimo perché lo portava a fare quella
vita mondana che aveva sempre amato. La sua grande passione era la gente importante,
con la quale amava stringere amicizia che poi coltivava anche a distanza di
anni e di continenti. Amava tutti gli sport praticandone parecchi, in particolare
la lotta giapponese nella quale era abilissimo. Il suo lavoro consisteva quasi
essenzialmente nel coltivare e aumentare le relazioni e i contatti della "ditta"
anche a livello ministeriale. Quasi tutte le occasioni per questi incontri erano
offerte da pranzi sapientemente organizzati, quasi sempre in un ristorante assai
noto (Ville Radieuse, via Aurelia 641). Intervenivano principalmente industriali,
uomini politici e prelati. La signora ricorda di una volta in cui, lei presente,
c'erano il carrozziere Zagato e il cardinale Tisserant.(1)
"Certo mio marito era un nazionalista", dice la signora Calzolari
che preferisce usare questa parola per dire che C. era per un governo forte
e che ammirava i colonnelli greci nonchè gli israeliani. Naturalmente non gli
piacevano gli arabi e tantomeno i negri, esseri incapaci e inferiori. La grande
ammirazione per Mussolini lo portava spesso a violente discussioni in luoghi
pubblici, anche dal giornalaio se capitava. C. partecipava anche alle manifestazioni
ma pare che non abbia mai picchiato nessuno; anzi una volta disse che stava
per scattare contro la polizia ma pensando alle sue qualità di lottatore si
era frenato in tempo. Non aveva mai fatto vita di sezione e non aveva la tessera
del partito (il MSI). In quanto a lavoro politico, la signora non esclude che
ne abbia svolto ma dice di non saperne nulla. Oltre ai rapporti con prelati
del Vaticano, C. frequentava assiduamente la confraternita di San Battista dei
Genovesi in via Anicia in Trastevere e la messa della domenica era solito ascoltarla
in Sant'Andrea della Valle.
In merito alla scomparsa del C., l'opinione della signora
è molto vaga. Non esclude che suo marito, quella mattina, sia stato avvicinato
da persone che potrebbero averlo convinto con ricatti o promesse a seguirlo
per partecipare a un lavoro connesso con qualcuna delle tante conoscenze che
C. aveva all'estero e che potrebbe anche essere legato a fatti politici: un
lavoro forse per il quale lui era stato individuato come l'uomo adatto.(2)
E' escluso che sia stato portato via con la forza date le sue qualità atletiche
e data anche la presenza del cane. Mi dice che in questi giorni cerca di controllarsi
molto allo scopo di non cadere nella disperazione. E nel silenzio pensa di trovare
la verità. A volte crede di esserci vicina: ci sono tre nomi, dice, sui quali
mi sono fermata e uno in particolare. Si tratta di un industriale che non è
a Roma, di cui non fa il nome, il quale avrebbe mandato a suo marito un regalo
il cui valore sembra del tutto sproporzionato. trattandosi di una comune conoscenza
limitata allo scambio di biglietti da visita. Le chiedo perché non sia andata
a trovare questa persona e mi offro anche di farlo io per lei, se crede Ma non
sembra propensa, dice che ci penserà e in caso mi telefonerà".
Dopo questo incontro. avvenuto verso la metà di gennaio,
nessuno riesce più a entrare in contatto con la moglie di Calzolari. E alla
fine di quel mese, trovato il cadavere nel pozzo della Bravetta e emessa la
versione ufficiale di morte accidentale, la donna si dice soddisfatta di queste
conclusioni dell'inchiesta e parte per Torino. Passano due mesi e di nuovo avvicinata,
questa volta telefonicamente, dalla stessa persona, la vedova di Calzolari le
confida di essere preoccupata perché la magistratura non ha ancora archiviato
la pratica. il che "la danneggia economicamente". Fatto inspiegabile, visto
che Armando Calzolari non risulta assicurato: a meno di pensare che qualcuno
abbia promesso alla vedova di aiutarla economicamente, nel suo silenzioso dolore,
solo quando, e a condizione che il caso fosse stato definitivamente archiviato.
Venerdì 12 dicembre
Le bombe scoppiano venerdì 12 dicembre
tra le ore 16,37 e le 17,24 a Milano e a Roma. La strage è a Milano, alla Banca
Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana affollata come tutti i venerdì,
giorno di mercato. L'attentatore ha deposto la borsa di similpelle nera
che contiene la cassetta metallica dell'esplosivo sotto il tavolo al centro
dell'atrio dove si svolgono le contrattazioni. I morti sono dieci, molti dei
novanta feriti hanno gli arti amputati dalle schegge. L'esplosione ferma gli
orologi di piazza Fontana sulle 16.37: poco dopo in un'altra banca distante
poche centinaia di metri. in piazza della Scala, un impiegato trova una
borsa nera e la consegna alla direzione. E' la seconda bomba milanese,
quella della Banca Commerciale Italiana. Non è esplosa forse perché il
"timer" del congegno d'innesco non ha funzionato. Ma viene fatta esplodere in
tutta fretta alle 21,30 di quella stessa sera dagli artificieri della polizia
che l'hanno prima sotterrata nel cortile interno della banca.
E' una decisione inspiegabile: distruggendo questa bomba così precipitosamente
si sono distrutti preziosissimi indizi, forse addirittura la firma degli attentatori.(3)
In mano alla polizia rimangono solo la borsa di similpelle nera uguale a quella
di piazza Fontana, il "timer" di fabbricazione tedesca Diehl Junghans, e la
certezza che la cassetta metallica contenente l'esplosivo è anch'essa simile
a quella usata per la prima bomba. Il perito balistico Teonesto Cerri è sicuro
che ci si trova davanti all'operazione di un dinamitardo esperto.
Le bombe di Roma sono tre. La prima esplode alle 16,45 in
un corridoio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e
via San Basilio. Tredici feriti tra gli impiegati, uno gravemente. Ma anche
questa poteva essere una strage. Alle 17,16 scoppia un ordigno sulla seconda
terrazza dell'Altare della Patria, dalla parte di via dei Fori Imperiali. Otto
minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda terrazza ma dalla parte
della scalinata dell'Ara Coeli. Frammenti di cornicione, cadendo, feriscono
due passanti. Ma questi due ultimi ordigni sono molto più rudimentali e meno
potenti degli altri.
La reazione del Paese è di sdegno per gli attentati, di dolore
per le vittime. Ma non si assiste a nessun fenomeno di isteria collettiva. La
strage non ha sbocco politico immediato a livello di massa, e soprattutto non
contro la sinistra, anche se immediatamente dopo la bomba di piazza Fontana
le indagini e le relative dichiarazioni ufficiali puntano solo in questa direzione
nella ricerca dei colpevoli.(4)
Italia 1969, un attentato ogni tre giorni
Le bombe del 12 dicembre
sconvolgono e sorprendono, soprattutto per la loro ferocia, ma sarebbe inesatto
dire che giungono inattese. Rappresentano il momento culminante di una escalation
di fatti noti e ignoti che avvengono durante l'intero 1969 e che fanno parte
di un preciso disegno politico. Alcuni di essi riconsiderati oggi nella loro
sinistra successione acquistano un significato molto chiaro.
Le bombe del 12 dicembre scoppiano in un Paese dove, a partire
dal 3 gennaio 1969, ci sono stati 145 attentati: dodici al mese, uno ogni tre
giorni, e la stima forse è per difetto
Novantasei di questi attentati sono di riconosciuta marca
fascista, o per il loro obiettivo (sezioni del PCI e del PSIUP, monumenti partigiani,
gruppi extraparlamentari di sinistra, movimento studentesco, sinagoghe. ecc.)
o perché gli autori sono stati identificati. Gli altri sono di origine ufficialmente
incerta (come la serie degli attentati ai treni dell'8-9 agosto), oppure vengono
addebitati a gruppi della sinistra estrema o agli anarchici (come le bombe del
25 aprile alla Fiera campionaria e alla stazione centrale di Milano). In realtà
ci vuole poco a scoprire che la lunga mano che li promuove è sempre la stessa,
e cioè una mano che pone diligentemente in atto i presupposti necessari alla
"strategia della tensione" che sta maturando a più alto livello politico.
Si tirano le somme della "strategia della tensione"
Cosa significhi
in concreto questa "strategia della tensione" lo dice questo secondo elenco
di fatti. anch'essi noti, che accadono in Italia nei quaranta giorni che precedono
la strage del 12 dicembre. Ai primi di novembre la F.N.C.R.S.I., Federazione
Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana - fascista "di
sinistra" - distribuisce a Roma un volantino in cui si invitano i paracadutisti
e gli ex-combattenti a "non farsi strumentalizzare per un colpo di stato
reazionario".
Il 10 novembre, in un discorso a Roma, il presidente del
partito socialdemocratico Mario Tanassi rilancia con forza un tema molto caro
al PSU: "O il centrosinistra pulito o lo scioglimento delle Camere", con conseguenti
elezioni anticipate. Cinque giorni dopo a Monza il colonnello comandante del
distretto militare afferma pubblicamente, alla presenza del procuratore della
Repubblica: "Stante l'attuale situazione di disordine nelle fabbriche e nelle
scuole, l'esercito ha il compito di difendere le frontiere interne del
Paese: l'esercito è l'unico baluardo ormai contro il disordine e l'anarchia".
Nel corso dello sciopero generale nazionale per la
casa del 19 novembre, la polizia attacca i lavoratori in via Larga a Milano
e un agente, Antonio Annarumma rimane ucciso in uno scontro tra due automezzi
della stessa polizia.(5) Si diffonde la versione dell'assassinio, e non
solo da parte di uomini politici e giornali di destra. Lo stesso presidente
della Repubblica, in un telegramma trasmesso ripetutamente alla radio
e alla televisione per tutta la giornata del 19 e del 20 novembre, oltre ad
anticipare una sentenza di "barbaro assassinio", afferma: "Questo odioso crimine
deve ammonire tutti ad isolare. e mettere in condizione di non nuocere,
i delinquenti, il cui scopo è la distruzione della vita. e deve risvegliare
non soltanto negli atti dello Stato e del governo, ma soprattutto nella coscienza
dei cittadini, la solidarietà per coloro che difendono la legge e le comuni
libertà".
Il giudizio di Saragat piace molto al segretario nazionale
del MSI, Giorgio Almirante, il quale gli fa eco sul Secolo d'ltalia: "L'assassinio
dell'agente di P.S. a Milano ci indurrebbe a chiamare in causa il Signor Presidente
della Repubblica se egli, nel suo telegramma, non avesse duramente qualificati
"assassini" i responsabili. Ora occorre individuare e colpire i mandanti"
Ma chi sono i responsabili, gli "assassini", i "delinquenti"?
Secondo la CISL "L'intervento della polizia non legittimato da fatti obiettivi
non favorisce l'ordinato svolgersi delle manifestazioni e come, per altro, l'insistenza
provocatoria di gruppi estremisti - la cui provenienza diviene sempre
più dubbia - provoca effetti negativi nell'azione dei lavoratori". Contro
i gruppi estremisti si scagliano anche Gian Carlo Pajetta, che li definisce
"massimalisti impotenti", e l'Unità che commenta così gli incidenti di
Milano nel suo articolo di fondo: "Mai come in questi giorni è apparso chiaro
che l'avventurismo facilone, il velleitarismo pseudo-rivoluzionario. La sostituzione
della frase rivoluzionaria allo sforzo paziente, sono sterili e si trasformano
in un'occasione offerta alle manovre e alle provocazioni delle forze di destra".
In questo crescendo di clima da caccia alle streghe si inserisce
il giornale ufficiale del PSU che però approfitta dell'occasione per allungare
il tiro: "L'assassinio di Annarumma chiama in causa la responsabilità diretta
dei comunisti e dei loro complici nel PSIUP, nel PSI, nella DC e nei sindacati".
La notte dopo la morte di Annarumma, in due caserme di Pubblica
Sicurezza a Milano scoppia una rivolta che, alimentata ad arte, vedrebbe gli
uomini dei battaglioni mobili scatenati per la città a fare piazza pulita degli
"estremisti delinquenti"(6). Il giorno dei funerali dell'agente il centro
di Milano è teatro di gravi disordini provocati dai fascisti che partecipano
al corteo funebre coi labari della Repubblica Sociale Italiana. I fascisti non
sono i soli a seguire il feretro e a dar vita a episodi di isteria collettiva:
sotto i portici di corso Vittorio Emanuele quel giorno è presente anche la
borghesia milanese che si commuove e poi chiede "il sangue dei rossi": signori
distinti, bottegai arricchiti, pensionati nostalgici, donne impellicciate partecipano
e fomentano i tentativi di linciaggio dei malcapitati che sembrano sospetti,
che hanno "la faccia da comunista".
Il repubblicano La Malfa e il socialdemocratico Tanassi lanciano
un duro attacco contro i sindacati che stanno vivendo, sotto la spinta operaia,
i giorni più caldi delle battaglie contrattuali, con quasi cinque milioni di
lavoratori mobilitati. Nello stesso giorno, 21 novembre, un comunicato della
Confindustria: "... il potere operaio tende a sostituirsi al Parlamento
ed a stabilire un rapporto diretto con il potere esecutivo. Ciò crea un sovvertimento
in tutto il sistema politico". Sul settimanale Oggi il deputato della
destra democristiana Guido Gonella lancia un appello alla "reazione del borghese
timido contro i picchetti degli scioperanti". Da Londra il settimanale The
Economist rivela l'esistenza di un documento "segreto solo a metà" in cui
un gruppo di giovani industriali italiani proclama la necessità di un "governo
forte". Pietro Nenni, in una intervista al Corriere della Sera, traccia
un paragone tra la situazione attuale e quella del 1922. Intanto è stato dato
il via alla serie di arresti e condanne per reati di opinione: il primo a finire
in carcere è Francesco Tolin, direttore di Potere Operaio.
Ai primi di dicembre, a rendere più precario l'equilibrio parlamentare,
e come prima avvisaglia della dura campagna che sarà scatenata tra poco, compare
sull'Osservatore Romano, organo del Vaticano, un attacco contro il voto
favorevole espresso dalla Camera sul divorzio. In un paese della Lombardia,
il sindaco-industriale spara contro il picchetto dei suoi operai in sciopero.
Il 7 dicembre i settimanali inglesi The Guardian e The
Observer pubblicano il testo del dossier inviato dal capo dell'ufficio diplomatico
del ministero degli Esteri di Atene all'ambasciatore greco a Roma. Contiene
allegato il rapporto segreto sulle possibilità di un colpo di stato di destra
in Italia, inviato dagli agenti dei servizi di spionaggio dei colonnelli. "Un
gruppo di elementi di estrema destra e di ufficiali", scrive The Observer,
"sta tramando in Italia un colpo di stato militare, con l'incoraggiamento
e l'appoggio del governo greco e del suo primo ministro, l'ex colonnello Giorgio
Papadopulos" (Vedi testo integrale del dossier greco)
I profeti del 12 dicembre
Mancano pochi giorni allo scoppio
delle bombe. Sabato 6 dicembre Mauro Ferri, segretario del PSU, rilascia al
settimanale Gente questa dichiarazione: "O il quadripartito o le elezioni
anticipate". La decisione di scioglimento delle Camere spetta al Capo dello
Stato che ne ha il potere previsto dalla Costituzione... e sono convinto che
tutti gli italiani possono essere certi che nelle mani del presidente Saragat
il potere è ben affidato". Domenica 7 dicembre, in un discorso a Alessandria,
Ferri ribadisce il leitmotiv socialdemocratico: "Quadripartito o elezioni anticipate"
e fa un nuovo, esplicito richiamo al presidente Saragat. Due giorni dopo, in
un'intervista a La Stampa di Torino, Ferri afferma che "non è aberrante"
l'ipotesi di una collaborazione tra democristiani, socialdemocratici e liberali,
nel caso si presenti la "drammatica necessità" di garantire la libertà come
dopo la crisi del luglio '60".
Mercoledì 10 dicembre il settimanale tedesco Der Spiegel
pubblica una dichiarazione del segretario del MSI, Almirante: organizzazioni
giovanili fasciste si preparano alla guerra civile in Italia; nella lotta contro
il comunismo tutti i mezzi sono giustificabili, per cui non ci deve essere più
distinzione tra misure politiche e misure militari. Di fianco a Almirante, il
dirigente confindustriale Ferruccio Gambarotti specifica ancora meglio: "Il
sistema parlamentare non è fatto per gli italiani. Occorre una organizzazione
sovrapartitica, una coalizione dai monarchici sino ai socialdemocratici con
una fede mitica nell'ordine".
Giovedì 11 dicembre: lo stesso "fiuto" dimostrato da Mauro
Ferri (che ha parlato di "drammatica necessità di garantire la libertà" tre
giorni prima delle bombe) lo dimostra anche il settimanale Epoca. Mancano
ventiquattro ore alla strage di piazza Fontana e il giornale appare nelle edicole
con una vistosa copertina tricolore. l'articolo è di Pietro Zullino e conclude
così: "...se la confusione diventasse drammatica, e se - nell'ipotesi di nuove
elezioni - la sinistra non accettasse il risultato delle urne, le Forze Armate
potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana.
Questo non sarebbe un colpo di Stato ma un atto di volontà politica a tutela
della libertà e della democrazia... Tuttavia il ristabilimento manu militari
della legalità repubblicana, possibile nel giro di mezza giornata, potrebbe
non essere sufficiente. La situazione generale è terribilmente intricata...
Come si può garantire un minimo di stabilità al potere economico?... Questa
Repubblica, così com'è, funziona ancora? La confusione che stiamo vivendo non
sarà dovuta al fatto che le sue istituzioni sono ormai insufficienti e superate?
Perché i costituenti crearono l'articolo 138. che prevede la possibilità di
riformare la carta fondamentale della Repubblica? Chi ci impedisce di utilizzare
l'articolo 138 per sorreggere i difetti ormai evidenti delle nostre istituzioni?
Perché non possiamo imparare qualcosa dalle grandi democrazie dell'Occidente?
Perché non ci poniamo seriamente il problema della Repubblica Presidenziale,
l'unica capace di dare forza e stabilità al potere esecutivo? Vi sono giorni
in cui la storia impone riflessioni di questo tipo. Forse questi giorni sono
venuti. Questi giorni, forse, noi li stiamo già vivendo".(7)
Riunioni segrete
Riletti oggi,
questi fatti noti fanno pensare che la data tragica del 12 dicembre ha avuto
molti profeti, consapevoli e no. E poi ci sono alcuni fatti ignoti che diciamo
adesso, per quello che possono significare. Questi:
Roma, 15 novembre: in un appartamento nei pressi di piazza
Tuscolo si svolge una riunione alla quale partecipano Michele Caforio (generale
di divisione, paracadutista), il "comandante" Bianchini (ex Decima Mas e uomo
di fiducia di Junio Valerio Borghese nel Fronte Nazionale), un tale Buffa detto
il Lupo di Monteverde (membro dell'associazione paramilitare Europa Civiltà),
un gruppo di paracadutisti tra i quali alcuni ex repubblicani della Nembo, ed
altri militanti di gruppi di estrema destra, dei quali un paio provengono dalla
vecchia Avanguardia Nazionale. Presente anche Armando Calzolari come membro
del Fronte Nazionale. Il tema da discutere è la situazione politica italiana
alla vigilia dello sciopero generale del 19 per la casa. Tutti sono sostanzialmente
d'accordo sulla necessità di opporsi al "caos dilagante" ma non sulla scelta
dei mezzi da usare. Si crea una frattura tra "duri" e "moderati" e questi ultimi,
tra i quali c'è Armando Calzolari abbandonano la riunione dopo un violento alterco.
Roma, 6 dicembre: i "duri" si riuniscono nella sede della Associazione Nazionale
Paracadutisti in viale delle Milizie 5. Vi partecipa, sembra, anche Junio Valerio
Borghese.
Milano, 11 dicembre, sera : riunione di ufficiali dei servizi
segreti; riunione di alti ufficiali dell'esercito, "in previsione di qualcosa
di grosso che sarebbe successo l'indomani".
Roma, 12 dicembre, primo mattino: attorno alla capitale viene
segnalato un movimento di truppe e carri armati. Roma, 12 dicembre, tardo pomeriggio:
alla notizia dei gravi attentati di Milano e di Roma, il presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat convoca il ministro degli interni Restivo, il generale Forlenza
comandante dei Carabinieri e altri. Si discute sull'opportunità di proclamare
lo stato di emergenza. Si oppongono quasi tutti i presenti. Interviene, al fine
di dissuadere, il ministro del lavoro Donat Cattin. Nello stesso senso si pronuncia
l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma.
Roma, 15 dicembre: il tenente G.A., appartenente al Fronte
Nazionale, riceve alcune confidenze da Armando Calzolari, del quale è molto
amico, circa alcune minacce che l'uomo avrebbe ricevuto negli ultimi giorni.
Roma, 20 dicembre: nell'appartamento di un funzionario di
banca, il signor D., in via degli Appennini, ha luogo una riunione alla quale
partecipano Junio Valerio Borghese, il comandante Bianchini, tre deputati del
MSI, due greci e alcuni ufficiali, dei quali due dei carabinieri e uno di pubblica
sicurezza. L'argomento in discussione non è noto.
Arrnando Calzolari scompare cinque giorni dopo, la mattina
di Natale.
La confessione di Evelino Loi
Il cadavere
di Armando Calzolari viene ritrovato oltre un mese dopo la sua scomparsa, il
28 gennaio. Verso la metà dello stesso mese un uomo si era presentato nella
redazione di un settimanale romano e aveva rilasciato una lunga dichiarazione,
registrata su nastro magnetico alla presenza di alcuni testimoni. Il suo racconto
finiva con questa frase: "Ho deciso di parlare con voi perché mi sono accorto
di avere sbagliato a frequentare gli ambienti di destra e poi perché ho paura.
Non vorrei fare la stessa fine di Calzolari".
L'uomo si chiama Evelino Loi, è un sardo disoccupato e ha
25 anni. Al suo arrivo a Roma era stato protagonista di una clamorosa protesta:
salito sul Colosseo aveva minacciato di gettarsi nel vuoto se non gli veniva
dato un lavoro. Lo assumono in Vaticano, come uomo delle pulizie in casa di
un monsignore. Dopo qualche giorno Loi si licenzia e comincia a frequentare
i portici della stazione Termini in compagnia di un gruppo di sottoproletari
meridionali e sardi. Vive di espedienti. Quando nell'inverno del 1968 il movimento
studentesco occupa la facoltà di Magistero in piazza Esedra, di fronte a Termini,
Evelino Loi, che proviene da una famiglia di comunisti, chiede di partecipare
alle lotte degli studenti e viene accolto. La facoltà occupata gli serve anche
come asilo notturno. Nel giro di pochi giorni organizza una squadra coi suoi
amici meridionali che aiutano gli studenti a respingere gli attacchi dei fascisti.
Il 3 febbraio 1969, durante la visita del Presidente Nixon
a Roma, i fascisti danno l'assalto alla facoltà con razzi e bombe incendiarie.
Un anarchico, Domenico Congedo, precipita dal quarto piano e muore. La polizia,
che ha assistito all'attacco senza intervenire, coglie il pretesto per sgomberare
l'edificio. Gli studenti continuano l'occupazione alla città universitaria,
dove si trasferisce anche Evelino Loi col suo gruppo. Dopo qualche giorno 3.000
poliziotti e carabinieri irrompono all'alba: nelle aule sono presenti solo sette
ragazzi, che vengono malmenati e arrestati Tra essi c'è un operaio meridionale
del gruppo di Loi. Il movimento studentesco organizza una colletta e Loi è uno
degli incaricati: raccoglie circa 400.000 lire. Quando i sette escono dal carcere
si scopre che quei soldi non gli sono mai stati consegnati. Evelino Loi confessa
il furto e viene immediatamente allontanato. Poco dopo, il quotidiano di destra
La Luna pubblica una sua intervista nella quale egli accusa il movimento
studentesco di "teppismo" e di "fregarsene degli operai". In cambio di quelle
dichiarazioni ha ricevuto 100.000 lire.
Da quel momento Evelino Loi diventa uno dei tanti mazzieri
dei fascisti, partecipa in prima fila alle loro manifestazioni vestito della
divisa di Volontario del MSI. Nell'autunno 1969 tenta di riavvicinarsi agli
ambienti di sinistra offrendo informazioni sui fascisti ma è guardato da tutti
con sospetto: a parte i suoi precedenti, sono molti i compagni che, fermati
nel corso di qualche manifestazione, se lo sono ritrovato nella stessa camera
di sicurezza della questura a fare domande, chiedere nomi, episodi. Inoltre,
nonostante gli sia stato consegnato più volte il foglio di via obbligatorio.
ha sempre contravvenuto alla diffida riuscendo a rimanere a Roma.
E' questo tipo d'uomo che, un giorno di metà gennaio 1970,
si presenta nella redazione di un settimana!e della capitale per rilasciare
una lunga confessione. Per prudenza, non è mai stata pubblicata. Tuttavia, credibile
o no, oggi è doveroso renderla nota.
"Alcuni giorni prima dello sciopero generale del 19 novembre
fui avvicinato dal comandante Bianchini e dal vicecomandante Santino Viaggio,
ex appartenenti alla decima Mas e attuali collaboratori di Valerio Borghese
nell'organizzazione di estrema destra Fronte Nazionale.(8) Mi accennarono
all'eventualità di compiere azioni terroristiche simultanee a Roma e Milano
e mi chiesero se, dietro pagamento, fossi disposto a parteciparvi. Compresi
che doveva trattarsi di qualcosa di grosso e rifiutai. I due non insistettero
e passarono circa dieci giorni finchè, subito dopo la manifestazione dei metalmeccanici
a Roma, il 29 o 30 novembre, si misero di nuovo in contatto con me su questo
argomento. Mi riproposero di partecipare ad azioni terroristiche molto importanti
e alla mia richiesta di maggiori chiarimenti dissero che "poteva scapparci anche
il morto". Mi promisero però molti soldi. Io mi spaventai e rifiutai ancora.
"Dopo un paio di giorni mi presentai in Questura, a San Vitale,
e chiesi di parlare con il capo dell'ufficio politico, dott. Provenza. Mi rilasciarono
un regolare "passi" e fui ricevuto dal dott. Improta a cui raccontai tutto.
Mi sembrò molto scettico e mi disse di ripassare il giorno 5. Il 5 dicembre
tornai in Questura, mi feci rilasciare il a "passi" e fui ricevuto dal dottor
Improta e dal dott. Provenza. Mi chiesero se sapessi dove tenevano l'esplosivo
e alla mia risposta negativa minimizzarono la cosa e mi congedarono. Ritornai
spontaneamente una terza volta, 9 dicembre, mi feci rilasciare il "passi"(9)
ed andai dal dottor Provenza. Il suo atteggiamento era sempre scettico. Il giorno
12 dicembre ci furono gli attentati di Roma e Milano.
"Il giorno successivo, sabato 13, seppi da alcuni iscritti
alla Giovane Italia che il dottor Improta mi aveva fatto cercare nella sede
di via Firenze che io frequentavo abitualmente. Telefonai al dottor Improta
il quale mi disse di passare direttamente da lui senza farmi rilasciare il "passi",
entrando dall'ingresso secondario di via Genova. In Questura c'era una grande
confusione, mi fecero attendere un po' in una stanza da solo e poi fui ricevuto
da Improta. Improta mi chiese di rifargli il racconto delle proposte che avevo
ricevuto in merito alle bombe. Poi mi congedò raccomandandomi di non parlarne
con nessuno. In particolare mi disse: "E' meglio per te. Non passi guai . Poi
mi fece uscire, in fretta, dalla stessa uscita secondaria. Da allora non mi
hanno più cercato."
"Il vicecomandante Santino Viaggio lo avevo conosciuto ad
un comizio di ex combattenti tenutosi al cinema Quirinale. In quella occasione
mi condusse con sé nella sede del Fronte Nazionale e volle che gli raccontassi
dei particolari sulle mie precedenti esperienze politiche. La sede del Fronte
era in via XXI Aprile. Gli dissi che avevo fatto parte del movimento studentesco
di Magistero ma che poi. deluso dalle sinistre, ero entrato nella Giovane Italia.
Gli dissi anche che ero in grado di mobilitare un discreto numero di disoccupati
disposti ad azioni anche pericolose. In effetti io assolvevo il compito di reclutatore
per la Giovane Italia. In alcune occasioni reclutai tra i sardi e i calabresi
disoccupati che frequentano la Stazione Termini e vivono di espedienti, spesso
prostituendosi, alcuni elementi per azioni violente come quelle davanti alla
RAI-TV. Santino Viaggio mi promise dei soldi e infatti il giorno dello sciopero
generale del 19. Mi diede 50.000 lire perchè portassi della gente, cosa che
feci.(10) In più di una occasione accennò con me all'eventualità di affittare
un locale nei pressi della stazione e di farci dormire dentro questi ragazzi
disoccupati in modo da averli sempre a portata di mano per eventuali azioni.
Un giorno sentii Santino Viaggio e Bianchini parlare di fare un'azione al Parlamento
con dei gas per addormentare tutti i deputati. Mi pare che qualcuno mi disse
poi che l'azione non era stata fatta per l'opposizione di alcuni deputati del
MSI.
"Dopo lo sciopero generale del 19, Viaggio, nella sede del
MSI in via Quattro Fontane, ebbe un violento litigio con Almirante. Credo che
poi si siano riappacificati perchè al comizio tenuto al Palazzo dello Sport
da Almirante, una settimana dopo gli attentati, c'era anche Viaggio. Qualche
giorno dopo gli attentati telefonai a Viaggio chiedendogli notizie sull'attività
del Fronte Nazionale e lui mi disse che non ne faceva più parte perchè aveva
litigato con gli altri. Non mi risulta che Viaggio e Bianchini siano stati interrogati
dalla polizia dopo gli attentati. Personalmente non sono più stato nella sede
del Fronte Nazionale".
"Quando mi staccai dalla sinistra (.. ) ricominciai a frequentare i portici
della stazione ed un giorno fui avvicinato da un certo King, che io sapevo essere
un poliziotto abituale frequentatore di quella zona. Egli si congratulò con
me per l'intervista (rilasciata a La Luna, n.d.r.) e mi disse più o meno: "Bene!
Hai capito finalmente di che razza sono i comunisti! ". Mi propose quindi di
entrare nella Giovane Italia e la sera stessa mi portò nella sede centrale di
via Firenze 11 dove mi presentò ad un certo Franco De Marco, allora presidente
dell'associazione. Fui accolto molto bene e non mi facevano mancare i soldi;
si fidavano molto di me. Io procuravo dei ragazzi per le azioni e ricevevo,
a seconda dei casi, tra le cento e le 300.000 lire che poi distribuivo in parte
ai reclutati. Quelli della Giovane Italia parlavano molto ma mancavano di coraggio.
Le bottiglie molotov alla sede della RAI-TV le fecero tirare ai sardi portati
da me. Io partecipavo alle discussioni e all'organizzazione ma non agivo materialmente
perchè ero troppo conosciuto e inoltre avevo una diffida. Conobbi personalmente,
in quel periodo, l'onorevole Caradonna e Massimo Anderson, dirigente del MSI.
In varie occasioni vidi fra i frequentatori delle sedi missine dei greci, degli
spagnoli e dei portoghesi".
"Franco De Marco mi portò un giorno nella sezione del MSI del quartiere Trionfale.
Quando arrivammo il locale era pieno di attivisti. C'erano due greci, uno dei
quali (sui trent'anni) stava tenendo una conferenza sul colpo di Stato dei colonnelli.
Tra le altre cose disse che per arrivare al colpo di Stato occorreva fare continue
aggressioni e attentati contro le sinistre per provocarne le reazioni e suscitare
il caos. Ci fu un dibattito molto vivace durante il quale gli fecero molte domande.
Il greco sosteneva che i colonnelli erano troppo democratici e che lui avrebbe
preferito un regime più autoritario. Alla fine del dibattito si erano tutti
scaldati e alcuni tirarono fuori dei manganelli. Uno di loro disse: "Uscite
in piccoli gruppi. La direzione già la sapete". Franco DeMarco mi prese con
lui in macchina e si diresse alla sezione PCI del Trionfale che stava poco distante
da quella del MSI. Aspettammo li e dopo qualche minuto arrivarono gli altri
tutti in gruppo. Franco De Marco scese e diede il via all'azione (segue la descrizione
dell'assalto che, a una verifica, si è rivelata fedele: n.d.r.)".
"In varie occasioni ho conosciuto degli ufficiali di polizia,
dei carabinieri e dell'esercito che frequentavano le sedi del MSI. Nella sede
nazionale, in via Quattro Fontane, veniva spesso il maresciallo Scarlino, sottufficiale
della squadra politica, a portare informazioni. Il 28 novembre, giorno della
manifestazione dei metalmeccanici, ci disse che se gli operai si fossero mossi,
loro avrebbero fatto una carneficina perché avevano l'ordine di usare le armi.
Varie volte ho visto, nel corso di manifestazioni, dei carabinieri e dei poliziotti
in divisa che avevo già visto in borghese nelle nostre sedi. Ricordo il capitano
dei carabinieri Servolino, che in più occasioni ho visto parlare con alcuni
funzionari della sede di via Quattro Fontane. Credo che appartenga al comando
carabinieri di viale Mazzini. Tra i frequentatori del Fronte Nazionale conosco:
tenente colonnello dell'esercito Giordano; tenente colonnello Lilli; capitano
Nobili, comandante la compagnia carabinieri di piazza Venezia; generale Della
Chiesa".
"La lunga dichiarazione di Evelino Loi si presta a diverse
ipotesi e merita alcune considerazioni. Prima ipotesi: Loi è un mitomane, un
pazzo irresponsabile. In questo caso si capisce perché i dirigenti dell'ufficio
politico della questura romana non hanno tenuto in nessun conto le sue denunce.
Se è così passerà i suoi guai. Tuttavia non si è inventato tutto: alcuni episodi
da lui citati (il poliziotto King,(11) la meccanica dell'assalto fascista alla
sezione PCI del Trionfale, il ruolo svolto da Franco De Marco, il reclutamento
dei sardi e dei meridionali, ecc.) sono risultati autentici a una successiva
verifica.
Seconda ipotesi: Loi è un confidente della polizia e viene
da essa strumentalizzato per rilasciare certe dichiarazioni. onde sviare i sospetti
su falsi colpevoli. Ma questo significherebbe una precisa complicità della polizia
italiana negli attentati, o quanto meno una sua funzione di copertura. Resta
da spiegare però la convenienza di coinvolgere in questa provocazione poliziesca
i dirigenti dell'ufficio politico di Roma.
Terza ipotesi: Loi è un provocatore che, al soldo di chissà
chi ritenta un gioco già attuato in questi mesi. Si veda l'episodio dell'ex
legionario che rivela all'Espresso come la Legione Straniera addestra in Corsica
i giovani squadristi fascisti, salvo poi ritrattare tutto e coinvolgere il settimanale
in un processo diffamatorio.
Dalla seconda e dalla terza ipotesi discende questa conclusione
logica: ammesso che l'operazione tentata da Evelino Loi sia quella di far sorgere
precisi sospetti su polizia e fascisti, per poi smentire e quindi da un lato
scagionare automaticamente chi ha incolpato e dall'altro far perdere ogni attendibilità
presso l'opinione pubblica a quei giornali che seguono queste piste, che senso
avrebbe tutto ciò se chi muove Evelino Loi è davvero estraneo agli attentati?
A che scopo tentare queste provocazioni, col grosso rischio che comportano di
essere smascherate. se chi le organizza ha davvero mani pulite?
La dichiarazione di Evelino Loi.(12) rilasciata verso la
metà di gennaio, fu registrata su un nastro magnetico. Il nastro fu riposto
in una delle due casseforti del giornale. Circa due settimane dopo ignoti ladri
sono penetrati negli uffici e hanno asportato una cassaforte: il nastro però
era custodito nell'altra.
II CAPITOLO
Gli anarchici -- Colpevoli, subito - Perché proprio gli anarchici - Gli attentati del 25 aprile - Il circolo 22 Marzo - Mario Merlino fascista - Mario Merlino fascista e provocatore - Mario Merlino prima delle bombe - Mario Merlino delatore.
Premessa
Gli anarchici della FAI hanno distribuito Strage di Stato con un
allegato in cui formulavano un'interpretazione diversa del secondo paragrafo
di questo capitolo. È un esempio di correttezza: comprendendo la grande
importanza che gli elementi di questa inchiesta venissero a conoscenza di un
pubblico il più vasto possibile, l'hanno diffusa; avendo perplessità,
su un punto che li riguardava, le hanno indicate. È anche una lezione
nei confronti di chi, in disaccordo non coi fatti ma con le interpretazioni
politiche qui contenute, ha boicottato il libro e ha così collaborato,
non incoscientemente, alla congiura di silenzio che si voleva organizzare attorno
ai fatti di piazza Fontana; congiura, d'altra parte, miseramente fallita. "Ma
perché scelgono proprio gli anarchici?" era il titolo del secondo
paragrafo di questo capitolo. La risposta partiva dall'osservare che essi sono
"la parte più debole dello schieramento di sinistra... pressoché
privi di organizzazione... due caratteristiche che permettono ogni tentativo
di in filtrazione e di provocazione alloro interno...". Gli anarchici della
FAI non sono d'accordo: le osservazioni non hanno nulla a che vedere con il
nostro effettivo funzionamento, hanno detto. Gli editori non hanno difficoltà,
dal canto loro, ad ammettere che il capitolo non riguardava la FAI ma alcune
caratteristiche dell'anarchismo generico, che tra l'altro è sempre sfruttato
dagli organi di stampa per la denigrazione di molti movimenti composti da seri
militanti ed è usato da centrali di provocazione che strumentalizzano
il clima così creato. Il paragrafo, dunque, non voleva in alcun modo
offendere le idee dell'anarchismo e le organizzazioni che vi si richiamano,
soprattutto in un momento in cui molti aderenti a tali organizzazioni si trovano
tra le mani della "giustizia" borghese.
Ma veniamo a un punto cruciale del capitolo: gli attentati del 25 aprile. È
su questo punto che, nei mesi successivi alla pubblicazione della Strage
di Stato, sono avvenuti alcuni dei fatti più clamorosi.
Nel corso del processo è stata chiesta l'incriminazione della "supertestimone"
Rosemma Zublena, per falso, e quella del commissario Calabresi per subornazione
della stessa teste. E la Zublena ha ammesso che le sue affermazioni le erano
state "suggerite" dal Calabresi.
L'imputato Braschi ha rivelato che lo stesso commissario Calabresi, durante
un interrogatorio, aveva aperto la finestra dell'ufficio e l'aveva invitato
a buttarsi giù; ciò accadeva mesi prima della morte di Pinelli.
Nel corso del processo c'è stata anche la clamorosa deposizione del teste
inglese Leslie Finer, su cui ritorneremo più avanti. Ma devono essere
svolte alcune osservazioni: il pubblico ministero ha dovuto accettare l'evidenza,
la montatura poliziesca, facendo cadere le più gravi imputazioni; e tuttavia
gli anarchici sono stati condannati, a pene più severe di quelle richieste
nella requisitoria, anche se è stata loro concessa la libertà
in attesa del processo d'appello. È comunque caduta l'accusa di strage;
sono cadute le accuse riguardanti 16 dei 18 attentati, tra cui quelli alla Fiera
di Milano. Ma allora, questi attentati, chi li ha eseguiti? Quel che è
caduto, in realtà, è il senso unico impresso alle indagini dagli
inquirenti, dal commissario Calabresi e dall'ex carabiniere giudice Amati (lo
stesso che intervenne, per far interrompere le indagini della questura romana
che aveva individuato come autori degli attentati al Senato, alla Pubblica Istruzione
e al Palazzo di Giustizia tre noti fascisti).
Il secondo asse del presente capitolo riguardava Mario Merlino. È risultato,
e lo stesso Merlino lo ha ammesso, che egli era un informatore dei fascisti
specializzato in "gruppi di sinistra" È così smentita
la tesi dei magistrati Cudillo e Occorsio, secondo cui si trattava del principale
sobillatore, che agiva su un gruppo né anarchico né fascista ma
di ideologia incerta (questa la versione rabberciata, dopo le rivelazioni di
Strage di Stato). L'ammissione che si trattava di un uomo di fiducia
dei fascisti, al contrario, dà forza alla tesi degli autori: Merlino
era la pedina chiave per suggerire attentati e, poiché non riusciva a
farli compiere, per propagare informazioni tali da spostare importanti settori
di opinione pubblica, al momento giusto, contro la "dinamitarda" nuova
sinistra. Così Mario Merlino diventava un personaggio chiave nella costruzione
del capro espiatorio su misura, cioè per permettere l'accusa al circolo
XXII Marzo quando l'atteso attentato venisse compiuto per davvero e all'oscuro
dei membri del gruppo. Stando alle notizie di stampa, un ruolo analogo di stimolatore
prima e informatore poi giocava l'agente di PS "Andrea" (Salvatore
Ippolito).
Fino a che non fosse maturo, per essere incolpato di qualcosa di veramente clamoroso,
il XXII Marzo era dunque tollerato dalla questura (e dal SID, verosimilmente),
nonché "cresciuto" dai fascisti su indicazione degli agenti
di Atene.
Il secondo capitolo di Strage di Stato rappresenta così un momento
particolarmente acuto dell'inchiesta condotta contro la "non inchiesta"
ufficiale. Non sono qui le rivelazioni più clamorose ma è proprio
in queste pagine che si delinea il meccanismo articolato della strategia della
tensione; qui appare l'intreccio di connivenza e provocazioni, di strani silenzi
che appaiono meno strani se collocati in un disegno politico mirante a spezzare,
con le armi tradizionali dell'intrigo e della brutalità, quell'ascesa
della classe operaia e del movimento popolare in Italia che, anche al termine
dell'autunno caldo, continuava ad affollare di incubi i sonni dei padroni e
dei loro rappresentanti, parlamentari e no.
Colpevoli, subito
Invece, della strage del 12 dicembre vengono incolpati gli
anarchici. L'accusa è immediata e esplicita. I più zelanti a lanciarla sono,
a Milano un giudice istruttore del tribunale e un commissario politico della
questura: Antonio Amati e Luigi Calabresi.(13)
Da un articolo del Corriere della Sera: subito dopo l'esplosione
il giudice Amati telefona in questura per informarsi sull'accaduto. Gli rispondono
che, forse, è saltata la caldaia di una banca in piazza Fontana, che ci sono
alcuni morti e numerosi feriti: si avanza anche l'ipotesi di un attentato terroristico.
"Sono dell'idea che si tratti di un attentato", replica il magistrato, e consiglia
di iniziare subito le indagini negli ambienti anarchici".
Il commissario Calabresi non è meno chiaro. All'invito della
Stampa di Torino, la sera degli attentati dichiara che i responsabili vanno
cercati tra gli estremisti di sinistra e, per non lasciare nessun dubbio, emette
il suo verdetto: "E' opera degli anarchici".
Anche il questore di Milano Marcello Guida(14) fa la sua
parte. A un giornalista che quella sera stessa gli chiede se vi è una connessione
con gli attentati alla Fiera Campionaria e alla Stazione centrale del 25 aprile
dice di "non escluderlo".
A questa sicumera di alcuni personaggi della polizia e della
magistratura milanesi fa invece riscontro un atteggiamento molto più cauto del
potere centrale. Il ministro degli Interni Restivo si limita a dichiarare: "Abbiamo
iniziato indagini in tutti i settori..."
Perché proprio gli anarchici
Ma perché si scelgono proprio gli anarchici? Per diversi
motivi, alcuni dei quali possono essere così riassunti per il momento. Innanzitutto
gli anarchici rappresentano la parte più debole dello schieramento di sinistra,
perché priva di protezione, senza amici, di fatto isolata politicamente. Inoltre
sono pressoché privi di organizzazione, e seguaci di una teoria politica articolata
in varie tendenze, alcune delle quali sono spesso indefinibili o mal definite:
due caratteristiche che permettono ogni tentativo di infiltrazione e di provocazione
al loro interno. Esiste poi la possibilità di utilizzare la loro firma, i loro
simboli in tutta una serie di attentati i cui obiettivi (chiese, banche, caserme,
ecc.) non sarebbero attribuibili a nessun'altra forza di sinistra, sia parlamentare
che extraparlamentare. Da non sottovalutare il valore simbolico negativo che
essi incarnano agli occhi della maggioranza dell'opinione pubblica, la più sprovveduta,
facile preda di ogni tentativo di manipolazione "culturale": per l'italiano
medio, gli anarchici rappresentano le forze scatenate e disgregatrici dello
Stato, il rifiuto delle istituzioni e di ogni valore borghese. senza idee o
alternative precise; "fanno paura", una paura generica e indefinibile, che di
conseguenza impone il ricorso a forze che siano in grado di ristabilire l'ordine
e l'autorità minacciati dal nichilismo.
Infine gli anarchici, abilmente "pubblicizzati" da una massiccia
campagna di informazione tendente a esagerare e a mitizzare questo loro ruolo
negativo, consentono anche una escalation della repressione che si attui in
modo subdolo e strisciante, che coinvolga lentamente, usando i tempi lunghi,
le stesse forze della sinistra più solide e organizzate (sindacati e PCI), senza
provocare traumi né nell'opinione pubblica moderata né nelle forze politiche
costituzionali.(15)
Quanto succede in Italia in tutto l'anno 1969 è esemplificativo
di questa manovra. Ecco alcuni casi.
Tra aprile e maggio, a Palermo, vengono attuati numerosi
attentati: contro la chiesa Regina Pacis, le stazioni dei Carabinieri di Castellammare
e Pretoria, una caserma dell'esercito e il carcere dell'Ucciardone. La responsabilità
viene attribuita, con grande clamore di stampa, agli anarchici. E non conta
che poco più tardi il 15 maggio, siano rintracciati i veri colpevoli: sette
neofascisti della Giovane Italia i quali però, guarda caso, si erano dimessi
dall'organizzazione proprio alcuni giorni prima degli attentati.
Lo stesso avviene a Roma, nell'inverno 68-69, per i 12 attentati
ai distributori di benzina e nel dicembre '69 per quelli a una caserma dei C.C.
e per l'ordigno in una cassetta postale; a Reggio Calabria. in dicembre, per
gli attentati all'ufficio della SIP ad una chiesa ed alla Questura.
Fatti analoghi avvengono un po' dappertutto nelle città italiane.
Come a Legnano, dove due giovani fascisti compiono degli atti vandalici, come
firma una A cerchiata e la scritta "Viva Mao" a Reggio Emilia, dove un altro
fascista è autore di un attentato contro la Questura; a Terni, dove i muri di
alcune chiese vengono profanati con scritte blasfeme. E si tenta di attribuire
agli anarchici la responsabilità della catena di attentati dinamitardi compiuti
sui treni tra 1'8 e il 9 agosto, anche questi di chiara marca fascista come
verrà dimostrato poco dopo. (vedi IV capitolo - Chi è Bruno Giorgi)
Per capire la complessità della manovra che si andava preparando
sulle spalle degli anarchici. serve rileggere, fra i tanti, questo brano di
un articolo della Stampa di Torino che esce in quei giorni. Sotto il
titolo "Scomparsi gli anarchici per evitare gli interrogatori", il quotidiano
della Fiat scrive: "Fino a qualche tempo fa gli anarchici a Milano erano pochi,
privi di mezzi. per nulla organizzati. Ora qualcuno ha pensato di sfruttare
le loro utopie. Così gli anarchici sono stati corteggiati e finanziati dall'estrema
destra totalitaria e dall'estremismo di sinistra". Come si vede, il pogrom antianarchico
è già giustificato e programmato e nello stesso tempo si è aperto quel discorso
sugli opposti estremismi, di destra e di sinistra, che al momento buono potrà
servire alle forze moderate per invocare il ripristino dell'"ordine" turbato.
Gli attentati del 25 aprile
Ma il caso più clamoroso resta quello degli attentati del
25 aprile a Milano, i più gravi di questo mese che è il più "caldo" di tutti:
45 attentati sui 145 dell'anno l969.
Quel pomeriggio di festa, nel padiglione Fiat alla Fiera
campionaria e nell'ufficio cambi della Stazione centrale scoppiano due bombe
che provocano alcuni feriti (ma solo per una serie di fortunate coincidenze
il bilancio delle vittime è rimasto modesto: una strage poteva avvenire anche
stavolta).
Vengono subito fermati una quindicina di anarchici, indicati
come colpevoli da una isterica campagna di stampa condotta da tutti i giornali
dell'arco borghese, da quelli dichiaratamente di destra a quelli considerati
moderati. Altre indagini in direzioni diverse non vengono nemmeno tentate. Eppure
i fascisti a Milano non scherzano nel maneggiare l'esplosivo: nelle settimane
precedenti hanno lanciato bombe a mano e incendiarie contro tre sedi del PCI,
ordigni vari contro l'Unità, I'ANPI, un circolo di sinistra e una galleria d'arte,
hanno sparato contro una sezione comunista e, il 12 aprile, hanno gettato due
bottiglie Molotov contro l'ingresso dell'ex albergo Commercio, occupato e trasformato
in Casa dello studente e del lavoratore, colpendo due ragazzi che hanno rischiato
di morire bruciati vivi.
Degli anarchici arrestati, alcuni vengono rilasciati. Gli
altri - Paolo Braschi, Paolo Faccioli, l'architetto Giovanni Coordini e sua
moglie Elbane Vincileone - rimangono in galera. Si aspetta un mese per controllare
i loro alibi e interrogare i testimoni; cinque mesi prima di interrogare gli
stessi imputati. Il giudice istruttore è Antonio Amati, il funzionario di polizia
che più degli altri segue le indagini è Luigi Calabresi: gli stessi accusatori
del 12 dicembre. Non emergono né prove né indizi eppure si respingono tutte
le istanze presentate dagli avvocati dei coniugi Corradini con delle ordinanze
di rigetto abnormi proprio perché sprovviste della lista degli indizi a carico.
Il caso supera i confini nazionali, se ne occupano i giornali stranieri, il
tribunale per i Diritti dell'Uomo.
Ma gli anarchici rimangono in galera.(16) E ai loro compagni
che in quei mesi hanno dato vita a una serie di manifestazioni di piazza e di
scioperi della fame per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, si risponde
con la violenza, le cariche di polizia e le incriminazioni. Il 26 settembre
cinque cittadini denunciano il questore di Milano Marcello Guida, il vicequestore,
i commissari Calabresi e Pagnozzi e alcuni agenti per attentato ai diritti politici
dei cittadini, abuso di ufficio (Calabresi ha inseguito e malmenato un fotografo
durante una manifestazione), omissione in atti di ufficio, concorso in percosse
e lesioni. Il quotidiano di destra La Notte (17) apre tra i suoi numerosi
lettori una sottoscrizione a favore della polizia: soldi per i "tutori dell'ordine
che di questi tempi hanno tanto da fare e da rischiare e sono così mal pagati".
Le bombe del 25 aprile sono scoppiate tre giorni prima che alla Camera dei deputati
iniziasse il dibattito sul disarmo della polizia in funzione di ordine pubblico
una proposta che fa sorridere, con l'aria che tira. Ma se non sono gli anarchici,
chi sono gli attentatori del 25 aprile? Quando la stampa inglese pubblica il
famoso e già citato rapporto inviato dal ministero degli Esteri di Atene al
proprio ambasciatore a Roma, sulle possibilità di un colpo di stato di destra
in Italia, tra le altre cose vi si legge: "Le azioni la cui realizzazione era
prevista per epoca anteriore non hanno potuto essere realizzate prima del 20
aprile. La modifica dei nostri piani è stata necessaria per il fatto che un
contrattempo ha reso difficile l'accesso al padiglione Fiat. Le due azioni hanno
avuto un notevole effetto".
Il circolo 22 marzo
A poche ore dagli attentati del 12 dicembre non solo si
è stabilito con grande sicurezza che la loro matrice politica è anarchica ma
si sta già cercando l'ideatore, l'organizzatore e l'autore della strage di Milano:
Pietro Valpreda, 37 anni, di professione ballerino, disoccupato.(18) E' milanese
ma vive soprattutto a Roma dove frequenta, come anarchico, il circolo 22 marzo
in via del Governo Vecchio Viene riconosciuto dal supertestimone Cornelio Rolandi
come "l'uomo con la borsa nera" che egli dice di aver trasportato, pochi minuti
dopo le quattro di quel pomeriggio di sangue, vicino alla banca di piazza Fontana.
Con Pietro Valpreda sono coinvolti, sotto l'imputazione di
associazione a delinquere e concorso in strage,(19) altri cinque ragazzi del
circolo 22 Marzo: Roberto Mander, 17 anni, studente di secondo liceo, figlio
di un direttore d'orchestra; Emilio Borghese, 18 anni, figlio di un alto magistrato;
Roberto Gargamelli, 19 anni, figlio di un cassiere della Banca Nazionale del
Lavoro dove è scoppiata una delle bombe; Emilio Bagnoli, 24 anni, studente d'architettura.
Il sesto imputato è Mario Merlino, classe 1944, laureato in filosofia, figlio
di una famiglia della media borghesia romana; il padre, avvocato, è impiegato
all'organizzazione cattolica Propaganda Fide.
Passata la confusione frenetica dei primi giorni d'inchiesta,
quando si comincia ad andare a guardare con calma la biografia politica degli
imputati, la presenza fra essi di Mario Merlino fa tirare un sospiro di sollievo
ai cronisti dei giornali di sinistra. Merlino è un ex fascista, si è recato
recentemente in viaggio nella Grecia dei colonnelli ed è il fondatore del 22
Marzo: ergo, invece che a degli anarchici, qui si è di fronte a degli "anarco-fascisti",
"più vicini a Goebbels che a Bakunin", secondo quanto scrive frettolosamente
il settimanale comunista Vie Nuove. E già che c'è, per definire meglio
l'ambiente, il giornalista ci aggiunge anche il solito pizzico di droga.
I conti a questo punto, oltre che alla polizia e al pubblico
ministero, quasi tornano anche alla sinistra italiana: in fondo se le cose stanno
davvero così, se non si tratta nemmeno di anarchici ma di anarco-fascisti perché
Pietro Valpreda non potrebbe davvero essere l'autore della strage di Milano?
Salvo ad accorgersene subito dopo, quando i particolari si definiscono meglio,
che si è fatta una grande confusione, si è rischiato di cadere nella trappola:
neanche più quella dell'estremismo anarchico, di sinistra, colpevole, ma l'altra
trappola. ben più pericolosa, della colpevolezza dei due opposti estremismi,
di destra e di sinistra, anarchia e fascismo, che ormai si sono compenetrati,
e assieme hanno ucciso.
Perché non ci siano dubbi, per fare opera di chiarezza assoluta,
è necessario qui definire esattamente chi è Mario Merlino e quale ruolo egli
ha svolto nel piano di preparazione degli attentati.
Mario Merlino fascista
Gli anni dal 1962 al 1968 vedono Mario Merlino militare
attivamente nei gruppi di estrema destra: Avanguardia Nazionale, Giovane Italia
e Ordine Nuovo. In prima fila nel corso di innumerevoli azioni squadristiche,
egli nutre tuttavia ambizioni intellettuali.(20) Passa ogni anno l'estate in
Germania, di preferenza a Monaco e Francoforte. Tra il '65 e il '66 vi rimane
sei mesi; al suo ritorno racconterà di aver frequentato un campo clandestino
di addestramento organizzato dai neo nazisti tedeschi di "Nazione Europea".(21)
In questi anni stringe stretti rapporti, tra gli altri, con Stefano Delle Chiaie,
Pino Rauti e con il deputato del MSI Giulio Caradonna.
Mario Merlino compare per la prima volta mescolato alle forze
di sinistra durante la battaglia di Valle Giulia che si combatte tra studenti
e polizia ai primi di febbraio 1968, davanti alla facoltà di Architettura. Per
Merlino, che è presente tra le fila di un gruppetto di picchiatori fascisti
di Avanguardia Nazionale, gli scontri di Valle Giulia sono due fronti: i camerati
cercano di bastonare in parti uguali poliziotti e studenti. l'importante per
loro è provocare il massimo degli incidenti. Il neofascismo romano a quella
data è infatti ancora incerto: con la esplosione dell'"anno degli studenti"
sono finiti i bei tempi in cui dominava incontrastato con le sue squadre di
manganellatori nell'università romana. Che fare quindi? La nuova tattica della
infiltrazione tra i gruppi di sinistra, il momento in cui i "nazimaoisti" tenteranno
di confondere le acque coi loro slogan "Hitler e Mao uniti nella lotta" sono
ancora lontani. D'altra parte l'attacco frontale come una volta è ormai impossibile.
Ci riprovano, certo, e il 17 marzo un manipolo di duecento
picchiatori giunti da ogni parte d'Italia, gli onorevoli Almirante, Caradonna
e Turchi in testa, dà l'assalto alla facoltà di Lettere occupata dagli studenti
e provoca gravi incidenti (lo studente Oreste Scalzone ha la colonna vertebrale
fratturata). Anche in questa occasione Mario Merlino marcia coi fascisti. Tuttavia
questa fase sta per chiudersi: il viaggio in Grecia che i giovani fascisti italiani
compiono nell'aprile 1968 segna una svolta definitiva. Il viaggio è promosso
dall'ESESI, (vedi IV Capitolo - L'ESESI) la lega degli studenti greci fascisti
in Italia, ed è organizzato dal giornalista Pino Rauti del Tempo di
Roma e da Stefano Delle Chiaie i quali scelgono fra i militanti di Nuova Caravella,
Ordine Nuovo e dell'ex Avanguardia Nazionale una quarantina di giovani che si
sono particolarmente distinti nell'attività a favore del regime dei colonnelli.
Giunti a Atene, i fascisti romani si recano in delegazione all'ambasciata italiana
per presentare una nota di protesta "contro il modo in cui la RAI-TV diffama
il regime greco". Qualche giorno dopo appendono sul petto del ministro Pattakos
un distintivo di Nuova Caravella: nella foto ricordo della cerimonia si vede
anche Mario Merlino (Merlino quando sarà interrogato dal giudice dichiarerà
che "non vi furono conferenze e non fummo ricevuti da personalità"). Ad Atene
i giovani fascisti italiani prendono anche contatti col movimento nazista greco
"4 Agosto" diretto da Costantino Plevris. Da quel momento, tornato a Roma, Mario
Merlino cambia pelle. La cambia fisicamente, perché comincia a vestire in modo
dimesso e si fa crescere i capelli, poi anche barba e baffi. E la cambia politicamente:
non sono passati quindici giorni dal rientro da Atene che ha già fondato il
gruppo XXII Marzo (da non confondersi con il 22 Marzo, che verrà molto più tardi).
Un volantino diffuso nella città universitaria rappresenta la sua prima carta
politica: il gruppo proclama di "rifarsi alle esperienze del Maggio francese
e, in particolare, alle sue punte più avanzate: Daniel Cohn Bendit e gli arrabbiati
di Nanterre". L'esordio in piazza avviene qualche giorno dopo, nel corso di
una manifestazione di protesta indetta dal movimento studentesco romano davanti
all'ambasciata francese. Dietro a Mario Merlino, che sventola una grande bandiera
nera con la scritta XXII Marzo, ci sono gli esponenti più rappresentativi del
gruppo, e del neofascismo romano: Stefano Delle Chiaie, Serafino Di Luia, Loris
Facchinetti e l'ex legionario e parà Buffa, detto il Lupo di Monteverde. Mentre
gli studenti si disperdono sotto le violente cariche della polizia. Il XXII
Marzo celebra il battesimo del fuoco incendiando con bottiglie molotov due auto
parcheggiate a diverse centinaia di metri dal teatro degli scontri.
Il giorno dopo i quotidiani di Roma parlano in toni apocalittici
di "piano preordinato", di "guerriglia cittadina", di "inutili vandalismi" e
della "cieca violenza con cui i teppisti, manovrati dal PCI, hanno danneggiato
e incendiato auto di privati cittadini" (Il Tempo)
La provocazione non passa inosservata, gli studenti hanno
riconosciuto fra i seguaci di Mario Merlino i più noti esponenti del neofascismo
romano e il XXII Marzo, a neppure un mese dalla sua fondazione, cessa di esistere.
Merlino non si scoraggia, da Cohn Bendit passa al libretto rosso del presidente
Mao Tse Tung, da leader mancato si trasforma in semplice militante di base e
avvicina un esponente del gruppo di sinistra Avanguardia Proletaria vantando
certi contatti politici che egli dice di avere con la redazione dell'Etincelle,
una rivista marxista-leninista svizzera. L'approccio fallisce: i suoi precedenti
sono noti all'esponente di Avanguardia Proletaria.
Merlino ci riprova con il Partito Comunista d'Italia (linea
rossa).Qui non lo conosce nessuno e oltretutto lui si offre come semplice diffusore
della rivista di Verona Lavoro Politico, in attesa di essere ammesso
nel partito. Ma ancora una volta si tradisce. Viene fermato durante gli scontri
con la polizia che seguono un tentativo di assalto contro la direzione del PCI
in via delle Botteghe Oscure organizzato da diversi gruppi fascisti, al termine
di un comizio di Arturo Michelini. Il nome di Mario Merlino compare nella lista
degli arrestati pubblicata da tutti i giornali. D'ora in poi sarà più prudente
nel mantenere i contatti con i suoi "ex" camerati.
Mario Merlino fascista e provocatore
La pausa estiva, della quale Merlino approfitta per compiere uno dei suoi abituali viaggi in Germania, gli è utilissima per cercare di farsi dimenticare. Per la rentrée, nell'autunno-inverno 1968, sceglie la facoltà di Magistero occupata dal movimento studentesco. Il terreno è propizio essendo la facoltà di piazza Esedra decentrata non solo fisicamente ma, in parte, anche politicamente rispetto alla città universitaria. Mentre occupa, Mario Merlino collabora a qualche seminario sulla riforma dei piani di studio e intanto propone ad alcuni studenti di partecipare a un "corso" che egli sta organizzando.
Testimonianza n. 1:
"Un giorno ci prese da una parte e ci disse che se volevamo
lezioni sul modo di fabbricare ordigni esplosivi lui sarebbe stato in grado
di darcele. Aggiunse che un suo amico di 35 anni, che abitava fuori Roma, aveva
un deposito di armi, tritolo e gelatina esplosiva, e che sarebbe stato disposto
a fornirceli e a partecipare lui stesso alle azioni, purché organizzate seriamente,
dato che la polizia lo teneva d'occhio... ".
Qualcun altro intanto teneva d'occhio Mario Merlino. Un giorno,
mentre si sta formando un corteo del movimento studentesco, l'assistente universitario
M. D. gli confisca una bottiglia molotov che gli spunta da una tasca dell'eskimo.
La provocazione riesce poco dopo, durante la manifestazione di protesta contro
la visita del presidente Nixon a Roma Merlino lancia una bottiglia incendiaria
contro la vetrina della ditta americana Mlinnesota e la polizia, che segue da
vicino gli studenti, dà il via alle cariche che si concludono con decine di
fermi. Alla fine di febbraio 1969 Merlino si ripete in un altro "a solo": al
termine di una protesta davanti alla sede della RAI-TV, quando già il corteo
si sta sciogliendo, lancia con una fionda un bullone di ferro che infrange il
parabrezza di una jeep della polizia. Seguono cariche, scontri, feriti. fermi
e denunce. Fa il bis un mese dopo, nella manifestazione per i fatti di Battipaglia.
Cambia solo il bersaglio, il parabrezza di un furgone della polizia invece che
quello di una jeep, ma il risultato è identico. Questa volta però viene fermato
anche lui, denunciato e processato per direttissima: esce di galera il primo
aprile, con una assoluzione e un'ottima referenza che gli serve per entrare
in un collettivo di studenti comunisti che stanno preparando un esame di filosofia.
Nessuno sospetta di lui fino al giorno in cui smarrisce un'agendina
che contiene tutti nomi e i relativi numeri di telefono dei più noti esponenti
del neofascismo romano.(vedi il taccuino di Mario Merlino) Messo alle
strette, Merlino fa una pubblica autocritica: ammette di aver svolto "per un
certo periodo" il ruolo di provocatore ma sostiene di essersi pentito e di mantenere
coi camerati solo rapporti di amicizia, non politici. Per rafforzare la tesi
della "conversione" aggiunge: "Quando fui fermato per la manifestazione di Battipaglia
un funzionario della squadra politica mi promise che non mi avrebbero denunciato
e che, anzi, mi offrivano centomila lire al mese se accettavo di svolgere la
funzione di confidente negli ambienti del movimento studentesco. Io rifiutai
decisamente, preferendo la denuncia".
Allontanato dal collettivo Merlino parte per Rimini, dove
dice di avere una casa. Al ritorno avvicina alcuni iscritti all'Unione dei Comunisti
Italiani. Si informa sul loro programma politico e consistenza organizzativa,
chiede di entrare a farne parte. Ma ormai le notizie sulla presenza di spie
e provocatori, veri e presunti, si sono moltiplicate e hanno creato allarme.
La richiesta di Merlino viene accolta con riserva, si vuole prima accertare
la consistenza delle voci che circolano sul suo conto.
L'attesa non è lunga. Nel mese di maggio, subito dopo l'attentato
al palazzo di Giustizia di Roma. Mario Merlino chiede ad un iscritto all'Unione
un grosso favore: ha paura di subire una perquisizione e deve nascondere del
materiale compromettente. E' disposto il compagno a tenerselo per qualche giorno,
sino a quando si saranno calmate le acque? Quello dell'Unione dice apposta di
si e Merlino gli consegna alcuni metri di miccia e un numero considerevole di
detonatori. Due giorni dopo la polizia compie una perquisizione nella casa del
compagno il quale però si era sbarazzato del materiale il giorno stesso in cui
l'aveva ricevuto.
Merlino con la sinistra marxista-leninista ha finito, I'Unione
lo diffida dal presentarsi alla sede, dal frequentare le manifestazioni e dall'avvicinare
i suoi iscritti.
Ritenta con le briciole. Alla vigilia del 2 giugno si è aggregato
a un gruppetto di radicali che ha un incontro con alcuni comunisti della Federazione
Giovanile per concordare una azione di volantinaggio comune da farsi durante
la sfilata militare ai Fori Imperiali. L'appuntamento è stabilito per l'indomani
mattina alle 8, davanti alla sezione Campo Marzio. Ci va anche la polizia, che
sequestra i volantini e porta tutti in questura. per rilasciarli solo a sfilata
conclusa (e per provocare una interpellanza alla Camera dove i deputati comunisti
denunciano questo inammissibile fermo preventivo). Merlino no, non si è presentato
all'appuntamento, quella mattina si è svegliato tardi.
Quando, precedentemente, era avvenuta la serie di attentati
dinamitardi contro i distributori di benzina, proprio mentre era in corso un'aspra
vertenza sindacale che opponeva i piccoli gestori alle grandi società petrolifere
Mario Merlino venne invitato dalla polizia a a "collaborare" nelle indagini.
Fece i nomi di F.P., L.R. e E.M.D., tre studenti che da tempo hanno abbandonato
gli ambienti dell'estrema destra. I tre vennero subito arrestati ma alla fine
risultarono totalmente estranei agli attentati. Come mai Merlino sempre così
scrupoloso, quella volta ha messo la polizia su una falsa pista?
La risposta salta fuori qualche tempo dopo, quando viene
identificato il vero responsabile. E' Mario Palluzzi, organizzatore di un vero
e proprio racket che estorceva denaro ai gestori che non partecipavano allo
sciopero con minacce di rappresaglie dinamitarde. Ma Mario Palluzzi è anche
qualcos'altro: è il capo dell'UNSI, il sindacato dei benzinai fascisti, ed è
un ex di Avanguardia Nazionale, oltre che intimo amico di Stefano Delle Chiaie,
a sua volta legato a Merlino. Il chiosco dove prestava servizio era, tra l'altro
abituale luogo di riunioni per un gruppo di fascisti dell'ex Avanguardia Nazionale
e di Ordine Nuovo.
Affrontato da uno degli studenti che ha denunciato. Mario Merlino si giustifica
dicendo che la delazione gli è stata estorta dalla polizia durante una delle
sue crisi di epilessia, e rilasciata anche una dichiarazione autografa in cui
ammette di essere un confidente.
Nel settembre 1969 a Mario Merlino, ormai definitivamente
bruciato in tutti gli ambienti della sinistra extraparlamentare, sono rimasti
solo gli anarchici come possibile terreno di infiltrazione e provocazione. Avvicina
il giovane G., si fa passare per perseguitato dalla polizia e chiede di essere
presentato al circolo Bakunin di via Baccina.
Testimonianza n. 2:
"All'inizio aveva un atteggiamento riservato anche se cordiale. Si definiva
anarchico ma non partecipava quasi mai alle discussioni sulle teorie e la prassi
libertarie; mi sembrò che avesse nozioni molto vaghe sulla storia dell'anarchia.
Era un abile parlatore ma quando si approfondiva questo argomento o lasciava
cadere il discorso oppure si limitava a darmi ragione".
Nel frattempo Merlino trova il tempo per partecipare ai convegno
studi organizzato dal MSI al Terminillo, durante il quale Giulio Caradonna tiene
una relazione sul tema "Genesi del colpo di stato"
Quando Merlino arriva al Bakunin gli iscritti al circolo
sono divisi in due frazioni. C'è una maggioranza, che è posta sotto accusa da
un gruppo dei giovani, tra cui Pietro Valpreda e Emilio Bagnoli. Burocratismo,
dirigismo, incapacità di cogliere le nuove prospettive politiche create dall'esplosione
delle lotte operaie e studentesche: queste le accuse dei giovani che a loro
volta vengono tacciati di avventurismo dai più anziani. L'ingresso di Mario
Merlino, che si lega subito al gruppo degli "arrabbiati", contribuisce a peggiorare
sensibilmente la situazione. Alle denunce di essere ancora in contatto coi fascisti
e confidente della polizia, lui replica dicendo che "i vecchi" del Bakunin usano
la calunnia per coprire le vere ragioni del loro dissenso, che sono politiche.
Merlino è il primo a sostenere esplicitamente la necessità di una scissione,
onde formare un nuovo circolo. Per questo si offre anche di reperire i fondi
necessari, 150.000 lire che gli sarebbero state promesse da un imprecisato "gruppo
cattolico". Nonostante la crisi, l'attività politica del Bakunin prosegue, tra
i baraccati della periferia romana e gli operai della Fiat in sciopero. Merlino
comincia a fare delle proposte.
Testimonianza n. 3
"Mi chiamò da parte e mi chiese se ero disposto a partecipare
a una azione notturna contro la Fiat. Si trattava di lanciare delle bottiglie
Molotov. Io avrei dovuto accompagnarlo con la mia macchina. Gli risposi che
non ero d'accordo e lui non insistette. Mi disse tuttavia che gli dispiaceva
di avermi sopravvalutato".
Sempre assiduo della vita del circolo, solo il sabato e la
domenica Merlino non si fa vedere, dice che va a trascorrere il week-end ai
Castelli Romani per fare un po' di footing e ossigenarsi. Invece partecipa ai
campeggi "a cielo aperto" dell'associazione neofascista e paramilitare Europa
Civiltà nell'Alta Sabina e nel Parco Nazionale degli Abruzzi, organizzati dal
suo vecchio amico Loris Facchinetti. Quando rimane a Roma, la domenica mattina
va alla messa delle dieci nella chiesa del convento delle suore di via Montanelli,
luogo di convegno di un gruppo di cattolici integralisti. Merlino è un fervido
commentatore dei brani evangelici che vengono discussi collettivamente. Ma la
sua fede non gli impedisce durante lo sciopero della fame degli anarchici sulle
scalinate del Palazzo di Giustizia, di esibirsi con in mano cartelli con lo
slogan "Ne' dio né stato, né servi né padroni". Il lungo sciopero della fame
è fatto, a Roma come a Milano, per protestare contro la carcerazione illegale
degli anarchici incolpati degli attentati del 25 aprile. In quei giorni Merlino
ripete le sue proposte ad altri giovani del Bakunin.
Testimonianza n. 4
"Merlino mi confidò che aveva intenzione di organizzare un corso per la fabbricazione di bombe e che di questo progetto aveva già parlato a R. Disse che Stefano Delle Chiaie, quando militavano assieme nelle organizzazioni fasciste, lo aveva istruito su questo argomento e che sarebbe stato in grado di farci delle lezioni. Aggiunse che aveva una pellicola da sviluppare dove erano illustrati vari modi di fabbricazione degli ordigni esplosivi".
Testimonianza n. 5
"Merlino una volta invitò me e altri due anarchici del circolo
Bakunin in casa sua per discutere "alcune cose molto riservate". Non ricordo
con esattezza il periodo ma credo che fossero gli ultimi giorni di settembre
o i primi di ottobre. Quando arrivammo da lui lo trovammo assieme a un suo amico,
un certo Roberto, che si presentò come un ex camerata convertitosi all'anarchia.
Disse che aveva un'edicola di giornale all'EUR. Dopo un breve preambolo Merlino
ci propose la costituzione di un commando terroristico, dicendo che una persona
a lui molto vicina era in possesso di materiale informativo sulla fabbricazione
di ordigni esplosivi. Il suo amico aggiunse che egli era in grado di procurarsi
del "materiale". Merlino ci invitò a casa sua due volle. La prima volta ci propose
una azione di sabotaggio alla Fiat di viale Manzoni, organizzata in questo modo:
alcune auto avrebbero bloccato le vie adiacenti per ostacolare l'arrivo della
polizia, mentre gli altri compagni sarebbero penetrati all'interno e dopo aver
tagliato con dei coltelli i tubi dei distributori avrebbero appiccato il fuoco
alla benzina fuoriuscita. Così - ci disse - sarebbe saltato tutto in aria. La
volta successiva ci propose di assaltare una caserma situata nei pressi di casa
sua, della quale diceva di avere una pianta dettagliata, per portare via armi
e munizioni. In quella occasione era presente alla riunione un altro suo amico,
che noi non conoscevamo, il quale disse di essere in possesso delle piante di
vari tralicci della televisione che si potevano far saltare. Aggiunse che se
le era procurate quando lavorava come disegnatore, presso l'ingegnere che aveva
realizzato il traliccio Tv di Viareggio. Noi, comunque. lasciammo cadere queste
proposte perché contrarie al nostro concetto di "azione esemplare".
Infatti, l'unica azione esemplare che il gruppo di anarchici
realizzò, è la costruzione, eseguita nottetempo, di un muro di mattoni in mezzo
al cortile di un caseggiato popolare, i cui inquilini erano stati sfrattati
a scopo speculativo.(22)
Il 23 ottobre 1969, per l'anniversario della battaglia di
El Alamein, è previsto a Roma un raduno nazionale di paracadutisti e i fascisti
si mobilitano per dare un tono nostalgico alla manifestazione. Gli "arrabbiati"
del Bakunin decidono di diffondere un volantino di protesta e Mario Merlino
si offre di stenderne il testo. Quando le copie sono già stampate e pronte per
essere distribuite, vengono bloccate da alcuni anarchici che giudicano il contenuto
politicamente scorretto e provocatorio, e impongono che sia tolta la firma "Circolo
Bakunin".
Il nuovo episodio esaspera la polemica all'interno del Bakunin.
Negli stessi giorni poi esce sulla rivista giovanile Ciao 2001 una inchiesta
sui gruppi minoritari di destra e fra essi è citato il "gruppo anarco-fascista
XXII Marzo, fondato da Mario Merlino". Si tratta di una inesattezza, nel senso
che il gruppo non esiste più da oltre un anno, ma è un'altra occasione (prefabbricata?)
per aggravare i dissensi all'interno del circolo. Merlino fa l'indignato e cerca
di coinvolgere altri nella sua protesta sostenendo che è giunto il momento di
dare una forma consistente al loro dissenso. Inoltre dice. c'è la prospettiva
di chiedere una smentita e un risarcimento danni alla rivista che lo ha "diffamato".
Ciao 2001 per evitare noie, pubblica un nuovo articolo, consistente in una intervista
collettiva al gruppo dei dissidenti del Bakunin con relative fotografie in cui
abbondano i pugni chiusi e i medaglioni con la A cerchiata. Tutto viene ricompensato
con 40.000 lire.
I soldi serviranno per pagare il primo affitto di una sede
e il circolo creato dagli scissionisti del Bakunin si chiamerà 22 Marzo, dove
i numeri arabi sostituiscono quelli romani del vecchio gruppo fondato da Merlino
nella primavera 1968. Con lui se ne vanno Pietro Valpreda, Emilio Bagnoli, Roberto
Gargamelli. Emilio Borghese e un'altra quindicina di giovanissimi In attesa
di trovare una sede decidono di riunirsi nel negozietto di lampade liberty di
via del Boschetto che l'anarchico Ivo Della Savia, rifugiato all'estero renitente
alla leva, ha lasciato al suo amico Pietro Valpreda.
Mario Merlino prima delle bombe
Tra il 9 e il 10 novembre Mario Merlino parte per il Nord. Dice che va a Modena e poi a Venezia per partecipare ai lavori di coordinamento del gruppo di sinistra Lotta Continua. Ma è falso, la sua presenza a Venezia è esclusa. Il 18 novembre, vigilia dello sciopero generale nazionale per la casa (Merlino è tornato a Roma da due giorni), gli anarchici del nuovo 22 Marzo tengono due riunioni. La prima, allargata, per discutere i modi di partecipazione al corteo autonomo. organizzato dal movimento studentesco, la seconda ristretta, alla quale intervengono solo Merlino e altri due.
Testimonianza n. 6
"Merlino ci rivelò che, da fonti sicure, aveva appreso di
una provocazione che i fascisti stavano organizzando contro il corteo. Bisognava
prepararsi a respingerla, disse. Propose di preparare delle molotov da tenere
a disposizione. durante il corteo, in caso di necessità. Ci lasciammo dandoci
appuntamento la mattina successiva alle 8 nel negozio di via del Boschetto,
dove dovevano trovarsi anche gli altri".
Il mattino del 19 all'appuntamento in via del Boschetto ci
sono tutti meno Mario Merlino che anche questa volta, guarda caso, non si è
svegliato in tempo. Arriva, al suo posto, la polizia che perquisisce il negozio
e ferma tutti i presenti. In questura. durante l'interrogatorio, agli anarchici
viene contestata l'intenzione di aver voluto compiere attentati con bottiglie
molotov.(23)
Il 22 novembre Merlino si presenta nella sede del circolo
in via del Governo Vecchio, appena inaugurata, con un nuovo personaggio. Si
chiama Pio d'Auria, ha 24 anni, fa il venditore ambulante di libri per la casa
editrice Rizzoli, è un fascista. Fisicamente ha una certa somiglianza con Pietro
Valpreda.(24) Merlino lo presenta come "un ex camerata in crisi che guarda
con simpatia all'anarchia". Il nuovo arrivato comincia a frequentare le riunioni
del 22 Marzo ma si tiene in disparte, non partecipa alle discussioni. Si avvicina
il giorno del grande raduno nazionale dei metalmeccanici: centomila operai sfilano
per le vie di Roma. E' un momento di estrema tensione politica per l'Italia:
i sindacati gestiscono le lotte contrattuali ma gli slogan delle avanguardie
rivoluzionarie sono stati fatti propri da migliaia di operai.
Testimonianza n. 7
"Il giorno dello sciopero nazionale dei metalmeccanici,
28 novembre, ero assieme agli altri al corteo sindacale quando Merlino propose
di andare a pranzo ai Castelli Romani. Partimmo con la mia macchina: Merlino,
Pio d'Auria, Emilio Borghese e io. Merlino propose di andare a Frascati. Lì
giunti telefonò a un suo amico.
Dopo la telefonata ci disse di aspettarlo perché doveva andare
a parlargli.(25) Stette via una mezz'ora. Quando ritornò andammo a mangiare
in una trattoria e quindi ripartimmo per Roma. Durante il viaggio di ritorno
Merlino ci propose: " è l'occasione giusta per scatenare un gran casino; fermiamoci
a un distributore di benzina, facciamo il pieno, prepariamo quattro molotov
e confondiamoci tra la folla del comizi (dei metalmeccanici in piazza del Popolo:
n.d.r.). Appena capita l'occasione giusta, le tiriamo addosso a qualche camionetta
della polizia". Pio d'Auria mi sembrò particolarmente entusiasta dell'idea.
Io e Borghese rifiutammo giacché l'iniziativa ci parve assolutamente improduttiva
dal punto di vista politico. Fummo comunque ostacolati dal traffico e quando
arrivammo la manifestazione era finita"
Da quel giorno Mario Merlino non si fa più vedere al circolo:
strano, è sempre stato un frequentatore assiduo. Il 2 dicembre telefona a Emilio
Bagnoli dicendogli di essere malato: però rifiuta, ringraziando, ogni visita
dei compagni. Questi, preoccupati per la sua salute, sei giorni dopo vanno ugualmente
a casa sua. Lo trovano in piedi, sanissimo. Sono appena guarito, dice Merlino,
e si fa finalmente vivo, il pomeriggio di mercoledì 10 dicembre, nella sede
di via del Governo Vecchio che è ancora in fase di allestimento. I compagni
gli rinfacciano, scherzando, di essersi dato malato per non lavorare con loro.
Merlino lascia 3.000 lire come contributo al circolo e se ne va dicendo che
ancora per qualche giorno non si farà vedere perché si sta "lavorando" alcuni
cattolici che dovrebbero dare dei soldi. Chiede anche notizie di Valpreda e
gli rispondono che il Pietro è in partenza per Milano dove è stato convocato
dal giudice per un certo processo, una vecchia storia.
Siamo alla vigilia della strage del 12 dicembre.
Mario Merlino delatore
Roma, verso le 9,30 di giovedì sera 11 dicembre 1969. Alla
fermata di viale Manzoni vicino a via Liberiana, un ragazzo magro coi capelli
lunghi e gli occhiali, infagottato in un eskimo color verde, aspetta il tram
che porta verso via Tuscolana. Quando sale a bordo, tre passeggeri, giovani
come lui, lo guardano incuriositi: a ognuno quella faccia sembra nota, ma sul
momento non riescono a identificarla. Infine uno dei tre si ricorda. "Ahò, ma
quello è Merlino". I tre lo chiamano e il ragazzo con l'eskimo si avvicina.
Ma appare imbarazzato, nervoso e al loro tentativo di fare conversazione risponde
ogni volta in modo da far cadere il discorso. E' strano: Mario Merlino, che
di solito è così loquace, questa sera non parla, quasi fosse infastidito per
l'incontro imprevisto. "Beh, come va col 22 Marzo?", gli chiedono. "E' un periodaccio,
non si combina nulla", risponde. "Noi scendiamo. Tu che fai, dove vai?". "Niente,
vado a trovare certi amici miei". I tre ragazzi scendono e il tram prosegue
la sua corsa verso via Tuscolana con a bordo Mario Merlino.
Dove sta andando? Chi sono gli "amici" con cui si deve incontrare?
Dato che si tratta di stabilire come uno degli imputati ha trascorso la sera
precedente gli attentati, sarebbe logico supporre che chi svolge le indagini
abbia rivolto a Mario Merlino domande del genere. Invece, dai verbali di interrogatorio
resi noti non risulta che gli sia stato chiesto nulla in proposito. Gli inquirenti,
mentre sono stati molto scrupolosi nel porre a Merlino domande su episodi e
circostanze che riguardano soprattutto gli altri cinque inquisiti (Valpreda,
Mander, Bagnoli, Borghese e Cargamelli), lo sono stati molto meno nel chiedere
sia ai cinque che a lui delle testimonianze sulla sua persona e sulla sua attività.(26)
Sino dal primo momento, quando la sera di venerdì 12 dicembre viene fermato
e interrogato dalla polizia, Merlino svolge la parte del delatore, parla e parla.
e sarà soprattutto grazie alle sue "confessioni" che si arriverà a incastrare
gli altri ragazzi del circolo 22 Marzo. Ma perché non si è cercato di scoprire
fino in fondo chi è Merlino? Perché non si è andati a indagare nemmeno su cosa
egli può aver fatto quella sera di giovedì 11 dicembre, dopo che è stato visto
sul tram che porta verso via Tuscolana? Chi può avere incontrato in quella zona
di Roma?
Presumibilmente la sua meta avrebbe anche potuto essere una
di queste tre. Primo: via Tor Caldara, che è nei pressi della via Tuscolana,
dove abita Pio d'Auria, il suo amico fascista che è stato indicato come uno
dei possibili sosia di Pietro Valpreda. Secondo: via Tommaso da Celano, che
è sempre nei pressi di via Tuscolana, dove al numero civico 119 risiede Stefano
Delle Chiaie, il più noto boss del neofascismo della capitale, anch'egli molto
legato a Mario Merlino. Terzo: via Tuscolana n. 572, dove c'è l'abitazione di
Leda Minetti. Lo stesso posto dove egli dirà di essersi recato il pomeriggio
del giorno dopo, onde avere un alibi per il momento degli attentati, fornito
dai due figli Minetti e dalla donna stessa.(27) Se anche il giovedì sera Merlino
è venuto qui, può benissimo essersi incontrato con Stefano Delle Chiaie che
da dieci anni è l'amico della Minetti e ne frequenta abitualmente la casa.(28)
Insistere su questa possibilità ha un significato ben preciso.
Vuol dire che, se le indagini su Mario Merlino fossero state più approfondite,
sarebbe per forza venuta alla luce, spuntando da sotto la superficiale crosta
dell'"anarchia", la sua vera figura di fascista e perciò di provocatore infiltrato
con uno scopo ben preciso nell'ambiente del 22 Marzo. E a questo punto automaticamente,
l'inchiesta non avrebbe potuto non tener conto della necessità di estendersi
anche agli ambienti e ai personaggi del neofascismo della capitale.
I fascisti, ma chi sono questi fascisti romani del dicembre
1969? Per capirlo bisogna fare un po' di storia, partendo dalla primavera
III CAPITOLO
I fascisti -- La crisi del fascismo squadrista - Vita e opere di Stefano Delle Chiaie - Avanguardia Nazionale - I precedenti del luglio '64 - L'entrismo - La morte di Paolo Rossi - La morte di Antonino Aliotti - La nuova tattica: infiltrazione e nazimaoismo.
Premessa
Lasciato in pace fino a quel momento, dopo l'uscita di Strage di Stato
Stefano Delle Chiaie viene finalmente convocato dal magistrato ma, nel corso
degli interrogatori, fugge e scompare dalla circolazione. È anche questo
uno strano modo di sparire, se è vero che lo vedono a Milano con Cartocci
e se le segnalazioni del suo passaggio sono troppe per essere sfuggite agli
occhiuti uffici politici della penisola. Certo è che si tratta del personaggio
più importante per far luce sulle vicende che, in questi ultimi anni,
hanno visto convergere organi di polizia e squadracce di destra.
In compenso sono scattate le operazioni contro elementi di Ordine nuovo e del
Fronte nazionale. Dalle informazioni giornalistiche non sembra emergere un gran
che, si ha più l'impressione di un colpo al cerchio, per poi darne un
altro ben più vigoroso alla botte (i gruppi extraparlamentari di sinistra);
si ha, ancor più, l'impressione che si colpiscano questi fascisti per
lasciare spazio e respiro a quelli più organici, inquadrati nel MSI.
D'altra parte la divisione non è mai stata netta e, diversamente da quanto
accadeva nella fase ascendente del movimento di massa, non c'è più
tanto bisogno di mascherarsi: l'azione fascista aperta "paga", attira
borghesi grandi e piccoli, rianima, nella nuova congiuntura, vecchi cadaveri
e capetti fino a ieri rintanati e tremanti. Nella premessa al V capitolo ritorneremo
sul volto "nuovo" e sulla strategia "nuova" dei fascisti.
Vorremmo però sottolineare, fin d'ora, due elementi: i fascisti hanno
molti più soldi di prima, possono permettersi spese considerevoli, e
tuttavia i picchiatori sono gli stessi che hanno agito regolarmente negli anni
scorsi o disoccupati che si trasformano, a pagamento, in scherani momentanei.
Un vero e proprio reclutamento di nuove leve squadriste non appare. In secondo
luogo, più che l'infiltrazione, viene usata attualmente la contrapposizione
alle forze della sinistra extraparlamentare; non si tratta tanto di inventare
un nuovo 22 Marzo, ma di dar fiato alla tesi degli opposti estremismi. Certo,
anche per realizzare un programma del genere è necessario inserire agenti
provocatori nei gruppi di sinistra o creare appositamente centrali di provocazione.
Nel rapimento di Sergio Gadolla e nelle connesse imprese genovesi, attribuite
dai giornali borghesi a una "banda maoista", il cervello era il ben
noto fascista Vandelli; ciò è estremamente indicativo.
D'altra parte è abbastanza noto il programma di Almirante di estendere
il controllo del MSI alle frange finora rimaste all'esterno. Coerente con la
sua storia (ex capo di gabinetto del ministro Mezzasoma, firmatario di proclami
con cui si decideva la fucilazione di partigiani e soldati "sbandati",
precedentemente giornalista fascista al Tevere e segretario di redazione della
Difesa della razza), nel '46 Almirante aveva organizzato bande armate
in funzione antioperaia, i FAR (fasci armati di combattimento), insieme con
Roberto Mieville. Le dichiarazioni di Almirante alla stampa italiana ed estera
sono assolutamente univoche: c'è uno spazio per la violenza fascista,
e Almirante non vuole che sia coperto da qualcun altro; rivendica tale spazio
per il suo partito, si presenta nei salotti della Milano bene, corteggia industriali
e finanzieri assicurando che quello spazio lui lo sa coprire, e con una visione
più organica di quei "bravi ragazzi nazionali", dotati di focose
intenzioni ma non sensibili alle duttilità della politica. Duttilità,
comunque, ben diversa da quella con cui il defunto predecessore di Almirante,
Arturo Michelini, se da un lato aveva prestato costantemente i suoi servigi
al potere, riuscendo a ottenerne uno spazio sproporzionato alla reale incidenza
del partito nella vita italiana, dall'altro aveva disgustato i "duri",
che sono invece al centro dell'operazione di recupero condotta dall'attuale
dirigenza e sorvegliata paternamente dagli agenti della CIA greca. Anche gruppi
che avevano tentato una mascheratura di sinistra, oggi agiscono apertamente
come gruppi fascisti: dal romano Lotta di popolo (autore dell'aggressione alla
facoltà di Architettura proprio al termine dell'anno accademico) alla
Sinistra nazionale di Leccisi.
Il III capitolo del libro resta però un documento di estrema importanza,
prima di tutto per l'accuratezza con cui descrive il personaggio Delle Chiaie,
nei suoi rapporti con l'autorità di pubblica sicurezza e, inoltre, per
la segnalazione di una tattica di infiltrazione che, come si è detto,
non rappresenta più la linea generale delle centrali provocatorie ma
che continua ugualmente ad essere messa in atto, come completamento e stimolo
della nuova "strategia aperta".
Nel corso delle mobilitazioni degli studenti tecnici del '70-71 si è
assistito a una combinazione tra i due tipi di intervento: partendo da parole
d'ordine qualunquistiche e corporative, i fascisti sono riusciti, in alcune
città, a penetrare nel movimento. Quasi ovunque hanno compiuto atti di
provocazione (guasti agli impianti degli istituti occupati, furti di materiali
didattici, devastazioni a presidenze, ecc.: la colpa di tutto ciò ricadeva
poi sugli studenti); nello stesso tempo organizzavano squadre di assalto contro
i cortei e contro gli istituti occupati. Un caso clamoroso accadde all'Istituto
tecnico per geometri L.B. Alberti di Roma, dove alcuni fascisti" occupanti"
e mimetizzati si allontanarono da un 'assemblea per andare ad aprire le finestre
del primo piano, in modo da permettere l'irruzione di una squadraccia. L'operazione
non riuscì perché i picchiatori si scagliarono su un gruppo di
studenti di un'altra scuola, credendoli "rinforzi" per gli occupanti
dell'Alberti e perché, accortisi che qualcuno aveva aperto le finestre
e comprendendo quindi la probabilità di un attacco fascista, gli studenti
dell'istituto per geometri avevano chiamato in aiuto gli operai della FIAT della
Magliana, che formarono un picchetto difensivo tale da scoraggiare qualsiasi
irruzione. Ma l'episodio in sé è molto significativo.
La crisi del fascismo squadrista
Nella primavera 1968 il neofascismo romano è in crisi, battuto
proprio nel suo feudo tradizionale: l'Università. Il 15 marzo, nella facoltà
di Lettere occupata, l'assemblea permanente del Movimento Studentesco discute
il programma per l'indomani, che prevede un incontro con le delegazioni di altre
sedi universitarie, gli studenti medi e alcuni rappresentanti della UNEF parigina,
dell'SDS tedesco e del Black Power americano. A qualche centinaio di metri anche
la facoltà di Legge è occupata, ma dagli studenti fascisti di Caravella e pacciardiani
di Primula Goliardica. Anche lì si discute di "lotte contro il sistema", di
"nuove strategie rivoluzionarie". Nel pomeriggio un vicequestore, responsabile
dell'ordine nella città universitaria, si presenta per avvertirli che "i comunisti
stanno preparando un attacco per domani". Gli studenti neofascisti non lo stanno
nemmeno ad ascoltare, lo scherniscono. Lo stesso succede a Stefano Delle Chiaie
che più tardi cerca di convincerli dell'assalto imminente dei "rossi". Qualcuno
addirittura lo insulta, lui, il capo riconosciuto dell'estrema destra extraparlamentare,
gridandogli "servo dei padroni" e "cane da guardia del capitale". Durante la
notte nello scantinato della facoltà scoppia una bomba che distrugge il locale
delle caldaie e provoca un incendio. Ma neppure questo attentato serve a creare
la psicosi dell'attacco comunista tra i giovani di Caravella e Primula Goliardica.
Chi si aspettava una loro reazione, chi ha bisogno di incidenti tra gli "opposti
estremismi" per spazzare via la marea nascente della contestazione studentesca
di sinistra, non ha tenuto conto della profonda crisi che travaglia anche i
seguaci del "Credere, Obbedire, Combattere".
A provocare i necessari incidenti provvederanno, allora.
gli squadristi di pelo vecchio. Il giorno dopo una colonna di circa 200 uomini
guidati da Giorgio Almirante, Giulio Caradonna e Luigi Turchi marciano verso
il piazzale della Minerva già affollato da migliaia di militanti del movimento
studentesco. Caradonna ha fatto le cose in grande: per l'occasione le sue squadre
di picchiatori sono arrivate da tutte le parti d'Italia e sono armate di spranghe
di ferro, bastoni e catene.(29) Lungo la strada la colonna fa una sosta alla
facoltà di Legge per cacciare fuori gli studenti irresoluti, i camerati rammolliti,
e convincerli a partecipare alla azione. Ma sono pochi quelli che si accodano.
Lo scontro nel piazzale della Minerva è violentissimo. Superato
il momento della sorpresa il Movimento Studentesco reagisce, caccia e insegue
i fascisti che per la ritirata hanno scelto la facoltà di legge. Assediati da
qualche migliaio di studenti esasperati, gli uomini di Caradonna lanciano dalle
finestre tutto quanto hanno sotto mano, persino delle scrivanie, e feriscono
molti degli assedianti. Nonostante i lanci le porte stanno per cedere e i fascisti
farebbero la fine che si meritano se non intervenisse provvidenzialmente la
polizia a disperdere gli studenti.(30) I fascisti fermati, che vengono scortati
uno a uno dagli agenti sino ai cellulari, sono 162. Fra essi ci sono anche Mario
Merlino, Stefano Delle Chiaie e una decina di bulgari reclutati al campo profughi
di Latina, i quali non saranno portati in questura: la polizia li lascia andare
in una zona tranquilla lontana dall'università. All'onta di essere stati sconfitti
e salvati dalla polizia i fascisti devono aggiungere l'amara sorpresa di avere
visto tra gli studenti che li assediavano molti dei "camerati" di Legge che
essi erano venuti a "salvare dai rossi".
Battuto militarmente, isolato politicamente, con una base
giovanile profondamente disorientata, per il fascismo romano è arrivato il momento
di elaborare una nuova strategia, sia per sopravvivere, sia per continuare a
fornire i servizi richiesti da chi lo paga.
Vita e opere di Stefano Delle Chiaie
Sino alla primavera del 1968, e a partire grosso modo dagli inizi degli anni Sessanta, le caratteristiche del fascismo romano, il più importante e organizzato a livello nazionale, erano state ben diverse. E' possibile, e utile, ripercorrere le tappe fondamentali della sua storia seguendo la vita e l'opera di uno dei più importanti leader, Stefano Delle Chiaie, detto il Caccola (che a Roma vuol dire basso di statura), 34 anni. studente fallito di scienze politiche, ufficialmente di professione assicuratore. Ex segretario della sezione missina del quartiere Appio dal '56 al '58, quell'anno il Caccola aderisce all'organizzazione neonazista Ordine Nuovo il cui fondatore a Roma è un giornalista del quotidiano Il Tempo. Pino Rauti, noto per aver coniato la definizione "la democrazia è un'infezione dello spirito". Nato ufficialmente su posizioni di dissenso dalla linea parlamentaristica del Movimento Sociale, Ordine Nuovo - come del resto tutti gli altri gruppi e gruppetti frazionisti dal MSI - ha in realtà il doppio compito di ancorare ideologicamente i fascisti "puri" e più scatenati al controllo indiretto del partito e nello stesso tempo di assicurare al MSI la copertura necessaria per le sue attività a livello propagandistico-squadrista.(31) Ma questo tipo di servizi non è necessario solo al Movimento Sociale. Quando nel 1960 Stefano Delle Chiaie fonda i GAR (Gruppi di Azione Rivoluzionaria), viene contattato, per tramite di un deputato missino, da un funzionario del ministero degli Interni: siamo ai giorni del governo Tambroni che si regge in parlamento sui voti dell'estrema destra ed è utile che i GAR, i quali sino ad allora si sono limitati ad azioni squadristiche all'interno delle università, programmino un'attività clandestina di appoggio allo stesso governo e alle forze politiche ed economiche che lo sostengono, in previsione dei mesi caldi e dei violenti scontri di piazza che stanno per arrivare. Nel luglio Tambroni è costretto a dimettersi ma la breve esperienza ha convinto molti dell'importante funzione che possono svolgere le squadre fasciste organizzate nei prevedibili, futuri momenti di tensione sociale e di tentativi reazionari.
Avanguardia Nazionale
Nel 1962 Stefano Delle Chiaie fonda Avanguardia Nazionale,
forse il più importante dopo Ordine Nuovo dei gruppi dell'estrema destra extraparlamentare
degli anni Sessanta. I reclutati provengono per la maggior parte dalla piccola
e media borghesia, sono i figli del ceto impiegatizio tradizionalmente nostalgico,
dei commercianti e dei nuovi imprenditori nati col boom economico, più alcune
frange di sottoproletari di borgata. I personaggi di maggior rilievo sono i
fratelli Bruno e Serafino Di Luia, i fratelli Cataldo e Attilio Strippoli, i
fratelli Coltellacci, Flavio Campo e l'allora giovanissimo Mario Merlino.
I finanziamenti son consistenti: 300.000 lire al mese sono
assicurate da un noto cementiere lombardo, altri soldi arrivano da alcuni notabili
della capitale, e da ex gerarchi del regime fascista. In pochi mesi Avanguardia
Nazionale apre sezioni in via Michele Amari, via del Pantheon, via delle Muratte,
Via Gallia e al Quadraro, che diventa il covo principale dei picchiatori.
L'organizzazione di Delle Chiaie svolge bene i compiti per
i quali è stata creata, e che sono di tipo assai diverso. Nonostante sia ufficialmente
in polemica col Movimento Sociale, per le elezioni comunali del 1962 Avanguardia
Nazionale viene "affittata" dal candidato missino Ernesto Brivio meglio noto
come "l'ultima raffica di Salò", ex brigatista nero ed ex uomo di fiducia del
dittatore cubano Fulgencio Batista. L'anno seguente il gruppo fascista entra
in contatto coi monarchici che stanno organizzando l'associazione paramilitare
delle Camicie Azzurre. Durante il congresso nazionale del MSI, che vede lo scontro
tra i "duri" di Giorgio Almirante, l'ex direttore della Difesa della Razza,
e i "molli" del rag. Arturo Michelini, Avanguardia Nazionale si schiera coi
primi, che dispongono di notevoli mezzi finanziari(32) e nel corso della campagna
elettorale per le "politiche" si mettono a disposizione di Pino Romualdi, Luigi
Turchi e Giulio Caradonna. Ma per capire chi sta dietro ad Avanguardia Nazionale,
oltre ai missini e ai soldi della Confindustria, succede, sempre nel 1963, un
altro episodio significativo. A Roma, in visita al papa, arriva Ciombè, l'assassino
di Patrice Lumumba, e a caricare gli studenti di sinistra che manifestano la
loro protesta in piazza Colonna, ci sono, a fianco dei poliziotti e delle S.S.
(le Squadre Speciali di agenti in borghese agli ordini del commissario Santillo),
i fascisti di Avanguardia Nazionale che per l'occasione sono armati degli stessi
manganelli neri usati dalla polizia. Presente anche stavolta Mario Merlino che
con il suo capo Stefano Delle Chiaie è attivissimo nell'indicare agli agenti
quali sono gli studenti più in vista da inseguire e picchiare.(33)
I precedenti del luglio '64
Agli inizi del 1964 Delle Chiaie ricomincia a teorizzare, come ha già fatto nel 1960, la necessità di organizzarsi clandestinamente. Vanta certi contatti con ufficiali del SIFAR, sostiene che sta per succedere qualcosa di grosso e che bisogna prepararsi.(34) In primavera, in diverse sezioni di Avanguardia Nazionale, si svolgono dei corsi teorico-pratici sulla tecnica di fabbricazione degli ordigni esplosivi a miccia e a tempo. Le lezioni sono impartite dallo "scienziato", uno studente d'ingegneria meridionale che è anche l'autore dei manifesti del gruppo. Vi prendono parte un po' tutti i fedelissimi di Delle Chiaie, e in più Saverio Ghiacci, Paolo Pecorella e Pio D'Auria Non manca, naturalmente, Mario Merlino.
Testimonianza n. 8
"Mario Merlino mi disse che lui, Delle Chiaie e altri due erano stati avvicinati
da un ufficiale dei carabinieri e da un sottufficiale, tale Pizzichemi o Pizzichemini,
non ricordo bene il nome, i quali gli avevano proposto di nascondere dell'esplosivo
in alcune sezioni del PCI. che loro poi avrebbero provveduto a far perquisire.
aggiunse che gli suggerirono, come obiettivi ideali per degli attentati, la
sede romana della DC, quella della Confindustria in piazza Venezia e quella
della RAI".
La provocazione contro il PCI non riesce perché i tre fascisti
che avevano cercato di infiltrarsi in una sezione comunista vengono riconosciuti
e cacciati. Ma le bombe alla RAI e alla sede della Democrazia Cristiana scoppiano
davvero. Per questi attentati vengono arrestati e condannati i fratelli Strippoli,
Nerio Leonori, Antonio Insàbato e Carmelo Palladino, tutti di Avanguardia Nazionale.
Quando dopo qualche mese escono di prigione, i cinque accusano Stefano Delle
Chiaie di averli traditi perché gli aveva garantito una "copertura" che in realtà
non c'è stata.
Nonostante abbiano molto da fare, i fascisti di Avanguardia
Nazionale non trascurano quello che resta il loro territorio di caccia preferito,
cioè l'ambiente universitario. Il 25 aprile 1964, durante le celebrazioni della
Resistenza, assaltano gli studenti di sinistra sotto gli occhi dei poliziotti
impassibili, e la notte del 26, guidati da Serafino Di Luia, irrompono nella
Casa dello studente per farsi consegnare tre "sinistri", ne feriscono gravemente
due e se ne vanno indisturbati cantando in faccia ai poliziotti che non sono
intervenuti "Il 25 aprile è nata una puttana e gli hanno messo nome repubblica
italiana". Il mattino dopo occupano la sede delI'ORUR, l'organismo rappresentativo
studentesco, ed espongono una bandiera con la svastica. Qualcuno protesta e
i fascisti fanno una sortita, colpiscono a colpi di martello degli studenti
tra i quali c'è il figlio del professor Pasquale Saraceno, che riporta delle
fratture guaribili in due mesi. La polizia si rifiuta sempre di intervenire,
così come il rettore Ugo Papi al quale si sono rivolti alcuni docenti democratici.
Gli studenti aggrediti ormai non sporgono neppure denuncia, anche perché chi
si decide a farlo viene minacciato personalmente di più gravi rappresaglie.
E' in questo clima che il gruppo universitario fascista Caravella ottiene la
maggioranza assoluta nelle elezioni universitarie.
All'inizio del 1965 Avanguardia Nazionale accorre sollecita
al richiamo di Giorgio Almirante che si appresta a scatenare un'altra offensiva
contro la gestione "molle" del segretario Arturo Michelini al congresso del
MSI di Pescara. I lavori si trasformano in una gigantesca rissa. Dopo essersi
scannati in pubblico Michelini e Almirante si accordano in privato: il primo
conserverà la segreteria del partito, al secondo andrà la carica di presidente
del gruppo parlamentare missino alla Camera. Alcuni delegati del congresso scrivono
delusi: "Il MSI è un porcaio in cui alcune migliaia di imbecilli fanno la coda
per avere l'onore di riempire la greppia a quattro ruminanti".
Ma Stefano Delle Chiaie non si scandalizza. Promuove l'unità
dei gruppi universitari di destra, sempre divisi sul problema del controllo
dei fondi dell'organismo rappresentativo. Avanguardia Nazionale, Caravella,
Ordine Nuovo, i pacciardiani di Primula Goliardica, uniti, danno il via a una
nuova serie di violenze. Il 12 aprile 1965 arrivano al punto di interrompere
la lezione che Ferruccio Parri sta tenendo all'istituto di Storia Moderna. Inneggiano
al fascismo, lanciano candelotti lacrimogeni nell'aula, picchiano degli studenti
e insultano e prendono a spintoni lo stesso Parri(35). Il rettore Papi non interviene.
La Polizia ferma ed identifica gli studenti aggrediti, lascia che gli aggressori
si allontanino indisturbati. Sono gli stessi che in quei giorni, aizzati da
una campagna di stampa razzista condotta dal Tempo e dal Messaggero.
danno la caccia ai "capelloni" di piazza di Spagna.
Alla vigilia del congresso nazionale del PCI, nell'inverno
del '65, appaiono sui muri di Roma migliaia di falsi manifesti stalinisti volti
a fomentare la scissione del partito: tra i vari "committenti" di Avanguardia
Nazionale non potevano mancare i Comitati Civici.(36)
L'entrismo
Improvvisamente, nel 1966, Avanguardia Nazionale si scioglie
per rendere operativa la nuova politica "entrista" che Stefano Delle Chiaie
ha elaborato. Il programma si articola grosso modo su questi tre punti:
1) I camerati più "duri" come Flavio Campo, Serafino Di Luia, Saverio Ghiacci,
devono scomparire per qualche tempo dalla circolazione onde rifarsi una verginità
politica in previsione di nuovi e più impegnativi compiti;
2) Altri camerati rientrano nel MSI per occuparvi posti chiave. Cataldo Strippoli
diventa dirigente nazionale giovanile, suo fratello Attilio segretario provinciale
del partito. Coltellacci, Perri, Di Giovanni e altri entrano nel gruppo universitario
Caravella. Mario Merlino, grazie ai suoi buoni rapporti con Giulio Caradonna,
sarà il nuovo segretario provinciale della Giovane Italia che raggruppa gli
studenti medi;
3) Stefano Delle Chiaie, il capo, resta invece nell'ombra con funzioni di coordinatore.
Gli rimangono al fianco Nerio Leonori e Carmelo Palladino, noti "bombaroli".
Si tratta in realtà di una scissione simulata perché il gruppo
di Avanguardia Nazionale continuerà a frequentarsi. Anche la sua sede più importante,
quella di Via del Pantheon, rimane aperta.
In quel periodo Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino si fanno
vedere spesso in giro con un certo Jean, un francese dell'OAS che essi presentano
ai camerati come istruttore militare ed esperto in esplosivi. Assieme al francese,
secondo quanto dirà un giorno Merlino, depongono una notte un ordigno esplosivo
presso l'ambasciata del Vietnam del Sud, "per far ricadere la responsabilità
sulla sinistra". I contatti di Avanguardia Nazionale con elementi dell'estrema
destra internazionale non sono nuovi. Uomini dell'OAS entrati clandestinamente
in Italia sono stati aiutati da loro, uno è stato ospite per diverso tempo nella
casa di Serafino Di Luia in via Gallipoli. Stefano Delle Chiaie compie frequenti
viaggi in Spagna, Austria, Germania, e nel 1962 ha partecipato, a Londra. al
congresso per la costituzione dell'Internazionale Nera promosso da Colin Jordan,
il capo del partito nazionalsocialista inglese.
La morte di Paolo Rossi
Tuttavia i tempi stanno per cambiare e in senso sfavorevole,
per il neofascismo romano. Il 27 aprile 1966, durante gli scontri violentissimi
provocati dai picchiatori di Delle Chiaie davanti alla facoltà di Lettere, muore
lo studente socialista Paolo Rossi. Un incidente, dirà la polizia: il ragazzo
si è sentito male ed è precipitato dalla scalinata. Invece ci sono molti testimoni
a dichiarare che Paolo Rossi è stato picchiato e per questo è caduto sul piazzale(37).
Anche le foto parlano chiaro, dimostrando le violenze dei fascisti che si accaniscono
su studenti isolati, mentre i poliziotti stanno a guardare. Riconoscibilissimi
sono Serafino Di Luia, Flavio Campo, Saverio Ghiacci, Adriano Mulas-Palomba,
Alberto Questa, Loris Facchinetti e Mario Merlino.
La morte di Paolo Rossi risveglia le coscienze, mobilita
i giovani della nuova sinistra. Alcune facoltà vengono occupate. La notte tra
il 28 e il 29 gli squadristi di Delle Chiaie aggrediscono nuovamente alcuni
studenti isolati, bloccano l'auto su cui viaggia la figlia del deputato comunista
Pietro Ingrao assieme a due amici assistenti universitari, a uno dei quali un
colpo di coltello asporta la falange di un dito. Tra i denunciati per il vile
episodio c'è Serafino Di Luia ed un certo Angrillo, un militare dell'Aeronautica.
Il 2 maggio tutta l'università romana è occupata. Tremila studenti riuniti in
assemblea e 51 docenti titolari di cattedra denunciano in una lettera inviata
al presidente della Repubblica "la situazione di violenza e illegalità che regna
nella città universitaria dove un'infima minoranza di teppisti che hanno fatto
propri i simboli del nazismo, del fascismo, delle SS e dei campi di sterminio
possono impunemente aggredire studenti e professori che non condividono metodi
e idee appartenenti al più vergognoso passato e condannati dalle leggi di tutti
i paesi civili". E concludono: "Di fronte a questo stato di cose, anche noi
ci sentiamo responsabili della morte di Paolo Rossi perché abbiamo tollerato
tutto ciò sino ad oggi". Il giorno precedente un corteo di centinaia di operai
si era recato alla Città Universitaria per portare la propria solidarietà agli
studenti occupanti. Il ministro della pubblica Istruzione, a scanso di guai
ulteriori, costringe alle dimissioni chi, più degli studenti e dei professori
democratici, è stato responsabile per anni della situazione che ha portato alla
morte di Paolo Rossi: il rettore Ugo Papi. In una intervista rilasciata al giornale
Rome Daily American l'ex fascista Papi dichiara: "L'unico mio torto
è stato quello di aver sempre cercato di ostacolare i professori di sinistra".
Eppure i fascisti attaccano ancora. Il 2 maggio 300 squadristi guidati da Caradonna
e Delfino danno l'assalto alla facoltà di Legge: ma ormai gli studenti sono
in grado di reagire e di battersi e anche la polizia interviene(38).
In realtà, la presenza dei fascisti si era rivelata utilissima
per la creazione nell'Università di quel clima di terrorismo e di rissa latente
su cui il vecchio corpo accademico, incolto e clientelare, fonda le sue tradizionali
fortune. Impossibilitati a sviluppare la dialettica delle idee, gli studenti
di sinistra stentavano a mettere a fuoco gli obiettivi di lotta avanzati e restavano
prigionieri della logica anacronistica - anche se legittimata da esigenze di
conservazione fisica - della battaglia antifascista. Dall'esperienza di quegli
anni il corpo accademico e, più in generale, le forze interne all'apparato statale.
trarranno utili indicazioni per il futuro: in quel momento, l'applicazione di
alcuni elementari principi costituzionali nell'ambito universitario nasce più
dalla paura della reazione studentesca che da una, sia pur tardiva, resipiscenza
democratica delle autorità.
La morte di Antonino Aliotti
Esclusi per il momento, ma non ancora definitivamente, dall'università,
i fascisti dell'ex-Avanguardia Nazionale si mettono a disposizione per attività
esterne. Ma nel gruppo c'è qualche segno di crisi. Stefano delle Chiaie non
ha ancora risposto alle accuse che gli erano state mosse dai suoi fedeli finiti
in galera per l'attentato dinamitardo alla RAI di via Teulada. Li abbia o no
traditi, è un fatto che solo lui fra tutti riesce sempre a cavarsela, a non
avere noie con la polizia. Questo aumenta la sua fama di intoccabile, di individuo
potente e pericoloso ma nello stesso tempo lo espone anche a certe critiche
da parte di chi crede nella "rivoluzione nazionale". Come, per esempio, Antonino
Aliotti.
Aliotti è figlio di comunisti ma è anche uno sbandato che
è finito giovanissimo negli ambienti della estrema destra. In poco tempo è diventato
uno dei più noti picchiatori fascisti del gruppo di Delle Chiaie, ha partecipato
all'aggressione contro la figlia di Pietro Ingrao. Si sente un "puro". Ma non
è un irrecuperabile. Parte soldato e entra in crisi, ritorna a Roma e comincia
ad accusare il Caccola di averlo ingannato, di non essere un "rivoluzionario"
che lotta contro il sistema, bensì un mazziere al servizio del sistema.
Dopo qualche giorno Antonio Aliotti riceve il primo avvertimento.
Viene fermato dalla polizia che gli perquisisce l'automobile: nel cofano vengono
trovati degli esplosivi che lui giura di non aver messo. E deve essere vero
visto che. processato, è assolto per insufficienza di prove A questo punto Antonino
Aliotti si è chiarito le idee sino in fondo. Affronta Stefano Delle Chiaie e
lo minaccia di rivelare pubblicamente i rapporti che lui, il Caccola, mantiene
col Ministero degli Interni. Passano pochi giorni, il mattino del 25 febbraio
1967 Antonino Aliotti, ragazzo sbandato, viene trovato morto a bordo della sua
auto che ancora una volta è carica di armi ed esplosivo. Suicidio, dice subito
l'inchiesta di polizia. La sera prima di morire Aliotti aveva cercato disperatamente
di mettersi in contatto con alcuni amici, anch'essi tutti dissidenti dal Caccola.
Si scopre che sulla sua mano destra, quella con cui si sarebbe sparato, c'è
un graffio. Qualcuno si rivolge ai carabinieri, racconta che Antonino Aliotti
negli ultimi giorni era spaventato, diceva di aver ricevuto delle minacce. I
carabinieri filmano tutte le persone che partecipano al suo funerale e poi interrogano
quanti riescono a identificare. Ma non si verrà mai a sapere se l'inchiesta
ha portato a qualche risultato.
Quasi nello stesso periodo Stefano Delle Chiaie conosce un'altra
persona destinata a una morte misteriosa: Armando Calzolari. Verso la fine del
1967 lui e il gruppo della, ufficialmente disciolta, Avanguardia Nazionale frequentano
assiduamente la sede del Circolo dei Selvatici, in via dell'Anima, 55. Il circolo
è la copertura culturale del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese. Mescolati
tra generali in pensione, ex combattenti di Salò, ufficiali dell'esercito e
carabinieri in servizio e congedati, i mazzieri di Avanguardia Nazionale assistono
alle conferenze tenute da alcuni stimati intellettuali dell'estrema destra,
quali ad esempio il giornalista Giano Accame, collaboratore del pacciardiano
La Folla, del Borghese, del Fiorino e corrispondente
dall`ltalia del bollettino dell'NPD, il partito neonazista tedesco di Adolfo
von Thadden.(39)
La nuova tattica: infiltrazione e nazimaoismo
In questo periodo di forzata stasi, tra la fine del '67
e i primi del '68, Stefano Delle Chiaie stringe nuovi legami con gli amici di
Junio Valerio Borghese, consolida quelli già esistenti con Giulio Caradonna,
Luigi Turchi e Pino Rauti, giornalista del Tempo di Roma. E' con lui
che, nella primavera del 1968, organizza il viaggio in Grecia per la quarantina
di fedelissimi amici dei colonnelli tra i quali c'è Mario Merlino. Ed è al ritorno
da questo viaggio che ha inizio la vasta operazione di infiltrazione negli ambienti
di sinistra e di creazione di nuovi gruppi fascisti mascherati sotto etichette
che riecheggiano vagamente la terminologia marxista.(40) Mario Merlino, di cui
abbiamo già raccontato la storia, è un esempio macroscopico ma è solo uno fra
i tanti. Alcuni altri sono questi.
Serafino Di Luia. assieme a un gruppo di
fedelissimi viene incaricato di tenere sotto controllo i fermenti eterodossi
della base neofascista che nella facoltà di Legge ha il suo punto di maggior
forza. (Basta pensare a come si sono comportati questi "ribelli" dell'estrema
destra in occasione dell'assalto delle squadre di Giulio Caradonna contro il
movimento studentesco). Di Luia svolge egregiamente il suo compito, riuscendo
via via a emarginare dal Movimento Studentesco di Giurisprudenza (così si sono
autodefiniti i fascisti "ribelli") tutti quegli elementi che sono entrati in
crisi quando la mitologia fascista nella quale avevano creduto è crollata sotto
l'incalzare delle lotte del movimento studentesco. Con quelli che gli rimangono,
fascisti autentici, Serafino Di Luia organizza il Movimento Studentesco Operaio
d'Avanguardia e, più tardi, il gruppo Lotta di Popolo. I cosiddetti nazi-maoisti
si presentano nelle assemblee del movimento studentesco gridando slogan tipo
"Hitler e Mao uniti nella lotta" e "Viva la dittatura fascista del proletariato",
e provocando spesso gratuiti scontri con la polizia. Inoltre Lotta di Popolo
rilascia numerosi comunicati stampa che, mascherati da una fraseologia pseudorivoluzionaria,
danno un taglio nettamente qualunquistico e provocatorio alla critica svolta
dal movimento studentesco contro i sindacati e i partiti revisionisti e condannano
l'aggressione israeliana in Medio Oriente in termini razzisti e antiebraici.
Questi comunicati vengono ampiamente ripresi dai giornali del centro e della
destra che,. gridando allo scandalo, li spacciano agli occhi dei lettori come
rappresentativi della ideologia e della politica del movimento studentesco.
Dopo gli attentati del 12 dicembre 1969 la maggior parte di questi seguaci di
Serafino Di Luia sono rientrati nel MSI o hanno ridato vita, sempre sotto la
guida di Stefano delle Chiaie, alla vecchia Avanguardia Nazionale ritornando
ai metodi squadristici di attacco frontale contro i "rossi" che usavano una
volta.
Attilio Strippoli. Sulla falsariga di Mario
Merlino fonda il sedicente anarchico Gruppo Primavera mettendo insieme una decina
di studenti medi della Giovane Italia. Il gruppo - come del resto il 22 Marzo
di Merlino - ha una vita brevissima: dopo aver tentato inutilmente di prendere
contatti con i trotzkisti di Iniziativa Operaia, si scioglie e i suoi aderenti
tornano a militare nella Giovane Italia. Tentativi analoghi a quelli sopra descritti
avvengono, oltre che a Roma, anche a Milano, Napoli, Palermo, Reggio Emilia
e altre città. E' curiosa la "versione rurale" di queste iniziative: a Cave,
un paese a una sessantina di chilometri da Roma, feudo elettorale di Giulio
Caradonna e situato vicino a Artena, dove Junio Valerio Borghese ha un castello
e una tenuta, viene costituita la locale sezione del Fronte Nazionale. La propaganda
svolta tra i contadini, molti dei quali sono iscritti al PCI, avviene con la
diffusione del libretto rosso di Mao Tse Tung e con argomentazioni prese a prestito
dai giornali dei gruppi marxisti-leninisti. Promotore dell'iniziativa è un certo
Lippariti, intimo amico di Caradonna c di Borghese(41).
Domenico Pilolli (42) (Ordine Nuovo)
e Alfredo Sestili (Avanguardia Nazionale) entrano nel Partito
Comunista d'Italia marxista-leninista. Ambedue vengono scoperti e allontanati
come provocatori. Domenico Pilolli è molto amico della contessa F., moglie di
un colonnello del ministero degli Interni, che diffonde a Roma il bollettino
del partito neonazista tedesco NPD. Alfredo Sestili, che ha partecipato al viaggio
in Grecia con Mario Merlino, ha proposto spesse volte a vari militanti del P.C.
d'I. di compiere attentati dinamitardi. Tre mesi dopo l'espulsione dal partito
marxista-leninista, il 15 ottobre 1968 è stato arrestato assieme ad altri quattro
fedelissimi di Stefano Delle Chiaie per detenzione di esplosivi e per aver organizzato
attentati alla sezione comunista del Quadraro e a un cinema dove si proiettava
il film sui fratelli Cervi.(43)
Marco Marchetti.(44)Tornato dal viaggio
in Grecia, lascia Ordine Nuovo e entra nel comitato di base del movimento studentesco
del liceo Vivona. Scoperto e allontanato, rientra ad Ordine Nuovo e partecipa
alla ricostruzione di Avanguardia Nazionale. E l'elenco potrebbe continuare.
In generale la tattica usata è sempre la stessa: una volta infiltrati i fascisti
svolgono il doppio ruolo di informatori (a favore dei loro stessi camerati che
sono rimasti all'esterno, o della polizia, o di agenzie di stampa di destra)
e di provocatori. proponendo attentati e cercando di causare scontri con la
polizia. Ma anche quando non c'è infiltrazione, i fascisti tentano in tutti
i modi di confondere le acque: basta pensare al gruppo di Stefano Delle Chiaie
che si presenta alla manifestazione contro la visita di Nixon a Roma con i bracciali
delle guardie rosse. Un altro personaggio assiduo ai cortei organizzati dai
giovani di sinistra, il cosiddetto "Lupo di Monteverde", alias Buffa, ex legionario
e istruttore dell'associazione paramilitare Europa Civiltà, alternava la tuta
mimetica dei paracadutisti all'eskimo verde con il distintivo di Mao.
IV CAPITOLO
Controinchiesta -- Come è morto Giuseppe Pinelli - Anche a Milano serve un 22 Marzo - Perchè è morto Giuseppe Pinelli - Polizia e magistrature parallele - Le nuove accuse contro Pietro Valpreda - A proposito della testimonianza della soubrette Ermanna Ughetto in arte Ermanna River - A proposito della testimonianza di Gianni Samperi, attore comico disoccupato - A proposito della testimonianza di Benito Bianchi, macchinista teatrale - La spia del 22 Marzo - Il ruolo di Mario Merlino nell'inchiesta - Chi è Paolo Pecoriello - Chi è Bruno Giorgi - Chi è Giorgio Chiesa - Chi è Serafino Di Luia - Chi è Giancarlo Cartocci - Chi è Antonio Sottosanti - Fascisti italiani e greci - L'ESESI - Gli agenti dei colonnelli in Italia - Costantino Plevris, incaricato della "questione italiana" - Costantino Plevris in Italia prima delle bombe - Junio Valerio Borghese e il Fronte Nazionale - Rapporti con industriali e forze armate.
Premessa
Questo è il capitolo che ha fruttato a Strage di Stato il
maggior numero di querele. Si sono sentiti in dovere di querelarci Paolo Pecoriello,
Antonio Sottosanti, Giovanni Ventura, Pino Rauti e Junio Valerio Borghese. Portare
nel processo elementi importanti, per lumeggiare episodi noti e ignoti, sul
ruolo di questi signori è troppo impegnativo per poter fornire, qui,
delle anticipazioni. Ci limiteremo dunque a ricordare alcuni fatti di pubblico
dominio.
Due dei principali querelanti, Junio Valerio Borghese e Giovanni Ventura, sono
stati incriminati per reati che giungono alla cospirazione contro lo Stato:
Borghese per il mancato golpe del 7 dicembre scorso e Ventura, che per il PM
Vittorio Occorsio altro non era se non "un galantuomo calunniato",
per gli attentati sui treni.
Un altro dei fascisti citati, Giorgio Chiesa, è da mesi latitante; ma
non aveva querelato. Così Giancarlo Cartocci, che è risultato
immerso fino al collo nella vicenda di Ordine Nuovo al vaglio presso la magistratura;
anche lui per molti mesi ha preferito "cambiare aria" anche se poi,
come si è detto, è stato visto passeggiare per Milano con Stefano
Delle Chiaie.
Pino Rauti è stato indicato - si dice in una nota a questo capitolo -
come il probabile "signor P." del rapporto greco da cui risulta che
gli attentati alla Fiera sono stati organizzati per conto del governo fascista
di Atene. Qui il fatto nuovo è consistente: convocato come testimone
al processo di Milano contro gli anarchici accusati per gli attentati del 25
aprile, depone il giornalista inglese Leslie Finer. È lui che ha curato,
sull'Observer, la pubblicazione del rapporto greco (rapporto che è inserito
tra le appendici di Strage di Stato). "Il rapporto - ha detto Finer
- l'ho avuto nel dicembre del 1969 e mi è stato dato da una fonte che,
come giornalista, non posso citare; ma sotto giuramento posso dire che si tratta
di una persona che occupava, ad Atene, la più alta carica politica prima
dell'avvento del regime dei colonnelli" ...E il "signor P."?
Su questo, il giornalista inglese è stato lapidario e assolutamente chiaro:
"Ho saputo da fonti italiane che si tratterebbe del giornalista Pino Rauti".
Il quale Rauti poteva anche non arrivarci al processo per la strage di Milano,
è stato un vero miracolo se le due martellate che, mesi addietro, lo
hanno colpito alla testa l'hanno spedito soltanto all'ospedale e non al cimitero.
Scrive Lotta continua del 19 gennaio, commentando l'accaduto: "La stessa
notte in cui è stato "aggredito" Pino Rauti, si sono verificati
in città due rapine a benzinari, una violenza carnale e uno scippo ai
danni di un pensionato. Ci si vuole accusare anche di questo? (...) Interessati
come siamo ai retroscena della strage di Stato, ci spiacerebbe che proprio Paolo
Zanetov (dirigente di Ordine Nuovo, istruttore di karatè, finito
anch'egli all'ospedale, n.d.e.) e Pino Rauti non fossero in grado di prender
parte ad un processo, quello Valpreda, che si preannuncia così movimentato
e ricco di colpi di scena. Piuttosto, al loro posto, diffideremmo di tutti,
anche degli amici più intimi, e rifletteremmo sulla storia di Salvatore
Giuliano e del suo luogotenente Pisciotta, amaro apologo sulla fragilità
della fratellanza umana".
Andiamo avanti: gli altri momenti centrali del capitolo erano la ricostruzione
della morte di Pino Pinelli e le rivelazioni sui rapporti tra i colonnelli greci
e determinati ambienti italiani.
Questa nota introduttiva viene scritta il 15 settembre 1971. Ieri il procuratore
generale di Milano ha trasmesso al giudice istruttore gli atti del caso Pinelli,
chiedendo l'apertura di un'istruttoria formale nei confronti di Allegra e Calabresi
e la riesumazione del corpo di Pinelli, per una nuova perizia necroscopica.
Ciò avviene in seguito alla denuncia di Lucia Pinelli, depositata il
24 giugno, per omicidio volontario ed altri reati, contro Allegra, Calabresi,
il tenente dei carabinieri Lo Grano, ora promosso capitano e i brigadieri Panessa,
Caracuta, Minardi e Muccilli. In occasione della prima perizia venne negato
ai familiari un perito di parte. Quando, nel corso de processo Baldelli-Calabresi,
i difensori del giornalista chiesero una nuova perizia, la richiesta fu accolta
ma Calabresi chiese ed ottenne la ricusazione del giudice Biotti. Ora gli atti
sono al vaglio di quell'ufficio in cui lavora come stenografo un maresciallo
(all'epoca brigadiere) che fa parte della rosa degli indiziati. L'ufficio è
diretto dal giudice Amati, il noto ex-carabiniere specializzato nella caccia
all'anarchico; lo stesso che archiviò la prima inchiesta sulla morte
di Giuseppe Pinelli. A dire il vero, incriminare il questore per fermo illegale
e il commissario socialdemocratico per omicidio colposo è al di sotto
delle aspettative.
Ciò non impedisce all'Unità di esultare, e di tentare di
darsi il merito di tale "successo". Il fondista dell'organo del PCI
dimentica forse l'intervista all'Espresso di qualche mese fa, in cui
Giancarlo Pajetta, parlava di Pinelli come di un elemento forse estraneo alla
strage di Stato!
Per quanto riguarda i greci, e l'attività dei loro servizi segreti in
Italia, un caso drammatico ha confermato che essa si svolge regolarmente, senza
tregua. Si tratta della morte di Costantino Georgakis. Il giovane si uccise
a Genova, cospargendosi di benzina e dandosi fuoco, per sfuggire alle persecuzioni
delle spie del suo Paese. Si è cercato di far passare sotto silenzio
le cause della morte di Georgakis e in parte ci si è riusciti. La congiura
delle veline ha funzionato ancora una volta. Ma in occasione del processo Valpreda
dovrà venir fuori anche questo: dovrà necessariamente esserci
un seguito alla Strage di Stato. Il pregio di questo libro è stato
quello di lacerare il velo della mistificazione; il limite, inevitabile, è
stato quello di rendere pubblici tutta una serie di episodi sui quali i protagonisti
hanno potuto correre ai ripari. Ora che il velo è lacerato, non è
necessaria, ancora, una nuova clamorosa esibizione dei materiali raccolti, quelli
che completano il mosaico. Saranno forniti nel momento e nelle forme dovute,
ma in modo da non dar tempo per nuove ricuciture e per nuovi sotterfugi.
Come è morto Giuseppe Pinelli
E' circa la mezzanotte di lunedì 15 dicembre
1969. Un uomo discende lentamente lo scalone principale della questura di Milano
.Giunto nell'atrio dell'ingresso principale di via Fatebenefratelli si ferma
un momento, accende una sigaretta. E' indeciso, non sa se uscire, andarsene
a casa, oppure rimanere ancora qualche minuto, fare un ultimo giro negli uffici
della Squadra mobile che stanno lì di fronte a lui? dall'altra parte del cortile.
Sono giornate faticose queste per i cronisti milanesi e lui in particolare si
sente stanco, avvilito: si sa già che nella mattinata è stato arrestato un anarchico
di nome Valpreda; c'entrerà davvero con le bombe di Piazza Fontana? E poi nelle
camere di sicurezza della questura, nelle stanze al quarto piano dell'ufficio
politico ci sono ancora almeno un centinaio tra anarchici e giovani della sinistra
extraparlamentare che da tre giorni, dal venerdì delle bombe, sono sottoposti
a continui interrogatori.
L'uomo, Aldo Palumbo, cronista dell'Unità di Milano,
muove i primi passi per attraversare il cortile. E sente un tonfo, poi altri
due, ed è un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro,
rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per metà sul selciato
del cortile, per metà sulla terra soffice dell'aiuola. Palumbo rimane paralizzato
per qualche secondo al centro del cortile, poi si avvicina al corpo, ne distingue
i contorni del viso. E subito gridando corre a dare l'allarme, agli agenti della
squadra mobile, agli altri cronisti che sono rimasti in sala stampa quando lui
è uscito.
La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli
con la notizia del suicidio di Giuseppe Pinelli. Di questi giornali, quelli
che al momento dell'incidente avevano il loro cronista in questura, scrivono
che il suicidio è avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni seguenti. stranamente
questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a giorni
seguenti. stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo
si corregge a "circa mezzanotte", poi lo si sposta ancora indietro, sino ad
arrivare, a un tempo ufficiale: "Pinelli è morto alle ore undici e 57 minuti
del lunedì notte 15 dicembre".
Ai primi di febbraio, dall'inchiesta condotta dalla magistratura
trapela un particolare: la chiamata fatta quella notte dalla questura al centralino
telefonico dei vigili urbani per richiedere l'intervento di una autoambulanza
è stata registrata da uno speciale apparecchio e quindi si può stabilire con
certezza l'attimo esatto, che risulta essere mezzanotte e 58 secondi. Come dire
due minuti e due secondi prima della caduta di Pinelli, se si sta al tempo segnalato
da tutti i giornalisti che erano in questura quella notte. Si è trattato di
una svista collettiva e abbastanza clamorosa, per gente abituata ad avere delle
reazioni automatiche, professionali, quali il guardare per prima cosa l'orologio
quando avviene un incidente del genere? E' un fatto però che nel frattempo sono
successe due cose strane.
Qualche giorno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, due agenti
della squadra politica della questura si sono presentati al centralino telefonico
dei vigili urbani per controllare il momento esatto di registrazione della chiamata.
Cosa significa questo zelo del tutto gratuito dato che è la magistratura, e
non la polizia, che si occupa dell'inchiesta sulla morte di Pinelli? Perchè
preoccuparsi tanto dell'orario di chiamata dell'autoambulanza se le cose si
sono svolte così come sono state raccontate? La risposta potrebbe essere questa:
la chiamata è stata fatta prima che Giuseppe Pinelli cadesse dalla finestra.
Verso i primi di gennaio il giornalista Aldo Palumbo, la
prima persona che si è avvicinata a Giuseppe Pinelli morente nel cortile della
questura, trova la sua abitazione sottosopra. Qualcuno è entrato, ha rovistato
dappertutto, ha aperto i cassetti, rovesciato mobili, frugato negli armadi.
Ladri? Sarebbero dei ladri ben strani considerato che non rubano né le tredicimila
lire che erano in una borsa, e che pure devono aver visto poichè la borsa è
stata aperta, e neppure quei pochi gioielli nascosti in un'altra borsa, pure
trovata aperta. Due quindi le ipotesi: o gli ignoti cercavano qualcosa, qualcosa
collegato agli istanti in cui il giornalista fu vicino, e da solo, a Giuseppe
Pinelli morente: oppure si è trattato di un avvertimento, un monito a tenere
la bocca chiusa rivolto a chi, come Aldo Palumbo, poteva essere sospettato di
sapere qualcosa, forse di avere sentito mormorare da Pinelli, un nome, una frase.
Basterebbero questi primi, pochi elementi per formulare pesanti
sospetti sulla versione dell'anarchico morto suicida. In realtà ce ne sono molti
altri, e sono questi.
Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto
che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni Sottosanti la finestra dell'ufficio
politico: non si è dato quindi nessun slancio.
Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani
non presentano segni di escoriazioni non ha avuto cioè nessuna reazione a livello
di istinto, incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi
durante la "scivolata".
La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti
sulla meccanica del suicidio. La prima: quando Pinelli ha spalancato la finestra,
abbiamo tentato di fermarlo ma senza riuscirci. La seconda: quando Pinelli ha
spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente
riusciti, nel senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè
è scivolato lungo il muro. Ma questa versione è stata resa a posteriori, dopo
cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine
l'ultima, la più credibile, fornita "in esclusiva" il 17 gennaio al Corriere
della Sera: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di
fermarlo e uno dei sottufficiali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un
balzo "cercò di afferrarlo e salvarlo; in mano gli rimase soltanto una scarpa
del suicida". I giornalisti che sono accorsi nel cortile subito dopo l'allarme
lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le
scarpe ai piedi.
Poi la polizia fornisce due versioni contrastanti anche sul
movente del suicidio.
Primo: Pinelli era coinvolto negli attentati, il suo alibi per il pomeriggio
del 12 dicembre era crollato e sentendosi ormai perduto ha scelto la soluzione
estrema, gridando " è la fine dell'anarchia".
Seconda versione, fornita anche questa a posteriori, dopo che l'alibi era risultato
assolutamente valido: Pinelli, innocente, bravo ragazzo, nessuno di noi riesce
a spiegarsi i suo gesto. Dando questa seconda versione, la polizia afferma anche
che la tragedia è esplosa nel corso di un interrogatorio che si svolgeva in
un'atmosfera del tutto legittima, civile, e tranquilla, con scambio di sigarette
e altre delicatezze del genere.(45) L'anarchico Pasquale Valilutti, uno dei
tanti fermati che tra il venerdì delle bombe e il lunedì successivo hanno riempito
le camere di sicurezza della questura, ha fornito invece questa testimonianza:
"Domenica pomeriggio ho parlato con Pino (Pinelli) e con
Eliane, e Pino mi ha detto che gli facevano difficoltà per il suo alibi, del
quale si mostrava sicurissimo. Mi ha anche detto di sentirsi perseguitato da
Calabresi e che aveva paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un
funzionario si è arrabbiato perché parlavo con gli altri e mi ha fatto
mettere nella segreteria che è adiacente all'ufficio del Pagnozzi (un altro
commissario, come Calabresi, dell'ufficio politico: n.d.r.): ho avuto occasione
di cogliere alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori
per la notte. Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare al Pinelli
un trattamento speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione per
tutta la notte. Di notte il Pinelli è stato portato in un'altra stanza e la
mattina mi ha detto di essere molto stanco, che non lo avevano fatto dormire
e che continuavano a ripetergli che il suo alibi era falso. Mi è parso molto
amareggiato. Siamo rimasti tutto il giorno nella stessa stanza, quella dei caffè,
e abbiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto significative.
Io gli ho detto: " Pino, perchè ce l'hanno con noi? " e lui molto amareggiato
mi ha detto: " Sì ce l'hanno con me ". Sempre nella serata di lunedì gli ho
chiesto se avesse firmato dei verbali e lui mi ha risposto di no. Verso le otto
è stato portato via e quando ho chiesto a una guardia dove fosse mi ha risposto
che era andato a casa. Io pensavo che stesse per toccare a me di subire l'interrogatorio,
certamente il più pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo questa precisa
impressione. Dopo un po', verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come
di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando.
Dopo un pò di tempo c'è stato il cambio della guardia, cioè la sostituzione
del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito come delle sedie
smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando
"si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli:
mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma che non vi sono riusciti.
Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda,
facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in cui Pinelli
cascò. Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani
in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste
cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano
fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre
che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di
corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi
nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto (cioè la
stessa caduta di Pinelli: n.d.r.) Calabresi non è assolutamente passato per
quel pezzo di corridoio(46).
Dunque l'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli non è
stato così tranquillo come si è cercato di far credere, ed è falso anche che
al momento della caduta il commissario aggiunto Luigi Calabresi non fosse presente
nella stanza. Ma perchè queste menzogne? La risposta può essere trovata in un
articolo pubblicato dal settimanale Vie Nuove nelle settimane seguenti.
"Quando l'anarchico fu trasportato nella sala di rianimazione
dell'ospedale Fatebenefratelli non era in condizioni di coscienza. aveva un
polso abbastanza buono ma il respiro molto insufficiente, il che poteva essere
stato provocato da ragioni organiche (cioè il gran colpo dell'impatto col terreno
o qualcos'altro) oppure psicologiche (cioè lo stato di tensione precedente la
caduta: ma questa sembra un'eventualità meno valida). Il particolare che più
stupì i due medici fu che il corpo, almeno a un esame superficiale, non presentava
nessuna lesione esterna nè perdeva sangue dalle orecchie e dal naso, come avrebbe
dovuto essere se Pinelli avesse battuto violentemente al suolo con la testa.
"Una constatazione, questa, che fa sorgere subito un'altra
domanda in chi non ha mai voluto credere alla versione del suicidio: se è vero,
come sembra, che la necroscopia ha accertato una lesione bulbare all'altezza
del collo, quale si sarebbe potuta produrre battendo al suolo con il capo, come
mai orecchie e naso non sanguinavano nè il volto e la testa presentavano lesioni
evidenti? Per logica si arriva quindi a una seconda domanda: non è possibile
che quella lesione al collo fosse stata provocata prima della caduta? Come e
da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni
che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese
di colpire col taglio della mano, nota come karatè.
"Fossero stati interrogati, quei due medici (che hanno prestato
cure a Pinelli morente, n.d.r.) avrebbero potuto raccontare un altro episodio.
Quella notte del 16 dicembre, nell'atrio del Fatebenefratelli regnava una grande
confusione. Si era trasferito lì tutto lo stato maggiore della polizia milanese,
il questore Marcello Guida compreso. Ma la polizia era presente anche all'interno
della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita
Giuseppe Pinelli. Tranquillo, silenzioso, non molto turbato dalla vista dell'operazione
di intubazione orotracheale e di ventilazione col pallone di Ambù alla quale
l'anarchico veniva sottoposto, un poliziotto in borghese, camicia e cravatta,
baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò neppure
per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo, attento a raccogliere
ogni suo rantolo (...) Chi gli ha dato l'ordine di entrare nella stanza compiendo
un abuso di autorità che non è tollerato negli ospedali? e perchè è entrato,
che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?".
I risultati dell'autopsia, dalla quale sono stati esclusi
i periti di parte, non vengono resi noti. Di due medici - Gilberto Bottani e
Nazareno Fiorenzano - che hanno tentato di salvare Giuseppe Pinelli, solo il
secondo, e solo molte settimane più tardi, e solo dietro istanza dei legali
della moglie dell'anarchico, viene interrogato dal procuratore Giuseppe Caizzi,
il magistrato cui è affidata l'inchiesta che nel mese di maggio 1970 si concluderà
con un sibillino verdetto di "morte accidentale" (non suicidio quindi, se la
lingua italiana ha un senso. Ma allora la polizia ha mentito...).(47)
Subito dopo che il dottor Nazareno Fiorenzano è stato interrogato,
nel palazzo di Giustizia circola una voce secondo cui la polizia lo ha pesantemente
"avvertito" che il caso Pinelli è un caso da archiviare, e che perciò è meglio
che non si ponga troppi interrogativi. Ma cosa può aver notato o capito il medico
di guardia davanti al corpo di Pinelli morente? La testimonianza che egli rilascia
a un collega, prima di essere interrogato dal magistrato è questa:
1) Gli infermieri che raccolsero Pino Pinelli ebbero l'impressione che fosse già morto.
2) Il massaggio cardiaco esterno gli fu praticato da un infermiere di nome Luciano.
3) Solo eccezionalmente - e per lo più nei vecchi con scheletro rigido - il massaggio cardiaco può produrre incrinature alle costole.
4) Da quando fu raccolto e fino alla morte Pinelli non emise nè un lamento nè una parola.
5) Quando arrivò al pronto soccorso del Fatebenefratelli Pinelli non aveva polso, pressione e respirazione. Appariva decerebrato; ma il dr. Fiorenzano non ebbe l'impressione che la teca cranica fosse fratturata. Non perdeva sangue dagli occhi, dal naso e dalla bocca. Presentava un abrasione del cuoio capelluto come da colpo tangenziale. Presentava anche abrasioni alle gambe. Lesione bulbare? Mani intatte.
7) Pinelli fu intubato, sottoposto a ventilazione artificiale ed altre pratiche di rianimazione. Riebbe polso e pressione. Respiro periodico che confermerebbe lesione bulbare. Mancanza di riflessi, ecc. confermano che (parole testuali) "si trattava di un morto cui avevano ridato un po' di vita vegetativa". Rianimazione sospesa dopo 90'.
8) Il Dr. Guida arrivò tre minuti dopo Pinelli. Disse al Dr. Fiorenzano che doveva metterlo in condizioni di parlare perchè "fortemente indiziato". Quando il Dr. Fiorenzano gli disse che non poteva fare nulla contro l'irreparabile, ebbe l'aria di scusarsi e se ne andò.
9) Il Dr. Fiorenzano ignorava l'identità del ferito che non gli fu detta dai poliziotti. La sua insistenza per conoscerla irritò molto i poliziotti.
10) I poliziotti ripetevano, tutti con le stesse parole che si era buttato dalla finestra. Sembrava che ripetessero una formula.
Anche a Milano serve un 22 Marzo
La versione suicidio risulta tanto più incredibile
se si considerano le ragioni che avrebbero dovuto spingere Giuseppe Pinelli
a uccidersi. Non esistono ragioni soggettive (capo manovratore alle Ferrovie.
Pinelli era l'uomo sano, a posto fisicamente psicologicamente, con una vita
familiare solida, ecc), nè tanto meno ragioni obiettive. Il suo alibi è autentico.
e lui lo sa. Le minacce, i ricatti ai quali viene sottoposto per i primi due
dei tre giorni che egli passa in questura, dal venerdì delle bombe al lunedì
successivo, per Pinelli non sono una novità: è da settembre, dai giorni dello
sciopero della fame organizzato in solidarietà con gli anarchici imprigionati
per gli attentati del 25 aprile a Milano, che gli uomini della squadra politica
lo perseguitano, cercano di intimidirlo con lo spettro del licenziamento dalle
ferrovie, delle conseguenze che la sua militanza politica avrebbero provocata
alla famiglia. E anche il tentativo finale, mezz'ora prima del "suicidio", di
farlo sentire indirettamente coinvolto nella strage col dimostrargli che, come
risulta dal suo libretto chilometrico di ferroviere, lui ha compiuto un viaggio
a Roma nella notte tra l'8 e il 9 agosto e che pertanto può essere ritenuto
uno degli autori degli attentati ai treni, anche questo tentativo non dà nessun
risultato: Pinelli sa benissimo, come sa la polizia, come sanno tutti, che quelle
sono state bombe di marca fascista.
Eppure il tentativo viene fatto ugualmente, come ultimo ricatto
per fargli confessare qualcosa. qualche nome, qualche circostanza che alla polizia,
al commissario Luigi Calabresi preme molto: cioè quanto servirebbe a far scattare
il medesimo meccanismo che a Roma in quelle ore si è già chiuso sul gruppo anarchico
del 22 Marzo.
L'equivalente milanese del 22 marzo (inteso come retroterra
ambientale, politico e organizzativo nel quale sarebbe maturata la decisione
di compiere gli attentati) nelle intenzioni degli inquirenti e rappresentato
da un obiettivo molto più importante: qui non si tratta di quattro ragazzini
anarchici, se il colpo riuscisse si arriverebbe a mettere le mani addosso a
un personaggio e un ambiente di primo piano.
Il personaggio è Giangiacomo Feltrinelli. editore di sinistra:
discutibile sotto molti aspetti agli occhi della intelligenza marxista, tuttavia
per gli avversari, per il sistema, rappresenta uno dei simboli più noti della
contestazione e della rivolta, con le sue pericolose collane di libri e di opuscoli
a buon mercato in cui si predica la guerriglia e il "creare due, tre, molti
Vietnam", e si profetizza addirittura. nei giorni caldi del luglio 1969, "la
minaccia incombente di un colpo di stato all'italiana", ovverossia "le ragioni
e i modi con cui si tenterà di imporre un regime autoritario in Italia". Per
gli avversari, per il sistema, poter dimostrare che Giangiacomo Feltrinelli
è un estremista assassino di fatto, oltre che sui libri, significa non solo
spazzare via un pericoloso e incomodo editore di sinistra ma anche vibrare un
duro colpo ai seguaci non di Feltrinelli ma dei suoi libri.
Poi Feltrinelli è un grosso pesce da far cadere nella rete
per altri motivi. E' lui, infatti, che ha fornito un alibi ai suoi amici anarchici
Giovanni e Eliane Corradini, incarcerati per gli attentati del 25 aprile. Quindi
Feltrinelli porta ai Corradini, così come i Corradini portano agli anarchici.
E la soluzione dell'equazione a questo punto è elementare: il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici
è responsabile delle bombe di aprile come lo è di quelle bombe di dicembre;
o viceversa, come si preferisce.
Già il 18 dicembre, durante la conferenza stampa del questore
di Milano, il nome di Feltrinelli viene indicato tra i "possibili responsabili".
Il 19 viene perquisito il suo studio per ordine del giudice Antonio Amati (lo
stesso che in aprile ha mandato in galera gli anarchici), e il motivo ufficiale
è la ricerca di un volantino simile a quello rinvenuto nei pressi della bomba
esplosa il 1° aprile e che dovrebbe trovarsi adesso negli archivi della casa
editrice di via Andegari. Il Corriere della Sera riporta in prima pagina
la notizia della perquisizione, scrive che il nome di Feltrinelli, sussurrato
nei giorni precedenti, entra ora nell'orbita dell'inchiesta, e che la polizia.
già poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, aveva richiesto alla procura
l'autorizzazione "negata" a perquisire il suo studio. Da quel momento i giornalisti
borghesi, con alla testa La Notte di Pesenti, e quelli della catena
del petroliere Monti, scatenano una campagna di stampa che senza mezzi termini
crea la figura dell'editore dinamitardo. Si parla esplicitamente di Feltrinelli
come del finanziatore dei gruppi anarchici. Ma Feltrinelli non c'è: è all'estero
già da molti giorni, da prima che il ministero degli Interni ordinasse il ritiro
del suo passaporto.
Altri giornalisti, più o meno in buona fede, raccolgono e
fanno circolare una nuova versione, pericolosa quanto sottile che viene suggerita
direttamente dalla polizia: non si può dire che Feltrinelli sia il mandante:
in realtà è successo che lui, impulsivo e sprovveduto. aveva organizzato un
certo traffico di esplosivo destinato alla Resistenza greca, esplosivo che qualcuno
è riuscito invece, con un tranello, a far dirottare verso piazza Fontana. Tuttavia
questa ennesima provocazione, almeno questa, non riesce.
Perché è morto Giuseppe Pinelli
Per l'obiettivo di fornire anche a Milano una
"organizzazione" equivalente a quella romana del circolo 22 Marzo, Giuseppe
Pinelli è destinato a svolgere un ruolo molto importante durante l'ultimo interrogatorio
che si svolge nell'ufficio al quarto piano del commissario aggiunto Luigi Calabresi.
Il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici è stato prescelto
e "il Pino" deve servire a incastrarlo. Se dirà quello che si aspettano da lui,
il successo dell'operazione è assicurato. Pinelli sarà un teste credibilissimo
per la sua insospettabilità, per il rifiuto della violenza che ha sempre manifestato,
perchè è un personaggio autorevole tra gli anarchici. E' perciò il personaggio
che ci vuole per realizzare la fase conclusiva della manovra, i cui momenti
precedenti sono stati:
nel gruppo prescelto si sono tenuti certi discorsi, si è parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di Stato, ecc. (tutti argomenti che ormai vengono trattati anche nei salotti della borghesia progressista ma non importa; quel che conta, ai fini della complessa manovra, è che tali argomenti siano stati trattati anche in quel gruppo prescelto, perchè ciò è pregiudiziale;
nel gruppo si sono infiltrati dei provocatori-inforrnatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessità di passare dalla teoria alla pratica, ecc.;
nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui firma
è stata resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai li
avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica è già predisposta ad accettarlo
come quello dinamitardo per eccellenza.
A questo punto manca solo l'avallo di Giuseppe Pinelli. "Il Pino" è ritenuto
un emotivo che si può facilmente terrorizzare, e un ingenuo che si può facilmente
ingannare. L'interrogatorio si svolge secondo questo schema:
intimidazione ("il tuo alibi per il pomeriggio del 12 è caduto");
il tentativo di fiaccare la sua resistenza fisica e psichica (non lo lasciano nemmeno dormire, lo tengono costantemente "sotto pressione";
il tentativo di impaurirlo facendogli balenare la possibilità di essere coinvolto tra gli autori della strage.
Ma gli alibi reggono, la resistenza psico-fisica
del Pino anche. Allora la musica deve cambiare, si passa all'interrogatorio
pesante, quello coi "rumori di sedie smosse, come di una rissa", e gli vengono
contestati fatti, nomi, circostanze precise. Ma un interrogatorio di questo
tipo è una specie di boomerang, per chiedere bisogna per forza dire e il Pino,
che ascolta attentamente prima di rispondere, improvvisamente intuisce qualcosa.
Intuisce che si sta cercando di farlo cadere in una trappola, intuisce anche,
grazie proprio a quei nomi e a quelle circostanze che gli stanno contestando,
la funzione di provocatore svolta da qualcuno che si è infiltrato nel gruppo,
coglie il legame che intercorre tra il provocatore e qualcuno degli uomini che
lo stanno interrogando. E invece di tacere, invece di guadagnare tempo. emotivamente
parla, indignato minaccia, e chiede che certi nomi, certe sue affermazioni vengano
messe a verbale.
Fra chi lo interroga, non tutti hanno capito quello che Pinelli
ha capito. Ma un paio di persone certamente sì. E allora parte, fra i tanti
quel colpo decisivo che fa stramazzare Pinelli sulla sedia, gli fa perdere conoscenza.
Pinelli sta male (si chiama in quel momento l'autoambulanza?) Pinelli ha bisogno
d'aria. Bisogna avvicinarlo alla finestra, appoggiare il suo corpo inanimato
alla sbarra di ferro trasversale, bassa. Troppo bassa, non trattiene il Pino,
il Pino scivola giù nel vuoto.
Una disgrazia. Un malore prima e la disgrazia poi. Questa
all'incirca la versione che uno dei cinque presenti nella stanza (il commissario
Luigi Calabresi, i brigadieri Panessa, Mucilli, Mainardi, il tenente dei carabinieri
Sabino Lograno)(48) fornirà poi a un suo superiore. Questa versione, attraverso
un lungo giro, giunge anche a chi sta conducendo questa controinchiesta. E sarebbe
credibile, forse, se non vi fosse quella lesione bulbare nel collo di Pinelli,
se non vi fosse la sua totale mancanza di riflessi durante la "scivolata" lungo
il muro, indizio evidente che non si trattava di un uomo colto da malore ma
di un uomo inanimato.
Tuttavia credibile, forse, per chi era in quella stanza e
non ha saputo distinguere il colpo fatale vibrato sul collo del Pino, e non
ha capito perchè quel colpo è stato vibrato e perchè il Pino doveva cadere dalla
finestra.
Polizia e magistrature parallele
Per giustificare il "suicidio", il questore di
Milano afferma nella conferenza stampa tenuta quella notte stessa che il gesto
compiuto da Giuseppe Pinelli equivale a una "autoaccusa". Infatti gli anarchici
sono i colpevoli degli attentati. Pinelli è un anarchico e quindi, per sillogismo,
è colpevole anche lui.
Molto prima del questore Marcello Guida la stessa certezza
era stata espressa dal commissario Luigi Calabresi il quale, a poche ore dalla
strage, ha dichiarato che essa è "opera degli anarchici". Idem un magistrato,
il capo dell'ufficio istruzione Antonio Amati: in piazza Fontana non erano ancora
arrivate le prime ambulanze ed egli consigliava già alla polizia di "iniziare
subito le ricerche negli ambienti anarchici".
Così la polizia, così la magistratura, Ma sarebbe più esatto
dire: così una polizia, così una magistratura. Infatti se mai ha avuto un senso
parlare di polizie e magistrature parallele, qui ci sono alcuni esempi.
Il procuratore della Repubblica di Milano, Ugo Paolillo,
cui spetterebbe di condurre l'inchiesta perchè è il procuratore di turno nel
pomeriggio del 12 dicembre, non sembra d'accordo con la tesi degli "attentati
di sinistra". Sin dalle prime ore l'onesto magistrato protesta duramente contro
la polizia che procede alle retate negli ambienti anarchici e della sinistra
extraparlamentare, ammonendo che, qualora non fossero state rispettate le regole
formali dei fermi (quello di Giuseppe Pinelli è un esempio macroscopico di violazione:
viene trattenuto per tre giorni e tre notti in questura senza che il suo fermo
venga notificato al palazzo di Giustizia), egli avrebbe sconfessato il comportamento
della polizia. (un altro esempio clamoroso di questa frattura che inizialmente
esiste tra la questura e certi magistrati, è quello dell'anarchico Leonardo
Claps che, arrestato dalla polizia, viene rimesso in libertà per ordine del
procuratore della Repubblica, arrestato di nuovo è di nuovo scarcerato: e così
via).
Quando ancora l'inchiesta è affidata alla magistratura milanese
e al procuratore Ugo Paolillo in particolare. da Roma giunge il pubblico ministero
Vittorio Occorsio(49) che, "per ordini superiori" e scavalcando di fatto Paolillo,
procede ad alcuni interrogatori degli anarchici rinchiusi a San Vittore. Al
magistrato milanese frattanto i superiori hanno affiancato un nuovo verbalizzatore,
che ha ricevuto l'ordine di essere sempre presente agli interrogatori.
Verso la fine di dicembre l'inchiesta viene trasferita da
Milano a Roma, in sede più vicina al potere politico centrale. Ugo Paolillo
ritiene però doveroso continuare le indagini che ha iniziato e che lo stanno
portando a battere piste decisamente di destra, e in particolare quella che
dimostra come almeno un provocatore si sia infiltrato negli ambienti anarchici
milanesi per svolgere lo stesso ruolo di Mario Merlino nel circolo 22 Marzo.
Due sottufficiali dei carabinieri, forse agenti del SID, aiutano il procuratore
nel suo lavoro. Sino a quando, improvvisamente, uno dei due viene posto in pensione,
l'altro trasferito a La Spezia. Da quel momento su Ugo Paolillo, magistrato
che non crede alle versioni precostituite, cala il sipario.
La stessa cosa succede all'interno della polizia. Di fianco,
parallelamente al commissario Luigi Calabresi che punta diritto sulla colpevolezza
degli anarchici. vi è il dirigente dell'ufficio politico Antonio Allegra che
sembra avere qualche dubbio. Ai fermati delle prime ore egli chiede insistentemente
notizie di U.R. che risulta collegato ai fascisti del MAR della Valtellina,
e di Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista. Sottosanti è un ex legionario,
ex segretario della sezione milanese della pacciardiana Nuova Repubblica, molto
legato a tutte le organizzazioni dell'estrema destra extraparlamentare. Nell'ultimo
anno gli era riuscito ad infilarsi tra gli anarchici milanesi del Ponte della
Ghisolfa ed era entrato in contatto anche con Giuseppe Pinelli che gli conserva
i soldi della "Crocenera"(50) da recapitare in carcere a Tito Pulsinelli, anarchico
e amico personale del Sottosanti. Contemporaneamente però manteneva i contatti
con i fascisti e avvicinava ex capi partigiani proponendo loro incontri con
Pacciardi. Ai primi di gennaio Antonio Allegra sta ancora battendo questa pista
ed il giorno 11 parte da Milano in gran segreto per andare a interrogare Nino
il fascista in Sicilia, dove si è trasferito all'indomani della strage. L'interrogatorio
si svolge nella questura di Enna ma a fare domande non è il solo Allegra:
con lui è arrivato da Milano anche il brigadiere Vito Panessa, uno dei fedelissimi
di Luigi Calabresi che ha partecipato all'ultimo interrogatorio di Giuseppe
Pinelli. In quella stanza della questura di Enna, la situazione è paradossale,
se non altro da un punto di vista dell'ordine gerarchico: a verbalizzare c'è
un maresciallo, a porre domande il capo dell'ufficio politico milanese, ma chi
di fatto gestisce l'interrogatorio, scavalcando continuamente Allegra, è il
brigadiere Vito Panessa.
Le nuove accuse contro Pietro Valpreda
La morte di Giuseppe Pinelli è un imprevisto
che fa scricchiolare paurosamente tutta l'impalcatura delle accuse che si stanno
costruendo addosso a Pietro Valpreda e gli anarchici del 22 Marzo. Un suicidio
così non è incredibile, ma non credere nel suicidio vuol dire che la polizia
ha mentito, e se ha mentito in questa occasione perchè non dovrebbe aver mentito
anche in altre? Tutta l'inchiesta rischia di rimanere coinvolta, di non apparire
più attendibile di fronte all'opinione pubblica. Inoltre, la testimonianza del
taxista Cornelio Rolandi che ha inchiodato Pietro Valpreda dicendo che si tratta
dell'uomo con la borsa nera che egli ha trasportato in piazza Fontana mezz'ora
prima della strage, non basta più. Rolandi ha affermato, e la frase risulta
dal verbale, che il questore di Milano gli ha mostrato una unica fotografia
e gli ha detto che quello era l'uomo che "doveva" riconoscere.
Perciò bisogna correre in fretta ai ripari. A distanza di
88 giorni, la polizia milanese consegna al magistrato un vetrino giallo-verde,
del tutto simile a quelli usati da Pietro Valpreda per costruire le lampade
tiffany. Secondo la polizia il vetrino è stato trovato nella borsa che conteneva
la seconda bomba di Milano, quella della banca di piazza della Scala che non
è esplosa. Prima di allora, chi aveva avuto occasione di verificare il contenuto
della borsa (come il direttore della banca, il perito balistico Teonesto Cerri,
l'anarchico Sergio Ardau) (51) non si era accorto dell'esistenza di tale vetrino
che costituisce - scrivono trionfalmente i giornali di destra - la firma inequivocabile
lasciata dal disattento Pietro Valpreda.
Poi, a metà febbraio, ecco che spuntano i famosi "testi romani"
le persone cioè che sostengono che il sabato o la domenica dopo la strage Pietro
Valpreda era a Roma e non a Milano, come invece hanno sempre sostenuto la zia
Rachele Torri, la nonna Olimpia, la madre, la sorella e un'amica d'infanzia
di Pietro.
Per l'accusa i testi romani rappresentano una importante
"prova psicologica" perchè se Valpreda ha mentito sui due giorni successivi.
deve per forza avere mentito anche sul venerdì della strage: non a letto malato
in casa della zia Rachele, quel pomeriggio del 12 dicembre, ma in giro per Milano
col suo carico mortale da depositare nell'atrio centrale della Banca Nazionale
dell'Agricoltura.
Ma sono davvero credibili i testimoni romani?
A proposito della testimonianza della soubrette Ermanna Ughetto in arte Ermanna River
Il 28 gennaio 1970 il settimanale Gente,
sotto il titolo "Le amiche raccontano la vita amorosa di Valpreda", pubblica
un'intervista con l'Ermanna Ughetto nella quale la ragazza, che ha avuto con
l'anarchico un breve flirt durante l'estate, afferma di averlo incontrato l'ultima
volta "una ventina di giorni prima" della strage di piazza Fontana. Valpreda
l'aveva aspettata al termine dello spettacolo del cinema varietà Ambra-Jovinelli,
l'aveva accompagnata prima in trattoria e poi sino alla porta della pensione
dove inutilmente le aveva chiesto di poter passare la notte con lei.
E' lo stesso episodio che Ermanna Ughetto, due settimane
più tardi, riferisce al magistrato. Ma stavolta con la data spostata: non più
"una ventina di giorni prima" della strage, ma all'indomani di essa, la sera
del 13 o 14 dicembre, lei si è incontrata con Valpreda.
La mascherina del cinema-varietà Letizia Bollanti, sostiene
che l'incontro tra Pietro Valpreda e Ermanna Ughetto è avvenuto verso gli ultimi
giorni di novembre ma il magistrato non le dà retta. E lo stesso sostengono
i camerieri della trattoria Ciarla, dove Valpreda e la soubrette hanno cenato:
ma non risulta che siano stati interrogati dal giudice istruttore.
A proposito della testimonianza di Gianni Sampieri, attore comico disoccupato
Gianni Sampieri, vecchio attore senza lavoro,
monarchico (il padre recitò una volta in presenza di sua maestà), passa le sue
giornate nel bar accanto al cinema-varietà. Dal verbale risulta che la sera
di sabato 13 è seduto nella trattoria Ancora. vicino al Cinema Jovinelli. Entra
Valpreda con un giovane (dalla descrizione risulta essere l'anarchico Angelo
Fascetti). Valpreda ha un occhio gonfio: ci scherzano sopra. Parlano un po':
Valpreda gli dice che tra qualche giorno partirà per Milano, dove spera di trovare
lavoro. Poi escono insieme, lui, Valpreda, e il giovane, e vanno nel bar vicino,
all'angolo di via Turati.
Ma Gorizia Palluzzi, proprietaria della trattoria Ancora,
che conosce Valpreda da sei anni, ricorda perfettamente che l'anarchico è entrato
nel suo locale per l'ultima volta il 3 o 4 dicembre in compagnia di un certo
Angelino, cioè Angelo Fascetti. E il suo racconto concorda perfettamente con
quanto Valpreda ha dichiarato durante uno dei primi interrogatori. La donna
per quattro volte ha ripetuto la sua testimonianza al giudice ma non è stata
creduta.
Anche il cameriere dell'Ancora (il quale però non risulta
sia stato interrogato dal giudice istruttore) conferma di avere visto l'anarchico
solo una diecina di giorni prima degli attentati, seduto al tavolo del comico
Sampieri.
A proposito della testimonianza di Benito Bianchi, macchinista teatrale
"Era domenica 14 dicembre. Lo ricordo perchè ero stato a Firenze
a vedere Fiorentina-Roma. Valpreda entrò nel bar assieme al comico Sampieri
e a un suo amico. Ci fermammo un pò a chiacchierare di sport e controllammo
i risultati del totocalcio. Poi ci salutammo". Questo dichiara Benito Bianchi,
un teste giudicato insospettabile dall'accusa perchè è iscritto al PCI.
Eppure Leo Rossellini, un avventore del bar che secondo Benito
Bianchi è stato presente al colloquio con Valpreda, interrogato dal magistrato
ha smentito la circostanza. Lo stesso fa Angelo Fascetti, l'amico anarchico
di Valpreda. Non appena legge le dichiarazioni dei testi romani, Fascetti chiede
di essere ricevuto dal giudice istruttore Cudillo. Gli dice che il loro incontro,
prima col comico Sampieri, poi con Benito Bianchi, risale a molti giorni prima
del 14 dicembre A quando cioè Pietro Valpreda aveva ancora l'occhio nero, provocato
durante una rissa avvenuta verso la metà di novembre nella trattoria Mariòs
di Trastevere. Il livido ai primi di dicembre era sparito completamente. Inoltre
la partita di calcio di cui avevano discusso non era Fiorentina-Roma bensì Inter-Lazio,
giocata il 30 novembre. Ma il giudice Cudillo licenzia Angelo Fascetti senza
far mettere a verbale le sue dichiarazioni.
***
***
La spia del 22 Marzo
Chi, per assurdo, ritenesse Pietro Valpreda e
gli anarchici del 22 Marzo colpevoli degli attentati, dovrebbe concludere logicamente
che con loro è responsabile la polizia romana, dato che essa è sempre stata
minuziosamente informata da una spia circa le attività degli anarchici.
La presenza di questa spia nel circolo di via del Governo
Vecchio è stata, dopo lunga reticenza, ammessa ufficialmente dai funzionari
dell'ufficio politico, i quali tuttavia si sono ancora per molto tempo rifiutati
di rivelarne il nome allo stesso magistrato sebbene ciò non fosse consentito
dalla legge (la norma "protezionistica" introdotta da Scelba per cautelare i
confidenti non era applicabile in questo caso giacchè non è estesa ai poliziotti
in servizio). E a quanti avanzano l'obiezione di cui sopra, e cioè che la polizia
doveva essere stata informata dalla sua spia di quanto gli anarchici andavano
architettando, si è dapprima risposto che ciò era impossibile dal momento che
la spia aveva cessato di frequentare il circolo dal mese di settembre. Poi si
dice che Andrea non potè sapere delle bombe perchè negli ultimi tempi gli anarchici
non si fidavano più di lui e lo lasciavano in disparte.
Ma tutto ciò è falso.
La spia si chiama Salvatore Ippolito, calabrese, sedicente
studente, in realtà agente scelto di P.S., con residenza a Genova ma da tempo
domiciliato a Roma presso una pensione. Si introduce tra gli anarchici del Bakunin
nell'aprile 1969. Nel mese di settembre Salvatore Ippolito, che si fa chiamare
Andrea il genovese ha lasciato la pensione ma continua a frequentare assiduamente
il 22 Marzo fino al 14 dicembre. Questo può essere provato da diverse testimonianze
dirette e indirette (queste costituite dal fatto che agli anarchici continuamente
fermati in quel periodo venivano contestate delle frasi, precise alla lettera,
che essi avevano pronunciato durante le loro riunioni: tanto precise che più
volte il circolo fu messo sottosopra alla ricerca di eventuali microfoni installati
dalla polizia). Tra le testimonianze dirette vale la pena di citarne almeno
una: "Verso le ore 22 di martedì 9 dicembre, tre giorni prima degli attentati,
Pietro Valpreda, Emilio Bagnoli, Emilio Borghese e altri anarchici del 22 Marzo
si incontrano con alcuni studenti di un collettivo romano che stanno preparando
un libro bianco sulla repressione in Italia. Tra gli anarchici c'è anche Andrea
il genovese, alias Salvatore Ippolito, spia della polizia".
Questa testimonianza (come innumerevoli altre) smentisce
recisamente sia l'una che l'altra delle giustificazioni che si è preteso di
dare al fatto che la spia del 22 Marzo nulla seppe e nulla riferì delle bombe
che stavano per scoppiare.
"Andrea" infatti era sempre insieme a Valpreda e ai suoi
compagni e ancora nel pomeriggio dell'11 dicembre si trovava nella sede del
22 Marzo, in via del Governo Vecchio, quando a Macoratti - recatovisi dopo le
17,30 per vedere Valpreda - Bagnoli disse che il Pietro era appena andato via,
in partenza per Milano.
Il ruolo di Mario Merlino nell'inchiesta
La notte del sabato dopo gli attentati, l'anarchico
Enrico Di Cola viene interrogato nella questura di Roma. Gli chiedono di denunciare
Pietro Valpreda "perchè a loro serve un responsabile per la strage di Milano".
Di Cola rifiuta. Insistono, prima offrendogli dei soldi poi minacciandolo. Un
sottufficiale gli passa davanti alla faccia un tagliacarte d'acciaio e un altro,
mentre il funzionario che conclude l'interrogatorio è uscito dalla stanza, dice
all'anarchico: "Guarda che possiamo farti fuori quando e come vogliamo. Tanto
fuori di qui non sapranno mai come sei morto...".
Qualche giorno dopo Enrico Di Cola viene rilasciato. Poi
ci ripensano, lo vogliono arrestare di nuovo ma Di Cola riesce a far perdere
le proprie tracce e sino ad oggi è rimasto latitante.
Uno che invece non fa difficoltà a riferire circostanze che
si tramutano immediatamente in atti di accusa contro Valpreda e i suoi compagni
del 22 Marzo, è Mario Merlino. E' stato fermato come gli altri verso le sette
di sera del venerdì, appena un'ora e mezzo dopo l'esplosione dell'ultima bomba
romana all'Altare della Patria. Siccome il primo alibi ("ero a casa mia") non
è stato confermato dalla madre, Merlino ne ha fornito un altro: "Avevo un appuntamento
alle ore 17 in casa della signora Minetti in via Tuscolana 552 con il mio amico
Stefano Delle Chiaie. Non lo trovai. Restai con i figli della Minetti, Riccardo
e Claudio...".
Merlino comincia a denunciare gli anarchici già nel secondo
interrogatorio di sabato mattina: "Il 28 novembre, a Santa Maria Maggiore, durante
il concentramento degli studenti, Roberto Mander mi chiese di procurargli dell'esplosivo".
"Il 10 o 11 c.m. incontrai Mander in via Cavour. alle ore 20. Ci confermò quello
che mi aveva detto Borghese e cioè che tenevano un deposito d'armi e munizioni
sulla via Casilina..." (non e mai stato trovato n.d.a.). "Stamane in questura
quando ho visto Mander e gli ho detto che il Commissario mi aveva contestato
l'esistenza del deposito (invece è stato Merlino a parlarne col commissario,
n.d.a.), egli ha esclamato "Sanno anche questo" "Il Borghese mi riferì del deposito
al 22 Marzo il 9 o l0 dicembre. Pensai che volesse farmi unire a lui ed agli
altri per qualche azione. Io gli dissi che non mi sembrava il caso di parlare
di queste cose".
Nel terzo interrogatorio del 19 dicembre. Mario Merlino fa
notare al pubblico ministero Vittorio Occorsio che il motto di Valpreda era
"bombe sangue anarchia". Poi, suggerisce che "forse la conferenza al 22 Marzo
(alla quale hanno partecipato gli altri imputati romani. e che costituisce il
loro alibi per il pomeriggio del 12 dicembre, n.d.r.) fu fatta per avere una
copertura per gli attentati".
Il 9 gennaio quando v iene interrogato dal giudice istruttore
Ernesto Cudillo, Merlino è costretto ad ammettere di avere partecipato al famoso
viaggio in Grecia. Però, spiega "ci andai perchè era gratuito, nonostante non
avessi mai svolto propaganda a favore dei colonnelli", e precisa che "non ci
furono conferenze e non fummo ricevuti da personalità" (ma l'incontro dei fascisti
italiani con il ministro Patakòs è documentato in una serie di fotografie).
Da quel giorno di gennaio Mario Merlino non è più stato interrogato.
Eppure se solo il magistrato avesse insistito di più, magari prendendo lo spunto
dalle due curiose circostanze di un anarchico che va in visita ufficiale nella
Grecia dei colonnelli e che si fa fornire un alibi dai figli di una donna, Leda
Minetti, che da dieci anni è l'amica del più noto boss del neofascismo romano
Stefano Delle Chiaie, avrebbe potuto ricostruire facilmente il personaggio Mario
Merlino, così come è stato fatto nelle pagine precedenti di questo libro. E
partendo da lui, da questo Merlino fascista infiltrato fra gli anarchici, il
giudice avrebbe anche potuto delineare questi profili di fascisti, per accorgersi
che si tratta di tante tessere di un mosaico al cui centro si trova la strage
del 12 dicembre 1969.
Chi è Paolo Pecoriello
Paolo Pecoriello, 25 anni. Nel 1964 partecipa
al "Convegno romano della gioventù nazionale" come delegato, assieme a Mario
Merlino, della sezione del MSI Istria e Dalmazia. Diventa un militante
dell'Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie ed è sempre in prima fila
nelle più importanti azioni squadristiche. Nel 1965, con il finanziamento dei
Comitati Civici, organizza una squadra che imbratta i muri delle chiese di Terni
con falci e martello e scritte blasfeme(52). Partecipa, nella primavera 1968,
al viaggio premio nella Grecia dei colonnelli. L'8 agosto 1968 si trasferisce
da Roma, dove è stato ospite del convento dei padri Serviti di Santa Maria,
a Reggio Emilia, dove è di nuovo ospite dei padri Serviti nel loro convento
della Ghiara retto da padre Gabriele Rocca noto perchè ogni anno celebra messe
in suffragio di Mussolini e dei caduti della Repubblica di Salò.
A Reggio Paolo Pecoriello è ufficialmente impiegato negli
uffici del Commissariato della Gioventù Italiana; in realtà ha il compito
di "fare opera di agitazione politica", come dichiarerà lui stesso in un verbale
di polizia. Ai primi di settembre fonda una sezione di Avanguardia Nazionale.
In tutta la città compaiono svastiche e rune, accompagnate da scritte "Viva
l'esercito". L'onorevole Franco Boiardi del PSIUP e il professor Corrado Corghi
della sinistra cattolica vengono aggrediti e malmenati dai fascisti di Avanguardia
Nazionale.
Il 14 novembre Pecoriello e Graziano Zannoni, dell'organizzazione
clandestina fascista dei Figli del Sole, incendiano la libreria Rinascita di
Reggio: la benzina, 15 litri, è stata consegnata da padre Paolo Bagnacani, amministratore
del convento della Ghiara. Arrestati e processati, i due sono condannati a quattro
mesi con la condizionale. Allontanato dal convento Paolo Pecoriello viene ospitato
nel pensionato Artigianelli in via don Zefferino Jodi, di proprietà delle ACLI
reggiane. Licenziato dalla Gioventù Italiana, trova lavoro presso la ditta di
lampadari Righi di Villa Rivalta.
Nel maggio '69 organizza la sezione reggiana dei GAN (via
dell'Abadessa), i Gruppi di Azione Nazionale promossi dal direttore del settimanale
fascista Il Borghese, Mario Tedeschi, e dal senatore missino Gastone
Nencioni.(53) Nel luglio è tra gli organizzatori di un campeggio paramilitare a Cervarezza,
sull'Appennino Reggiano. L'iniziativa è stata decisa in una serie di riunioni
che si sono svolte a Rimini agli inizi dell'estate. I fondi necessari, 3 milioni
di lire, sono forniti da alcuni industriali zuccherieri di Ravenna. La federazione
comunista di Rimini, venuta a conoscenza del fatto, provoca un'interpellanza
alla Camera dei deputati e i carabinieri intervengono per vietare il campeggio
a soli quattro giorni dal suo inizio.
Gli abitanti del paese di Busana, vicino a Cervarezza, hanno
sentito echeggiare colpi e raffiche di armi automatiche ma non risulta che i
carabinieri ne abbiano sequestrate o abbiano svolto indagini.
Nell'autunno Paolo Pecoriello, assieme a un fascista di Reggio,
Maurizio Faieti, fonda il Movimento nazionalproletario Corridoni che diffonde
davanti alle fabbriche volantini di contenuto vagamente anarco-sindacalista.
Nello stesso periodo Pecoriello cerca di prendere contatti con l'Unione dei
Comunisti Italiani marxisti-lenisti ma viene respinto.
In novembre, nella sede dei GAN in via dell'Abbadessa, partecipa
a un incontro tra fascisti locali e il presidente del Fronte Nazionale, Junio
Valerio Borghese (un secondo incontro avverrà alla fine di gennaio 1970). Pecoriello
si vanta in pubblico di avere ottimi rapporti con il commissario Saviano della
questura di Reggio, al quale si rivolge dandogli del tu.
Un giorno di fine gennaio '70, Pecoriello smarrisce in un
bar di Reggio un opuscolo dal titolo "La giustizia è come il timone: dove la
si gira, va" firmato Fronte Popolare Rivoluzionario.(54) L'opuscolo, diffuso
clandestinamente in un migliaio di copie, è stato pubblicato dall'editore-libraio
di Treviso Gianni Ventura (autore anche della rivista nazista Reazione.
Il frontespizio suonava così "Per una visione del Mondo che s'ispiri ai principi
aristocratici dell'Autorità dell'Onore della Gerarchia della Fedeltà: questi
sono i termini della lotta reazionaria e nazionale-rivoluzionaria). Nel febbraio
1970 l'editore Ventura è stato denunciato da un suo amico come finanziatore,
assieme ad altre due persone, degli attentati dinamitardi avvenuti sui treni
nel mese di agosto e per aver affermato che davanti alle bombe del 12 dicembre
si è "tirato indietro, preoccupato per la strage che avrebbero provocato".(55)
Paolo Pecoriello è partito da Reggio Emilia a bordo della
sua "500" giovedì 11 dicembre, giorno precedente gli attentati, e ha fatto ritorno
alle ore 8 di sera di sabato. Al direttore del pensionato ACLI ha detto di essersi
recato a Roma per visitare certi parenti. Un mese dopo, alla redazione in un
settimanale romano è giunta una lettera anonima proveniente da Casina, un comune
della provincia di Reggio. La lettera diceva: "L'autore di uno degli attentati
di Roma è un fascista romano residente a Reggio Emilia".
Chi è Bruno Giorgi
Bruno Giorgi, 28 anni. Romano, si è trasferito
a Reggio Emilia verso la fine del 1968. Il suo nome compare nell'agendina di
Mario Merlino. Compie frequenti viaggi in Germania e Romania, spesso ha dichiarato
di avere contatti con un gruppo clandestino di anticomunisti rumeni che si ispirano
alle Guardie di Ferro di Antonescu, un movimento collaborazionista di nazisti
nato durante l'occupazione.
Bruno Giorgi ufficialmente non lavora ma conduce un tenore
di vita abbastanza elevato ed è proprietario di una Fiat 2300 carrozzata Viotti.
Abita in via Doberdò, dove riceve numerose visite da fuori Reggio. E' in contatto.
come Mario Merlino, con gli ambienti della destra cattolica di Vicenza e in
particolare coi Comitati Civici. Anche lui ha partecipato all'organizzazione
del campeggio paramilitare di Cervarezza (vedi Paolo Pecoriello).
La sua attività politica si svolge all'interno del GAN, i
Gruppi di Azione Nazionale. E' collegato al movimento di estrema destra Pace
e Libertà di Rimini, fondato nel 1948 dall'ex giornalista dell'Unità Luigi Cavallo.
espulso dal partito comunista come agente della CIA. Il responsabile attuale
di Pace e Libertà è un certo Tassinari, ex insegnante di scuola media, buon
amico dell'avvocato missino Giuseppe Pasquarella e di alcuni esponenti riminesi
del PSU. Tassinari compie frequenti viaggi a Firenze, dove è in contatto con
un funzionario dell'USlS (United States Information Service). E' stato anche
un promotore dei Comitati Civici di Rimini.
Nell'inverno '69 Bruno Giorgi ha condotto da Parigi a Milano,
a bordo della sua auto, due rappresentanti dell'OAS francese che sono intervenuti
alla manifestazione dei fascisti europei svoltasi al cinema Ambasciatori. La
rivista comunista Reggio 15 lo ha denunciato detentore di armi da guerra.(56)
Il 21 gennaio 1970 ha partecipato alla riunione promossa
dall'ex partigiano Rolando Maramotti per fondare il Movimento di Democrazia
Maggioritaria. Presenti noti avanguardisti locali come Maurizio Faieti, il segretario
del MSI di Trento Springhetti, Mario Salsi capo della sezione reggiana dei Partigiani
Cristiani (nati nel 1948 da una scissione dell'ANPI, promossa e finanziata dall'ENI).
Nella lettera di convocazione della riunione era assicurata anche la presenza
del dottor Grasselli, presidente dell'Associazione Industriali di Reggio. Durante
la riunione si era discusso di organizzare un nuovo campeggio paramilitare di
tipo "mobile", che partendo dall'Appennino avrebbe dovuto trasferirsi per tappe
sino in Austria e in Germania. Bruno Giorgi si è preso l'incarico di mantenere
contatti con ufficiali dell'esercito italiano che gli avrebbero assicurato -
secondo quanto egli ha affermato - la fornitura di tende, e di 5 camion, qualche
campagnola e una cucina da campo.
Alla fine di gennaio Bruno Giorgi ha partecipato alla riunione
con Junio Valerio Borghese che si è svolta nella sede reggiana dei GAN di via
dell'Abbadessa.
Giovedì 11 dicembre, vigilia degli attentati di Milano e
Roma, è partito in auto da Reggio ed è rimasto assente alcuni giorni.
Chi è Giorgio Chiesa
Giorgio Chiesa, 27 anni. Nel 1965 se ne va da
Parma, sua città natale, e ritorna dopo tre anni raccontando di essere stato
prima nella Legione Straniera e poi mercenario in Congo. Lavora alle dipendenze
di un avvocato missino di Piacenza, quindi si trasferisce a Milano. Gira armato
di pistola calibro 7,65 perchè, dice, è stato assunto come guardia del corpo
del senatore Gastone Nencioni. Tra il 9 e il 12 febbraio 1969, assieme ai fascisti
Bruno Spotti e Paolo Maini, lancia bottiglie molotov contro la sede del PSIUP,
la Camera del Lavoro e l'Associazione Partigiani di Parma. Nel marzo '69 si
trasferisce a Rimini dove frequenta Adolfo Murri, attivista di Ordine Nuovo,
Ennio Magnani attivista del movimento Pace e Libertà e amico di Serafino Di
Luia, e l'avvocato missino Giuseppe Pasquarella amico di Caradonna e Romualdi,
del Tassinari di Pace e Libertà e dell'avvocato Cavallari della pacciardiana
Nuova Repubblica (intervistato nell'aprile di quest'anno da un giornalista di
Panorama, l'avvocato Pasquarella ha profetizzato che in Italia "sta
per avvenire qualcosa di grosso, per merito del PSU e del suo capo").(57)
Giorgio Chiesa fa frequenti viaggi tra Roma e Milano. Ai
primi di aprile '69, assieme ad altri quattro fascisti che indossano come lui
tute mimetiche e caschi, fa irruzione nel manicomio di Colorno occupato da medici
e malati. Sono tutti armati di pistole lanciarazzi e bottiglie molotov ma vengono
ugualmente respinti. Per sfuggire ai loro inseguitori i fascisti si rifugiano
nella questura di Parma, da dove escono qualche ora più tardi in abiti civili.
La mattina dopo, alle 6, sono davanti alla facoltà di Scienze, occupata, a sparare
razzi contro le finestre.
A metà aprile, a Rimini, Giorgio Chiesa marcia assieme all'avvocato
Pasquarella, al capo dei Volontari del MSI Alberto Rossi e a Nestore Crocesi,
alla testa di una spedizione punitiva contro i "rossi", al termine di un comizio
del missino Romualdi. (Nestore Crocesi è il braccio destro dell'avvocato Pasquarella.
Ha due residenze, a Rimini in via Clementina, e a Milano in via Albricci. Tre
giorni prima degli attentati sui treni e del 9 agosto, Crocesi è partito da
Rimini. Anche il 9 dicembre 1969 è andato a Roma a bordo della sua auto Fulvia
coupè, ma già un'ora dopo la strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura era
a Milano, a arringare la folla di piazza Fontana.(58) Poco dopo, con altri fascisti,
ha aggredito il senatore comunista Giuseppe Maris).
Ai primi di maggio 1969, Giorgio Chiesa è di nuovo a Milano.
Dorme nella pensione Sicilia di via San Maurillo, è in contatto con Antonio
Sottosanti detto Nino il fascista (infiltrato tra gli anarchici) e Gian Luigi
Fappani (infiltrato, per conto del SID, nel movimento studentesco).(59) Economicamente
il Chiesa se la passa piuttosto male. Va per qualche giorno a Rimini da dove
ritorna con un passaporto falso, una lettera di raccomandazione firmata da un
colonnello dell'esercito e indirizzata ai "camerati spagnoli", e un grosso rotolo
di biglietti da 10.000 lire dice che deve fare un lavoro che, se va bene, gli
frutterà altri soldi e parla con molto timore dei suoi "superiori" ("se mi ordinassero
di ammazzare mio figlio lo farei: con quelli non si scherza"). A Gian Luigi
Fappani confida che quelli di Rimini, tra cui c'è un avvocato del quale non
vuol fare il nome, sono disposti a pagare bene se "buttiamo le bombe nei posti
giusti, spaventiamo la gente e facciamo cadere il governo". Nella casa di Fappani
confezionano assieme dei congegni elettrici con innesco a tempo che Chiesa prende
in consegna "per metterli al sicuro in casa di un amico". In quei giorni è ospite
di Serafino Di Luia (appena ritornato da Francoforte con una Volkswagen targata
Germania e molti soldi) nella casa che il boss del neofascismo romano ha affittato
sopra la sede della CISNAL milanese di via Torino 48. Con i due stanno Nino
Sottosanti e un certo Ercolino, sardo disoccupato, appartenente alle SAM (Squadre
d'Azione Mussolini).(60)
Il 25 luglio, nel palazzo di Giustizia di Milano, viene rinvenuto
un ordigno esplosivo a orologeria. Giorgio Chiesa e Di Luia non sono più in
città. Nella notte tra 1'8 e il 9 agosto, nove attentati sui treni. Il capo
della polizia Vicari afferma che si tratta di ordigni dello stesso tipo di quello
trovato inesploso nel palazzo di Giustizia a Milano. Gian Luigi Fappani va dicendo
in giro che lui sa chi sono i dinamitardi e viene interrogato dalla polizia.
Più o meno i congegni usati per gli attentati sui treni sono simili a quelli
che Fappani ha confezionato tempo prima con Giorgio Chiesa: le pile e i contenitori
sono gli stessi che hanno acquistato alla ditta Rime e in un negozio vicino
a piazza Fontana (tuttavia di questi attentati verranno incolpati gli anarchici
e lo stesso Giuseppe Pinelli, durante il suo ultimo interrogatorio).(61) Chiesa
e Di Luia, ricercati dalla polizia secondo quanto dichiarato da alcuni quotidiani,
sono scomparsi: il primo è a Parigi, il secondo viene segnalato a Rimini e quindi
a Milano. insieme ad un certo Victor Pisano.(62) Nessuno pensa invece di fermare
Nino Sottosanti.
Attualmente Giorgio Chiesa dovrebbe trovarsi in Spagna, forse
in carcere per reati comuni. Serafino Di Luia, ufficialmente in Germania, è
stato segnalato in più occasioni a Milano e a Roma. Nino Sottosanti a Piazza
Armerina in Sicilia. Gian Luigi Fappani han tentato di suicidarsi il 3 giugno
1970. Come Giorgio Chiesa, Fappani era balzato agli onori della cronaca al tempo
del giallo di Parma: ambedue erano stati indicati come i sicari assunti da Tamara
Baroni per uccidere la contessa Bormioli. Fappani, in marzo, doveva essere l'autore
di una provocazione organizzata dal giornalista del Borghese Piero
Cappello e da un dirigente del MSI milanese, Alberto Tanturri. In cambio di
soldi, passaporto e un lavoro in Francia. avrebbe dovuto fare clamorose rivelazioni
a dei giornali di sinistra, dimostrando come i fascisti fossero implicati in
una serie di attentati: salvo poi ritrattare il tutto e permettere alla stampa
di destra di montare una grossa speculazione sui sistemi usati per incolpare
i fascisti. La provocazione di Fappani però non è riuscita.(63)
Chi è Serafino Di Luia
Serafino di Luia, 26 anni, numero due dopo Stefano
Delle Chiaie dello squadrismo neofascista romano, abbondantemente descritto
nelle pagine precedenti. Per sei mesi, tra l'autunno del '67 e la primaverà68
ha soggiornato a Monaco di Baviera, nota centrale assieme a Francoforte del
neonazismo tedesco. Subito dopo, anche se in forma non ufficiale, ha partecipato
con Mario Merlino e gli altri fedelissimi dei colonnelli Greci al viaggio-premio
ad Atene. Al ritorno collabora al tentativo fallito di Mario Merlino di fondare
il circolo pseudoanarchico XXII Marzo. Organizza poi il nazi-maoista Movimento
Studentesco di Giurisprudenza che si trasforma, per maggiori esigenze mimetiche,
in Movimento Studentesco Operaio d'Avanguardia ed infine in Lotta di Popolo.
Si trasferisce a Milano ai primi del '69, abita in un abbaino
sopra la sede della CISNAL e fonda la sezione milanese di Lotta di Popolo, con
sede in via De Amicis. In aprile è a Monaco, negli stessi giorni in cui vi si
trova un amico dell'editore neo-nazista di Treviso Giovanni Ventura. Con Giorgio
Chiesa è a Rimini agli inizi dell'estate. Il 12 agosto, tre giorni dopo gli
attentati sui treni, viene segnalato a Parigi in compagnia di un altro fedelissimo
di Stefano Delle Chiaie, Saverio Ghiacci, spesso a Roma non vive in casa della
famiglia che abita ad Ostia ma in un piccolo appartamento al quarto piano di
via Tamagno 43 intestato al fascista Sandro Pisano.(64) Tra novembre e dicembre
'69, in questo appartamento, si è incontrato diverse volte con Mario Merlino.
Nello stesso periodo il fratello Bruno è segnalato tra i partecipanti alla riunione
promossa da Stefano Delle Chiaie in un'abitazione di Cinecittà. Tema in discussione:
la ricostituzione ufficiale di Avanguardia Nazionale in previsione delle imminenti
elezioni amministrative e regionali (tra i presenti: Elio Quarino, Gianloreto
De Amicis, Aldo Pennisi, Enrico e Gregorio Mauroenrico, Alfredo Sestili, Lucio
Aragona. Lorenzo Minissi e un certo Strippella).
Nel 1970 dopo le rivelazioni di Gian Luigi Fappani sui probabili
autori degli attentati ai treni, Di Luia fa perdere le proprie tracce. Ufficialmente
è ricercato dalla polizia, ma senza molto impegno.(65) In gennaio viene
visto a Roma. in una pizzeria di via del Lavatore, a due passi dal locale di
via Dataria che è frequentato dai fascisti greci.
Chi è Giancarlo Cartocci
Giancarlo Cartocci, 24 anni, ex studente di ragioneria. Nel 1966 passa dal MSI
a Ordine Nuovo e diviene intimo amico di Mario Merlino (il suo nome è
nell'agendina persa dall'"anarchico" del 22 Marzo). Dopo il viaggio in Grecia,
aderisce al Movimento del 22 Marzo). Dopo il viaggio in Grecia. aderisce al
Movimento Studentesco di Giurisprudenza creato da Serafino Di Luia e dai fascisti
della facoltà di Legge. Con "smascheramento" degli studenti nazi-maoisti, nel
novembre
1969, Cartocci partecipa alla ricostituzione di Avanguardia Nazionale assieme
a Stefano Delle Chiaie, Bruno Di Luia, Adriano Tilgher, Sandro Pisano, Tonino
Fiore, Saverio Ghiacci, Marco Marchetti, Giuseppe Morbiato, Guido Paglia, Roberto
Palotto, Stelvio Valori, Francesco Mancini, Claudio Rossomariti, Cesare Perri,
Vito Pace, Nerio Leonori, Domenico Pilolli, Antonio Jezzi e altri. Contemporaneamente
Cartocci frequenta la sede romana di Ordine Nuovo in via degli Scipioni e diventa
l'uomo di fiducia di Mario Tedeschi, direttore del Borghese e fondatore
dei GAN, i Gruppi di Azione Nazionale. Cartocci provvede alla distribuzione
tra i fascisti romani dei fondi del Soccorso Tricolore. Come altri del suo gruppo
risulta essere in contatto con uomini del ministero degli Interni.
La notte degli attentati del 12 dicembre Giancarlo Cartocci
viene fermato a Roma dai carabinieri e messo in una stanza dove vi sono altre
persone fermate con lui. Ecco la testimonianza di una di esse: "Sono stato prelevato
in casa dai carabinieri, all'alba, e condotto al nucleo investigativo di San
Lorenzo in Lucina. Nella stanza trovai altre tre persone che attendevano di
essere interrogate. Due erano compagni D. e A., e uno un fascista, un tale Cartocci
che conoscevo come uno dei nazi-maoisti della facoltà di Legge. Aveva cercato
di infiltrarsi nel movimento studentesco ma era stato allontanato perchè, oltre
tutto, era nel gruppo fascista che nel febbraio '69 diede l'assalto con bombe
carta e molotov alla facoltà di Magistero occupata, provocando indirettamente
la morte di Domenico Congedo. Appena entrai mi chiese notizie di Mario Merlino
e io gli risposi che non ne sapevo nulla. Mi misi a parlare un po' con gli altri
compagni e lui si sdraiò su una panca. Dopo un po' entrarono quattro
capelloni tedeschi con gli zaini, accompagnati da alcuni carabinieri. Un capellone
ci si avvicina e ci squadra, poi va accanto al Cartocci che stava sdraiato con
gli occhi chiusi e comincia a guardarlo. Quindi fa un cenno a un carabiniere,
come di assenso. Il carabiniere si avvicina a Cartocci. lo scuote e lo fa alzare
in piedi. Il tedesco lo guarda ancora, gli gira intorno, poi ripete il cenno
di assenso. Poi escono tutti, capelloni e carabinieri". Quei "capelloni" tedeschi
probabilmente sono gli stessi che, come scrissero alcuni quotidiani all'indomani
degli attentati, avevano visto fuggire un giovane dal luogo della seconda esplosione
dell'Altare della Patria. Giancarlo Cartocci fu rilasciato quasi subito.
Nel marzo di quest'anno un giornalista di un quotidiano di sinistra romano riceve
da una persona la notizia che due giorni prima si era tenuta in città una riunione
riservatissima tra i rappresentanti di diverse organizzazioni neofasciste. I
delegati. giunti da Torino, Pavia, Messina, Bari, Napoli e altre città italiane,
avevano discusso il piano per una serie di attentati da compiersi in diverse
zone nei mesi di aprile e maggio, prima delle elezioni amministrative e regionali.
Il giornalista non dà molto peso alla notizia sospettando una provocazione e
si limita a segnare su un taccuino i nomi delle uniche due persone che il suo
confidente era stato capace di segnalargli. Dopo una settimana cominciano gli
attentati: a Torino, Pavia, Nervi, in Valtellina e a Roma, in un laboratorio
militare. I due nomi segnati sul taccuino del giornalista sono quelli di Giancarlo
Cartocci, via dei Campani 14, Roma, e di Pino Tosca, via Cumiana, Torino.
Nel mese di maggio del '70 Cartocci si è incontrato più volte
con Serafino di Luia a Roma.
Chi è Antonio
Sottosanti
Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista, 42 anni, indicato come uno dei sosia
di Pietro Valpreda, tanto somigliante all'anarchico che il supertestimonio Cornelio
Rolandi, davanti a una sua fotografia esclama che "è il Valpreda ritoccato".
Nato da genitori siciliani a Verpogliano, Gorizia. Il padre fu ucciso nel 1930
e del delitto, rimasto impunito, furono imputati gli antifascisti slavi. Come
figlio di un martire Sottosanti ha studiato a spese del regime.
Dopo il 1945 fa diversi mestieri, anche la comparsa cinematografica.
Si sposa nel 1956, ha una figlia. Fugge a Marsiglia ed entra nella Legione Straniera,
dove rimane cinque anni. Risiede per un pò di tempo a Francoforte, finchè nel
1966, arriva a Milano. Lavora come portiere di notte. Torna all'estero, in Olanda,
e poi di nuovo a Milano. Parla bene il francese e il tedesco, ha una discreta
istruzione, riesce a esercitare una certa influenza soprattutto tra i giovani.
A Milano diventa un militante del movimento di Pacciardi Nuova Repubblica, con
sede in Via San Maurilio, e ne diventa il segretario per un breve periodo. Con
Randolfo Pacciardi vanta buoni rapporti personali e propone varie volte all'ex
partigiano medaglia d'oro Giovanni Pesce di incontrarsi con lui (ritenterà le
avances anche dopo la sua "conversione" politica).
Dopo gli attentati del 25 aprile 1969 a Milano, (incidentalmente,
lavorava alla fiera campionaria) Sottosanti comincia a frequentare gli anarchici.
La sua entratura politica è costituita dall'alibi che egli ha fornito al giovane
anarchico Tito Pulsinelli, accusato di avere abbandonato un pacco contenente
esplosivo in una strada di Porta Magenta. Gli anarchici milanesi lo conoscono
come Nino il fascista ma lo accettano in parte per l'aiuto che egli ha fornito
al loro compagno incarcerato, in parte perchè apprezzano il fatto che Sottosanti
non nega affatto il suo passato politico: "solo che aggiunge adesso sono diventato
anarchico"
Nell'estate '69 continua a essere in stretto contatto con
gli ambienti del neosquadrismo milanese. Quando ha soldi dorme alla pensione
Sicilia di via San Maurilio, è amico di Giorgio Chiesa e di Serafino Di Luia.
In luglio si fa vedere in giro con il già citato Ercolino, e dice che stanno
organizzando gruppi per "provocare disordine e quindi un nuovo ordine". Il 6
agosto parte per Rimini, dove partecipa a una riunione di fascisti (avvenuta
alla vigilia degli attentati sui treni), ma agli anarchici dice di essere andato
in un altro posto. Nello stesso periodo viene notato a frequentare l'albergo
Lord di via Spadari, luogo di ritrovo di fascisti italiani e greci.
In ottobre si trasferisce in Sicilia, a Piazza Armerina.
e torna a Milano solo il 2 novembre perchè deve essere interrogato dal giudice
Antonio Amati sull'alibi che egli ha fornito a Tito Pulsinelli. Per diciassette
giorni vive in casa dei genitori dell'anarchico, ma non esce mai di casa, passa
le giornate sul letto a leggere e fumare. L'unica cosa che sembra interessarlo
è riuscire a mettersi in contatto con Giuseppe Pinelli, che ha conosciuto nei
mesi precedenti perchè riceveva da lui i fondi del soccorso Crocenera da inviare
a Tito Pulsinelli e agli anarchici che erano in carcere.
Verso mezzogiorno del 12 dicembre va a casa di Giuseppe Pinelli,
pranza con lui e riceve un assegno di 15.000 lire per Pulsinelli, assegno che
costituirà il suo alibi per il pomeriggio della strage. Alle 14.30 i due vanno
al bar di via Morgantini a bere un caffè e poi alla fermata del tram dove, alle
15,05 (versione Sottosanti) si lasciano. Mentre Pinelli torna al bar, Sottosanti
si reca alla Banca del Monte di via Pisanello a incassare l'assegno, quindi
prende un altro tram per la piazza delle Ferrovie Nord e lì l'autobus per Pero
dove vivono i genitori di Pulsinelli e dove lui arriva verso le 16,20 (teoricamente
avrebbe avuto tutto il tempo di collocare l'ordigno alla banca di Piazza Fontana).
Riparte per Piazza Armerina la sera di domenica 14 dicembre.
Di questa sua permanenza a Milano vengono informate pochissime
persone: gli anarchici non parlano perchè pensano che lui non debba avere grane
con la polizia per non compromettere l'alibi fornito a Tito Pulsinelli. Sottosanti
viene interrogato solo il 13 gennaio, quando il capo dell'ufficio politico milanese
lo va a cercare in Sicilia. Ili giudice istruttore Ernesto Cudillo lo
convoca in seguito per due volte a Roma. Il giorno della sua seconda convocazione
un giornale radio del pomeriggio trasmette la notizia che egli è stato arrestato
come uno dei responsabili della strage di Milano. La notizia però scompare dalle
successive trasmissioni. In quello stesso periodo il commissario Allegra riesce
a far circolare fra giornalisti e avvocati la voce secondo cui Nino Sottosanti
deve essere collegato a Giuseppe Pinelli (anzi: è stato Pinelli che dato la
valigetta al tritolo a Sottosanti, quel venerdì a mezzogiorno in casa sua...
Poi sono usciti assieme, Pinelli è andato al bar e Sottosanti in piazza Fontana.
Ecco quindi perchè Pinelli si è ucciso...).
Invece delle "indiscrezioni" messe in giro dal capo della
squadra politica milanese, vale la pena sottolineare qui alcune contraddizioni
e particolari strani che circondano la figura di Sottosanti e il ruolo che egli
può aver svolto.
1) Nino Sottosanti non viene immediatamente fermato dopo
le bombe del 12, malgrado le retate siano state pesanti: eppure la polizia sapeva
benissimo che egli si trova in quei giorni a Milano e anzi risulta che egli
fosse costantemente seguito;
2) la polizia inoltre era al corrente che Sottosanti era
stato in casa Pinelli venerdì 12 e che aveva ricevuto l'assegno dell'anarchico,
come risultava dalla matrice del blocchetto degli assegni di Pino; poteva quindi
trattarsi di un indizio molto comodo per coinvolgere assieme agli anarchici
un ex fascista come Sottosanti, alla luce della manovra attuata da tempo contro
"gli opposti estremismi" di destra e di sinistra, che coincidono;
3) invece si aspetta ad interrogare Sottosanti sino al 13
gennaio, quando il commissario Antonino Allegra va a cercarlo in Sicilia. Non
si sa bene se questa sia stata una sua iniziativa personale ma è certo che Allegra
in quell'occasione viene accompagnato dal brigadiere Vito Panessa, il fedelissimo
del commissario Calabresi, il quale di fatto sembra condurre l'interrogatorio.
Dopo la convocazione del magistrato a Roma, su Nino Sottosanti è calato
un sipario di silenzio, Perchè?
Fascisti italiani e greci
Verso le 19,30 di venerdì 12 dicembre, tre ore dopo la strage
di piazza Fontana. davanti alla vetrina di un negozio di arredamento in corso
di Porta Vittoria a Milano, un gruppo di persone discute animatamente. L'argomento
che ricorre più di sovente è quello di un "pagamento in banca" che, a dire di
alcuni, "non doveva essere fatto". Sono dei fascisti di Modena. Uno di loro
è Pietro Cerullo. consigliere comunale del MSI e presidente nazionale del FUAN-Caravella,
l'organizzazione universitaria missina. Un altro si chiama Gianni Cavazzuti.
I rimanenti cinque non sono molto noti. Sono partiti tutti da Modena per Milano
quella mattina a bordo di due auto. una Giulia e una "1100". Vi fanno ritorno
verso le tre di notte, e si fermano al bar Nuovo Fiore.
Modena è, dopo Napoli, la città che rappresenta uno dei maggiori
punti di forza dell'ESESI (Etnikòs Syndesmos Ellinon Spudastòn Italias), la
lega degli studenti greci fascisti in Italia. A Modena risiede anche il sedicente
studente universitario Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori dell'ESESI e agente
di Costantino Plevris l'uomo dei servizio segreto greco KYP (Kratikè Yperesia
Pleforion) che ha l'incarico di occuparsi della cosiddetta "questione italiana".
Il missino Pietro Cerullo è uno dei più importanti intermediari
tra i fascisti italiani e greci, così Come lo è il giornalista Pino Rauti del
Tempo di Roma. Nel mese di maggio 1969 Cerullo ha partecipato a Napoli
al congresso nazionale dell'ESESI, al quale ha portato il saluto ufficiale dei
giovani del MSI (che concludeva così: "Reazione e movimento sì! Rivoluzione
sì! Però con contenuti ed ideali! La Grecia diventi nuovamente, ancora per una
volta, l'Acropoli della vittoria dei nuovi valori spirituali e ideali!"). Successivamente,
e sempre a Napoli, Pietro Cerullo ha partecipato ad una serie di riunioni molto
riservate che si sono svolte in uno stabile di proprietà della Confraternita
greco-ortodossa, di via San Tommaso d'Aquino n. 36.
L'ESESI
L'ESESI è stata fondata nell'aprile 1967, all'indomani dei colpo di stato dei
colonnelli. Il 22 giugno si è svolto a Roma, nell'aula magna del Civis, messa
a disposizione dal Ministero degli Esteri italiano, il suo primo congresso con
i rappresentanti di dodici sedi universitarie. Erano presenti il console Miltiadis
Mutsios, il generale di brigata Koliopulos e i colonnelli Iliadis, Arvantis,
Raissis, Paleologos e Tsadiles, del corpo di spedizione greco della NATO di
stanza a Bagnoli, presso Napoli. Per decisione del primo ministro Papadopoulos
(l'uomo che Andrea Papandreu ha definito "il primo agente della CIA che sia
arrivato ad occupare un posto di primo ministro"). La lega italiana, come del
resto tutte le altre leghe di studenti greci all'estero, sino a quel momento
di competenza dei ministero della Previdenza di Atene, è stata posta sotto il
diretto controllo del KYP, il servizio segreto dei colonnelli. Presidente dell'ESESI
fu eletto Liakos Kristòs, studente quarantenne della facoltà di Medicina dell'università
di Roma. La direzione politica effettiva è stata però affidata a un agente del
KYP già segnalatosi nella fase preparatoria del colpo di stato, tale Lazaris,
improvvisamente richiamato in Grecia qualche mese fa.
All'atto della costituzione, l'ESESI poteva contare su nemmeno
un centinaio di aderenti, in maggioranza figli di militari e di ricchi professionisti
ateniesi, sul totale di circa 2.500 studenti greci in Italia. In tre anni la
lega ha portato i suoi aderenti a 600, e ha aperto sedi in diciotto città italiane.
Secondo il suo statuto, le finalità dell'ESESI sono:
"1) coordinamento dell'azione nazionale degli studenti greci;
2) vigilanza morale sul credo nazionale degli studenti greci in Italia;
3) vigilanza e difesa dei valori più genuini della civiltà greco-cristiana, a carattere pan-universale: Religione, Patria, Famiglia;
4) lotta decisa contro tutti gli avversari della Grecia Eterna: come Spirito, come Nazione, come Stato totalitario (sic!);
5) attività propagandistica, in collaborazione con le autorità di Atene, presso l'opinione pubblica italiana e europea".
Nell'organico dell'ESESI, oltre che studenti
fascisti, sono stati introdotti anche un centinaio di ufficiali e agenti del
KYP che si sono iscritti agli ultimi anni di corso in varie facoltà, soprattutto
a Napoli, Roma, Bologna, Modena e Milano. E' gente sui trenta anni, che lavora
a tempo pieno: tiene d'occhio gli antifascisti greci in esilio, fotografa i
partecipanti alle manifestazioni antimperialiste, assiste a conferenze e dibattiti,
raccoglie ogni specie di informazione sull'attività dei cittadini greci in Italia,
spesso con l'aiuto degli uffici politici delle nostre questure (nel luglio 1969
il settimanale ABC ha rivelato che questi professionisti avevano ottenuto libero
accesso allo schedario politico della questura napoletana, e non è mai stato
smentito).
Quando uno studente greco arriva in Italia, l'ESESI procede
in questo modo: primo, aiuti pratici (indicazioni di alloggi e ristoranti a
buon mercato, ecc.); secondo. sondaggio politico. Se lo studente è entusiasta
del regime dei colonnelli o almeno favorevole, viene subito iscritto. Se è contrario,
viene sottoposto a un periodo di indottrinamento e persuasione. Se rifiuta,
o se il periodo non serve a nulla, viene segnalato al viceconsole greco di Napoli,
Hercole Aghiovlasitis, che si occupa del censimento dettagliato di tutti gli
studenti e manda aggiornati rapporti a Atene. Qui i provvedimenti sono vari:
limitazione del visto, interruzione della proroga del servizio militare, proibizione
di ricevere denaro da casa, pressioni sui familiari fino al ritiro del passaporto
e quindi al rimpatrio coatto.
L'arma più efficace di ricatto resta comunque quella di minacciare
rappresaglie sui familiari degli studenti. Con questi sistemi negli ultimi due
anni 10 studenti sono stati rimpatriati a forza, e i loro compagni di corso
non ne hanno avuto più notizia. Inoltre sono avvenuti casi di sparizioni improvvise
e misteriose: sette nel solo 1969 (tre a Napoli, due a Roma. uno a Bologna e
uno a Milano).
Gli agenti dei colonnelli
in Italia
L'attività dell'ESESI è anche più intensa sul piano politico.
In tre successivi congressi tenuti a Napoli nel gennaio '68 e nel gennaio e
maggio '69, è stata fondata la Confederazione Europea delle Leghe degli studenti
greci. L'archimandrita Ghenadios Zervòs ha benedetto i partecipanti. Nuovo presidente
è stato eletto Spiros Stathopulos, agente del KYP iscritto all'università di
Napoli.
I legami tra l'ESESI e la sede del KYP ad Atene sono diventati
sempre più stretti. Al KYP confluiscono ormai non solo le
informazioni relative agli studenti greci ma anche a individui e associazioni
di sinistra italiani. Tali informazioni vengono fornite
da spie che si infiltrano in vario modo o si fanno passare per progressisti
(come è accaduto per il falso membro del partito
comunista greco in esilio Teodoro Allonisiotis. smascherato a Modena grazie
a una lettera riservata che aveva smarrito, e per un altro falso antifascista,
Demetrio Papanicol, che ha dovuto rifugiarsi nell'ambasciata greca di Roma).
Questo spiega perché
studenti italiani siano stati respinti talvolta alle frontiere greche in quanto
"noti sovversivi", e spiega anche come mai
l'ambasciata americana in Italia rifiuti il visto d'ingresso negli Stati Uniti
a persone che, pur non risultando sospette agli uffici
politici delle questure, avvicinate da falsi antifascisti greci si erano dichiarate
disposte a collaborare. La sezione D della CIA, che si occupa dei movimenti
della sinistra extraparlamentare europea, collabora attivamente con il KYP greco
in questa attività che le permette di arricchire e integrare il suo schedario
comprendente oltre 30.000 nomi di "segnalati" e denominato "archivio M".
La direzione centrale dell'ESESI si è trasferita nel gennaio
dei '68 da Roma a Napoli, dove ha trovato un efficace punto
d'appoggio nel corpo di spedizione greco della NATO e nella Confraternita greco-ortodossa.
Il vero cervello operativo rimane
comunque ad Atene, nella sede del KYP nei pressi di via Baboulinas dove ha il
suo ufficio Costanino Plevris. I suoi più abili
fiduciari in Italia sono Demostene Papas (segretario della Confraternita napoletana
che mantiene contatti con la Curia e con il
Vaticano, è l'"ispiratore politico" dei rapporti tra gli ufficiali greci della
NATO e gli ufficiali italiani e ha ottimi rapporti
personali con funzionari del consolato di Napoli e dell'ambasciata di Roma degli
Stati Uniti); Spyridon Papavassilopulos, l'addetto commerciale greco a Milano
incaricato dei finanziamenti (ufficio in via Pirelli 24, abitazione in via Cucchiari
1), e Anassis Janapulos.
Janapulos, che riceve le lettere dei suoi informatori alla
casella 213 della posta centrale di Atene, ha un appartamento nel centro di
Napoli ma viaggia continuamente per l'Italia, mantenendo e migliorando i rapporti
con gli ambienti dell'estrema destra,
nei quali mantiene viva la simpatia per la causa della "Grecia Nazionale". E'
amico di Giulio Caradonna, Luigi Turchi, Nardo di
Nardo; di Alberto Rossi detto il Bava, capo dell'organizzazione squadristica
Volontari Nazionali del MSI, di Massimo Anderson e di Junio Valerio Borghese,
presidente dei Fronte Nazionale. Inoltre vanta buone conoscenze in ambienti
industriali, militari e giornalistici, e con alcuni autorevoli rappresentanti
della massoneria di piazza dei Gesù.
Fin dal 1968 alcuni studenti dell'ESESI si sono presentati
candidati nelle liste del FUAN-Caravella alle lezioni universitarie.
Nel corso del 1969, e soprattutto nella seconda metà dell'anno (dopo che il
ministero degli Interni italiano ha autorizzato
ufficialmente la costituzione dell'ESESI, considerando questa lunga mano operativa
di uno stato fascista come una qualsiasi
associazione culturale di residenti stranieri), l'ESESI ha intensificato la
sua attività. Oltre ai due congressi ufficiali, in tutte le sue
sedi si sono tenute molte riunioni. Tre di queste, a carattere riservatissimo,
si sono svolte in luglio-settembre e novembre nella
sede della Confraternita greco-ortodossa di Napoli, presenti alcuni ufficiali
greci della NATO; altre due, in ottobre e novembre,
nella sede della lega di Modena, in via Faloppia, 14. Sempre in ottobre e novembre
il presidente dell'ESESI Spiros Stathopulos, ha partecipato ad altre due riunioni
segrete nell'abitazione di un ufficiale greco della NATO, in via Manzoni a Napoli.
Erano presenti il funzionario dei consolato Michele Upessios, Anassis Janapulos,
un altro greco di nome Savvas,(66) un deputato del MSI e un esponente dei Fronte
Nazionale di Junio Valerio Borghese.
Contemporaneamente, nell'autunno 1969, l'ESESI ha intensificato
le provocazioni contro gli studenti greci antifascisti. In tutte
le sedi universitarie sono apparse scritte inneggianti al regime dei colonnelli.
Incidenti sono scoppiati a Bari, a Bologna, Ferrara (dove il FUAN-Caravella
ha diffuso un volantino con lo slogan "Ieri in Grecia, oggi in Italia"), Messina,
Palermo e Pisa.
A Pisa la spedizione punitiva organizzata il 21 ottobre dai
membri dell'ESESI provenienti da diverse città (Costantino Recutis
guidava quelli di Napoli e Nicolas Spanos quelli di Bologna), appoggiati dai
gruppi FUAN-Caravella, dai Volontari del MSI e dagli squadristi romani di Ordine
Nuovo e Avanguardia Nazionale, contro un'assemblea dell'Associazione Studenti
Ellenici, ha
provocato diversi feriti. Nei giorni successivi la città è stata teatro di violenti
scontri tra la polizia e gli studenti di sinistra che,
appoggiati dalla popolazione, avevano cercato di assalire la sede dei MSI. Il
26 ottobre è morto lo studente Cesare Pardini,
colpito. all'altezza dei cuore da un lacrimogeno sparato da un poliziotto.
Costantino
Plevris, incaricato della "questione italiana"
L'uomo che a Atene si occupa dell'ESESI e della "questione
italiana" è Costantino Plevris. Intellettuale, fa il giornalista e lo
scrittore. E' autore di due libri, l'Antidemocratico e Politica
e propaganda, che sorreggono l'ideologia nazionalista, razzista e
anticulturale dei colonnelli. Politica e propaganda è stato adottato
come libro di testo nelle scuole allievi ufficiali della polizia e
dell'esercito.
Plevris è un agente del KYP, il servizio segreto greco, filiazione
diretta della CIA americana. Gli Stati Uniti hanno speso più
di mezzo miliardo di dollari per dotare la Grecia di un apparato poliziesco
adatto e il KYP, che ha sede a Atene nei pressi di via Baboulinas, è la punta
di diamante di questo apparato.
Costantino Plevris è stato uno degli ideatori di quella "strategia
della tensione" che si concretò, specialmente ad Atene, in
una serie di attentati dinamitardi destinati, come in effetti avvenne, a creare
l'atmosfera più favorevole per il colpo di stato dei
colonnelli del 21 aprile 1967. Egli stesso ha partecipato materialmente a uno
degli attentati, quello che devastò la redazione del
giornale conservatore Elèftheros Kòsmos.
A Costantino Plevris è stato affidato l'incarico di occuparsi
della "questione italiana" per questa sua esperienza e perché è
l'uomo di fiducia del colonnello Giorgio Ladas, comandante della polizia militare
greca che fu una carta determinante per il
putsch dei 21 aprile (Ladas è stato l'interlocutore del "signor P." il fiduciario
italiano dei colonnelli: lo cita a questo proposito
il rapporto segreto inviato dal capo dell'ufficio diplomatico del ministero
degli Esteri greco all'ambasciatore di Atene a Roma, e
pubblicato dal settimanale inglese The Observer).(67) Costantino
Plevris, appena ricevuto l'incarico, ha preso contatto con due colonnelli greci
della base NATO di Napoli, Paleologos e Tsadiles e con il console Mittiodis.
In giugno ha promosso la costituzione dell'ESESI.
Nel 1969 ha fatto frequenti viaggi in Italia e in varie capitali
europee, ufficialmente per accertarsi delle condizioni degli studenti greci
all'estero, in realtà per creare una rete sempre più stretta di rapporti con
organizzatori di estrema destra. In Francia con Ordre Nouveau, Occident e Jeunnesse
de la nuit. In Austria con Ventesimo Gruppo, in Germania occidentale con Nazione
Europea e in Belgio con Jeune Europe e con i Comitati della Gioventù Anticomunista.
In Italia i legami più stretti di Plevris sono con Ordine
Nuovo di Pino Rauti, Europa Civiltà di Loris Facchinetti,(68) con i GAN
(Gruppi di Azione Nazionale) di Mario Tedeschi, direttore del settimanale Il
Borghese, e con il Fronie Nazionale di Junio Valerio Borghese.
Costantino
Plevris in Italia prima delle bombe
Mercoledì 17 dicembre 1969, cinque giorni dopo la strage
di piazza Fontana, una persona riesce ad incontrare Costantino Plevris a Atene,
qualificandosi come fotoreporter dei settimanale fascista di Roma Lo Specchio.
L'incontro avviene nella sede del movimento neonazista greco "4 Agosto", nello
stesso luogo dove Plevris ha ricevuto Mario Merlino e gli altri fascisti italiani
che nella primaverà68 hanno partecipato al viaggio-premio offerto dall'ESESI
e organizzato da Stefano Delle Chiaie e dal giornalista Pino Rauti.
Al colloquio tra Plevris e il finto giornalista fascista
partecipano due studenti greci che parlano correttamente italiano. Uno
di essi, che mostra una conoscenza approfondita della situazione politica italiana,
si chiama Andrea (probabilmente è Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori dell'ESESI,
studente iscritto alla università di Modena, alle dirette dipendenze dell'agente
del KYP Anassis Janopoulos, per conto del quale fa frequenti viaggi a Roma e
a Napoli).
Una volta verificate le credenziali del "camerata" italiano,
che appaiono in perfetta regola, il colloquio assume un tono quasi confidenziale.
Si parla prima della Grecia. Plevris dice che il regime dei colonnelli "è troppo
moderato, ha tradito le promesse iniziali". La colpa, aggiunge, è del primo
ministro Giorgio Papadopoulos, "un vero pagliaccio".
Poi il discorso si sposta sulla situazione italiana. Plevris
chiede quale è il giudizio dell'uomo della strada sui partiti, sulle lotte sindacali,
sul movimento studentesco. In particolare vuole sapere come ha reagito l'opinione
pubblica agli attentati avvenuti cinque giorni prima. Il "camerata" dello Specchio
gli risponde che non è in grado di dargli notizie aggiornate perchè, manca da
un mese dall'Italia, per motivi di lavoro. Plevris gli chiede se conosce Pino
Rauti. Naturalmente, risponde il fotoreporter, è un collega, un redattore del
Tempo. "Cosa ne pensa di lui?" insiste Plevris. L'altro, che non si
aspettava una domanda del genere, si limita a dire che considera Rauti "un sincero
anticomunista". Plevris è soddisfatto, spiega che lui e Rauti sono molto amici,
che si scambiano spesso visita e anzi, lo ha visto proprio di recente. "Quando"
chiede il fotoreporter. "Ai primi di dicembre, a Roma, insieme con la giornalista
Gianna Preda, redattore capo del Borghese.
Vista la franchezza, il "camerata" italiano si fa coraggio
e pone domande più precise sui rapporti di Plevris con Pino Rauti e altri giornalisti
italiani. Ma Plevris diventa immediatamente evasivo, lascia cadere immediatamente
il discorso. Si alza, prende il telefono e parla nervosamente con qualcuno,
in greco. Subito dopo dice di avere un impegno urgente e che semmai la chiaccherata
può continuare il giorno dopo, alla stessa ora e sempre nella sede del movimento
"4 Agosto".
Col fotoreporter escono anche i due studenti. Sulla strada
Andrea gli dice che potrebbero rivedersi a Roma verso i primi di gennaio, che
lui lo si può trovare nella sede di Ordine Nuovo.
L'indomani "il camerata" si guarda bene dal tornare al movimento
"4 Agosto". Due giorni dopo viene espulso dalla Grecia, senza alcuna motivazione.
Anche la Resistenza greca ha segnalato la presenza di Costantino
Plevris in Italia: ai primi di dicembre, oltre che a Roma, è stato a Milano.
Junio Valerio Borghese e il Fronte Nazionale
Neofascisti, vecchi fascisti, paracadutisti, ex repubblichini,
destra parlamentare e extraparlamentare, campeggi paramilitari, squadre d'azione,
attentati, complotti in Valtellina, armi, finanziamenti industriali, rapporti
con le forze armate, coi servizi segreti italiani e stranieri, coi fascisti
greci, riunioni riservate alla vigilia delle bombe del 12 dicembre, un uomo
che scompare qualche giorno dopo (Armando Calzolari).
Se c'è una persona in Italia che, silenziosa, spettrale,
muovendosi discretamente dietro le quinte, sembra tenere in mano i fili della
complessa ragnatela che collega i vari punti di forza e d'azione della destra,
questa persona è Junio Valerio Borghese, il principe nero, presidente dei Fronte
Nazionale.
Ha 63 anni, è pluridecorato per le azioni svolte contro la
flotta inglese ad Alessandria, Malta e Gibilterra durante l'ultima guerra, nei
diciotto mesi della Repubblica Sociale è stato il comandante della Decima Mas
(rastrellamenti, massacri di partigiani e popolazione civile, fianco a fianco
delle SS: 800 omicidi, secondo la sentenza pronunciata nel 1949 dalla Corte
Speciale d'Assise), condannato come criminale di guerra nel 1946, rimesso in
libertà dall'amnistia il 18 febbraio 1949.
Uno dei primi presidenti onorari del MSI. Al tempo della
crisi di Trieste radunò un migliaio dei suoi ex marò nei pressi di
Treviso, armati e pronti a marciare per l'"azione fiumana". Borghese ha sempre
cercato di dimostrare che i suoi rapporti con il
Movimento Sociale erano autonomi anche se, nella campagna elettorale del 1958,
quando la FNCRSI (Federazione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale Italiana) invitò i suoi aderenti a votare scheda
bianca per la polemica contro il MSI che giudicava "borghese e reazionario",
egli accorse in aiuto di Arturo Michelini fondando la UNCRSI (Unione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale Italiana), su posizioni ortodosse rispetto al
partito.
Nel 1967 Junio Valerio Borghese ha fondato il Fronte Nazionale
con i soci del Circolo dei Selvatici (Roma, via dell'Anima
55) . Il circolo era stato sino ad allora la copertura culturale del Fronte
Grigioverde, una associazione che comprendeva, come
ancora oggi il Fronte Nazionale, ex ufficiali della Decima Mas, della Monterosa
e della Etnea, più altri, in pensione e in servizio,
di armi e corpi diversi.
Il programma politico del Fronte Nazionale: "I partiti non
devono più essere protagonisti attivi della vita politica, essi vanno
esclusi da ogni partecipazione di governo". "Costituzione di uno Stato forte...
libertà dei cittadini intesa come osservanza
assoluta e immediata delle leggi... critica concessa se qualificata ed espressa
nel quadro degli interessi nazionali". "Assemblea
legislativa nazionale formata dai rappresentanti di categoria... nonché da cittadini
chiamati a tale funzione per meriti eccezionali".
Valerio Borghese non ama la propaganda politica esplicita
e ha sempre cercato di crearsi una fama di uomo al di sopra della
mischia, evitando la grossolana apologia del fascismo e di rimanere invischiato
nelle beghe che tradizionalmente dilaniano il MSI
e i vari gruppi della estrema destra. Questa riservatezza del "principe nero"
ha degli scopi ben precisi. Ad essa si adeguano
anche i principali sostenitori del Fronte Nazionale, molti dei quali non sono
neppure conosciuti.
Tra quelli noti ci sono Benito Guadagni, industriale, ex
repubblichino, segretario del Fronte Nazionale e finanziatore del bollettino
interno che, in dicembre, qualche giorno dopo gli attentati, ha litigato violentemente
con Borghese, e, almeno
ufficialmente, ha abbandonato l'associazione facendo cessare la pubblicazione
del bollettino; l'aiutante di campo di Borghese,
Arillo, il comandante Bianchini e il vice comandante Santino Viaggio (i due
che avvicinarono Evelino Loi proponendogli di
compiere delle "azioni"). Nella seconda metà di dicembre anche Viaggio ha abbandonato
il Fronte Nazionale, o almeno così ha
dichiarato. Poi c'è il comandante Marzi, ex repubblichino residente a Milano:
l'11 dicembre è andato a Roma e c'è rimasto sino
alla sera del giorno dopo. E c'era, infine, anche Armando Calzolari, l'uomo
scomparso la mattina di Natale e ritrovato un mese
dopo, cadavere, in fondo a un pozzo della periferia romana.
Rapporti con industriali e forze armate
Junio Valerio Borghese è proprietario di una tenuta in Calabria.
di un castello a Artena, nel Lazio, di una villa a Nettuno e di
alcuni immobili a Roma, oltre che di una famosa collezione di quadri. Ma non
risulta che egli attinga al suo patrimonio, peraltro
non solidissimo. per finanziare il Fronte Nazionale. In compenso ha rapporti
motto stretti con alcuni grossi nomi della finanza e
dell'industria americana e inglese e, in Italia, con ambienti industriali di
Milano, Genova, La Spezia, Livorno e, tramite il principe
Filippo Orsini, ex assistente al soglio pontificio, con il Vaticano.
Tra la fine dei '68 e la primavera-estate '69 ha compiuto
un lungo giro nelle città italiane. A La Spezia ha preso contatti con
alcuni esponenti dell'Unione Industriale, come anche a Milano. Il 12 aprile
'69 a Genova, ha tenuto una riunione alla quale hanno preso parte i figli di
un grosso armatore, un dirigente dell'IMI, tale Fedelini, e altri esponenti
dell'industria. Ai primi di maggio, seconda riunione genovese (Borghese alloggia
al Jolly Hotel assieme alla sua guardia del corpo composta da quattro fedelissimi)
e il 9 giugno la terza. Questa volta sono presenti anche l'armatore Roberto
Cao di San Marco e un importante petroliere della Val Polcevera. Qualcosa comunque
non deve aver funzionato nel corso di questo "raid" perché di recente alcuni
industriali di La Spezia hanno denunciato per truffa (sembra di 50 milioni)
due esponenti del Fronte Nazionale.
Junio Valerio Borghese è riuscito ad allacciare buoni rapporti
con le forze armate, in questo favorito dalla sua fama di "valoroso" ex combattente.
Vi sono almeno due episodi che testimoniano della popolarità che gode tra i
soldati. Il 26 settembre
1966, a una manifestazione del Comitato Tricolore indetta a Roma dal MSI e dalla
Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi;
Borghese pronunciò un discorso per denunciare "il tradimento del governo sulla
questione dell'Alto Adige", ricevendo un
entusiastico consenso non solo dai dirigenti delle associazioni combattentistiche
ma anche da parte dei molti ufficiali in servizio
che erano presenti. Il 23 ottobre 1969, alla celebrazione della battaglia di,
El Alamein, in piazza Venezia a Roma, è stato letto un messaggio di Borghese
tra i grandi applausi non solo degli ex paracadutisti ma anche di numerosi alti
ufficiali della Repubblica Italiana.
Inoltre Borghese ha collegamenti con l'AUCA (Associazione
Ufficiali Combattentistici Attivi, denunciata nel luglio '69 dal
sindaco di Bologna per un documento che incitava al colpo di stato militare,
rivolgendosi anche a "chi ha militato nel campo
opposto") e con elementi della Comunità dei Ragazzi del 3° Corso di Modena,
un'altra associazione di militari in servizio.
Quando manca il contatto diretto, viene usato questo sistema
per stabilire legami con gli ufficiali: i sottufficiali reclutati dal
Fronte Nazionale segnalano, con rapporti periodici, tutti quegli elementi -
discorsi, letture, telefonate, ecc. - utili a stabilire la
predisposizione "sicuramente anticomunista" del possibile candidato. Se il soggetto
alla fine è giudicato idoneo, viene avvicinato
da un aderente al Fronte Nazionale che sia suo pari grado.
Uno dei punti di maggior forza di Valerio Borghese resta
naturalmente la Marina. A La Spezia, dove egli è particolarmente
introdotto, esiste una grossa officina di riparazione dei carri armati. I carri
guasti in giacenza sono molti e tutti forniti di regolare "bassa", ma sembra
che per la maggior parte sarebbe sufficiente la rapida sostituzione di qualche
pezzo e sarebbero in grado di
funzionare.
Nonostante l'apparente distacco, il Fronte Nazionale è strettamente
collegato a quasi tutte le forze di estrema destra, a partire dal MSI. Borghese
infatti è uno dei finanziatori del suo organo ufficiale Il Secolo d'Italia,
ed è legato personalmente ad alcuni deputati come Luigi Turchi (figlio di Franz,
direttore della Piazza d'Italia, grande elettore del presidente Nixon
in favore del quale ha compiuto un viaggio di propaganda tra gli immigrati italiani
negli Stati Uniti) e Giulio Caradonna, organizzatore dello squadrismo romano.
Turchi e Caradonna sono tra gli uomini di fiducia dei colonnelli greci, così
come lo è lo stesso Borghese che risulta abbia rapporti con Costantino Plevris.
l'uomo del KYP incaricato della "questione italiana".
Oltre all'aspetto "aristocratico" della sua figura, che gli
permette di stabilire di stabilire contatti a alto livello, Borghese
utilizza anche la fama di uomo d'azione per riscuotere la fiducia di tutti i
gruppi di estrema destra extra-parlamentare. Il gioco gli è quasi riuscito,
specie con Ordine Nuovo di Pino Rauti; il giornalista amico di Costantino Plevris
che è stato indicato come il "signor P." citato nel rapporto inviato dal ministero
degli Esteri greco al suo ambasciatore a Roma. Buoni rapporti anche con Avanguardia
Nazionale di Stefano Delle Chiaie i cui aderenti hanno frequentato per molto
tempo il Circolo dei Selvatici di via dell'Anima.
V CAPITOLO
La strategia della tensione
-- Il luglio '69
- La
scissione socialista e la nascita dei PSU
- "La strategia della tensione"
- I fascisti strumenti
- Chi
li paga - Un
bilancio positivo.
Premessa
Dalla strategia della tensione agli opposti estremismi; dall'attacco per
spezzare l'ascesa operaia alla ricerca di una ristabilizzazione a destra dell'asse
politico del Paese. Questa è la svolta realizzatasi dopo le dimissioni
del governo Rumor, nell'estate del 1970. I protagonisti, anche se recitano su
copioni diversi, sono gli stessi: i fascisti, i socialdemocratici, la destra
democristiana. Diversa, anche se sempre inadeguata alle reali esigenze della
situazione, la parte recitata dalla sinistra tradizionale: al culmine del movimento
di lotte studentesche, operaie, dei più diversi settori della società
italiana, c'è il rifiuto di una strategia, di una volontà rivoluzionaria
capace di spostare il movimento sul terreno del potere; e quindi la condanna
del movimento. Nel pieno della controffensiva padronale e governativa, c'è
la ricerca di un generico accordo "antifascista" con forze borghesi,
corresponsabili della ripresa del fascismo; c'è l'offerta della propria
consulenza, spesso complicità, per riparare le falle della barca nazionale
capitalista.
Intanto i fascisti guadagnano spazio. A Reggio Calabria riescono per la prima
volta nel dopoguerra a strumentalizzare un movimento di massa di ampie dimensioni.
È questo test che prova loro la possibilità di inserirsi tra lo
scontento provocato dalla politica per il Mezzogiorno e l'inettitudine della
sinistra tradizionale. Qualche assaggio in Abruzzo, nel Veneto, a Napoli. Ma
il prossimo obiettivo dichiarato è la Sicilia. All'Aquila, la federazione
del PCI è assaltata e distrutta mentre, pur sapendo che il clima in città
si surriscalda, il principale esponente del partito se n 'è andato a
pesca. Non c'è praticamente neppure un abbozzo di difesa da parte del
PCI, ed è un nuovo test. La "vigilanza rivoluzionaria ", che
faceva riempire fin le più piccole sezioni di militanti decisi a difenderle
in occasione delle principali ricorrenze antifasciste o di momenti di tensione,
è andata a farsi benedire anche quando si tratta di federazioni provinciali,
di uffici regionali. L 'autodifesa è scomparsa dalla cultura del PCI.
I padroni assumono fascisti. Servono per intimidire le avanguardie, interne
ed esterne alla fabbrica; servono come crumiri e come disturbatori delle riunioni
operaie in fabbrica. Servono per ridare fiato alla CISNAL, per far ricomparire
i sindacati gialli. È un fenomeno segnalato su tutta l'area nazionale,
dall'Italsider di Taranto alla FATME di Roma, all'Ignis di Varese.
E c'è l'avanzata missina alle elezioni; non un'avanzata eccezionale,
ma certamente ragguardevole e significativa. Nel Mezzogiorno essa ha raggiunto
le punte più clamorose. Il MSI diventa un reale polo di attrazione per
la destra, in senso lato: recluta De Lorenzo, si parla di una prossima adesione
di Lauro. Una parte della borghesia italiana, prima attendista, guarda ai fascisti
con crescente favore.
È la borghesia che ha ripetutamente dimostrato, tra il '62 e il '68,
di essere totalmente incapace di un operazione riformistica. Una borghesia protesa
alla ricerca di compromessi che non soddisfano i destinatari ma che infastidiscono
e intimoriscono, ugualmente, i settori più sordi a ogni tentativo di
rinnovamento. Un esempio tipico è la legge sulla casa: chi si mobiliterebbe
per sostenere e difendere un simile bidone? Ma ecco gli speculatori sulla difensiva,
ecco li guardinghi a premere, suggerire, minacciare. Ed ecco la legge, già
raccogliticcia, peggiorare ancora. Un discorso analogo lo possiamo fare per
la legge sui fondi rustici. Ma non sono certo esempi del genere che mancano,
in Italia. Il PCI (per non dire del PSI, che con questa borghesia resta beatamente
al governo) tollera, sottace, o anche collabora (il voto sulla casa). E i settori
di destra si incarogniscono, si fanno più audaci, si estendono a zone
prima incerte.
Da un lato, la campagna elettorale in determinate zone del Mezzogiorno (specie
in Puglia) ci dice che agrari e gruppi capitalistici sono disposti a usare il
fascismo come un arma diretta per ricattare il governo centrale. Strati della
piccola borghesia e sottoproletari rappresentano una potenziale - ma dopo Reggio,
non soltanto potenziale - massa di manovra su cui inserire l'azione fascista.
Da questo quadro emerge la necessità per il MSI di unificare le forze
fasciste, di attuare un piano articolato alcuni elementi del quale abbiamo già
indicati, nella premessa al III capitolo. Innanzitutto, basta con i fascistelli
sparsi che prendono iniziative caotiche e che vanno in giro con attrezzature
da teddy boys; sì a vere organizzazioni paramilitari, centralizzate e
disciplinate, con esercitazioni regolari e con armamento efficiente. E poi il
discorso politico più duttile, dal minaccioso al paternalistico, dal
mussoliniano al parlamentare. Sul piano internazionale, organizzazioni come
la Permindex, che finanziava l'OAS e i neonazisti altoatesini, sembrano un trastullo
da dilettanti. L'accordo corre verso i regimi già forti dell'Europa occidentale,
da Madrid ad Atene; ma si ricerca più stabilmente un filo diretto con
gli Stati Uniti. A quegli Stati Uniti che chiedono alla borghesia europea di
destinare una maggior attenzione alla sua "difesa interna", in prima
persona. Il partito americano non è più soltanto la destra DC,
il PSDI, il PRI. Del partito americano fa parte integrale il MSI, che cerca
di diventare la forza egemone.
Nota - Nella nota 4 del presente capitolo si riporta un episodio attribuito a Giulio Seniga. Seniga ci ha fatto sapere di essere estraneo all'episodio e di non querelare la Strage di Stato per non affiancarsi alla campagna contro di essa. Ne prendiamo volentieri atto. Ciò non vuoi dire, naturalmente, che rinunciamo a criticare il comportamento di Giulio Seniga nei confronti della sinistra extraparlamentare, documentato in suoi recentissimi scritti, anche sulle colonne dell'Avanti!.
Il luglio 1969 (69)
"Basterebbe che in questi giorni che in qualche manifestazione di piazza si
ammazzasse qualche poliziotto e comparisse tra i dimostranti qualche arma da
fuoco. La situazione potrebbe precipitare in poche ore. Toccherebbe al governo
e al Capo dello Stato dichiarare lo stato d'emergenza. In alcuni Stati federali
americani non si è fatto del resto lo stesso proprio in questi ultimi mesi?".
Questa dichiarazione lasciata da un alto funzionario dei ministero degli Interni
appare sul settimanale Panorama nel mese di luglio 1969. Pochi giorni
prima alcuni giornali stranieri hanno pubblicato la notizia che ufficiali delle
forze armate italiane si sono riuniti clandestinamente in diverse sedi "per
esaminare la situazione politica". L'Unità rende noto il testo di un
documento approvato in una di queste riunioni che dice tra l'altro: "... si
deve pensare all'eventualità che le forze armate debbano entrare in azione per
difendere le libertà democratiche e la Costituzione". Randolfo Pacciardi in
un suo editoriale è ancora più esplicito: " In circostanze così gravi e eccezionali
il capo dello Stato ha il potere di "nominare" un governo presidenziale e d'inviare
un messaggio alla Nazione la quale, stretta intorno al suo Capo, certamente
comprenderà. C'è da prevedere una reazione comunista? Non c'è che affrontarla
con fermezza".
In quelle settimane i fascisti riempiono Roma di scritte
e manifesti che esaltano i generali al potere nell'imminenza del colpo di Stato.
Il Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese, i Gruppi di Azione Nazionale
di Mario Tedeschi, l'Ordine Nuovo di Pino Rauti, la Giovane Italia e altre quindici
organizzazioni di estrema destra lanciano l'appello alla mobilitazione. Il Partito
comunista è costretto a fare scattare l'operazione di sicurezza e vigilanza
nelle sue 4.290 sezioni e 11.170 cellule.
Nel giro di una settimana, tra il 9 e il 15 luglio, la temperatura
politica nel Paese raggiunge punte elevatissime. Poi di colpo decresce, ritorna
a stabilizzarsi. La stampa italiana, salvo rare eccezioni, rinuncia ad esprimere
un giudizio. Solo all'estero se ne parla, pur tra pareri discordi: per alcuni
giornali si è trattato di un tentativo rientrato di un colpo di Stato, per altri
- la maggioranza - di voci diffuse ad arte per drammatizzare la situazione politica.
Su questa seconda interpretazione . concorda l'Espresso che nei due
mesi precedenti ha dedicato una serie di articoli alla crisi del centrosinistra.
Nel primo di essi, in data 18 maggio, il giornalista Livio Zanetti dava ampio
risalto al messaggio di Saragat in cui il centrosinistra veniva definito "irreversibile"
e si indicava apertamente la prospettiva delle elezioni anticipate. Circa un
mese prima un altro messaggio di Saragat era stato oggetto di una violenta polemica.
In risposta a un appello inviatoli dai giovani della Confederazione Studentesca
(che raccoglie dai liberali ai neofascisti) , il Presidente della Repubblica
aveva condannato "il miracolismo della violenza" e ammonito che "i più ardui
problemi si pongono su un piano umano dove tutto può essere risolto". Mentre
quasi tutti i giornali, dal Secolo d'Italia all'Avanti! avevano
dato ampio risalto al messaggio, L'Unità aveva parlato di"sconcertante
consenso a un'iniziativa qualunquista", sottolineando che "l'appello al quale
Saragat ha risposto, accusa la classe politica di impartire quotidianamente
una lezione di viltà e praticamente invita il presidente della Repubblica a
sostituirsi ad essa". Secondo il Corriere della Sera invece "è chiaro
il richiamo del Presidente contro tutte le forme di contestazione nazi-maoista,
contro l'inquietante collusione degli opposti estremismi".
La scissione socialista e la nascita del PSU
Dopo il 6 luglio, il nome di Giuseppe Saragat ritorna alla
ribalta quando alcuni autorevoli giornali stranieri lo indicano, più o meno
esplicitamente, come quello dell'ispiratore della scissione del PSI e della
conseguente nascita del nuovo partito social-democratico PSU. I socialdemocratici
replicano sdegnosamente definendo le rivelazioni "un'illazione offensiva e priva
di fondamento" e lo stesso tono usato per contestare un settimanale della sinistra
cattolica che in quei giorni afferma che la scissione è stata finanziata coi
dollari americani. Ma anche l'Unità è molto esplicita: "Risulta che
uno dei "benefattori" del PSU si chiama Vanni B Montana ed è il capo-sezione
alle relazioni pubbliche dell'ufficio italoamericano del Lavoro presso il dipartimento
di Stato USA. Egli era presente inoltre all'atto costitutivo del PSU".
Tutti questi fatti sono noti. Meno noto resta quanto è successo
dietro le quinte della manovra scissionistica. Il fatto che, per esempio, all'inizio
dell'estate vi erano state numerose riunioni alle quali avevano preso parte,
oltre a vari esponenti socialdemocratici tra cui il ministro Luigi Preti, il
capo dell'ufficio stampa della presidenza alla Repubblica dottor Belluscio e
il petroliere-editore Attilio Monti.
Il cavalier Monti (63 anni, figlio di un fabbro di Ravenna,
arricchitosi durante la guerra con il traffico del petrolio fatto in società
con uno dei segretari dei Partito Nazionale Fascista, Ettore Muti) è oggi proprietario
di diverse raffinerie, due delle quali sono tra le più importanti d'Italia:
la Mediterranea di Milazzo e la Sarom di Ravenna, cioè le grandi società petroliere
americane e anglo-olandesi. La Sarom in particolare ha un accordo con la BP,
rinnovato per altri dodici anni nel 1967, per la raffinazione di un fatturato
annuo di circa 15 miliardi di petrolio greggio. Uno dei clienti principali dei
cavalier Monti è oggi la VI Flotta USA di stanza nel mediterraneo.(70)
Nel mese di giugno 1969, dopo la prima serie di riunioni,
Attilio Monti si è recato negli Stati Uniti dove si è incontrato con finanzieri,
industriali e rappresentanti della amministrazione Nixon. Nello stesso periodo,
a Roma, il deputato socialdemocratico A.C. frequentava spesso un ufficio del
SID in via Aureliana e un altro noto personaggio del futuro Partito socialdemocratico
unificato era di casa nella sede dell'agenzia finanziaria Merril-Lynch Pierce,
in via Bissolati 76, notoriamente legata ad ambienti del Dipartimento di Stato
americano. Sempre nelle settimane precedenti la scissione, alcuni dirigenti
del PSI, tra i quali un ex ministro, sono stati "sollecitati" ad aderire alla
corrente di Ferri e Tanassi dal rappresentante di un'agenzia di stampa specializzata
in ricatti a uomini politici. Il direttore, un ex repubblichino divenuto poi
collaboratore del giornale del PSDI, La Giustizia, è in ottimi rapporti
d'amicizia coi generale Giovanni De Lorenzo, oltre che col redattore capo dei
missino Secolo d'Italia, col direttore dello Specchio, Nelson
Page, col redattore capo del Borghese Gianna Preda e con due ufficiali
del SID, tali Stella e De Bellis. L'agenzia di stampa è finanziata con due milioni
al mese versati sotto forma di abbonamento dall'industriale Attilio Monti.(71)
Il 13 luglio, riferendosi "alla recente costituzione del
nuovo partito socialdemocratico e alla eventualità di elezioni politiche anticipate,
ventimila dei suoi esponenti più rappresentativi, L'Espresso scrive:
"Un 18 aprile creato artificialmente, facendo leva sul risentimento diffuso
tra gli operatori e la borghesia per gli scioperi, le disfunzioni amministrative,
la contestazione studentesca: (72) ecco il progetto che lega la destra
DC ai seguaci di Tanassi". E una settimana dopo in un articolo intitolato "La
fabbrica della paura" il giornalista Carlo Gregoretti, fatto un bilancio degli
avvenimenti dei mesi precedenti (le violente repressioni poliziesche di cortei
e manifestazioni culminate nell'eccidio di Battipaglia, le denunce indiscriminate
attuate associando ai nomi dei fermati quelli ricavati a caso dagli elenchi
delle questure, la recrudescenza di azioni squadristiche e di attentati fascisti),
conclude scrivendo: "Sono soltanto alcuni esempi (...) può apparire come un
quadro allarmante di tensione e di panico, dietro il quale non è lecito escludere
il disegno di una provocazione interessata: la ricetta per realizzarla è proprio
questa".
Cinque mesi più tardi, il 14 dicembre 1969, nel commentare
la situazione politica italiana all'indomani degli attentati di Milano e Roma,
il settimanale inglese The Observer scriverà: "I motivi di Saragat
nel creare la scissione erano evidentemente sottili. Egli cercava non tanto
di influenzare i socialisti quanto di spingere a destra la Democrazia cristiana.
Il calcolo era che il governo Rumor fosse costretto alla resa dall'agitazione
sul fronte industriale, che le elezioni anticipate venissero tenute nell'anno
nuovo e che la paura dei comunismo cancellasse alle urne la sinistra democristiana.
Ma tale proposito non si è avverato ( ... ) la reazione emotiva, la stanchezza
e l'insofferenza del pubblico dettero a De Gaulle la sua vittoria elettorale
dopo il Maggio 1968 in Francia. Ma può Saragat sperare di ottenere lo stesso
risultato? Per l'intero schieramento di destra, dai. socialisti saragattiani
ai neofascisti, l'inaspettata moderazione dell'autunno caldo minacciava di liquidare
la paura della rivoluzione sulla quale essi avevano puntato. Quelli che hanno
fatto esplodere le bombe in Italia hanno rinverdito questa paura. Dal terrorismo
dell'estrema destra, anche la destra "moderata" può trarre vantaggio".
Nel contesto di questo articolo dell'Observer appare per
la prima volta il termine "strategia della tensione" a significare che quanto
è avvenuto in Italia in questi mesi, o almeno i fatti più rilevanti, è il risultato
di precise scelte politiche, coerentemente organizzate all'interno di un disegno
preordinato. Agli inizi del 1968 la situazione economica italiana è caratterizzata,
grosso modo, da un contrasto tra le linee di tendenza del capitale monopolistico
(le cui accresciute esigenze di competitività internazionale impongono un'espansione
dei consumi interni e la soluzione degli squilibri strutturali della società
e dello Stato) e le linee di tendenza della media e piccola industria, alla
quale l'abolizione delle leggi protezionistiche e l'integrazione nell'area economica
europea pongono pressanti problemi di ammodernamento tecnologico, prioritari
rispetto all'aumento dei costi del lavoro operaio e delle riforme sociali. Le
elezioni politiche del 19 maggio, che ratificano la crisi del centrosinistra
e della politica di contenimento delle tensioni di classe, aprono, in prospettiva,
uno fase di alleanza obiettiva tra le forze più avanzate del grande capitale
e le organizzazioni tradizionali del movimento operaio, mentre a livello parlamentare
viene a prefigurarsi la possibilità di un nuovo schieramento tra la linea amendoliana
della "nuova maggioranza" e quella del "nuovo patto costituzionale" della sinistra
democristiana.
E' un processo pieno di contraddizioni che incontra, fin
dagli inizi, ostacoli e resistenze potenti. Da un lato vi si oppongono i settori
più avanzati della classe operaia, contrari all'istituzionalizzazione delle
lotte all'interno della dinamica neocapitalistica, e le forze nascenti della
contestazione studentesca che, attraverso la denuncia dell'interclassismo e
del riformismo, rifiutano sia l'inserimento nei ruoli della classe dirigente
borghese sia i tradizionali strumenti della lotta politica; dall'altro lato
gli ostacoli maggiori, a livello nazionale, provengono soprattutto dall'ala
arretrata del capitalismo, strutturalmente legata al supersfruttamento operaio,
dal capitale parassitario e da quelle forze dell'apparato statale (nei ministeri,
negli enti pubblici, nelle università, nella magistratura, nella polizia, nell'esercito)
contrarie a qualsiasi tipo di riforma, anche soltanto efficientistica, che possa
mettere in discussione il tradizionale assetto dei centri di potere burocratico.
Ma il disegno riformistico, con l'esigenza di pur timido
neutralismo che esso comporta, urta irrimediabilmente contro le necessità strategico-militari
dell'imperialismo americano. Il conflitto mediorientale e la relativa penetrazione
dell'Unione Sovietica in un'area che le era tradizionalmente preclusa, il progressivo
affrancamento coloniale dei Paesi costieri dell'Africa nord occidentale, costringono
gli Stati Uniti a porre un'ipoteca sempre più rigida su un punto chiave del
controllo del Mediterraneo qual' è l'Italia.
La "strategia della tensione"
La "strategia della tensione", per potersi realizzare, necessita di un contesto
storico, politico e sociale pieno di profonde contraddizioni in cui possa inserirsi
un'azione spregiudicata che tenda a spostare il terreno della lotta politica
sul terreno dello scontro frontale con le forze dell'ordine, in modo da trasformare
il rapporto tra lavoratori e Stato in un problema di ordine pubblico. La crisi
storica del centrosinistra, le spaccature che sono state provocate al suo interno
dalle lotte dei lavoratori, pongono in evidenza la doppia anima del centrosinistra,
l'una riformista, l'altra centrista e conservatrice nella quale trova credito
e spazio la componente reazionaria guidata dai socialdemocratici e dalla destra
democristiana. Da questo scaturisce una paralisi dell'iniziativa politica, determinata
dalla necessità di accantonare i problemi strutturali della società; e proprio
qui si innesta il ricatto socialdemocratico che richiede o il completo allineamento
a una politica conservatrice oppure la crisi al buio che possa consentire i
più ampi margini di manovra alle forze reazionarie annidate nel parlamento,
nell'apparato, nella burocrazia, nella classe imprenditoriale.
A tale scopo, mancando le condizioni obiettive che permettano
soluzioni di questo tipo, si provoca a freddo un clima interessato di allarmismo
con le continue minacce di scioglimento delle camere e di elezioni anticipate,
con le ricorrenti minacce di colpo di stato, con l'utilizzazione indiscriminata
dello squadrismo fascista, con la provocazione promossa dall'apparato burocratico
e poliziesco, tollerante e spesso dichiaratamente connivente con la teppaglia
fascista.
Un disegno di questo genere conta sulla possibilità di eccitare
l'opinione pubblica contro i pericoli che minacciano le istituzioni democratiche,
pericoli rappresentati dagli "opposti estremismi" e dalla impossibilità per
le forze di polizia di mantenere l'ordine. Si cerca infatti di perseguire una
guerra di logoramento che acuisca la sfiducia dei cittadini e quindi predisponga
il terreno per l'accettazione supina di avventure reazionarie o paragolliste.
In questo disegno è indispensabile poter contare in qualunque
momento sulla complicità dell'apparato poliziesco e difensivo. Non mancano gli
esempi. Il 29 novembre 1968, ad Avola, gli agrari rompono le trattative con
i sindacati dei braccianti che chiedono il rinnovo dei contratti di lavoro.
La situazione è tesa ma i proprietari terrieri disertano le riunioni convocate
a più riprese.
Il prefetto di Siracusa non esita a schierarsi al loro fianco
appoggiandone le manovre dilatorie e ponendo al loro servigio la polizia, benché
sia stato avvertito dallo stesso sindaco di Avola di non mandare agenti "perché
la situazione potrebbe precipitare". Il 2 dicembre la polizia spara sui braccianti
uccidendone due. Ma la complicità nella provocazione non si è espressa solo
a livello di prefetto, polizia(73) e magistratura(74) : essa trova l'avallo
anche a livello governativo, nell'incredibile discorso dei ministro degli Interni
Restivo alla Camera, in cui si pone l'accento soprattutto sulla priorità assoluta
del mantenimento dell'ordine pubblico.
In questo modo i problemi politici scompaiono, al loro posto
emerge il tema predominante dell'"ordine" in difesa del "disordine"; e, in certa
misura, anche i sindacati e le forze della sinistra parlamentare cadono nella
trappola proponendosi come obiettivo primario quello del disarmo della polizia.
In occasione dei fatti di Avola la stampa cosiddetta moderato svolge puntualmente
il suo ruolo di copertura, riversando le colpe di quanto è accaduto su "una
minoranza di provocatori che mettono in atto una tattica di guerriglia". L'inserimento
e il ruolo della stampa diventano più espliciti in occasione dei fatti di Battipaglia".
Il 9 aprile 1969 la polizia spara ancora, in quella città,
mentre è in corso lo sciopero generale contro la ventilata chiusura del locale
tabacchificio, e uccide un operaio di 19 anni e una giovane maestra che assiste
agli scontri dalla finestra del suo appartamento. Giornali come La Stampa
della Fiat e Il Giorno dell'IRI parlano di "tumulti". Ma i giornali
fascisti e quelli della catena dell'industriale socialdemocratico Attilio Monti
usano termini come "rivolta contro lo Stato", "organizzazione insurrezionale",
"fine della democrazia", sostenendo che "il governo è debole" e non ha "il coraggio
di difendere le forze dell'ordine e di far rispettare la legge".(75) Ancora
una volta il ministro degli Interni giustifica il comportamento della polizia
accennando esplicitamente all'esistenza di un "piano preordinato" messo in atto
da "provocatori estranei alla città".
Sulla natura e l'appartenenza politica di questi "estranei"
non si pronuncia, lasciando all'immaginazione della stampa "indipendente" il
compito di definirli. E per essa, ovviamente, non può che trattarsi di "cinesi
e anarchici che il PCI sfrutta per aprirsi una via verso la partecipazione al
potere". Il ministro Restivo non dice che nei due giorni precedenti la tragedia
di Battipaglia il 7 e l'8 aprile, si erano concentrati in città gruppi di fascisti
napoletani di Ordine Nuovo e di Università Europea e che da Roma erano arrivati
altri squadristi, di Avanguardia Nazionale e ancora di Ordine Nuovo. Eppure
si trattava di elementi, una cinquantina in tutto, per buona parte noti agli
uffici politici delle questure italiane. La cosa era talmente nota che l'agenzia
di stampa O.P., diretta dall'ex pacciardiano Simeoni, il giorno prima degli
scontri aveva "captato" lo spostamento dei fascisti e previsto che a Battipaglia
vi sarebbero stati "gravissimi tumulti".(76)
L'interpretazione dei fatti di Battipaglia, che avvengono
mentre è già in atto la manovra della scissione socialdemocratica, accentua
la frattura all'interno dei Partito socialista unificato. Nel dibattito alla
Camera, mentre il socialdemocratico Mauro Ferri dice che "nel Mezzogiorno la
protesta popolare è trascesa", il socialista Lezzi giudica che "le provocazioni
possono essere state messe in atto da esponenti dello stesso apparato statale".
Salvo rare eccezioni comunque il significato dei fatti di Battipaglia non viene
colto nella sua dimensione strategica, collocato all'interno di un disegno ben
preciso. PCI, PSIUP, la sinistra socialista e democristiana, ne colgono soltanto
gli aspetti più appariscenti e drammatici per rilanciare il discorso sul disarmo
della polizia. Il comunista Gian Carlo Pajetta denuncia in Parlamento un episodio
sintomatico, avvenuto nella caserma di polizia di Castro Pretorio a Roma in
quegli stessi giorni, in cui il Paese è, scosso da grandi manifestazioni di
protesta: "Sapete che fu selezionato un reparto, uomo per uomo, e messo al comando
di ufficiali repubblichini, affinché al passaggio degli studenti, anziché gli
squilli di tromba e lo sbarramento, e, sia pure, lo scontro, ci fosse invece l'assalto improvviso e poi la caccia all'uomo
per dei chilometri e le bastonature selvagge?".
Una
denuncia dei genere è limitativa, illumina soltanto un aspetto della manovra
portata avanti anche con gli incidenti di Battipaglia. Eppure sarebbe stato
sufficiente leggere con maggior attenzione certi giornali, da quelli dell'impero
Monti a quelli fascisti. per capire meglio sino in fondo, il significato di
quegli incidenti. Il Tempo di Roma, il 17 aprile, scrive che "a Battipaglia
è stata sperimentata per la prima volta la tattica che i vietcong usano a Saigon",
che "è prioritario il disarmo immediato dei terroristi" e che "lo Stato Democratico
e la natura del PCI sono incompatibili", e invita la Democrazia cristiana a
"non attendere i comodi di nessuno per agire efficacemente in difesa, anche
preventiva, dell'ordine pubblico".
I fatti di Battipaglia vanno invece inquadrati in una situazione
che vede l'apparato dello Stato e la polizia svolgere non più soltanto un generico
ruolo di appoggio, quasi naturale, alle tendenze conservatrici, ma sviluppare
una precisa azione di provocazione, preordinata e finalizzata. E' quanto si
verifica a Roma in occasione della visita del presidente Nixon, con la connivenza
aperta tra le forze di Pubblica Sicurezza e i gruppi fascisti, denunciata da
diversi giornali della sinistra a Milano con gli attentati del 25 aprile; a
Torino con gli scontri del 3 luglio in viale Traiano; a Pisa il 27 ottobre durante
gli assalti della polizia contro gli studenti che erano stati provocati dai
fascisti greci e italiani. Ma a parte questi esempi clamorosi, una tale complicità
è diventata ormai consuetudine in Italia, sia esplicandosi con la tolleranza
colpevole verso le azioni squadriste, sia con quegli assalti a freddo di cortei
di studenti e lavoratori che durante l'autunno sindacale sono stati usuali.
La connivenza con i fascisti si attenua solo in concomitanza
con le vicende della vita politica, quando vi è la necessità di sostituire alle
paure provocate dallo squadrismo l'arma più subdola degli "opposti estremisti",
la visione delle guardie rosse e delle guardie nere che assieme danno l'assalto
all'ordine e alla tranquillità borghesi.
Per la strategia della tensione quello
che conta è di provocare, nell'opinione pubblica moderata, l'immagine del vuoto
politico, creare la psicosi della paura, della minaccia permanente, di una incombente
disgregazione dello Stato, lenta ma ineluttabile. Nel necessario contesto, di
fianco agli attentati. agli scontri, alle provocazioni fasciste e della polizia,
si inseriscono anche l'aggiotaggio politico fatto soprattutto dai socialdemocratici
con i loro continui ricatti o minacce di scioglimento delle Camere; messa in
circolazione di voci su presunti o imminenti colpi di Stato: l'allarmismo economico
provocato con artificiali crisi della Borsa(77) e con il trasferimento di capitali
all'estero ampiamente pubblicizzato sulla stampa.
Lo scopo è quello di far pensare che ci si trovi alla vigilia
di un nuovo 1922 o di un colpo di Stato alla greca. Ma si tratta di un falso
scopo, almeno finora, che tende a sviare l'attenzione da un altro colpo di Stato,
strisciante, che si realizza giorno per giorno. Con il ripristino di disposizioni
eccezionali, le limitazioni ai gruppi politici e alla stampa di sinistra, il
progressivo slittamento verso destra del governo, il tentativo di porre il bavaglio
a sindacati, eccetera. E' un disegno per il momento più di tipo gollista che
di tipo greco, anche se non sono scartate soluzioni di ricambio più radicali.
I fascisti come strumento
Fra il 1964 e il 1967 - inizi '68, nella nuova Italia pacificata
dal centrosinistra, il neofascismo attraversa una fase squallida, priva - per
usare un suo termine - di "virilità". Il MSI dei ragionier Arturo Michelini
amministrava la routine elettorale di un gruppo di comparse screditate, qualche
raduno di nostalgici, le solite scritte sui muri, qualche attentato (una cinquantina
in tre anni: roba da ridere rispetto a oggi).
La sua funzione più importante, tutto sommato, era assolta
dai gruppi dissidenti dell'estrema destra nell'ambiente studentesco romano.
Restavano ai fascisti le complicità politiche con l'apparato ma esse erano più
dettate dalle affinità culturali e ideologiche del singolo burocrate, poliziotto
o magistrato, che non dalle esigenze tattiche e strategiche con le quali lo
Stato borghese ha, da sempre, legittimato la loro presenza e il loro ruolo.
E mancando questi presupposti oggettivi, ai fascisti mancavano anche i soldi.
In quegli anni molte sezioni missine chiudono, Il Secolo d'Italia licenzia redattori
e riduce la tiratura, due appartamenti del palazzo di via Quattro Fontane, sede
nazionale del MSI, vengono affittati a uffici privati. Poi, improvvisamente,
nei primi mesi del 1968 le cose cambiano, comincia la "pacchia" che dura ancora
oggi.
Il MSI riapre e aumenta le sezioni, le città italiane vengono
invase da migliaia di volantini inneggianti alla "piazza di destra" e di manifesti
di giovanotti in camicia verde che puntano il dito ammonitore. Davanti alle
scuole si diffondono gratuitamente pacchi del Diario Italiano dove tra
fiamme tricolori e fasci littori, si inneggia a due sinceri anticomunisti: Benito
Mussolini e James Bond. Nelle edicole compare un numero sterminato di giornali
e riviste (alcuni vecchi, molti nuovi): L'Assalto, L'orologio, Forza
Uomo, Nuova Repubblica, Il Cavour, L'Asso di Bastoni, Rivolta Ideale, Per l'Onore
d'Italia, Confine Orientale, Diseguaglianza, Est Press, Folgore, Gioventù
Nazionale, Il Dardo, Il Nuovo Pensiero Militare, li Conciliatore, Iniziativa
Nazionale e Europea, Il Combattente della Libertà, L'Alleanza Italiana, L'Arena
di Pola, La Vetta d'Italia, L'Esule, L'Ultima Crociata, Mondo Romano,
Notizie Latine, Monterosa, Combattentismo Attivo, Prima Linea, Uomini
Nuovi, Volontà, La Legione, Europa Civiltà, Forze Nuove L'Aspra Lotta, L'Italiano,
Noi Europa, Il Ghibellino, L'Universale, Il Legionario, F.N.C.R.S.I.,
Perseverare, Conquista dello Stato, Gioventù Nazionale, Creatività, Il Terzo
Grado, In Piedi!, Il Precursore, Ordine Domani, Documento del Nostro
Tempo, Documenti sul Comunismo, Partecipazione, La Fiamma Nazionale, La Tappa,
Eur X Opa, Corrispondenza Europea, Europa Tempo, Eurafrica, eccetera,
oltre naturalmente, ai tradizionali "Il Secolo d'Italia", il "Borghese"
e "Lo Specchio".
Allo stesso modo proliferano i nuovi gruppi dell'estrema
destra, ognuno con sede propria, bollettino, attrezzature per la propaganda.
Eccone alcuni: Partito Nazionale Democratico,(78) Università Europea, Movimento
Tradizionalista Romano, Costituente Nazionale Rivoluzionaria, Gruppi Nazionali
Popolari, Giovane Europa, Fronte Nazionale Europeo, Fronte d'Azione Liberale,
Movimento Nazional Proletario, Gruppi Spontanei Anticomunisti, Movimento Combattentistico
Attivo, Ordine di Domani, Cavalieri della Nazione, Nuclei di Difesa dello Stato,
Comitato Difesa Pubblica, Nuova Caravella, Volontari Civili, Fronte Unito Anticomunista,
Comitati di Salute Pubblica, Comitati di Difesa Civica, Ordine e Progresso,
Patrioti Apuani, Elmetti Neri, Democrazia Maggioritaria, Camicie Verdi, Formazioni
Giovanili, Aquile Nere, Centro Europa Unito, Gioventù Nazionale Rivoluzionaria,
Guardie Bianche, Fronte Nazionale Bulgaro, Cattolici con grinta, Italia Irredenta,
Gruppi Dannunziani, Raggruppamento Italico, Seconda Repubblica, Avanguardia
Nazionale.
Contemporaneamente si rafforzano e si riorganizzano i gruppi
già esistenti che sono: le associazioni di arditi e ex combattenti, le federazioni
degli ex repubblichini, i Volontari del MSI, l'ASAN, la Giovane Italia, il FUAN-Caravella,
l'Unione Nuova Repubblica di Junio Valerio Borghese, l'Ordine Nuovo dei giornalista
del Tempo Pino Rauti, l'Europa Civiltà di Loris Facchinetti, i GAN (Gruppi
di Azione Nazionale) dell'ex repubblichino direttore del Borghese Mario
Tedeschi, l'OAP (Organizzazione Azione Patriottica), il MAR (Movimento di Azione
Rivoluzionaria) e l'Italia Unita che ha tra i suoi fondatori il generale del
genio navale Giuseppe Biagi e il presidente del tribunale di Monza Giuseppe
Sabalich.
E' un giro di miliardi. Chi paga i fascisti?
Chi li paga
La centrale dei finanziamenti USA al neofascismo italiano
è la Continental Illinois Bank di Cicero, Illinois, che concentra enormi capitali
provenienti in massima parte dall'industria bellica americana. La Continental
(come anche la Gulf and Western) che amministra il capitale della mafia americana
Cosa Nostra) fornisce la copertura finanziaria alla italiana Banca Privata Finanziaria,
della quale si serve Michele Sindona (79) per la gigantesca operazione
di trasferimento di medie industrie italiane sotto il controllo dei capitale
americano, che è iniziata verso il 1968. La Continental, inoltre, è una delle
maggiori consociate dell'industriale Carlo Pesenti e dell'Istituto per le Opere
di Religione, la centrale della finanza vaticana il cui nuovo responsabile è
monsignor Paul Marcinkus, originario di Cicero.
Presidente della Confinental Illinois Bank è David Kennedy,
consigliere al Tesoro dell'amministrazione Nixon. Tramite l'italo-americano
Philip Guarino, nostalgico per la parte italiana e repubblicano e grande elettore
di Richard Nixon per l'altra metà americana, David Kennedy è entrato in contatto
con l'onorevole Luigi Turchi. il deputato del MSI ha partecipato alla campagna
elettorale di Nixon facendo capo al quartier generale del partito repubblicano
a Washington da dove ha organizzato comizi, dibattiti e conferenze radiofoniche
per la comunità italiana negli Stati Uniti. Durante un ricevimento, in cui Turchi
era tra gli ospiti d'onore, il capo dell'esecutivo della campagna elettorale,
Michael III, nipote di Eisenhower, ha espresso ai giornalisti presenti l'apprezzamento
di Nixon per il. contributo offertogli dal parlamentare italiano e "la fiducia
che il contatto si protragga anche nel futuro" (comunicato ANSA). Tornato in
Italia Luigi Turchi ha pubblicato a piena pagina sul suo giornale La Piazza
una foto del nuovo presidente americano con dedica personale.
Altri soldi americani arrivano ai fascisti italiani dalla
CIA che si serve per questo del "canale greco". Il primo ministro Papadopulos
ha affidato la gestione di quei fondi al capo del KYP, colonnello Michele Rufogalis,
(agente - come il ministro dei Coordinamento Makarèzos - dei servizi segreti
americani da almeno otto anni), il quale a sua volta ne cura la distribuzione
sulla base delle indicazioni fornitegli dall'incaricato della "questione italiana",
l'agente del KYP Costantino Plevris.
La fonte dei finanziamenti in Europa
è la Banque de Paris et des Pays Bas, la stessa usata dai monopoli agricoli
e minerari belgi, francesi e olandesi per le colossali operazioni di finanziamento
dell'OAS in Algeria e delle truppe mercenarie in Congo. Nel novembre '68 Michele
Sindona ha condotto per conto della Banque de Paris et des Pays Bas la scalata
alla società Finanziaria Sviluppo fino a allora controllata dal gruppo italiano
Cini-Gaggia-Volpi. La Sviluppo doveva servire alle grandi società petrolifere
americane e anglo-olandesi per combattere all'interno della Montedison la battaglia
contro la linea IRI-ENI-Agnelli-Pirelli che, col processo di razionalizzazione
che comportava, avrebbe aumentato la competitività della Montedison a livello
internazionale.(80)
Restano poi finanziamenti nazionali. Il quadro è estremamente
composito e riflette le contraddizioni e gli squilibri del processo di restaurazione
neocapitalistica in atto in Italia. A Genova pagano armatori e petrolieri, a
Rimini grossi albergatori, a Ravenna gli industriali zuccherieri, a Roma Napoli
Palermo gli impresari edili, a Bari e Reggio Calabria gli agrari, eccetera.
In sostanza a foraggiare i fascisti sono i settori della media e piccola industria
e quelli dei capitale parassitario. La Confindustria in quanto tale, poiché
al suo interno esistono contrasti di tendenza tra "presidenzialisti" e "riformisti",
ha preferito continuare a investire i propri soldi nei partiti di governo e
dell'opposizione" costituzionale di destra, oltre che nel SID al quale versa
ogni anno dai 70 agli 80 miliardi (cfr. Alain Guérin, Qùest-ce que la CIA?
Editions Sociales, Paris 1968).
I rapporti dei fascisti con il Vaticano invece si sono fatti più cauti
e discreti che nel passato. Uno dei tramiti più noti è il principe Filippo Orsini,
ex assistente al soglio pontificio, molto legato a Junio Valerio Borghese e
a Giulio Caradonna. Tra le varie entrature, Filippo Orsini ha quella molto consistente
con il cardinale Samorè, ex presidente della pontificia commissione latino-americana,
che è uno dei fiduciari della Misereor, una ricchissima società finanziaria
tedesca che sostiene le iniziative anticomuniste in tutta Europa.
Tra le fonti dei finanziamenti minori c'è l'Associazione
per l'Amicizia Italo-Tedesca con sede a Roma (via del Colosseo, 2 a), il cui
direttore, Gino Ragno, è stato presidente della Giovane Italia, membro di Ordine
Nuovo e fondatore del gruppo clandestino dei Figli del Sole. Ragno, che è anche
collaboratore del, quotidiano Il Tempo, ha contatti con industriali,
militari (soprattutto ufficiali dei paracadutisti), e uomini politici della
Germania Federale.(81)
Un bilancio positivo
A conti fatti il neofascismo italiano ha svolto bene il suo
ruolo negli anni '68 - '69, e chi lo ha finanziato può ritenersi soddisfatto
della scelta e della spesa. Soltanto il tentativo, operato con le infiltrazioni,
di estremizzare e deviare "dall'interno" le lotte dei gruppi della sinistra
extraparlamentare e del Movimento Studentesco è sostanzialmente fallito.
Merlino - che pure è uno degli esempi più riusciti - fa testo
in proposito. In compenso si sono rivelate più efficaci le provocazioni operate
"dall'esterno", sia esercitando il vandalismo inutile e sistematico ai margini
delle manifestazioni - soprattutto di quelle che sfociavano in scontri con la
polizia - sia praticando i tradizionali metodi squadristici, allo scopo di spostare
all'indietro gli obiettivi di lotta della sinistra e di provocare quelle reazioni
che giustificassero uno degli argomenti-principe dei cantori della "strategia
della tensione", quello degli "opposti estremismi". In soli 2 mesi, nell'ottobre
e novembre 1969, hanno compiuto in varie città italiane 52 tra aggressioni e
"spedizioni punitive" (16 contro licei, 5 contro sezioni dei PCI, 4 contro sedi
universitarie, 7 contro manifestazioni e cortei, 20 contro militanti di sinistra
isolati).
Negli ultimi due anni, inoltre, si, sono addestrati coscienziosamente,
con ampia disponibilità di mezzi e di attrezzature. Hanno palestre in quasi
tutte le città italiane (sette soltanto a Roma) dove praticano in prevalenza
il "karatè" e l'"akidò", la lotta giapponese con il bastone. Frequentano assiduamente
i corsi di lancio organizzati nelle varie sedi dalla Associazione Nazionale
Paracadutisti; allestiscono campeggi paramilitari un po' dovunque, addestrandosi
alla controguerriglia sotto la guida di ex ufficiali repubblichini, quando non
si tratti di quelli dell'esercito italiano che prestano servizio alla scuola
d'arditismo di Cesano. Compiono periodiche esercitazioni di tiro in poligoni
militari, come quelli di Palermo o di Tor di Quinto a Roma, oppure "clandestini",
come quelli di Cornuda, di Cervarezza, dell'Alta Sabina, di Tolfa, dei Colli
Euganei, della Sila, ecc.
Costituirebbero insomma, nell'ipotesi estrema di un colpo
di Stato alla greca nel nostro paese, una sia pur modesta forza fiancheggiatrice.
Ma l'attività nella quale eccellono sono gli attentati. Nei due mesi-campione,
l'ottobre e il novembre 1969, hanno lanciato 27 bottiglie molotov (contro 11
sezioni del PCI, 4 del PSIUP, 2 del PSI, 3 Case del Popolo, 2 sedi marxiste-leniniste,
due del M.S., 1 della FIOM-CGIL, 1 chiesa valdese e 1 sinagoga); 13 ordigni
al tritolo (contro 2 sezioni dei PCI, 5 lapidi. partigiane, 3 caserme, 2 chiese,
1 cabina dell'ENEL); 10 bombe-carta (contro 6 sezioni del PCI, 2 circoli operai,
1 sede della RAI, 1 ospedale militare); 2 bombe a mano di tipo SRCM in dotazione
all'esercito (contro due case del popolo).
Fondamentale, in questo quadro, è la parte giocata dagli
attentati con falsa firma di sinistra: sul totale dei 145 del 1969 escludendo
quelli compiuti da militanti di sinistra e anarchici (82) - essi sono in
tutto una cinquantina. La serie più vicina inizia nell'Ottobre del '68 con i
due attentati di Avanguardia Nazionale agli automezzi della polizia parcheggiati
davanti alla Scuola Allievi Sottufficiali di via Guido Reni a Roma; e si conclude
- almeno ufficialmente - con quello di Reggio Calabria.
La notte fra il 7 e l'8 dicembre 1969 esplode un ordigno
ad alto potenziale che devasta l'atrio della Questura di Reggio Calabria e ferisce
gravemente l'appuntato di guardia. Contro i responsabili, identificati e arrestati
a Roma due settimane più tardi, viene elevata l'imputazione di detenzione di
esplosivi, lesioni aggravate e concorso in strage. Sono due studenti universitari:
Aldo Pardo e Giuseppe Schirinzi. Nel loro curriculum giudiziario appare una
serie incredibile di denunce - apologia di fascismo, danneggiamenti, rissa aggravata,
lesioni personali, etc. - ma neppure una condanna. Il loro curriculum politico,
alla luce dei tragici avvenimenti di quei giorni, è estremamente significativo-
ex dirigenti nazionali della missina Giovane Italia, negli ultimi due anni hanno
militato
nei ranghi dell'Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie, del Fronte Nazionale
di Junio Valerio Borghese e dell'Ordine Nuovo. Giuseppe Schirinzi è componente
dell'esecutivo del "Centro studi
di Ordine Nuovo", una trovata di Pino Rauti per fornire una copertura "culturale"
all'organizzazione di cui è presidente; Aldo Pardo è uno dei responsabili della
sezione giovanile calabrese del
Fronte Nazionale. Ma c'è di più: nella primavera del '68 i due hanno partecipato
al famoso viaggio-premio in Grecia e, assieme a Mario Merlino, sono tra i fascisti
"superselezionati" che s'incontrarono con Costantino Plevris nella sede ateniese
del Movimento "4 Agosto".(83)
Quello alla Questura di Reggio, ultimo in ordine di tempo,
di una lunga serie di attentati dinamitardi che hanno seminato il panico nel
capoluogo calabrese alla fine del '69 (84) ha un significato esemplare.
Attribuito dalla stampa padronale (con i soliti quotidiani
della catena Monti, Il Tempo di Roma e La Notte di Pesenti in
prima fila) agli anarchici e ai maoisti, avviene alla vigilia di un evento d'eccezione:
il comizio che Junio Valerio Borghese, ospite di un albergo di Reggio dal 6
dicembre, dovrà tenere il giorno successivo in città. In una città presumibilmente
sconvolta e indignata per il "gesto criminale dei dinamitardi di sinistra contro
uno dei templi dei potere costituito".
Alle ore 17 del 12 dicembre 1969, la autoambulanze che si
dirigono a sirene spiegate alla Banca Nazionale del Lavoro per raccogliere i
feriti della prima bomba romana, sfrecciano tra mura ricoperte da migliaia di
giganteschi manifesti tricolori. Sopra vi si legge: "Domenica 14 dicembre -
Manifestazione nazionale del MSI al Palazzo dei Congressi dell'EUR. Parlerà
Giorgio Almirante. Italiani accorrete! Reagite al caos e al disordine dilagante!
La piazza di destra vi attende!"
La manifestazione, il giorno successivo alla strage, verrà
vietata in extremis dal Ministro degli Interni. Ancora una volta i fascisti
italiani naufragano nel loro delirante velleitarismo. Dopo 50 anni non hanno
ancora capito che se nel '22 lo Stato monarchico e conservatore non avesse deciso
di identificarsi nel regime, Mussolini avrebbe fatto la marcia su Roma, anziché
in vagone letto, in un cellulare; e che, se l'illusione riformista del movimento
operaio non avesse riconsegnato l'Italia della Resistenza alla restaurazione
capitalistica, il MSI ed i suoi sottopancia non avrebbero reperito né i mezzi
né le complicità politiche per sopravvivere. Con la strage di Piazza Fontana
i fascisti ritentano un'impossibile ingresso nella storia e finiscono, come
al solito, nella cronaca (nera) delle grandi scelte del capitale e dell'imperialismo
stranieri: impotenti e subalterni, in una impresa criminale che li vedrà esclusi
dalla spartizione del bottino.
A Roma dalle ore 15 circa del 12 dicembre 1969, un noto professionista iscritto
ad un partito di sinistra riceve un avvertimento telefonico: "Ti consiglio di
sparire dalla circolazione. Tra poco in Italia, per voi, l'aria sarà irrespirabile".
La voce è quella di P.M., figlio ventiduenne di un ex pezzo grosso del SIFAR,
attualmente in pensione, ma con incarichi "riservati" in ambienti ad altissimo
livello. Un'ora e mezza più tardi esplodeva l'ordigno della Banca Nazionale
dell'Agricoltura, uccidendo sul colpo 12 persone e dilaniandone un centinaio.
Il giorno successivo, sabato 13 dicembre, il presidente del consiglio, on. Mariano
Rumor dichiarava ai giornalisti andati ad accoglierlo all'aeroporto di Fiumicino
al suo ritorno da Milano che la "ricostituzione del centro-sinistra organico
è urgente e indifferibile".
Quando
ormai l'inchiesta è chiusa e questo libro pronto per essere stampato, siamo
venuti in possesso, per una serie di circostanze assolutamente casuali, di nuove
notizie. Purtroppo non siamo in grado di valutare esattamente la loro veridicità
in tutti i particolari, né resta il tempo per farlo. Tuttavia, poichè tali notizie
concordano singolarmente coi risultati della nostra inchiesta, riteniamo doveroso
renderle pubbliche.
Achille Stuani, un ex deputato comunista che oggi si è ritirato
nel suo paese di Caravaggio, in provincia di Bergamo, verso il 20 maggio ha
incontrato a Milano un suo vecchio amico al quale ha confidato di conoscere
la chiave per risolvere il mistero degli attentati del 12 dicembre. Mentre parlava,
Stuani ha lasciato intravedere una cartella di documenti che teneva chiusa in
una borsa. Avvicinato qualche giorno dopo dallo stesso amico, Achille Stuani
è diventato reticente e si è rifiutato di mostrargli i documenti. Ancora più
restio a parlare si è mostrato quando altre persone, abbastanza autorevoli per
poterlo fare, gli hanno chiesto conto delle sue affermazioni. I documenti, ha
detto, non li ho più con me e in ogni caso si trattava di roba di poco conto.
E si è limitato a ripetere il racconto fatto la prima volta a Milano, ma rendendolo
sempre più scarno di particolari.
Achille Stuani dice di avere ricevuto, subito dopo gli attentati,
le confidenze di un suo vecchio amico, l'avvocato Vittorio Ambrosini, fratello
dell'ex presidente della Corte Costituzionale Gaspare Ambrosini. L'avvocato,
che oggi ha 68 anni, durante il regime è stato fascista ma per certe sue intemperanze
era finito al confino dove aveva conosciuto Stuani, militante comunista. Durante
la guerra Vittorio Ambrosini aveva cercato di avvicinare alcuni avvocati antifascisti
di Roma assicurandoli che anche lui la pensava come loro ma era sempre stato
guardato con sospetto. Finita la guerra andava in giro dicendosi comunista ma
poco tempo dopo era tornato a frequentare gli ambienti fascisti della capitale,
cosa che ha continuato a fare sino a oggi. Subito dopo gli attentati l'avvocato
Ambrosini è stato ricoverato in ospedale. sotto choc, dice Stuani. Ne è uscito
due mesi dopo e di nuovo è stato ricoverato perchè rimasto vittima di un incidente.
Da allora non è più uscito dalla clinica. Lo assistono la donna che convive
con lui, signora Teresa, e il nipote di costei, che svolge anche mansioni di
autista. La donna molto sospettosa, si e rifiutata di rivelare dove è attualmente
ricoverato l'avvocato Ambrosini.
Resta, dunque, solo il racconto di Achille Stuani il quale
dice che Ambrosini ha partecipato, la sera di mercoledì 10 dicembre, a una riunione
nella sede romana di Ordine Nuovo dove, presente un deputato del MSI, era stata
presa la decisione di "andare a Milano a buttare per aria tutto". Alla persona
che doveva recarsi a Milano per fare questo o per portare il messaggio, venne
affidato del denaro; tre pacchi di biglietti di grosso taglio più un assegno.
Questa persona era partita la sera stessa con il direttissimo Roma-Milano delle
23,40.
L'avvocato Ambrosini, secondo il racconto di Achille Stuani,
si è reso conto del significato della riunione solo due giorni dopo, quando
seppe della strage. Fu colto da choc e ricoverato. A Stuani ha detto inoltre
che gli organizzatori degli attentati erano le "18 persone del gruppo O.N."
che avevano compiuto un viaggio in Grecia, erano poi riuscite a infiltrarsi
tra i "cinesi" e gli anarchici e, nel circolo 22 Marzo, avevano collocato una
loro spia.
Dalla clinica Ambrosini ha scritto una lettera al ministro degli Interni Restivo,
suo amico personale, per comunicargli di essere in possesso di notizie importanti
circa gli attentati. Qualche giorno dopo ha affidato una seconda lettera a Achille
Stuani che l'ha consegnata al segretario particolare del ministro la mattina
dei 15 gennaio 1970. Ma non risulta che l'avvocato Ambrosini sia mai stato interrogato.
Eppure, vere o immaginarie che siano le sue rivelazioni, varrebbe comunque la
pena di ascoltarlo. Ammesso che si possa arrivare in tempo, considerato il suo
precario stato di salute.
APPENDICE I
1) lettera di Pietro Valpreda dal carcere
Testo della lettera inviata da Pietro Valpreda alla Redazione di "Umanità Nova" (85)
Carcere di Regina Coeli
14 Aprile 1970
Cari compagni,
vi accludo queste note che credo vi potranno servire, anche
perché‚ vedo da "Umanità Nuova" che dovete spulciare notizie da altri giornali...
Fatene l'uso che credete meglio. In carcere per ora, malgrado la grande repressione,
vedo solo anarchici.
Saluti e anarchia.
Pietro
A più di cinque mesi dall'inchiesta precostituita
dagli organi del sistema nei nostri riguardi, vorrei puntualizzare alcuni
punti e renderne noti altri alla parte più sensibile e cosciente dell'opinione
pubblica, anche se credo doveroso aggiungere che
diversi organi di stampa, che ci hanno affiancati e che potrei chiamare innocentisti,
hanno abbracciato tale tesi più ai fini di una certa strumentalizzazione politica
che per amore di verità o di giustizia. Ed è un certo settore della stampa,
che il buon senso ed il pudore mi impediscono di chiamare organi di informazione,
servi obbedienti dei vari gruppi di potere più reazionari del sistema, che hanno
gettato il fango, il livore, la menzogna, l'odio, la diffamazione, con articoli
da trivio, diretti contro i morti, contro di noi ed i nostri familiari, amici
e compagni, onde screditare, con noi, il movimento anarchico in modo specifico
e di riflesso tutta la sinistra in generale; vista fallita la loro manovra di
manipolazione e di discredito, con l'infantilismo politico che li ha sempre
contraddistinti, da bravi servi striscianti e obbedienti, tacciono.
Dove la strumentalizzazione politica è stata subito palese,
fu nel cercare di provare nell'insinuazione che il nostro "gruppo anarchico
22 Marzo" era un gruppo ibrido, con elementi di destra. Si avanzò addirittura
l'ipotesi di una... simbiosi fra anarchici e fascisti (si scrisse che gli estremi
si toccano) come se si potessero fondere e conciliare la libertà e la dittatura.
Tutta questa strumentalizzazione, solo ed esclusivamente per la premessa che
un componente del gruppo, di provenienza fascista, frequentava ancora, a nostra
insaputa, i suoi ex camerati: pertanto la tanto decantata simbiosi si risolve
ad un contatto che era a noi tutti sconosciuto.
Dove la strumentalizzazione politica è ancora più evidente,
è nei termini in cui si attaccano gli organi inquirenti che conducono (inteso
nel senso di... manovrare) l'istruttoria nei nostri riguardi: attacchi portati
non nel senso che l'accusa cercherebbe ogni mezzo legale e illegale per incriminare
degli innocenti, ma che agirebbe in questa maniera per tendere a colpire i mandanti;
è una disquisizione sottile, ma di importanza fondamentale; si passa perciò
sulle nostre teste (con una chiara manovra politica) ipotizzando che potremmo
anche essere colpevoli, ma, che saremmo solo dei semplici... pazzi esecutori.
Questa istruttoria, precostituita ad arte, copre non solo i mandanti, ma gli
esecutori, i finanziatori, gli artificieri ed altri palesi interessati e...
interessi. Perché se si sostiene e si scrive che su tutta l'inchiesta vi sono
dubbi, ombre che fu quantomeno affrettata, unidirezionale, precostituita dall'inizio,
condotta avanti stancamente con il riconoscimento falso, la delegazione di spie,
l'intimidazione di testi, e pure con un buon margine di illegalità; ora essendo
gli organi inquirenti autori di tutto questo, essendo pertanto i medesimi perfettamente
al corrente di aver potuto incriminare degli innocenti, ricorrendo all'artifizio,
non vedo come possano risalire ai mandanti partendo da noi. Mi sembra perciò
abbastanza palese e logico che stiamo facendo solo da capro espiatorio: non
si è voluto arrestare questi... per non risalire a quelli; tranne che non sia
un nuovo metodo di indagine arrestare degli innocenti per risalire ai colpevoli.
Tutti sono unanimi nel sostenere la necessità di fare luce
completa... sulla oscura morte del compagno Pinelli: tutti concordi che il nocciolo,
che il marcio della questione sta là, che non si saprà mai la verità sugli attentati
dinamitardi di Milano e Roma se prima non si saprà la verità sulla caduta di
Pino. Ma i responsabili... della caduta, sono ancora ai loro posti, nessuna
misura è stata presa nei loro confronti, l'omertà è stata tale da dare dei punti
alla stessa mafia; si è praticamente permesso che i sospettati svolgessero una
specie di indagine su loro stessi. Non solo, si è pure permesso, e si permette
tutt'oggi, che i medesimi partecipassero all'indagine nei nostri confronti (ora
si sa come) proprio a loro, che allontanare da sé i pesanti dubbi e indizi che
li devono dimostrare a qualsiasi costo e con ogni mezzo che sia Pinelli sia
noi siamo colpevoli; solo provando questo troverebbe un certo credito la tesi
del suicidio di Pinelli. Se Pino è innocente, loro sono colpevoli, non esiste
alternativa, e in tal senso hanno agito, hanno diffamato e accusato un morto,
con dichiarazioni e comunicati che si sono dimostrati, alla prova dei fatti,
completamente falsi; hanno costruito la falsa deposizione e il falso riconoscimento
di Rolandi nei loro uffici, ed in seguito caduti e scoperti i loro falsi, hanno
gettato, levandoselo di tasca, un vetrino il quale avrebbe dovuto apporre la
mia firma sugli attentati; ma anche il sunnominato vetrino, come è stato ampiamente
dimostrato era in loro possesso da molti mesi prima degli attentati, anzi avevano
chili di vetrini colorati, con ampie libertà di scelta. Si vede che di fronte
alla legge democratica, uguale per tutti, i nostri integerrimi poliziotti sono
più uguali degli altri cittadini italiani: perché se nella loro identica situazione
con le prove, gli indizi, le contraddizioni e le assurdità che vi sono state
nel loro operato e nelle loro dichiarazioni si fossero invece trovati quattro
impiegati o quattro metalmeccanici sarebbero stati immediatamente incriminati
e incarcerati. Ma forse il passato di sbirro al servizio della dittatura fascista,
in quel di Ventotene, dei camerata Guida e e le specializzazioni, acquisite
nelle scuole dei gorilla della C.I.A del socialdemocratico Calabresi, sono una
garanzia sufficiente, tale da sollevare loro ed i loro accoliti da ogni ulteriore
sospetto. Forse la nostra situazione può anche dipendere in parte dal fatto
che nè dietro, nè sopra di noi, abbiamo o notabili, o gruppi o altro che ci
appoggino.
Nell'incriminare tutti i familiari miei, hanno veramente
toccato il fondo, incriminazione effettuata in spregio ad ogni obiettiva valutazione,
valutazione mai applicata nei nostri confronti, ma tale prassi nazista non è
stata usata neppure nei processi imbastiti dai colonnelli fascisti greci, nemmeno
loro erano arrivati ad un tale grado di efferata infamia. Prima di incriminare,
avrebbero dovuto appurare l'unica prova reale, la mia macchina, prima di dare
credito a delle chiacchiere da caffè, ed assurgerle a dogma, avrebbero dovuto
effettuare la perizia sulla macchina ed avrebbero avuto la dimostrazione tecnica
che il mezzo meccanico non avrebbe potuto effettuare un tragitto così lungo
e nel tempo addebitatomi (due periti della FIAT si sono rifiutati di partecipare
alla loro commedia). Il mio meccanico di Roma, ha dichiarato che la mia 500
si trovava in pessimo stato, che la coppa dell'olio perdeva, che non aveva il
motore truccato. Se a loro non bastavano le circostanziate e precise deposizioni
dei miei familiari, per onestà professionale avrebbero dovuto, prima di prendere
una decisione, effettuare tale perizia e possiamo essere certi che se avessero
avuto solo una probabilità che tale perizia potesse risultare a loro favorevole,
l'avrebbero richiesta subito e non avrebbero atteso cinque mesi. Non hanno tenuto
in alcuna considerazione le dichiarazioni a loro contrarie, e cioè testimonianze
di diversi miei colleghi del Jovinelli, i quali deposero o di non avermi visto,
il giorno in cui l'accusa mi contesterebbe il viaggio a Roma, o di avermi notato
in epoca poco precedente, come io sostenevo e sostengo. Angelo Fascetti si recò
due volte per testimoniare a mio favore, davanti al giudice Cudillo, ma non
riuscì a farsi ricevere.(86) Il Fascetti sarebbe il giovane moro, notato con
me al bar Jovinelli, il 13 o il 14 dicembre '69. Egli perciò voleva testimoniare
quanto io sostenevo, che tale incontro avvenne diversi giorni prima di tale
data, che i testimoni dell'accusa si erano sbagliati di data. A titolo di cronaca,
debbo anche dire che uno dei tre testi dell'accusa, aveva alcuni contatti con
la polizia, contatti che derivavano dal fatto che egli si interessava a procurare
a terze persone, con una certa facilitazione e celerità, passaporti ed altri
documenti.(87) Ermanna Ughetto, altro loro super teste (chissà poi perché tutti
i testi dell'accusa sono super, quelli a difesa, o non sono credibili, o mentono,
o vengono incriminati), colei che io avrei accompagnato a cena, in macchina,
sempre la sera del 13 o del 14: dunque il loro ennesimo super teste, dopo gli
attentati ai treni dell'agosto 1969. essendo una mia conoscente, fu interrogata
diverse volte dalla polizia di Roma, subì diverse pressioni, fu minacciata che
se non avesse collaborato e detto tutto ciò che sapeva su di me, le avrebbero
reso la vita difficile tramite la squadra del buon costume. Tale circostanza,
l'affermò l'Ughetto medesima, in presenza di alcuni nostri comuni colleghi di
teatro, i quali sicuramente potranno testimoniare in tal senso.(88) Tralascerò
di accennare alle pressioni che dovetti subire io. E' però abbastanza sintomatico
che tale teste abbia deposto quello che faceva comodo all'accusa ed in più ad
oltre due mesi di distanza. Chiamai altri testimoni che potevano confermare
le mie affermazioni, ma non mi risulta che siano stati citati. Accantonando
le loro valutazioni sempre pregiudiziali, un fatto è positivo, io a Roma sarei
stato visto prima in un bar e poi a un ristorante, questo è tutto, niente altro
mi è stato contestato: pertanto il 13 e 14 dicembre scorso, io ero completamente
libero di andare dove e con chi avessi voluto, non avrei commesso nessun reato
a ritornare a Roma, con relativa cenetta a due, non sarei stato incriminato
per questo; per quale assurda ragione avrei dovuto negare? (sono pure scapolo),
che motivo avrei. avuto di crearmi un alibi a Milano in tal senso? Se mi fossi
comportato come sostiene l'accusa. l'avrei dichiarato dall'inizio, era tutto
nel mio interesse non dare adito a dubbio o altro. Invece tutto questo è solo
un'altra prova che dimostra che ai miei moderni inquisitori non interessa. per
nulla la verità e la giustizia, ma solo riuscire a puntellare ad ogni costo
con macroscopici indizi, le loro tesi da fantascienza. La loro manovra è servita
solo ed esclusivamente ad incriminare un teste a mia difesa che diceva la verità,
e cioè mia zia Torri Rachele. Non potendo assassinare la verità di fronte, l'hanno
colpita alle spalle, come è loro abitudine, questo e il loro contorto e viscido
disegno cercano di dimostrare che i familiari di Valpreda possono aver mentito
nei giorni 13 o 14 e di conseguenza potremmo sostenere che possono aver mentito
anche il 12. Perché bisogna tener presente che mia zia conferma il mio alibi
per il giorno 12, il quale non è per nulla in contrasto con le dichiarazioni
dei testimoni del Jovinelli che riguardano invece il 13 o il 14... Anche qui
l'accusa si è mostrata perfettamente coerente con i suoi metodi.
Passiamo ora al fantomatico deposito sulla via Tiburtina.(89)
Deposito che consisterebbe in un buco. lo non sono responsabile di un sentito
dire, o di una semplice dichiarazione fattami a voce che potrebbe risolversi
solo in una chiacchiera, come in effetti avvenne. Sulla scorta di tale aleatoria
affermazione, la polizia effettuò in mia presenza, un sopralluogo all'ottavo
chilometro della via Tiburtina, nella notte dei 15 dicembre 1969. Tale sopralluogo
dette esito negativo, ed in tale senso firmai un verbale negli uffici della
questura politica: a tale riguardo vorrei precisare che la polizia affermò,
abbastanza seccamente, che li avevo presi per i fondelli, che li avevo fatti
girare a vuoto di notte, che li avevo condotti in un luogo dove io sapevo a
priori che non vi era nulla, che loro non erano dei cretini e le solite frasi
di circostanza che dicono tutti i poliziotti in tali situazioni. Poi invece
diramarono ed allegarono agli atti un verbale di un commissario che aveva partecipato
al sopralluogo notturno, in cui dichiarava di aver trovato un buco (allegata
relativa foto del buco). Ora si cade nel ridicolo: sulla Tiburtina vi erano
diversi buchi, me ne ricordo un paio, di cui uno quasi colmo di bottiglie vuote
e di cocci di vetro. Sic.
La perizia balistica effettuata sui resti delle bombe, ha
dimostrato che i congegni erano a tempo, con una specie di accensione a molla
e per nulla a miccia: ma l'accusa strombazza su un pezzo di miccia reperito
nell'abitazione di un compagno indiziato, e richiesta di perizia sulla medesima;(90)
come dire che trovando un uomo colpito da una pallottola sparata da una rivoltella...
effettuerebbe una perizia su di un coltello.
Ha fatto pure capolino lo spionaggio finché anche questo
ennesimo bluff si è risolto con l'acclusione agli atti di... alcune poesie ed
alcuni indirizzi di caserme, senz'altro reperibili su ogni guida telefonica.(91)
Come sempre. l'insinuazione falsa è stata pubblicata a caratteri cubitali in
prima pagina, e chiamiamola la smentita... due righe nelle pagine interne.
E vediamo per ultima la loro ulteriore scaltrissima mossa,
che avrebbe dovuto, in parte, riuscire a puntellare e colmare in parte i loro
vuoti e le loro ipotesi scaturite su premesse assurde: la cosiddetta perizia
psico fisica nei miei, riguardi, onde appurare in primo luogo le mie capacità
deambulatorie ed eventualmente giustificare l'assurdo... con la pazzia. Detta
perizia è stata a me favorevole ed ha confermato la mia integrità psico-fisica:
per cui eventualmente di tarate rimangono le sopraddette ipotesi e le loro origini.
Ed è nuovamente sintomatico conoscere chi sia l'individuo che anche in questa
circostanza avrebbe dichiarato che io soffrivo di crampi alle gambe.(92) Io
frequentavo il sindacato ballerini e le regolari lezioni giornaliere di danza
classica: decine di miei colleghi studiavano con me; il mio maestro da oltre
un anno era Sabino Riva. Ebbene, tale dichiarazione l'accusa non l'ottenne da
nessuno di loro, ma da un certo Andres, che aveva sostituito temporaneamente,
negli ultimi tempi, il mio maestro. effettivo. Ora il sunnominato Andres è un
profugo dell'Est, un rumeno il quale si trovava in Italia in una situazione
precaria sia finanziariamente che legalmente, ed attendeva, fra l'altro, il
visto d'ingresso negli Stati Uniti; ed è abbastanza strano che una parvenza
di dichiarazione a loro favorevole sia stata rilasciata da un individuo che
per la situazione sopraddetta, era idoneo ad essere maneggiato, a subire pressioni
senza poter dire no, ed eventualmente ad altro. Un fatto è certo, che se il
killer che effettuò la strage di P.zza Fontana usufruì veramente del taxi del
super teste Rolandi, lo fece sapendo a priori che sarebbe stato ben coperto
da alcuni organi, che non aveva nulla da temere a farsi riconoscere, perché
un altro sarebbe stato riconosciuto e identificato al suo posto. Infatti si
è dimostrato, con il suo comportamento, cinico, freddo, spietato, fors'anche
paranoico... ma non un mongoloide mentale come a loro farebbe comodo.
Al rimanente dei compagni incriminati ingiustamente, non
hanno potuto nemmeno contestare uno dei loro indizi fasulli; li hanno incriminati
con delle supposizioni costruite su ipotesi: i compagni hanno alibi che li scagionano,
non un solo indizio è emerso a loro carico: ma sono stati incarcerati perché
così era stato deciso dall'alto, perché erano e sono anarchici. E gli organi
inquirenti si sono affannati a indagare su chi pagava la pizza, su chi aveva
contatti sessuali con una certa donna, su chi partecipava alle manifestazioni,
come facevamo a pagare l'affitto della sede, in quale trattoria ci si recava
a bere a Trastevere, chi scriveva sui muri, perché il tale non si è recato a
un dato appuntamento, quanti gettoni occorrevano per telefonare a Milano. Non
esisteva più la proporzione nè dei fatti, nè degli oggetti. A me personalmente
sono arrivati a contestare pure due nomi di organi sessuali che avevano trovato
scritti sul taccuino magnetico della mia macchina (era palese lo scherzo, non
era nemmeno la mia grafia), sostenendo convinti che erano nomi convenzionali
con cui si denominava... l'esplosivo. Qui siamo addirittura nella neurosi da
sogno. Ma su tutti i loro interrogatori, che ho subito (credo di aver passato
le 100 ore) dominava un interrogativo, la domanda sempre presente, ciò a cui
premevano, perché si è ammazzato Pinelli? Sempre Pinelli... gli ipocriti.
Che la polizia avesse una spia nel gruppo, l'avevo non solo
detto ma pure scritto diversi giorni prima degli attentati, però nè i compagni
nè io eravamo riusciti ad individuarla.(93) Almeno su questo fatto assodato,
non dovrebbero esistere speculazioni politiche di sorta, anche se ne sono state
ventilate alcune. La spia non poté riferire nulla ai suoi degni padroni perché
nulla vi era da riferire. La spia non riferì nulla, non perché non ne era al
corrente, ma perché non vi era nulla di cui essere al corrente. Agì in seno
al gruppo senza venire scoperta, fino al nostro arresto (e pure dopo) la polizia
fu sempre al corrente di tutto, non solo dei nostri gesti, ma pure dei nostri
discorsi: era al corrente della ragione di tale viaggio; e questo mi fu confermato
da Improta, braccio destro di Provenza, lunedì 15 dicembre, quando fui tradotto
da Milano a Roma, mediante un sequestro di persona. Appena giunto in questura
mi interpellò con queste parole "Sapevamo, Pietro, che stamattina a Milano saresti
andato al palazzo di giustizia per farti interrogare dal giudice Amati". Non
vi era proprio niente che loro non sapessero sul nostro gruppo.
Da quanto mi risulta, la polizia ebbe informazioni ben precise
su quali erano le forze politiche da sorvegliare. La sinistra extraparlamentare
era al corrente che vi era stata una riunione ad alto livello di estremisti
di destra per azioni ben programmate, io ne accennai in una lettera all'avvocato
Boneschi per cui un fatto del genere non potevano assolutamente ignorarlo.
Credo inutile ripetere a chi servivano le bombe, chi aveva
interesse a gettare il discredito sulla sinistra, chi voleva spezzare le contestazioni,
le rivendicazioni salariali, ecc., sono ormai argomenti detti, scritti e riscritti.
Come l'opinione pubblica ha potuto intravedere attraverso
la cortina fumogena di falsità creata deliberatamente all'inizio dell'inchiesta,
almeno una parte della verità, ne ha tratte subito le debite e logiche conclusioni:
gli organi inquirenti di tali verità (e di molte altre) ne erano in possesso
subito dopo i fatti di Roma e Milano, e poco tempo dopo. Hanno proseguito e
proseguono in una direzione che sanno sbagliata. Perché?
2) il taccuino di Mario Merlino
BRUNO BRUNI 42.42.180
BOFFI GIANNI 38.80.01
BOLOGNA ADRIANO 37.04.47 - Giovane Italia (MSI); figlio di un ex prefetto membro
dei Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese.
BIAGIONI LAMBERTO 30.75.411 - Dirigente nazionale MSI (64-67); Giovane Europa
(neonazisti); Lotta di Popolo (69). Rapporti con Julius Evola. Nel '64 non va
in vacanza estiva perché‚ "Caradonna gli ha detto che succederà qualcosa di
grosso".
ALFREDO (SANDRO MALUZZI) 47.56.38
ANGELONI MASSIMO 35.68.984
BRUNO BRANDI 80.16.31
BEDETTI PAOLO 49.59.401
ANGELO BENEVENTO 34.97.898
STEFANO BERTINI 84.55.201 - MSI; Ordine Nuovo. In Grecia con Merlino.
BARTULI MARIO 59.65.69
ANTONIO 57.28.28
ALFREDO 76 45.81
LUCIANO BERGAMINI (Verona) 045/43142
DE GIORGI DARIO 75.36.37
COLANTONI PEPPE 21.14.59
ANDREA CIMINO 51.31.810
COLTELLACCI SERGIO 30.70.969 - MSI: Avanguardia Nazionale (tra i fondatori).
Figlio di un ex gerarca fascista. Intimo di Delle Chiaie: lo ospita spesso nella
sua villa di Pescasseroli.
LEOPOLDO DE MEDICI 87.92.49 - Giovane Italia (MSD: Ordine Nuovo, - Lotta di
Popolo (69).
TITO CONFORTI 51.24.154
DONATO PILOLLI 83.80.421 - MSI; Ordine Nuovo.
PIERLUIGI CASARELLI 49.55.064
ANTONIO CANGIANO 59.43.65
CACACE MARIO 43.38.33 - Avanguardia Nazionale.
GIANCARLO CARTOCCI 49.57.80 - Ordine Nuovo; Movimento Studentesco in Giurisprudenza
(nazi-maoisti); Avanguardia Nazionale. In Grecia con Merlino. Distribuisce ai
fascisti romani i fondi del "Soccorso Tricolore" promosso dal "Borghese".
STEFANO DELLE CHIAIE 72.65.21 - v. "Vita e opere di Stefano delle Chiaie".
PIERFRANCO DI GIOVANNI 77.64.87 - MSI; Avanguardia Nazionale. Prese parte agli
scontri in cui fu ucciso Paolo Rossi.
FLAVIO CAMPO (illeggibile) - Avanguardia Nazionale (tra i fondatori). Paracadutista,
ex pugile, tra i più noti squadristi fascisti della capitale. Attualmente impiegato
al Ministero degli Interni.
LORIS FACCHINETTI 72.26.77 - Presidente di Europa Civiltà (v.).
PIERLUIGI FIORETTI 80.41.19 - Giovane Italia (MSI).
NOEL SALVIN 56.42.03.
MARCO GASPARRI 32.04.46 - Giovane Italia; Movimento Studentesco (infiltrato);
Giovane Italia.
GRASSO ANTONIO 30.36.56 Noto squadrista soprannominato "il Balilla".
SAVERIO GHIACCI 53.67.63 Avanguardia Nazionale (tra i fondatori). Fedelissimo
di Delle Chiaie. Noto squadrista fascista. Attivissimo negli scontri in cui
fu ucciso Paolo Rossi (in una foto degli incidenti lo si vede colpire Rossi
con un violento pugno). Più volte interrogato dalla polizia in merito ad attentati
dinamitardi. In Grecia con Merlino.
FRANCO GELLI 75.76.61
B. GIORGI 76 ... 55 - G.A.N. di Reggio Emilia (v.)
ALFREDO GOVONI 73.32.13
S... GUJOS 35.63.341
DOMENICO GRAMAZIO 85.86.51 Segretario Giovanile Romano del MSI. Intimo di Giulio
Caradonna. Noto squadrista.
MAURIZIO GIORGI 43.83.430 - MSI; Avanguardia Nazionale (tra i fondatori). Presente
agli scontri in cui fu ucciso Paolo Rossi.
ANTONIO IEZZI 34.92.045 - Avanguardia Nazionale. Fedelissimo di Delle Chiaie.
FRANCO JAPPELLI 53.44.243 - Dirigente giovanile M.S.I.
FRANCO MORGANTI 48.48.61
MAUROENRICO ENRICO 74.43.83 Avanguardia Nazionale.
ALFREDO MORICONI 68.92.80
LEONARDO MOLINARI 84.47.302
FRANCESCO MANEMI 73.07.96
SANDRO MELUZZI 47.96.70
MARCO MAR.CHETTI 55.74.305 - Ordine Nuovo; Movimento Studentesco (infiltrato);
Avanguardia Nazionale. In Grecia con Merlino.
SANDRO MALAGOLA 42.06.88 - Dirigente giovanile M.S.I.
LUCIANO LAGO 59.45.37
REPI MORBIATO 52.60.636 - Avanguardia Nazionale.
ANTONIO MORETTI 77.70.41
IGINO MACRO 76.17.827 - Avanguardia Nazionale.
GIOVANNI NOTA 76.15.342
ROBERTO PASCUCCI 83.10.618
ENZO PALASSO 85.66.06
BRUNO PERA 62.24.610 - M.S.I. (intimo di Giulio Caradonna); Lotta di Popolo.
GUIDO PAGLIA 31.56.32 Avanguardia Nazionale. Nel Marzo del '70, all'Università
di Roma, ferì gravemente una studentessa con un mattone.
GUGLIELMO QUAGLIAROTTI 51.27.940 Avanguardia Nazionale.
ALBERTO QUESTA 42.44.896 Avanguardia Nazionale. Presente agli scontri in cui
fu ucciso Paolo Rossi.
ROBERTO PALLOTTO 75.88.589 - Avanguardia Nazionale. Fedelissimo di Delle Chiaie.
Più volte arrestato per attentati dinamitardi.
MIMMO PILOLLI 83.16.403 - MSI (dirigente nazionale); Ordine Nuovo: P.C.d'I.
(Linea rossa): infiltrato nel '68; Avanguardia Nazionale.
SANDRO PISANO 65.67.923 - Ordine Nuovo. E' quello a cui Merlino - secondo quanto
dichiarato in un verbale di polizia - passava le informazioni perché‚ le desse
a Junio Valerio Borghese (v.)
CHICCO PAMPHILI 46.15.62
ATTILIO PASQUALINI 42.47.017 - Dirigente giovanile MSI.
MAURIZIO PICCETTA 73.12.426
FRANCESCO PUGLIESE 32.74.924
LUIGI PRESENTI 42.89.59
ERNESTO ROLI 52.61.583 - Dirigente giovanile MSI.
CESARE PERRI 42.43.247 - Avanguardia Nazionale (tra i fondatori). Fedelissimo
di Delle Chiaie; Ordine Nuovo. In Grecia con Merlino.
TEODORO SILOS-CALO' 53.64.76 - Dirigente giovanile MSI.
ADRIANO ROMUALDI 34.86.35 - Dirigente nazionale MSI. Figlio del deputato missino
Pino Romualdi.
ANGELINO ROSSI 29.16.14 - Noto "picchiatore" fascista. Fratello di Alberto Rossi
detto "il Bava", capo dei Volontari Nazionali del M.S.I. 1 due addestrano in
una palestra del Prenestino le squadre di Caradonna.
FRANCO SPALLONE 62.26.596 - Dirigente giovanile MSI.
FRANCO TARANTELLI 47.26.26 - Dirigente nazionale MSI.
ADRIANO TILGHER 89.27.481 - Avanguardia Nazionale. Teorico del neonazismo.
MASSIMILIANO VON STEIN 31.57.43
3)Testo integrale del dossier segreto greco per l'Italia
Il microfilm di questo documento è stato consegnato
nell'autunno dei 1969 al giornalista Leslie Finer, ex corrispondente da Atene
del settimanale inglese " The Observer ", da un rappresentante di quei gruppi
moderati della resistenza greca che hanno stretti contatti con elementi filo-monarchici
dell'apparato burocratico dei regime militare. Varie "expertises" - fra cui
quella di un alto funzionario dei servizi segreti inglesi - l'hanno giudicato
sicuramente autentico. l'unico giornale italiano a pubblicarne integralmente
il testo - reso noto una settimana prima degli attentati del 12 Dicembre - è
stato, oltre all'Unità ed al Paese
Sera, il settimanale L'Espresso. La stampa d'"informazione", in maggioranza,
l'ha minimizzato. Da parte del governo italiano non c'è stata alcuna presa di
posizione ufficiale. Il dossier è stato compilato nel maggio dei 1969 da un
agente dei servizi segreti greci (K.Y.P.) in Italia ed inviato ad Atene all'agente
della C.I.A. Giorgio Papadopulos, presidente del Consiglio dei Ministri greco.
Da Atene una copia ne è stata inviata, per conoscenza, all'ambasciatore greco
a Roma Pampuras assieme a questa lettera, firmata dal capo dell'ufficio diplomatico
del Ministero degli Esteri, Michail Kottakis:
"Ministero Affari Esteri, Ufficio dei Ministro. Segreto: da aprirsi soltanto
dal sig. Ambasciatore
All'Ambasciata Reale di Grecia a Roma.
Atene, 15 maggio 1969.
Ho l'onore di trasmetterLe qui appresso, per Suo uso personale
esclusivo, un rapporto confidenziale inviato al Presidente del Governo ellenico
da una delle nostre fonti in Italia. Vorrà notare, in tal rapporto, che la situazione
in Italia presenta per noi molto interesse e prova che gli eventi si evolvono
in senso molto favorevole per la rivoluzione nazionale. Sua Ecc. il Presidente
ritiene che i difficili sforzi intrapresi da lunga data dal governo nazionale
ellenico in Italia cominciano a produrre frutti. Il Presidente mi ha incaricato
di trasmetterLe innanzi tutto il Suo compiacimento per l'opera che Lei ha compiuto
nel paese in cui è accreditato e di pregarLa inoltre di continuare la sua azione,
rinforzandola al fine di sfruttare le possibilità che, stando al rapporto, sembrano
profilarsi. Infine, mi ha incaricato di farLe conoscere il Suo desiderio che
d'ora innanzi tanto Lei quanto gli
estensori del rapporto aumentiate le vostre precauzioni ed occorrendo cessiate
qualsiasi contatto tra di voi, in modo da
escludere che si possa individuare un legame tra l'azione dei nostri amici italiani
e le autorità ufficiali elleniche. Pensa che d'ora in poi Lei debba indirizzare
gli italiani, per tutto quanto riguarda i problemi tecnici di aiuto, ai nostri
rappresentanti ufficiosi e che Lei debba cessare qualsiasi contatto che possa
pregiudicare la posizione internazionale del nostro paese.,
Obbedientissimo,
per ordine dei Ministro il Direttore Michail Kottakis
TESTO DEL RAPPORTO INVIATO A S.E. IL PRIMO MINISTRO.
CAPITOLO 1 Incontri e discussioni con il signor P. (94)
1. Dopo il suo ritorno da Atene il signor P. ha immediatamente
preso contatto, ed ha fatto una relazione dettagliata sul suo viaggio in Grecia,
sugli incontri avuti, nonché‚ sugli accordi conclusi tra Lei e lui, per uso
della direzione del Movimento. Ne è scaturita un'ampia discussione, nonché lo
studio delle questioni sopra menzionate. Infine egli ha impartito a ciascuno
dei suoi collaboratori compiti precisi.
2. Poi, il signor P. ha avuto un incontro con i rappresentanti
delle Forze Armate e ha lungamente analizzato le opinioni del governo ellenico
sulle questioni italiane. A seguito di tali contatti, il sig. P. mi ha ricevuto
e mi ha comunicato i risultati dei suoi sforzi. Desidero sottolineare che il
nostro incontro ha avuto luogo per iniziativa del sig. P.
3. li primo argomento da lui trattato è stata la gioia di
aver compiuto la visita in Grecia. Sembra che la visita l'abbia profondamente
colpito, e l'impressione perdura tuttora. E' stato particolarmente affascinato
(sono le sue parole) "dalla potente e completa personalità del Primo Ministro
ellenico".
4. Abbiamo poi trattato la questione dell'azione futura ed
abbiamo proceduto ad una precisa ripartizione dei compiti. Abbiamo altresì studiato
i mezzi per tenerci in contatto e comunicare in futuro. Infine, ci si è accordati,
cosa che risponde peraltro alle istruzioni ricevute, di interrompere i contatti
con le autorità diplomatiche ufficiali in Italia. Per quanto mi riguarda trasmetterò
d'ora in poi i miei rapporti secondo la via indicata, utilizzando la via
diplomatica per i soli messaggi di grande urgenza, e ciò quando mi sarà totalmente
impossibile usufruire della nuova strada.
5. Per quanto riguarda i contatti con i
rappresentanti dell'Esercito e della Gendarmeria, (95) il sig. P. mi ha
riferito che la maggior parte dei suoi suggerimenti sono stati accettati. Il
solo punto di disaccordo riguarda la fissazione delle date precise e della azione,
come Lei ha proposto. E ciò perché‚, secondo gli italiani, essi si trovano sul
piano organizzativo ad un livello basso, poiché i loro sforzi sono appena cominciati,
ed altresì certe iniziative del centro-sinistra italiano, che tende a consolidare
la sua posizione.
6. Una delle misure del governo italiano riguarda la decisione
di creare unità militari di facile dislocamento, specializzate nell'affrontare
le manifestazioni popolari cittadine.(96)
I nostri amici ritengono che il governo desideri provare
con tale decisione a taluni elementi della vita pubblica italiana che esso è
pronto a prendere disposizioni più drastiche per mantenere l'ordine. I nostri
amici ritengono che tali misure siano superficiali e che non eserciteranno alcuna
influenza sull'opposizione.
7. Le informazioni di cui sopra mi sono pervenute dopo il
ritorno del sig. P. da Atene ed è per questa ragione che le menziono nel presente
rapporto. Peraltro, alla luce di tali informazioni e delle istruzioni portate
dal sig. P. da Atene, bisognerebbe, credo, modificare un poco il primitivo piano.
Il lavoro preparatorio già è cominciato; nel prossimo rapporto La terrò informata
dello sviluppo dei lavori.
8. Ma sono già in grado di riferire che qui l'opinione prevalente
è che l'intenso sforzo d'organizzazione deve cominciare con l'Esercito. Ciò
risulta dall'incontro dei sig. P. con i rappresentanti delle Forze Armate italiane.
E' stato acquisito che i metodi utilizzati dalle Forze Armate elleniche hanno
dato risultati soddisfacenti: perciò vengono accettati come base per l'azione
italiana. Alcuni interlocutori del sig. P. ritengono che nella realtà italiana
tali metodi susciteranno qualche problema poiché‚ l'esercito italiano non ha
la tradizione dell'esercito greco nel creare organizzazioni segrete. Però, anche
i sostenitori di questa tesi affermano che le informazioni da noi fornite sono
utilissime ed è in base a tali informazioni che hanno intrapreso l'elaborazione
dei loro metodi.
Paragrafo B.
La nostra proposta riguardante un'offensiva su più fronti
contro il PSI (partito socialista italiano) è stata accettata all'unanimità.
Ho peraltro detto che un'offensiva di propaganda aperta, analoga a quella che
aveva avuto luogo in Grecia contro l'Unione di Centro, non è possibile per il
momento anche se si dispone di una gran parte della stampa di qui. Essi non
possono ancora valutare con precisione l'effetto di una simile offensiva sul
pubblico. La maggior parte si è dichiarata concorde con l'opinione che una tale
campagna propagandistica dovrebbe essere lanciata solo poco prima dell'offensiva
rivoluzionaria.
Paragrafo C.
1. Per quanto riguarda la Gendarmeria italiana, il sig. P.
mi ha detto che i suoi rappresentanti hanno studiato con grande interesse la
sua proposta. Essi sono stati profondamente impressionati dalle informazioni
sul ruolo assunto dalla polizia militare ellenica nella preparazione della rivoluzione.
Hanno accettato unanimemente la Sua opinione che in Italia soltanto la Gendarmeria
potrebbe assumersi analogo compito.
2. Si è parlato anche dei preparativi compiuti finora. Il
sig. P. ha fatto loro conoscere la Sua opinione sulla necessità di una immediata
azione contro la stampa ed in ispecie contro quei giornali che sono sotto il
controllo comunista. Ha insistito sull'importanza fondamentale da Lei accordata
a questo problema. In particolare ha trasmesso le opinioni del sig. Ladas(97)
che richiama la loro attenzione sul fatto che non bisognerà consentire alla
stampa di distruggere la loro azione con rivelazioni ed informazioni, azione
che è il frutto di una lunga. difficile, attività pianificata. Infine il sig.
P. ha trasmesso dettagliatamente il punto di vista del comando "diretto" della
polizia militare secondo le informazioni tratte dalla nostra esperienza. Tutti
i rappresentanti della Gendarmeria italiana hanno convenuto che tale comando
"diretto" costituisca un fattore essenziale di successo.
A parere loro, occorre che in seno alla Gendarmeria italiana
si operi in modo che il comando supremo sia in grado di dare ordini che possano
giungere direttamente fino al più basso livello.
CAPITOLO II - Azione concreta
A. Le azioni la cui realizzazione era prevista per epoca
anteriore non hanno potuto essere realizzate prima del 20 aprile. La modifica
dei nostri piani è stata necessaria per il fatto che un contrattempo ha reso
difficile l'accesso al padiglione Fiat. Le due azioni hanno avuto un notevole
effetto.(98)
B. I nostri amici organizzano per il 10 maggio a Roma una
pubblica manifestazione. Prenderà la parola il sig. Turchi.(99) Ho fatto
un dettagliato rapporto su quest'ultimo nel mio ultimo rapporto. Egli ha l'intenzione
di esaltare gli obiettivi delle realizzazioni ed i leader della rivoluzione
ellenica e di terminare il suo discorso con degli evviva a loro favore. Desidero
di nuovo sottolineare che malgrado il sig. Turchi non faccia parte della nostra
organizzazione egli si è più volte espresso in senso favorevole a noi. I nostri
amici qui lo considerano uomo degno di totale fiducia.
C. Per quanto riguarda il mondo studentesco, ritengo che
esistano condizioni favorevoli, capaci di dare buoni frutti in un prossimo futuro.
Spero di potere, tra brevissimo tempo, sottoporLe un rapporto dettagliato sul
problema studentesco.
D. 1. Per quanto riguarda la stampa non sarei troppo soddisfatto.
Attualmente oltre a "Il Tempo", ho continui contatti con "Il Giornale d'Italia".(100)
Penso di essere in grado di ottenere su questi due giornali la pubblicazione
di qualunque materiale che il governo nazionale giudicasse utile. Credo però
che un invito, rivolto a un redattore di ciascuno di questi due giornali (come
avevo già suggerito in passato) avrebbe benefici effetti e faciliterebbe assai
il nostro lavoro.
2. Allo scopo di assecondare i miei sforzi nei confronti
della stampa il sig. P. ha promesso di presentarmi a taluni redattori di sua
conoscenza.
E. Chiudendo il presente rapporto, mi sia lecito sottolineare
che considero indispensabile che la Grecia continui nel suo aiuto morale e materiale
e nell'elargire consigli per lo sviluppo dei gruppi di azione. Mercé un aumento
di aiuto, sarebbe possibile ottenere risultati migliori rispetto al passato
e ciò poiché‚ le presenti condizioni sono più favorevoli, dato che l'opposizione
al governo di centro-sinistra è in costante aumento in tutti gli strati della
società italiana: parallelamente aumenta il numero dei cittadini che, sul piano
estero, auspicano il miglioramento delle relazioni con la Grecia e, sul piano
interno, desiderano ordine e tranquillità.
4)MEMBRI
RESPONSABILI DELLE VARIE LEGHE
DEGLI STUDENTI GRECI FASCISTI IN ITALIA
Si tratta in maggioranza di agenti del K. Y .P. (la sezione greca della CIA),
ufficiali dell'esercito, della polizia e del L.O.K. (corpi speciali) e persino
- come nel caso di Anastasios Thomaidis - di torturatori del campo di concentramento
dell'isola di Leros.
Sono nomi da tener presenti.
Presidente: Spiros Stathopulos
Segretario: Angelos Srànias (Napoli)
Vice Presidente: Evanghelos Charalambidis (Napoli)
Consiglieri Nazionali: Demetrio Litras, Giorgio Tolias, Diakonàs Giovanni,
Demetrio Recoutis
Genova: Pavlos Antipapas
Napoli: Demetrios Litras, Demetrios Dadakis, Nicolos Anghelis, Costanti no Recòutis,
Giorgio Fusteris. Giovanni Diakonàs
Palermo: Nicolaos Fakundos, Panajotis Tsukalàs, Dimitrios Krokos, Demetrio
Spanudakis, Giorgio Galanis
Firenze: Spiros Papadedes, Giorgio Akrivos, Costanti no Saraglov, Demetrio Dimitropoulos,
Basilios Fostiropulos, Ioannis Petropulos, Ioannis Infandìs
Modena: Zervos Nicola, Stratos Sideris, Giorgio Catsaròs, Andrea Kalisperakis,
Georghios Zacharis, Iannis Athanasiadis, Basilio Spanachis, Evanghelos Caralampidis,
Spiros Manolatos, Giorgio Macriniotis
Bari: Nicolaos Moralis, Giorgio Capetanakis, Samaràs Takis, Dimitrio
Karagitunis, Stylianòs Charamoglu, Nicolaos Fotopulos, Costantino Drursias,
Demetrio Chatsidimitriu, Panajotis Diamantopulos. Giorgio Anifantis
Ferrara Anastasios Thomaidis, Costantino Panaiotidis, Zacharias Spanakis, Giorgio
Mitsas, Giorgio Venturis, Kalaitzis Christos, Licos Stamatios, Nicola Anemoduros,
Akis Vernaidis
Pavia: Giuseppe Iatrakis, Giuseppe Kafkalas, Andreas Tzamuras Pisa: Athanasios
Papadimitriu, Dimitrios Tilemachidis, Ioannis
Pandopulos, Nicola Pagratis, Fotios Tsifukis, Macris Drossos, Demostene Timpanidis,
Emanuele Zervas, Alessio Papanikas, Sotiris Chriysa
Perugia: Thomàs Papadopulos, Dionisios Jannulis, Georghios Zaloiannis,
Giovanni Bitas, Costantino Demertzidis
Roma: Anastos Katsimbinis, Christos Liakos, Platone Kokolodimitrakis, Nicolaos
Kokolodimitrakis, Kriton Papargyriu, Nicola Ghianiòs
Parma: Theodoros Karambetsos, Dimitrios Tzifas, Ioannis Stoios, Alessandro.
Martinis
Urbino: Georghios Sotirchenas, Nicolaos Manolatos
Catania: Georghis Zaloiannis
Milano: Anastasios Papaevanghelu, Ioannis Gheorgakakis, Basilios Katopodis,
Anastasio Arnialòs, Stamatis Vlachopoulos, Kimon Michalopoulos, Kiriakos
Papaiannis, Costanti no Priftis
Bologna: Tomès Paolo, Raftopulos Dimitrio, Dimitrio Vavuliotis, Atanasio
Mamalis, Nicolas Spanòs, Basilio Ramoghiannis, Giorgio Tzivelechidis,
Apostolo Chistopulos, Christos Paleologhu
Padova: Basilio Triantafylu
Vaganti: Enzo Christias, Mirko Stomapulis, Spiridione Monoloitis, Stelio Miliopoulos,
Giovanni Sklavos, Demetrio Estia, Teodoro Errisios, Demetrio Papanicol, Mirko
Stomapulis, Aleteso Polosfis, Moraus Nicolas, Michele Upessios
5) Giudizi e interventi di parlamentari (a cura dell'editore)
Questa inchiesta compare mentre è annunciata l'archiviazione della
istruttoria sulla morte tanto tragica quanto "misteriosa" dell'anarchico
Pinelli; mentre, sei mesi dopo, si rivelano nuovi nomi di spie pagate dalla
polizia, quali supertestimoni nel "tenebroso affare" delle bombe di
Milano e di Roma. È proprio grazie a questa coincidenza che essa vede
esaltato - anche se non c'era bisogno - il suo carattere di accusa diretta e
pesante, di denuncia coraggiosa delle responsabilità non solo politiche
ma anche materiali che stanno dietro quei fatti.
Qui non è solo ricostruito il clima in cui essi hanno potuto maturare,
ma sono indicati con precisa documentazione gli ambienti in cui le provocazioni
sono state ordite, i settori dell'apparato dello stato che le hanno reso possibili
e tuttora le sostengono, le forze politiche che le hanno coperte e continuano
a coprirle.
Gran parte dell'inchiesta è dedicata alle organizzazioni neofasciste,
alle loro imprese terroristiche, alle loro attività provocatorie. Ma
non può e non deve sfuggire che l'esistenza stessa di questa immonda
fungaia a 25 anni dalla guerra di liberazione antifascista denuncia non un limite
ma una sostanziale anomalia di questo regime democratico. Il teppismo, lo squadrismo,
il terrorismo fascista prosperano immuni all'interno di un sistema statale e
di governo di cui costituiscono una componente organica. È lo stato di
classe che li secerne come prodotti della propria decomposizione. Proliferano
ai vari livelli degli apparati repressivi di cui costituiscono propaggini simbiotiche,
più o meno parassitarie.
Ne consegue la totale illusorietà di una linea antifascista la quale
si proponga di ripulire l'albero della democrazia dai frutti marci e dai rami
secchi per renderlo illibato e presentabile in nome di un inattuato e ormai
inattuabile (e anacronistico) modello costituzionale. Ne consegue la contraddittorietà'
e l'impotenza di una strategia di forma democratica dello stato, per esempio
attraverso l'istituzione dell'istituto regionale, che mantiene fuori campo i
centri del potere di classe e infaticabilmente si sforza di tessere e di ricomporre
alleanze inteclassiste all'interno di quel sistema di alleanze che servono solo
a prolungare equivoci e precari equilibri.
Alla "strategia della tensione", che non è necessariamente
una strategia del colpo di stato a breve scadenza, non vale rispondere con una
linea difensiva e di contenimento (unità antifascista- + riforme democratiche),
occorre un'alternativa di classe e di potere capace di unificare il movimento
di lotta e di stimolare il più alto grado di coscienza politica di massa.
Le lotte degli anni 1968-1969 avevano creato, per la prima volta dopo il 1945,
la base reale su cui costruire tale alternativa. E mancata la forza politica
capace di indicarla e di costruirla. Questa è la lezione dei sei mesi
trascorsi dal dicembre 1969 (attentati di Milano e di Roma, chiusura delle grandi
lotte operaie) al giugno 1970 (derisorio "sbocco politico" nelle elezioni
regionali). Questa è anche la lezione che si ricava da questa inchiesta
sui retroscena del processo di "normalizzazione" ormai in corso pure
nel nostro paese,' ma una lezione non accademica, un coraggioso richiamo alla
continuazione della lotta, una lucida indicazione degli obiettivi strategici
che il. movimento deve porsi per fondare un'alternativa: l'attacco ai centri
del potere di classe, l'"attualità" della loro distruzione.
In questo senso l'inchiesta, che è frutto del lavoro dei militanti di
alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare, potrà costituire un momento
e uno strumento di quel processo di unificazione al quale con la mia adesione
intendo dare un modesto contributo, sia come militante rivoluzionario, sia come
membro di quelle istituzioni parlamentari delle quali è più che
matura una radicale demistificazione in senso leninista.
Aldo Natoli
Sulle assurdità, le incongruenze, le contraddizioni, le nullità
processuali con cui l'istruttoria sugli attentati di Milano e Roma del dicembre
1969 è stata condotta, molto già è stato scritto: merito
del testo qui presentato è quello di aver riordinato gli elementi già
disponibili e di averne aggiunti moltissimi inediti, sì da fornire un
quadro impressionante delle responsabilità ai vari livelli in questa
vicenda. Qualche considerazione è invece opportuno fare sul quadro politico
nel quale sono accaduto gli avvenimenti.
Non c'è dubbio che gli attentati si inquadrano in uno dei periodici disegni
di ripresa autoritaria che tenta la classe dirigente italiana, magari sollecitata
da forze esterne. All'origine c'è la svolta a sinistra data dalle elezioni
del 1968, che segnano una sconfitta del "grande disegno" di chi pensava
a una grossa forza social-democratica capace di condizionare la vita italiana.
Nascono così una serie di manovre che vanno dal "disimpegno"
prima alla nuova scissione socialdemocratica dopo, onde provocare una crisi
che prepari al momento opportuno la rivincita elettorale e lo spostamento a
destra dell'asse politico. Invece le lotte operaie e l'unità sindacale
annunciano nuovi spostamenti a sinistra: occorre allora preparare nel paese
un clima in cui possa inserirsi uno scioglimento anticipato delle Camere per
ripetere l'operazione che riuscì a De Gaulle nel giugno 1968, a poche
settimane dagli scontri di maggio.
L'aggressione della polizia alla pacifica manifestazione di Milano del 19 novembre,
in cui trovò la morte lo sfortunato agente Annarumma, costituisce obiettivamente
un passo in questa direzione, e quella morte sarà sfruttata da più
parti proprio per preparare quel clima: il telegramma del presidente della Repubblica
ne è purtroppo un documento. "Nessuno è tanto pazzo da dar
la colpa degli attentati al presidente Saragat",. ha scritto l'Observer
e noi siamo assolutamente d'accordo. Ma nemmeno il presidente Gronchi, quando
diede l'incarico a Tambroni voleva le giornate sanguinose del luglio '60, e
neppure il presidente Segni quando si opponeva al centro-sinistra, perché
ossessionato soprattutto dalla spesa pubblica che secondo lui minacciava la
stabilità della lira, preparava coscientemente un colpo di Stato del
generale De Lorenzo. Purtroppo fra i disegni politici dei presi- denti e la
loro attuazione c'è di mezzo una catena di esecutori e anche di profittatori
che hanno spiccate inclinazioni per certi metodi non del tutto ortodossi.
Le conclusioni che vogliamo trarre da queste note affrettate sono essenzialmente
due. La prima è che chi cerca di andare contro l'avanzata democratica
di cui la società italiana ha urgente bisogno, e sogna battute d'arresto
o addirittura ritorni indietro, rischia di assumersi le più gravi responsabilità
perché mette in moto una serie di reazioni a catena che sfuggono al suo
controllo e in cui procuratori generali e leggi fasciste, missini e nostalgiche
"associazioni d'arma", funzionari di polizia e giornalisti reazionari,
padroni non rassegnati e politici delusi, generali dei carabinieri e servizi
segreti, CIA e Pentagono, insieme concorrono, senza previe intese e magari senza
conoscersi, non volendo neppure le stesse cose precise, ma tutti proclamando
di agire in nome della legge e dell'ordine, a portare l'Italia sull'orlo dell'abisso.
La seconda riguarda noi. Quel poco di democrazia che abbiamo conquistato con
la Resistenza è stato in gran parte logorato nel corso di questi 25 anni.
Oggi c'è in Italia una forte ripresa democratica: badiamo a non commettere
un'altra volta gli stessi errori. Non è appagandoci di parole, e tanto
meno cedendo ai ricatti e alle minacce, ma accrescendo la nostra forza e andando
avanti, che possiamo consolidare le conquiste dell'autunno e prepararne di nuove.
Lelio Basso
La fitta catena di attentati terroristici, che ha segnato tutto il corso
del 1969 e che è culminata nella strage di Milano. resta una pagina oscura
e inquietante nella vita del nostro Paese. A tanti mesi di distanza da fatti
drammatici e gravi, come la morte dell'agente di P.S. Annarumma, le bombe nelle
banche di Milano e di Roma, la morte del "testimone" Pinelli, né
le indagini della polizia né le istruttorie della magistratura hanno
indicato all'opinione pubblica una una "verità" precisa e persuasiva.So
no rimasti e si sono fatti anzi più pesanti gli interrogativi, sugli
autori materiali, gli ispiratori e i mandanti di vicende coinvolgenti non solo
per la loro obbiettiva tragicità, ma perché esse sono state occasione
e pretesto di una sfrenata campagna d'allarme e di intimidazione e, più
a fondo, di una manovra volta a spostare a destra tutta la situazione politica
italiana.
Qui è lo scandalo non tollerabile. E per questo deve essere positivamente
apprezzato ogni contributo che riesca a gettare un po' di luce sulla lunga serie
di provocazione e di attentati che in effetti, quale che sia la loro origine,
si sono rivolti contro il movimento dei lavoratori e la democrazia repubblicana.
Per questo io credo che il Parlamento, come ha proposto il Partito comunista,
debba sentire il dovere a questo punto di procedere ad una inchiesta che vada
a fondo e consenta di spezzare e dissolvere una trama che ha pesato come per
tanti segni è evidente, e che continua a pesare sulla democrazia italiana,
sulle sue possibilità di sviluppo e di rinnovamento.
È un fatto, e di importanza decisiva, che quelle forze politiche che
avevano pensato di poter beneficiare, a dicembre prima e il 7 giugno poi, anche
della emozione e della preoccupazione della opinione pubblica in seguito alle
bombe e ai morti di Milano per provocare un "tornante" conservatore,
una sterzata à destra, hanno fallito i loro calcoli. L'esito delle elezioni
del 7 giugno è stato in questo senso una vittoria della democrazia contro
il "partito dell'avventura" contro il lungo tentativo, in cui si sono
ostinati i gruppi dirigenti della DC e del PSU, di avere una rivincita nello
spostamento a sinistra dal maggio '68, di bloccare le spinte e le conquiste
sociali dei lavoratori, le rivendicazioni di riforma, di partecipazione, di
potere che emergono dalle masse popolari, dalle classi lavoratrici, dai giovani.
Il proposito e il tentativo di un riflusso, di una sterzata a destra sono stati
battuti. Ma ciò non può far dimenticare né oscurare i fermenti
velenosi, le sollecitazioni, le suggestioni reazionarie che vi sono nel nostro
Paese le macchinazioni antidemocratiche che in Italia e fuori d'Italia possono
essere nascoste, sotto l'insegna dell'anticomunismo, della difesa dell'ordine
o della sicurezza atlantica, l'attivizzazione e la disponibilità mercenaria
di gruppi e formazioni di destra, reazionarie e fasciste.
Due conseguenze mi sembra debbono essere tratte: la prima e la coscienza del
vigore e delle possibilità dello schieramento democratico antifascista;
la seconda è l'efficienza, più che mai viva e attuale, dell'unità
delle forze operaie democratiche, di sinistra su una precisa linea di sviluppo
della democrazia, di trasformazione della società italiana, di salvaguardia
dell'indipendenza nazionale della autonomia politica del nostro Paese. E un
momento non trascurabile di questa lotta è l'impegno a far luce sui fatti
di provocazione e di sangue del 1969, a individuarne i responsabili, a colpirli
senza esitazione.
Alessandro Natta
L'indignazione popolare sollevata dall'annunciata chiusura così sbrigativa
dell'inchiesta sulla fine drammatica e tanto sospetta di Pinelli ha dato forza
alla convinzione che occorresse dare alla opinione pubblica garanzie sicure
anche fuori dell'ordinario, sulla condotta assolutamente disinteressata della
indagine su un caso così grave che finiva per mettere in gioco la legalità
democratica del nostro regime giuridico.
Polizia politica, polizia giudiziaria e non poche procure hanno seguito nei
mesi caldi un indirizzo repressivo aperto alla speculazione elettorale già
in corso dei cosiddetti partiti dell'ordine. I gruppi parlamentari del Partito
comunista incaricati di studiare e preparare una proposta d'inchiesta parlamentare
si rifanno al caso del disgraziato agente di polizia Annarumma morto durante
una dimostrazione a Milano: morte probabilmente accidentale che fu utilizzata
nel modo più sfacciato contro i comunisti prima ancora che contro gli
estremisti.
Ma il mistero politico che sta dietro gli attentati di Milano è più
grave. Non si sa se potrà essere chiarito, viste le inutili indagini
che si dicono condotte sinora. Ma se ne devono chiaramente riconoscere i connotati.
Vi sono alcuni dati di fatto ben orientativi: la scelta degli obiettivi milanesi
(in prima linea la COMIT) e romani (in prima linea il Vittoriano), la qualità
dei mezzi esplosivi impiegati, la quantità dei mezzi finanziari. Un piano
politico, non anarchico, destinato a produrre profonde reazioni pubbliche, governative,
eventualmente paramilitari. Ed un piano di cui si potesse facilmente far ricadere
la responsabilità sulle spalle degli anarchici, come infallibilmente
è avvenuto. Quale torbido ambiente può avere ideato questo piano
e dati i mezzi, ed a profitto di chi?
Questo libro è utile strumento di conoscenza che propone una risposta
a questi interrogativi.
Ferruccio Parri
APPENDICE II
Come lo stato si assolve
Fra tragedie e involontario Humor nero, ecco una cronologia essenziale sui
principali "misteri d'Italia" dall'uscita del libro Strage di stato
a oggi
22 luglio '70: attentato al treno Freccia del Sud: 7 morti e 139 feriti
a Gioia Tauro. Classificato come disastro colposo (dei ferrovieri) ma nel '95
finirà sotto processo un mafioso pentito con due parlamentari ex missini
e ora di Alleanza Nazionale (Aloi e Meduri) più altri esponenti di destra
e 'ndrangheta.
8 dicembre '70: i congiurati sono pronti ma all'ultimo minuto il golpe
, capitanato dal fascista Junio Valerio Borghese è bloccato.
12 dicembre '70: manifestazione a Milano contro la "strage di Stato";
un candelotto lacrimogeno della polizia uccide lo studente Enzo Santarelli.
5 marzo '71: una riunione della P2 (di cui allora nulla si sapeva) traccia
le linee guida di un governo "autoritario".
13 aprile '71: il giudice di Treviso Giancarlo Stiz emette mandati di
cattura contro 3 neofascisti veneti (Freda, Ventura e Aldo Trinco) fra l'altro
per gli attentati dell'aprile e agosto '69.
novembre '71: il procuratore milanese Luigi D'Espinosa promuove un'indagine
sulla ricostituzione del partito fascista in tutta Italia, indagando anche sui
massimi dirigenti dell'allora Msi e incriminando (nel luglio '75) Almirante
e altri 41 deputati e senatori missini; altra inchiesta che si scioglierà
come neve al sole (se qualcuno avesse bisogno di cercare una spiegazione ricordi,
a esempio, che l'anno successivo il presidente della repubblica, il dc Giovanni
Leone, sarà eletto con i voti determinanti dei missini).
febbraio '72: inizia a Roma il processo "contro Valpreda";
il 6 marzo viene bloccato con il pretesto del trasferimento a Milano "per
competenza". Sempre in febbraio un episodio significativo quanto gelosamente
nascosto: lo scioglimento dell'intero comando della Terza Armata, ritenuto completamente
"infiltrato" da fascisti irriducibili.
4 marzo '72: Stiz fa arrestare Pino Rauti con l'accusa d'essere coinvolto
nell'attività eversiva di Freda e Ventura.
21 marzo '72: Stiz invia da Treviso gli atti sui fascisti Freda e Ventura
al suo collega milanese D'Ambrosio (che il 24 aprile scarcererà Rauti);
il 28 agosto contro i due vengono emessi mandati di cattura per strage. Dunque
ci sono ora 2 diverse (e politicamente opposte) indagini su piazza Fontana.
31 maggio '72: a Peteano (Gradisca d'Isonzo) esplode una bomba uccidendo
3 carabinieri. È l'unica indagine su una strage degli anni '70 che si
chiuderà con una condanna.
13 ottobre '72: "per motivi di ordine pubblico" (ovvero la
campagna della sinistra contro i fascisti) il processo di piazza Fontana è
strappato al giudice milanese dalla Corte di Cassazione e va a Catanzaro.
30 dicembre '72: Valpreda e gli altri anarchici sono rimessi in libertà.
15 gennaio '73: Marco Pozzan, fedelissimo di Freda, viene fatto espatriare
dal Sid.
7 aprile '73: preso sul fatto il fascista Nico Azzi (la bomba gli scoppia
fra le gambe) mentre prepara un attentato sul treno Genova-Roma, rivendicata
con volantini e quotidiani della sinistra extra-parlamentare che aveva addosso;
più chiaro di così il meccanismo della provocazione non poteva
essere!
9 aprile '73: Guido Giannettini, "agente Z", viene fatto espatriare
dal Sid.
17 maggio '73: il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli (ma molti lo
accusano d'essere stato legato a "Ordine nuovo") lancia una bomba
contro la questura di Milano: 4 morti e 40 feriti.
23 novembre '73: cade a Marghera l'aereo militare "Argo 16"
(morti i 4 membri dell'equipaggio); una vicenda che allora non insospettisce
alcuno ma che rispunterà alla fine degli anni '80 nelle indagini del
giudice Mastelloni.
Nell'ottobre '73 viene scoperta la rete della "Rosa dei venti";
è una delle tante inchieste (alcune animate da serie intenzioni, altre
a puro scopo fumogeno) di quegli anni contro gruppi militari o paramilitari
fascisti; questa, dopo aver sfiorato 2 generali e 3 colonnelli, uomini dei Servizi
nonché l'industriale Andrea Maria Piaggio, finirà nel consueto
tritacarne magistratura/pressioni politiche e dunque si chiuderà in sostanziale
burletta.
26 gennaio '74: in coincidenza con l'arresto di Vito Miceli, capo del
Sid, corrono voci d'un golpe che poi si riproporranno in più occasioni
fra il '74 e il '75: non erano solo avvertimenti o "rumor di sciabole".
18 marzo '74: nello stesso giorno inizia a Catanzaro la seconda fase
del "processo Valpreda" mentre da Milano arriva il rinvio a giudizio
per Freda e Ventura.
18 aprile '74: ancora la Corte di cassazione strappa l'inchiesta "Freda-Ventura"
al giudice D'Ambrosio e l'unifica con il processo di Catanzaro.
28 maggio '74: in piazza della Loggia a Brescia scoppia una bomba durante
una manifestazione anti-fascista: 8 morti e quasi 100 feriti. Tutte le tracce
portano ai fascisti eppure nessuna sentenza li troverà colpevoli. Due
giorni dopo vicino Rieti si scoprirà casualmente (nella sparatoria rimane
ucciso il fascista Giancarlo Esposti dei Mar) che si preparava un'altra strage
per il 2 giugno.
19 giugno '74: Giulio Andreotti, ministro della Difesa, rivela in un'intervista
che Giannettini è un agente del Sid e che Giorgio Zicari, giornalista
al Corriere della sera è un informatore.
4 agosto '74: nei pressi della stazione di san Benedetto-val di Sambro
(Bologna) esplode una bomba sul treno Italicus: 12 morti e 48 feriti; ma la
strage doveva essere ben più tragica perché il timer era mirato
per esplodere in galleria. Anche qui le indagini faranno solo volare qualche
straccio.
novembre '74: con Vito Miceli, ex capo del Sid (dal 18 ottobre '70 al
1° luglio '74), arrestato dai giudici padovani (le accuse: occultamento
di prove, complicità con i fascisti, cospirazione) il 31 ottobre si rafforzano
le voci d'un golpe nel ponte d'inizio mese (dunque con le fabbriche chiuse);
magari in coincidenza con il viaggio romano di Henry Kissinger, il quale avrà
pur preso un "premio Nobel della pace" per il Medio Oriente ma altrettanto
certamente è fra i principali artefici del golpe in Cile, l'anno prima,
contro il democraticamente eletto Salvador Allende.
27 gennaio '75: inizia il processo "unificato" (cioè
ad anarchici e fascisti) di Catanzaro.
nel maggio '75 entra in vigore la "legge Reale", in teoria contro
criminalità e terrorismo, in pratica una specie di assoluzione preventiva
all'uso di armi da fuoco da parte delle "forze dell'ordine" (le quali
comunque, solo fra il gennaio' 48 e il settembre' 54, avevano ucciso 70 persone
e ne ferirono 5.104 durante manifestazioni politiche o sindacali). Con il passare
del tempo sarà sempre più evidente che la legge Reale ripristina/legittima
di fatto la pena di morte in Italia; chi volesse scorrere il lungo elenco dei
morti oltretutto scoprirebbe che è minimo il numero di terroristi o pericolosi
gangster uccisi in conflitti a fuoco mentre tantissimi sono i piccoli ladruncoli
assassinati (magari alle spalle), le persone che non si sono fermate (o non
hanno visto) un posto di blocco, che manifestavano pacificamente o vengono colpite
per sbaglio. Ma queste statistiche non interessano, così nel febbraio
'90 passerà sotto sostanziale silenzio 625, libro bianco sulla legge
Reale, a cura del "centro d'iniziativa Luca Rossi" che racconta
(l'elenco purtroppo è certamente incompleto) 625 assassinati o gravemente
feriti: da Achille Floris a Nuoro il 7 giugno '75 a Giuseppe Bronzetti il 29
giugno '89. In quell'elenco, al numero 438, c'è anche Luca Rossi, giovane
militante di Democrazia Proletaria, ucciso "per sbaglio" dal poliziotto
(della Digos) Pellegrino Policino che, fuori servizio, interviene in una lite
e sparando ad altri colpisce Luca che passava di lì.
27 ottobre '75: il giudice D'Ambrosio chiude l'inchiesta sulla morte
di Pinelli: "malore attivo", tutti prosciolti.
maggio/giugno '76: mandati di cattura per cospirazione golpista contro Edgardo
Sogno (si saprà poi: tessera P2 numero 2070 codice E1979, fascicolo 0786),
Randolfo Pacciardi, il dc Filippo De Jorio e indagini anche su Luigi Cavallo
e molti altri "fascisti in camicia bianca" che muovono i fili dei
cosiddetti "Comitati di resistenza democratica" e di altre strutture
che quantomeno dal 1970 collegano destra democristiana, fascisti, industriali
e ambienti militari; anche quest'inchiesta - occorre dirlo? - si dissolverà
in una nuvola di fumo.
23 novembre '77: al processo di Catanzaro per piazza Fontana viene condannato
(ma subito rimesso in libertà) il generale Saverio Malizia, consulente
del ministro della Difesa, per falsa testimonianza; sarà poi assolto
il 30 luglio '80.
23 febbraio '79: condanna all'ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini
(fascista ma anche uomo dei servizi segreti), assoluzione per Valpreda e gli
anarchici. Ma Freda è già sparito (dal 1 ottobre '77 è
in Costarica, verrà riarrestato 3 anni dopo) e poco prima della sentenza
si dilegua (in Argentina) anche Ventura. Lievi condanne (4 e 2 anni) anche agli
uomini dei Servizi, il capitano Antonio La Bruna e il generale Gianadelio Maletti.
27 giugno 1980: si inabissa a Ustica il Dc-9 Itavia: 81 morti. Fu probabilmente
un atto di guerra (nel corso d'un assalto a un aereo libico?) o un "errore"
militare; di certo Servizi, comandi dell'Aeronautica, governi sapevano e proprio
per questo depistarono.
2 agosto '80: scoppia una bomba alla stazione di Bologna: 85 morti e
decine di feriti: come si sa, dopo lunghe vicende giudizi arie, processi annullati
e rifatti, si finirà con un sostanziale "tutti assolti" per
i Servizi e con discusse condanne solo per i fascisti Mambro e Fioravanti (killer
crudeli ma tutto sommato "pesci piccoli" nel panorama dell'eversione).
Nel 1981 viene alla luce la loggia massonica segreta "P2" di
Licio Gelli; fra gli iscritti giornalisti, generali, politici, magistrati, uomini
dei Servizi e un tal Silvio Berlusconi (con il numero 1816, codice E1978. Gruppo
17, fascicolo 0625). Iniziano vicende processuali e parlamentari - che qui non
proviamo neanche a riassumere - ma che, in buona sostanza, si concluderanno
con l'ennesima assoluzione politico/giudiziaria il 16 aprile del '94. Dunque
tribunali e Parlamento, più qualche raro giornalista curioso, hanno perso
tempo al solito (cosa andavate a pensare?): nessuno congiurava contro le istituzioni
democratiche.
20 marzo '81: la sentenza di secondo grado assolve tutti - dunque anche
i fascisti - gli imputati per la strage di piazza Fontana; e già che
c'è, dimezza le pene a Maletti e La Bruna.
24 agosto '81: la Commissione inquirente archivia le accuse contro Andreotti,
Rumor, Tanassi e Zagari (ministri della Difesa a turno) come complici dei molti
"depistaggi" del Sid. Figurarsi.
11 giugno '82: la Corte di Cassazione annulla la sentenza d'appello per
piazza Fontana e dispone un nuovo processo a Bari (escludendo solo Giannettini)
il quale decreterà - il l° agosto 1985 - l'assoluzione definitiva
per tutti gli imputati e ridurrà ancora le pene a Maletti e La Bruna.
Ci sono ancora strascichi giudiziari (nel 1987) contro i fascisti Delle Chiaie
e Fachini ma i due sono assolti (il 20/2/89) con sentenza poi confermata in
appello (il 5/7/91).
23 dicembre '84: il rapido 904 è squarciato da una bomba: 16 morti
e 200 feriti. Fu un delitto di fascisti e camorra? Al solito i processi si contraddicono:
per una Cassazione, presieduta dal solito Corrado Carnevale (quello che assolve
i mafiosi e raddoppia le condanne ai compagni) che proscioglie, ci sarà
nel marzo '91 una successiva condanna all'ergastolo inflitta il solo Massimo
Abbatangelo, deputato dell'allora Msi; pare poco credibile che abbia fatto tutto
da solo.
27 gennaio 1987: la prima sezione della Cassazione, presieduta da Corrado
Carnevale (guarda un po' chi si rivede) respinge i ricorsi e conferma la sentenza
barese d'assoluzione per piazza Fontana.
nel 1988 il giudice milanese Salvini, durante le indagini sul gruppo fascista
"La Fenice", trova elementi che sembrano portare verso la strage di
piazza Fontana; inizia un lavoro di controllo anche su carte e bobine dei servizi
segreti. Nel gennaio '89 apre una nuova inchiesta, che arriva a conoscenza dei
giornalisti solo nel novembre '91.
2 agosto '90: alla Camera dei deputati, il presidente del Consiglio Andreotti
fa sapere che fornirà entro 60 giorni i documenti sulla "struttura
parallela e occulta che avrebbe operato all'interno dei servizi segreti";
sta per arrivare la bufera Gladio (cui accenneremo soltanto in questa sintetica
cronologia).
3 agosto '90: alla commissione parlamentare sulle stragi Andreotti nega
tutto anche che Rudolph Stone, capo della Cia in Italia, fosse iscritto alla
loggia P2 con il numero di tessera 2183, fascicolo 0899, come invece è
noto.
18 ottobre '90: Andreotti invia il documento promesso in agosto sul "cosiddetto
Sid parallelo, il caso Gladio". Successivamente la "commissione parlamentare
d'inchiesta sul terrorismo e le stragi" deciderà d'includere Gladio
nelle sue indagini: i documenti confermeranno il quadro politico noto (Dc, fascisti
e Usa al centro di ogni trama) ma si confermerà anche che i manovratori
di filo sono intoccabili. Al solito iniziano i depistaggi (nel febbraio '95
un colonnello dei Servizi verrà arrestato appunto per questo), i tempi
lunghi conditi da belle parole, ricatti sott'acqua e insabbiamenti. Vale al
riguardo la pena di ricordare che il 21 marzo '91 l'allora presidente Kossiga
dichiarerà in tv che piduisti e gladiatori sono tutti (o quasi) bravi
ragazzi, anzi patrioti.
nel gennaio '91 circolano sui massmedia gli elenchi (incompleti) dei
"gladiatori" mentre in Parlamento arrivano i documenti (ma restano
molti "omissis) sul "piano Solo"', ovvero il golpe del 1964 quando
un tal Andreotti era ministro della Difesa e Antonio Segni (padre dell'attuale
referendario Mario, detto anche Mariotto) capo del governo.
10 ottobre '91: il giudice veneziano Felice Casson trasferisce a Roma
("per competenza") la sua inchiesta sul terrorismo in Alto Adige che
coinvolge militari e "gladiatori" e che finirà poi sostanzialmente
archiviata; un mese e mezzo dopo Kossiga rivendica di nuovo che Gladio era cosa
ottima e legale.
13 marzo '95: il giudice Salvini rinvia a giudizio 26 persone (fra loro
fascisti come Fachini, Giannettini, Delle Chiaie ma anche Gelli e il generale
Maletti) per piazza Fontana. Intanto l'ammuffita e impotente "commissione
stragi" apprende da Salvini che oltre a Gladio c'erano "36 legioni"
con 1.500 uomini (Nato, fascisti, militari) pronti ad attentati e golpe; solo
un'alzata di sopracciglio e tutto finisce lì. Fra segreti, manfrine,
false piste e sabbia ogni traccia (anche se suffragata da testimonianze e prove)
svanisce perché la seconda repubblica di cui tanto si parla resta sostanzialmente
identica alla prima.
28 marzo '95: alcuni giornali pubblicano stralci delle testimonianze
del terrorista nero Gaetano Orlando: "Armi? Ce le davano i carabinieri",
una delle tante "rivelazioni" che sarebbero esilaranti se di mezzo
non ci fossero tragedie.
4 ottobre '96: un perito del giudice Salvini scopre a Roma, in un deposito
sulla via Appia, 150 mila fascicoli non catalogati dal ministero dell'Interno,
inizia una nuova farsa e chi si fosse aspettato clamorose novità dal
nuovo ministro, l'ex comunista Napolitano, sarebbe restato assai deluso. Tutto
muta, nulla cambia.
27 marzo '97: il giudice veneziano Carlo Mastelloni incrimina (per falso
e soppressione di prova) 22 ufficiali dell'Aeronautica nell'inchiesta su Argo
16, l'aereo del Sid precipitato il 23 novembre '73 vicino Porto Marghera; un'altra
vicenda che sembra intrecciarsi con Gladio, in parte (almeno per ciò
che riguarda i protagonisti) con Ustica e sicuramente conferma che i Servizi
non sono stati ripuliti come 100 e 100 volte promosso dai vari governi della
Banan/Italian repubblica. In maggio Mastelloni invia alla "commissione
stragi" documenti che informano sul funzionamento di una "Gladio civile"
al Viminale fra il '50 e il 1984, che sarebbe come dire 34 anni di illegalità
al vertice dello Stato ma già gira la barzelletta che i vari governi
non ne sapessero alcunché.
novembre '97: per chi fosse dotato di humor nero le notizie sui "misteri
d'Italia", passati e presenti, sono fonte di continuo gaudio. Nel giro
di pochi giorni si parla infatti di bombe anarchiche contro i palazzi di "giustizia"
(l'infinito ritorno) e si dice che sì, 37 anni prima (caspita, che velocità
le inchieste!) l'aereo di Mattei, presidente dell'Eni, fu effettivamente abbattuto,
anche se ovviamente non si ha alcuna idea sui responsabili.
10 febbraio '98: con 34 rinvii a giudizio si chiude la seconda parte
dell'inchiesta Salvini: in 60 mila pagine c'è di tutto ma i protagonisti
son sempre loro cioè dc, fascisti e Nato/Cia.
Per completare il quadro, bisogna riassumere che dal 12 dicembre '69 al 23 dicembre
'84 per 8 stragi che le prove non meno che il buon senso politico certificano
come "nere" (fascisti più Stato) con 149 morti e 688 feriti
ci sono due soli colpevoli condannati: Vincenzo Vinciguerra (reo confesso) e
Carlo Cicuttini per l'attentato mortale di Peteano (chi volesse approfondire
può leggere La strage di Peteano di Gian Pietro Testa, edito da
Einaudi). E che per i molti delitti compiuti nelle piazze dai fascisti vi sono
state pochissime condanne.
"Io so. Ma non ho le prove" scriveva Pier Paolo Pasolini in un famosissimo
articolo/poesia del '74. Chi vuole "sa" e può vedere anche
oggi, solo studiando da vicino i fatti, che le prove c'erano e sono state fatte
sparire, che molti testimoni sono stati uccisi e che il resto lo ha fatto l'arroganza
del potere, il "colpo di Stato permanente" (inteso soprattutto come
ricatto), il gran ventre del Mammut/Stato che assorbe tutto anche se i governi
sembrano cambiare; dunque sappiamo chi siano i colpevoli e anche i complici,
compresa la debolezza prima e l'assenza totale poi di opposizione che ha consentito
agli assassini di fari a franca. Il vero, pericoloso complotto contro la democrazia
- comunque s'intenda questa parola, nella sua verità rimanda a un vero
potere del popolo - è sempre o quasi alla luce del sole. Del resto ce
lo insegnano organismi ben più rispettabili dell'Italia "Banana
Repubblic", ovvero Fmi, Banca Mondiale e il Wto/Omc, l'organizzazione mondiale
del commercio (tanto per dirne tre) che fanno cadere i governi con una firma
o con una scrollatina alla Borsa telematica.
C'è un'altra questione che esula da questa cronologia, ovvero i nostri
giorni percorsi da un forte vento di destra, spesso con egemonia culturale e
sociale. Ovviamente il ri-formarsi di un "consenso di massa" alle
nuove forme del fascismo richiederebbe un'assai lunga e complessa analisi che
qui non tentiamo neppure ma è utile ricordare una indicazione/profezia
di Pier Paolo Pasolini (del settembre '62), cioè: "Non occorre essere
forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: ma occorre
essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione
direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di
un società".
Ci sarebbero ancora da ricordare molte vicende tragiche e qualcuna farsesca:
come l'infinito mistero del presidente dell'Eni Mattei (il cui aereo appunto
saltò in aria il 27 ottobre '62); o "i delitti di pace", compiuti
da militari italiani e statunitensi a Casalecchio di Reno o nel Cermis (per
ora tutti assolti, neanche a dirlo); o l'agguato che costò la vita alla
giornalista Ilaria Alpi e che molti elementi collegano a sue inchieste scomode
sui Servizi e i traffici d'armi, o la violazione della Costituzione che ha consentito
nel marzo '99 di far guerra alla Jugoslavia; o le coperture di Stato alla "Uno
Bianca" (20 fra rapine, attentati e omicidi) e alle farsesche vicende della
"Falange armata" (oltre 500 fra rivendicazioni e minacce, mica poco);
o i documenti segreti che spariscono, ricompaiono e di nuovo scompaiono; o il
"segreto di Stato" tolto, rimesso, ritolto e abbiamo perso il conto;
o le bombe atomiche sul territorio italiano, le servitù militari e i
"patti segreti internazionali" su cui (D'Alema, capo del governo,
dixit) nulla si può fare o dire; o i molti documenti della Cia che ammettono
ufficialmente, o più spesso fanno intuire, i finanziamenti a gruppi paramilitari
fascisti ("Gladio" è solo la punta dell'iceberg) sin dall'immediato
dopoguerra e per decenni; o ancora il certo incoraggiamento più copertura
che furono dati dalle "forze dell'ordine" allo stupro contro Franca
Rame; o ancora il banchiere Sindona, di cui molto si parla nel libro Strage
di Stato, ucciso da una tazzina di caffè in carcere proprio come
quel Gaspare Pisciotta che con Salvatore Giuliano fu autore della prima "strage
di Stato" della repubblica italiana, il l° maggio '47; contro i braccianti
siciliani, "la canea rossa" come la definiva il democristiano ministro
dell'Interno, Mario Scelba. Vicende diverse fra loro ma che tutte insieme chiariscono
come "i crimini di pace", direttamente compiuti o avallati da democratici
governi - se esiste uno "Stato parallelo" di queste proporzioni, neanche
a un bambino parrebbe credibile che tutte le più alte cariche istituzionali
ne siano state all'oscuro - siano dunque non la tragica eccezione ma piuttosto
la norma, il modo abituale d'esercitare il potere contro chiunque si ribelli,
come nelle lotte intestine fra lobbies, come nella politica internazionale.
"Democradura" dicono in America latina per intendere un governo che
non è dittatura né democrazia ma un po' entrambe; un termine che
sarà bene introdurre anche da noi, se non si vuol negare l'evidenza di
una lunga scia di sangue la quale ha trovato e continua a trovare in ogni livello
dello Stato i suoi mandanti, protettori e beneficiari.
Franco Freda
Parallelamente alle vicende processuali su Piazza Fontana, di Franco Freda si
torna a parlare a partire dal 1991 per l'attività del gruppo denominato
Fronte Nazionale.
In realtà, dalla fondazione delle Edizioni di Ar nel 1964, il primo strumento
di Freda è rappresentato dai contatti costruiti intorno alla diffusione
di testi del nazismo e di propri scritti. Nelle lunghe indagini e nelle ricostruzioni
giornalistiche sulla strategia della tensione, il suo libro La disintegrazione
del sistema, sarà più volte citato come il testo chiave per
capire le tendenze in atto nel neofascismo prima della strage del 1969.
Di fatto, rientrato in Italia, dopo latitanza e carcere, Freda si stabilisce
a Brindisi e ricomincia dalla sua attività di editore-propagandista,
anche appoggiandosi alla Libreria di Ar di Salerno.
"La disintegrazione del sistema avrà venduto più di
settemila copie, e rimane uno dei nostri testi più venduti insieme al
Bushido, il libro dei samurai" spiega a il Manifesto nel
1992. E aggiunge: "I destinatari delle nostre pubblicazioni sono rimasti
costanti. Tremila persone soprattutto al nord ricevono regolarmente il nostro
catalogo".
Prendendo per buono questo dato, si può considerare che il circuito che
ruota intorno a quello che fu il leader di Ordine Nuovo nel Veneto, è
rimasto più o meno stabile e forse caratterizzato dagli stessi protagonisti.
Così, anche quando Freda decide di "ritornare in politica"
a seguirlo, specie nel Veneto e in Lombardia, sono spesso i suoi vecchi camerati.
La sua nuova creatura, il Fronte Nazionale è attivo dal 1990, anche se
la data ufficiale di fondazione è il 21 dicembre 1991 a Milano alla presenza
di alcuni vecchi nomi già legati a Ordine Nuovo. La novità rispetto
al passato è rappresentata dal razzismo, che diventa il tema centrale
della propaganda del gruppo e dai toni estremi usati contro gli immigrati. "L'Italia
non è terra d'immigrazione, no a integrazioni, no a meticciati",
si può leggere in uno dei proclami del Fronte. "Dalla questione
sociale si è passati a quella razziale - spiega Freda a Panorama nel
1992, aggiungendo - è finita l'epoca delle guerre civili europee, sta
per cominciare quella delle guerre razziali". E Cesare Ferri numero due
del Fronte Nazionale, già legato a Freda in passato e inquisito per la
Strage di Brescia, sintetizza così per Panorama la strategia del
gruppo: "Noi vogliamo soltanto difendere la razza bianca dall'invasione
degli allogeni. Siamo di fronte a un problema epocale e alla necessità
di un'autodifesa". Il simbolo della nuova organizzazione di Freda ricorda
una sorta di svastica stilizzata, i riferimenti al razzismo sono evidenti, come
pure all'antisemitismo, travestito da lotta al "complotto mondialista".
Del resto, le Edizioni di Ar hanno tra le prime importato in Italia, già
negli anni sessanta, i testi del negazionismo europeo. E quando, con gli anni
novanta, cominciano ad uscire anche testi di autori italiani che negano l'Olocausto,
è ancora una volta Ar ad ospitarli. Questa ad esempio la presentazione
del volume La soluzione finale problemi e polemiche, pubblicato da Carlo
Mattogno per Ar nel 1991: "Il preteso Olocausto ebraico si riduce ad un
grave fardello di menzogne elaborate dal Sistema ebraico-sionista con l'apporto
propagandistico dei vincitori della Seconda guerra mondiale".
La ripresa dell'attività di Freda non passa però inosservata e
nel luglio del 1993 un'indagine della magistratura veronese è aperta
contro il Fronte Nazionale, per violazione sia della legge Scelba che della
legge Mancino.
Quando la polizia si presenta a casa di Freda in Puglia, vi trova anche Giovanni
Ventura, allora recentemente rientrato in Italia dall'Argentina. Perquisizioni
vengono svolte anche a Milano, Verona, Roma, e in altre città. Tra gli
arrestati oltre a Freda, ci sono vecchi nomi, come quello di Cesare Ferri, ma
anche giovani come Stefano Stupilli, uno dei capitifoseria delle Brigate Gialloblù
del Verona. Il Gazzettino di quei giorni descrive così una delle
riunioni del gruppo: "Simpatizzanti, ausiliari, e militanti del Fronte,
questi i tre gradi dell'organizzazione, si ritrovavano ogni anno da tutta Italia
a Bardolino, il 19 dicembre per la celebrazione ariana del solstizio d'inverno.
Al suono di musiche di Wagner e Orff, a mezzanotte in punto, i frontisti incendiavano
una pira rituale sormontata dal simbolo dell'organizzazione. E attendevano sull'attenti,
immobili nel gelo, la sua consunzione". Queste indagini della magistratura
veronese si sono concluse nel novembre del 1995 con la condanna, in primo grado,
di Freda, Ferri, e altri quarantadue imputati, per "ricostruzione del partito
fascista".
Lo scorso anno Freda ha partecipato ad un incontro sulla detenzione politica
organizzato a Verona da Forza Nuova e a cui hanno preso parte anche alcuni parlamentari
del Polo. Alcuni ex esponenti di Ordine Nuovo nel Veneto, legati a Freda negli
anni sessanta e settanta, hanno nel frattempo raggiunto la Lega di Bossi e la
Liga veneta repubblica di Comencini e Ar ha raccolto in un volume gli editoriali
"contro il mondialismo" pubblicati sul quotidiano leghista la Padania
da un parlamentare veneto della Lega.
Dopo l'arresto di Freda nel 1993, lo scrittore Ferdinando Camon, raccontò
di un incontro che aveva avuto con lui qualche mese prima. Alla fine del colloquio
Camon chiese a Freda se era colpevole o innocente delle accuse che da oltre
trent'anni gli venivano mosse per Piazza Fontana. Ecco la risposta che si sentì
dare: "Voglio regalarle una citazione: è innocente non colui che
è incapace di peccare, ma colui che pecca senza rimorsi".
Stefano Delle Chiaie
Rientrato in Italia alla fine degli anni ottanta, Delle Chiaie dà il
via all'attività dell'"agenzia di stampa settimanale" PubliCondor
che diffonde un bollettino di poche pagine ciclostilate. Curiosamente l'agenzia,
legata all'associazione Il Punto, conta su corrispondenti da paesi quali il
Portogallo, la Bolivia, l'Argentina o il Venezuela, tutti attraversati dallo
stesso Delle Chiaie nei suoi anni di latitanza dall'Italia e di contatti con
la destra estrema internazionale. Ma l'attività di PubliCondor non è
che il primo passo di un pieno ritorno in politica dell'ex leader di Avanguardia
Nazionale e dell'area del neofascismo che al suo nome ha sempre fatto riferimento.
La Stampa del 25 giugno del 1991 dà conto in questo modo delle
nuove attività di Delle Chiaie: "Er Caccola, come lo chiamavano
i suoi, collabora alla realizzazione di un'agenzia, Il Punto, e organizza
riunioni con i camerati dei tempi di Avanguardia Nazionale". Si tratta
in realtà di un vero e proprio progetto politico che si preciserà
nel corso di pochi mesi. Il 5 di ottobre Il Giornale annuncia la riunione
di due giorni che, con il titolo di "Forum nazionalpopolare", riunisce
a Pomezia, vicino a Latina, "i vecchi extraparlamentari di destra".
L'incontro deve tenere a battesimo il quadrifoglio della Lega nazionalpopolare,
simbolo e sigla con la quale quest'area intende presentarsi alle elezioni politiche.
Il tutto nell'ambito della coalizione elettorale della Lega delle Leghe, che
riunisce vari piccoli gruppi prevalentemente nel mezzogiorno e nel Lazio, e
che cerca di sfruttare l'effetto di possibile trascinamento dell'affermazione
di Bossi nel nord del paese.
Un precedente c'è già, quello di Cosenza, dove due consiglieri
comunali missini sono passati al nuovo gruppo elettorale di Delle Chiaie. Inoltre,
questa nuova Lega godrebbe anche dell'appoggio di Pino Rauti, proprio in quell'anno
sostituito alla segreteria nazionale del Msi da parte di Gianfranco Fini, già
pupillo di Giorgio Almirante, dopo la debacle elettorale del partito nelle regionali
siciliane. Precisa il Giornale: "Rauti sentirà Delle Chiaie
la prossima settimana, "così mi racconterà come gli è
andata". "Del resto", conclude, "lui si muove in un ambiente,
quello nazional-popolare che è sempre stato anche il mio. Pare che l'iniziativa
sia seguita con una certa attenzione anche dall'ex deputato missino Sandro Saccucci,
da Clemente Graziani, il successore di Rauti alla guida di Ordine Nuovo da tempo
residente in Sud America e da esponenti di Terza Posizione".
Come riportato dal numero speciale di PubliCondor, uscito a pochi giorni
dall'incontro di Pomezia, è lo stesso Delle Chiaie a tenere il discorso
di chiusura dell'iniziativa. Nel suo intervento parla di un progetto che vuole
mutare l'immagine tradizionale dell'estrema destra: "Questo per noi è
superamento dell'area neo-fascista, spiega Delle Chiaie; significa cioè
non sentire la necessità, in ogni momento, di richiamarci ad una terminologia,
a dei riferimenti storici o meno storici, per fare come qualcuno nel passato
faceva: far sentire emozioni e quindi attrarre verso di sé queste componenti;
ma tentare lucidamente di costruire una progettualità politica che ci
rigetti nella storia di oggi per poter conquistare il nostro futuro". La
Lega delle Leghe diffonderà anche un incredibile volantino elettorale
che ricostruisce la carriera di Delle Chiaie attraverso gli anni di latitanza,
i processi e le conseguenti assoluzioni. L'esito negativo della prova elettorale
della Lega del quadrifoglio, con qualche eccezione di rilievo solo in Calabria,
farà destinare l'attenzione di quest'area verso altri obbiettivi, e verso
la nascita di una effimera sigla, quella dell'Alternativa nazionalpopolare.
Ma, soprattutto a Roma, il nome di Delle Chiaie torna a circolare all'inizio
del decennio, soprattutto in riferimento al fenomeno dei cosiddetti "naziskin".
Solo pochi giorni dopo la manifestazione nazionale della Base Autonoma, il circuito
diretto dal Movimento Politico di Maurizio Boccacci, conclusasi a pochi metri
dal celebre balcone di Piazza Venezia e che tanto clamore aveva destato nella
stampa, l'Unità del 6 marzo del 1992 pubblica una lunga intervista
all'ex leader di Avanguardia Nazionale, sotto questo titolo: "Delle Chiaie
e la nuova violenza nera". Nelle domande poste a Delle Chiaie, si fa riferimento
all'opinione espressa da alcuni inquirenti sul suo possibile ruolo come "regista
occulto dei naziskin", e si chiede espressamente dei suoi rapporti con
Boccacci. "Lo conosco, ho conosciuto Boccacci quando sono uscito di galera,
nel febbraio '89, lui faceva parte dell'ultima generazione di Avanguardia Nazionale.
Con Maurizio ho un buon rapporto personale". Quanto al razzismo, ecco la
risposta di Delle Chiaie: "Io non credo in una società multi-razziale.
Credo nella differenza".
Mentre la destra estrema italiana cambia volto, grazie all'irruzione mediatica
dei "naziskin", fanno la loro comparsa anche nuove pubblicazioni e
riviste. È il caso di La spina nel fianco il cui primo numero
esce, alla fine del 1992, proprio come supplemento a PubliCondor. In
cinque anni di pubblicazione, fino al 1996, della rivista non usciranno nemmeno
dieci numeri. Eppure lo stile e i temi affrontati dalla Spina sono interessanti
per comprendere come la vecchia lezione di Avanguardia Nazionale sia tornata
d'attualità nell'ambito dell'estrema destra.
Fin dal suo primo numero (Numero Zero) la pubblicazione presenta così
il proprio progetto: "(Non) possiamo dare più credito alle fasulle
opposizioni di sinistra e di destra (ma) creare un'opposizione reale, senza
mascheramenti, senza condizionamenti, né ipoteche, crearla insieme, al
di fuori degli schemi". Torna l'idea di una unità, generazionale,
comunitaria, di destino, che superi le contrapposizioni politiche consuete.
Non è un caso che sempre sul primo numero della rivista compaiano interviste
a Adriano Tilgher, a Marcello de Angelis, collaboratore della pubblicazione
e già dirigente di Terza Posizione e oggi direttore del mensile di AN,
Area, oltre a quelle a Maurice Bignami e Franco Tomei. Seguiranno le
interviste allo stesso Delle Chiaie e a Valpreda, ma anche a Fioravanti e Franceschini,
a Nolte e a un rappresentante del Sinn Fein irlandese, l'esaltazione del "nazionalcomunismo
russo" accanto agli interventi del comitato di cittadini che a Milano chiede
lo sgombero del Centro Sociale Leoncavallo. Alla Spina è legato
anche il Sindacato degli studenti, un gruppo universitario formato soprattutto
da ex militanti di Meridiano Zero, di cui fa parte anche il figlio di Tilgher,
Marco, e che si è segnalato nell'occupazione della Facoltà di
Giurisprudenza a Roma nel 1996.
Adriano Tilgher
Il ritorno sulla scena dell'estrema destra di Stefano Delle Chiaie rimette in
realtà in gioco un'intera area politica del neofascismo italiano: quella
formatasi alla scuola di Avanguardia Nazionale fin dagli anni sessanta. Quanto
detto fin qui per Delle Chiaie può quindi valere anche per altri esponenti
di primo piano di questo stesso ambiente, primi fra tutti proprio Adriano Tilgher
e Mario Merlino, da sempre tra i suoi più stretti collaboratori.
Tilgher è ad esempio con Delle Chiaie al forum della Lega Nazionalpopolare,
è lui a svolgere la relazione politica di apertura dell'incontro. Ma,
di lui, si era già parlato durante il congresso missino del 1990. Durante
una delle accese sedute che preparavano l'elezione di Pino Rauti alla Segreteria
del partito, Tilgher e un gruppo di "camerati pronti a tutto", come
li definisce la Stampa, sono presenti nel salone dell'hotel di
Rimini dove si svolge l'assemblea del Msi. Sono venuti a sostenere Rauti, con
il quale continuano evidentemente a essere in contatto. Un particolare questo
di non poco conto, visto gli sviluppi che le cose avranno per il vecchio capo
di Ordine Nuovo, anche lui passato per le inchieste sullo stragismo e recentemente
coinvolto di nuovo nelle indagini sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia.
A Fiuggi, durante il congresso che trasformerà il Msi in An, Rauti tenta
di raccogliere l'opposizione a Fini in una corrente, ma resta praticamente da
solo. Non rimarrà nemmeno fino alla fine dei lavori congressuali ma,
mentre a Fiuggi nasce ufficialmente Alleanza Nazionale corre a Roma per convocare
una assemblea di chi crede in una continuità, anche d'immagine, del vecchio
partito di Almirante.
Il 31 gennaio del 1995 prende così il via una nuova formazione politica
che dopo aver perso la possibilità di utilizzare nome e simbolo del vecchio
Msi, finirà per chiamarsi Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Al partito,
sfumato definitivamente il progetto della Lega delle Leghe, aderiscono anche
i vecchi dirigenti di Avanguardia Nazionale. Questa volta Delle Chiaie resta
in ombra, mentre Tilgher viene nominato nel Comitato centrale del nuovo Ms e
gode di un certo peso nei delicati equilibri interni. L'operazione tentata da
Rauti è infatti ambiziosa, ma anche molto difficile da realizzare: creare
una sorta di "casa comune" del neofascismo italiano, definitivamente
in rotta con il partito di Fini.
In realtà, dei giovani che erano cresciuti alla scuola di Tilgher e Delle
Chiaie, alcuni di quelli passati per Terza Posizione, finiranno per raggiungere
le file della "destra sociale" dentro An. Ma, almeno all'inizio, la
Fiamma Tricolore potrà contare su un certo numero di vecchi militanti
del neofascismo a cui vanno aggiunte le nuove leve formatesi nella seconda metà
degli anni ottanta in gruppi come Meridiano Zero, vicino all'area di Delle Chiaie,
Tilgher e Merlino, e Movimento Politico. Il peso di Tilgher e i suoi nella Fiamma
si può riscontrare in alcune scelte tematiche del nuovo partito, come
ad esempio la campagna di manifesti per "l'alternativa nazionalpopolare"
o nei rinnovati contatti con il Front National francese di Le Pen, sostenuti
soprattutto da Tilgher e i suoi che vantano anche collegamenti con il gruppo
neofascista del Gud cresciuto nella Facoltà di Assas dell'università
di Parigi.
Le divergenze in seno alla nuova compagine dell'estrema destra sembrano però
destinate ad avere la meglio sul progetto di Rauti. Dopo abbandoni individuali,
commissariamenti di intere federazioni, spaccature nel gruppo dirigente, arrivano
le vere e proprie scissioni. Il gruppo di Adriano Tilgher esce dalla Fiamma
nel 1997, dopo poco tocca anche agli ex dell'area di Movimento Politico, destinati
a confluire in Forza Nuova l'anno successivo.
Per Tilgher inizia ancora una nuova fase, che non lo vede più nel ruolo
di luogotenente di Delle Chiaie, ma alla testa di un altro progetto dove confluisce
però tutto il vecchio ambiente degli avanguardisti.
Il 28 settembre del 1997 presso il cinema Capranica di Roma si svolge la manifestazione
di presentazione del Fronte Nazionale, un nuovo partito guidato da Tilgher.
All'iniziativa partecipano circa duecento persone, molte già legate all'esperienza
di Avanguardia Nazionale, altre avvicinatesi al gruppo di Delle Chiaie attraverso
La spina nel fianco o il Sindacato degli studenti. Al battesimo del Fronte
partecipa anche un parlamentare europeo del Front National francese di
Jean Marie Le Pen. Tilgher aveva avuto rapporti con i razzisti francesi già
nella Fiamma e i contatti erano continuati così fino al lancio del Fronte,
definito "degli italiani", ma pensato in una prospettiva di stretti
legami con l'Europa. Del resto da anni Le Pen sta cercando di costruire un proprio
circuito di partiti e organizzazioni ispirate al Front National anche
nel resto d'Europa.
Nei programmi del Fronte Nazionale di Tilgher, che sarà presente per
la prima volta alle elezioni amministrative del giugno del 1999 rosicchiando
percentuali non insignificanti all'elettorato di Rauti, specie nel Lazio, torna
una posizione "al di fuori degli attuali schieramenti". L'eterno gioco
di questa area del neofascismo a confondere il proprio profilo sotto posizioni
non facilmente etichettabili, fa annunciare nel programma del Fronte una "campagna
per la fuoriuscita dalla Nato", o contro il Trattato di Maastricht. Posizioni
a cui vanno però aggiunte quelle in difesa dei prodotti commerciali italiani,
-" comprare italiano" - o i toni xenofobi contro gli immigrati. Allo
stesso modo va notato come il partito di Tilgher si sia unito alla Lega Nord
nella raccolta di firme per l'abrogazione della legge Turco-Napolitano sull'immigrazione,
manifestando però durante la guerra nel Kosovo contro l'intervento militare
della Nato.
Dalla fine del 1998 il Fronte può godere anche di uno strumento in più:
Rinascita, il "quotidiano di liberazione nazionale", distribuito
cinque volte la settimana nelle edicole di Roma e provincia. A dirigerlo è
Ugo Gaudenzi, in passato con il giro di Delle Chiaie in Lotta di popolo, già
direttore del quotidiano socialdemocratico L'Umanità.
Rinascita ospita interventi e testi prodotti da varie aree del neofascismo.
E tra gli altri nomi legati al passato, che pubblicano sul quotidiano, c'è
quello di Claudio Mutti, già con Freda e in Ordine Nuovo, oggi responsabile
della casa editrice parmense All'insegna del veltro con un catalogo che
può vantare molti classici del fascismo europeo e un'attenzione particolare
per quanto avviene nel mondo slavo, compresa la Serbia.
Mario Merlino
Professore di filosofia in un liceo della Capitale, anche Merlino è rimasto
legato alle attività del gruppo degli ex di Avanguardia Nazionale. Attivo
nell'associazione Il Punto, ha pubblicato un quaderno dedicato a Valle Giulia
e al '68, e all'eterno rimpianto dei neofascisti per aver mancato all'epoca
"l'unità generazionale" con gli studenti di sinistra, prima
di trasformarsi nelle squadre d'assalto che cercavano di cacciare gli occupanti
dalle università. Merlino è considerato una sorta di storico di
quest'area neofascista, e in questo ruolo ha pubblicato alcuni testi, tra l'apologia
e il diario degli eventi.
Personaggio sempre meno visibile, rispetto a Delle Chiaie e Tilgher, ha però
partecipato a tutte le iniziative pubbliche dell'associazione, come la tre giorni
tenuta in un albergo romano nel settembre del 1994 nell'anniversario della morte
del principe golpista Junio Valerio Borghese. In quell'occasione fu anche proiettato
un documentario prodotto a Salò che celebrava le imprese di Borghese
come comandante della Decima Mas. Qualcosa di più di una commemorazione
rituale, se si pensa al ruolo operativo che i giovani avanguardisti di Delle
Chiaie avrebbero dovuto avere nel tentativo golpista diretto da Borghese nel
dicembre del 1970.
Ma di Merlino le cronache sono tornate ad occuparsi negli ultimi anni anche
per la sua presenza al convegno "negazionista" organizzato nel giugno
del 1992 dal Movimento Politico a Roma e a cui avrebbe dovuto prendere parte
anche l'inglese David Irving. Ancora, incontrato ai bordi del corteo nazionale
di An a Roma il 2 dicembre del 1995, Merlino rispondeva così a il
Manifesto: "Una volta per noi la piazza doveva essere conquistata attraverso
lo scontro, oggi molte cose sono cambiate. Nella mia scuola che sta in un quartiere
di periferia, che una volta ci era precluso, ora è possibile invitare
Mario Castellacci, l'autore dell'inno degli squadristi, Le donne non ci vogliono
più bene, a raccontare le sue esperienze della Repubblica Sociale
Italiana".
Quando nel 1997 nasce la Consulta nazionale dei Combattenti della Rsi, nella
pubblicazione che annuncia la creazione di questo nuovo gruppo, compare anche
la firma di Rutilio Sermonti, anche lui legato al Fronte Nazionale e dello stesso
Merlino.
Processi a un libro
Il libro La strage di Stato viene pubblicato alla fine del giugno 1970
dall'editore Giulio Savelli, che offrì la propria struttura editoriale
e rese possibile la diffusione del volume come periodico nelle edicole, presentandolo
come supplemento al mensile Controborghese, di cui era direttore responsabile
Alfonso Cardamone.
Il libro era in realtà il risultato finale del lavoro svolto da un gruppo
di militanti della sinistra extraparlamentare che si identificava nel "Comitato
di controinformazione". In esso svolsero un ruolo primario e propulsore
MARCO LIGINI, che coordinava l'aspetto giornalistico e informativo del lavoro,
e EDUARDO M. DI GIOVANNI, che era invece il coordinatore sul versante giuridico
e giudiziario. Tra il settembre e l'ottobre del 1970 denunciano il libro, chiedendone
il sequestro su tutto il territorio nazionale:
-Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento sociale italiano, ex
redattore della rivista Difesa della Razza, ex capo di gabinetto del
ministro Mezzasoma nella Repubblica sociale italiana, firmatario di un manifesto
che comminava la pena della fucilazione per chi si univa alle formazioni della
Resistenza, fotografato più volte durante spedizioni punitive di elementi
di destra contro gli studenti universitari di Roma.
-Enrico Frattini, generale, ex comandante della brigata Folgore dei paracadutisti,
presidente dell'Associazione nazionale paracadutisti d'Italia (Anpdi), "eroe
di EI-Alamein" durante il secondo conflitto mondiale.
-Michele Catorio, vice-presidente dell' Anpdi.
-Giuseppe Rauti, detto Pino, segretario del movimento politico Ordine nuovo
(successivamente disciolto dall'autorità giudiziaria per ricostituzione
del partito fascista), implicato nel tentativo di colpo di Stato capeggiato
da Junio Valerio Borghese nel dicembre 1970, successivamente segretario nazionale
del Movimento sociale italiano, oggi segretario della Fiamma tricolore, da sempre
a capo dell'ala dura dell'estrema destra italiana.
-Pio D'Auria, indicato all'epoca dalla stampa come possibile sosia di Pietro
Valpreda.
-Antonino Sottosanti, anch'esso indicato dalla stampa come possibile sosia di
Valpreda.
-Mario Palluzzi, legato all'organizzazione di estrema destra Avanguardia nazionale,
imputato in un procedimento giudiziario per estorsione ai danni di alcuni gestori
di distributori di carburante.
-Junio Valerio Borghese, principe romano e nobiluomo della corte pontificia,
ex comandante della X Mas nella Repubblica sociale italiana, condannato a morte
in contumacia dal Comitato nazionale di liberazione-Alta Italia per crimini
di guerra commessi in quelle circostanze (pena poi commutata in ergastolo e
quindi amnistiata), fondatore e presidente dell'organizzazione estremista di
destra Fronte nazionale (poi disciolta dall'autorità giudiziaria per
ricostituzione del partito fascista), imputato per un tentativo di colpo di
Stato avvenuto il 7 dicembre 1970.
-Paolo Pecoriello, reo confesso (poi condannato) per un attentato dinamitardo
contro la libreria Rinascita nel 1968 e per l'imbrattamento dell'autovettura
di Pier Paolo Pasolini. Supposto appartenente o simpatizzante di Avanguardia
nazionale.
-Giovanni Ventura, editore di pubblicazioni di estrema destra (tra cui quelle
uscite con la sigla AR alla fine degli anni Sessanta), appartenente a Ordine
nuovo, corrispondente di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale,
poi imputato per gli attentati del 12 dicembre 1969 (da cui fu assolto per insufficienza
di prove).
Dalle querele derivarono tre distinti processi, poi riuniti in un solo procedimento,
a carico di Giulio Savelli, editore del libro; Nicola De Vito, responsabile
amministrativo della casa editrice; e Alfonso Cardamone, direttore responsabile
di Controborghese. Il 13 febbraio 1973 la IV sezione penale del Tribunale
di Roma, con l'intervento del pm Nicolò Amato, emise una sentenza con
la quale furono assolti Cardamone (che nel frattempo si era dissociato, dichiarando
che l'attribuzione al libro della qualifica di supplemento al periodico da lui
diretto era stata operata senza consultarlo) e De Vito; fu assolto Savelli per
la diffamazione in danno di Frattini, Palluzzi, Sottosanti e Pecoriello perchè
i fatti attribuiti sono "privi di fondamento e neppure verosimili";
fu sospeso il processo relativo alle querele di Ventura, D'Auria e Rauti perché
nel frattempo imputati o indiziati nel procedimento per gli attentati del 12
dicembre 1969; fu condannato Savelli per la diffamazione di Caforio, Borghese
e Almirante alla pena di anni l e mesi 2 di reclusione. Il 22 giugno 1979 la
II sezione della Corte d'appello di Roma ha comunque prosciolto Savelli per
prescrizione del reato, essendo ormai trascorsi nove anni dalla pubblicazione
del libro.
Edgardo Pellegrini
Come importammo la controinformazione.
Non poteva avere un o una corrispondente dagli Stati Uniti, l'Unità
a causa della legge McCarran che impediva l'entrata, figuriamoci la residenza,
ai comunisti e alle comuniste. Non poteva avere corrispondenti in Francia, perché
non aveva i soldi. E via così per chi sa quanti altri paesi. Ennio Simeone
era il capo della sezione "Varia". Sembra che una cosa del genere
l'avesse inventata Mark Twain: tutta la vasta area di collaborazione a cercare
e trasmettere notizie ma poi, chi scrive? Solo redattrici e redattori addestrati
a scrivere nello stile del giornale. Lo scrittore e giornalista statunitense
la chiamava Writing Section, noi Varia; ma l'idea era la stessa. Mario
Alicata, il direttore, era uomo di buone letture. A destra di Amendola, nel
Pci; ma sicuramente un grande direttore. Aveva addirittura chiamato Albe Steiner
a ridisegnare il giornale, per adottare l'impaginazione verticale che con Il
Giorno di Baldacci aveva rivoluzionato la stampa italiana.
Capo della sezione "Varia", allora, era Ennio Simeone. Pensò
che quello che si poteva fare con i corrispondenti locali - nell'Unità,
gente ben avvezza alle questioni sociali e sindacali, non altrettanto a comunicarle
per iscritto come si deve, e per questo dovevamo riscrivere tutto - si poteva
fare probabilmente anche per le notizie dall'estero: "Basta usare intelligentemente
i flash dell'Ansa", diceva. Insorse Michele Lalli: "Guarda che le
notizie bisogna prenderle sul campo, non si può solo leggere le agenzie
tra le righe... Le agenzie sono una segnalazione, la fonte è un'altra
cosa". Lalli era l'inviato di punta della "Varia".
Dato a Michele Lalli l'incarico di scovare fonti alternative in giro per il
mondo, Ennio Simeone si tolse uno sfizio: i fantomatici corrispondenti dall'estero
si sarebbero chiamati tutti... "E. S.", (Ennio Simeone) o "S.
E." (Simeone Ennio). "Samuel Evergood, per l'Inghilterra - disse Michele
Lalli - Si chiamava così un ebreo inglese che morì vicino a me,
in campo di concentramento". "Spostiamolo in America - disse Simeone.
È bene, negli pseudonimi, che non vi siano riferimenti troppo diretti".
E andò cosi.
Poi Lalli ci lasciò troppo presto. Io ero un po' il suo vice, nella "Varia"
e da Sandro Curzi (e da Enzo Branzoli, da Lucio Tonelli, da Giorgio Grillo,
da Lamberto Martini... quanti buoni capiservizio c'erano, prima del giornalismo
spettacolo!) avevo imparato che uno le fonti se le deve cercare da solo. Diventai
Samuel Evergood e mi si parò davanti l'assassinio di Kennedy.
Bisognava trovare le nostre fonti. Prima di tutto dovevo studiare l'inglese.
Il corso lo pagai metà io, metà lo pagò il giornale. Grazie,
mister Hickey, il mio docente di allora, irlandese e pignolo. Poi c'erano i
referenti negli Usa eredità di Lalli. Mi spiegarono loro, per lettera
ma sempre prima che uscisse L'America ricorre in appello che l'avvocato
Mark Lane si contrapponeva al rapporto Warren. Mi spiegarono loro, e anche Roberto
Giammanco, prima che ne arrivasse l'eco in Italia, che il procuratore della
Louisiana Jim Garrison seguiva una pista ben diversa da quella di Lee Harvey
Oswald. Mi segnalarono che un collaboratore di Garrison e una collaboratrice
di Lane arrivavano in Europa.
Fu così che Samuel Evergood fece, da Roma, alcuni scoop: quando lo ammazzarono
con un abile colpo di karatè, raccontò subito chi era stato David
Ferrie, pilota anticastrista coinvolto nel delitto Kennedy fino al collo; e
per la prima volta in Italia fece il nome di Clay Shaw, il petroliere e finanziere
del Texas che poi Garrison avrebbe incriminato quale mandante del delitto. Sì,
lo assolsero. Ma che conta? Rivedetevi il film di Oliver Stone!
La controinformazione italiana nasceva così utilizzando, direi copiando,
le inchieste e le ricerche della grande controinformazione statunitense che,
a sua volta, si basava sul giornalismo investigativo anglosassone e non sull'oratoria
asiaria che ancora imperversava - con l'eccezione dei pochi Barzini (in campo
statale) e Chilanti, Zangrandi e Orecchio (in campo eversivo) - nella comunicazione
quotidiana in Italia. Ci furono eccellenti esempi di controinformazione italiana:
Droga di classe, di Pino Bianco, tanto per fare un esempio.
Di Clay Show venne fuori che finanziava la Permindex. E che la Permindex finanziava
i neofascisti in Italia e in Sud Tirolo.
Tempo prima, seguendo come cronista il delitto Wanninger (una aspirante modella
uccisa a Roma) ero stato sbattuto fuori a calci e a spintoni da uno strano ufficio
di uno strano produttore tedesco che film non ne produceva. E avevo ancora negli
occhi l'intestazione della lettera che aveva davanti, sulla sua scrivania: Permindex,
naturalmente.
Dopo la strage di piazza Fontana, i giudici milanesi in una perquisizione nella
casa di un supposto golpista trovarono una vecchia velina del generale Allavena,
capo dei servizi segreti, in cui si raccomandava di non scavare troppo a fondo
nel caso Wanninger...
"Permindex, hai detto?", mi chiese, una sera, Eduardo Di Giovanni.
"Permindex, sissignore". L'avvocato, che in pratica conoscevo da sempre,
come Marco Ligini, aveva avuto, quasi per caso, un nome: Michele Sindona. E
non so come avesse saputo di un collegamento italiano di Sindona: la Permindex.
Questo strano gioco, di fare il Samuel Evergood stando seduto a via dei Taurini,
di lavorare più sul lavoro dei colleghi e delle colleghe statunitensi
che sull'Ansa, non potevo tenermelo per me. Era troppo divertente. Per lettrici
e lettori, l'illusione di avere un corrispondente a New York. Ma con qualcuno
mi dovevo pur confidare. Quindi, le imprese di Samuel Evergood le raccontavo
nelle serate all'Armadio, il cabaret di sinistra inventato da Marco Ligini e
Zizi Firrao. Ci facevamo su anche delle canzoncine.
Così, quando fu ucciso Malcolm X, Giorgio Amendola, nel comitato federale
del Pci romano in via dei Frentani, criticò il corrispondente dell'Unità
dagli Usa che aveva scritto un necrologio "troppo positivo" del
leader nero assassinato: "Non si può difendere a spada tratta, anche
se è un negro e fa parte di una minoranza oppressa, un ex drogato, un
ex sfruttatore di donne - disse, e continuò - Capisco che il compagno
Samuel Evergood ha motivi, vivendo lì, di critica accentuata verso la
società che lo circonda...". Esplosero Renato Nicolini e, mi pare,
Eugenio Rizzi: "Ma dai, Samuel Evergood sta qui a cento metri, in via dei
Taurini!".
Sì, troppo divertente.
Non so, sulla base della dritta che avevo fornito sulla Permindex, chi dopo
ci abbia lavorato sopra, nell'équipe di Strage di Stato. Era così,
per motivi di sicurezza. Solo Eduardo e Marco sapevano (quasi) tutto. Neppure
Invernizzi, che poi sarebbe stato con Ligini l'estensore materiale del testo
definitivo, sapeva da dove arrivassero le notizie. Né, credo, che le
riunioni del comitato ristretto romano si facevano a casa del burattinaio, ed
ex partigiano, Otello Sarzi. Ma qualcuno, a partire dal rapporto Permindex-Sindona,
scoprì la Continental Illinois Bank di Cicero, i suoi rapporti con lo
Ior vaticano e con monsignor Marcinkus, con David Kennedy e l'amministrazione
Usa.
Nell'inchiesta vera e propria io ebbi poco più di questo ruolo, a parte
alcune altre piccole verifiche che un giornalista professionista poteva fare
più agevolmente dei ragazzi che rischiavano la pelle seguendo in motorino
i fascisti per vedere con chi si incontravano, o delle attrici belle come il
peccato che si mettevano in pelliccia per infiltrarsi nei ricevimenti della
nobiltà nera romana in cui circolavano a passo di valzer i più
noti generali felloni.
Ebbi un ruolo un po' più incisivo dopo, alla quinta edizione (ottobre
1971) quando si era creata una frattura fra la controinformazione romana e gli
anarchici e, siccome io avevo buoni rapporti con l'una e gli altri, gli editori
mi chiesero di scrivere la prefazione aggiornata, e le note ai capitoli, dopo
averli concordati da un lato con Eduardo Di Giovanni e Marco Ligini, dall'altro
con Aldo Rossi. In quell'occasione, mi ritrovai anch'io a compilare dei testi
che venivano da chi sa quante informatrici e informatori del movimento, fidandomi
di loro e non cercando di sapere chi erano e come avevano avuto quelle notizie.
Questa storia l'ho raccontata perché mi sembra giusto che si sappia che
dietro a Strage di Stato c'era una grande stratificazione e diversificazione
di esperienze e competenze. Chi ha corso realmente grandi pericoli, a parte
Eduardo e Marco, sono stati quelli che lavoravano sul campo. E nessuno mi toglierà
dalla testa che Mucky e i suoi compagni anarchici non sono morti per caso, il
15 settembre 1970, in un fortuito incidente stradale, non lontano dalla tenuta
di Junio Valerio Borghese, e proprio mentre indagavano sui fascisti.
Ma si lavorava anche ad altri livelli. Un grande contributo lo aveva dato Ruggero
Zangrandi, autore dell'eccezionale inchiesta sul Sifar per Paese sera.
Altri, come Pio Baldelli, avevano dimenticato prudenza e status, per difendere
la memoria di Pino Pinelli. Così non mi dispiace che anche Samuel Evergood,
poco nota vittima inglese dei lager nazisti, rinato nella penna di Michele Lalli
e finito per caso nel mio lavoro di cronista, abbia potuto, grazie alle sue
sponde d'oltre oceano, dare un modesto contributo. Certo, se Eduardo e Marco,
quella sera all'Armadio, non avessero drizzato le orecchie...
Ma loro erano fatti così. Si divertivano un sacco, ad essere persone
per bene. E siccome lo erano davvero, anche intraprendendo le avventure più
serie volevano divertirsi.
È stato bello, giocare con loro.
Eduardo M. Di Giovanni (1931-1990)
Nato da una famiglia siciliana di avvocati le cui tracce risalgono al 1589. I suoi antenati sono sempre stati personaggi scomodi: antiborbonici, anti-piemontesi, antifascisti, antidc... Il nonno Eduardo era un deputato fondatore del Partito socialista in Sicilia. La mamma, Maria Verga, è nipote di Giovanni Verga, il grande romanziere di Vizzini. Il padre Salvatore è stato un gappista a Roma; Eduardo dodicenne faceva, a sua insaputa, la staffetta partigiana. Amante della poesia (vinse due premi) e del giornalismo (grintosa una sua inchiesta sulla Calabria per Epoca), Eduardo fu segretario della federazione giovanile socialista, restò nel Psi fino ai primi anni Sessanta, poi entrò nel Pci nel 1988. Avvocato di vaglia, difese militanti praticamente di tutta la sinistra, dal Pci agli anarchici, dagli obiettori di coscienza ai protagonisti della lotta armata. Arrestato per istigazione alla banda armata e associazione sovversiva, venne assolto. Sosteneva sempre che non c'era separazione, tra la sua vita privata e il suo impegno forense: erano entrambe dedicate alla vittoria di una società giusta.
Marco Ligini (1940-1992)
Animatore del Comitato di controinformazione, che aveva
avviato l'analisi sull'aggressivo arcipelago fascista romano e sui suoi collegamenti
con gli apparati di sicurezza fin dall'uccisione dello studente Paolo Rossi,
nell'aprile del 1966, Marco Ligini era stato tra i promotori dell'Armadio,
il primo cabaret della sinistra romana da cui sarebbero nati il Nuovo canzoniere
internazionale; una sua canzone ebbe fortuna: la "Ninna Nenni".
Nello stesso periodo, aveva scritto sceneggiature per il burattinaio ed ex comandante
partigiano Otello Sarzi. Dopo La Strage di Stato, Marco lavorò
come giornalista (era il "Limar" delle critiche sul fumetto, per Paese
sera) e scrisse testi per la radio, per il cinema, per la televisione. Ultimamente
aveva partecipato alla costituzione di una comune agricola per quelli che le
controriforme sanitarie vorrebbero rinchiudere nei manicomi
Edgardo Pellegrini (1940-1998)
Giornalista militante e militante politico, nasce in un famiglia
comunista e fin da ragazzo frequenta ambienti vicini al PCI, si iscrive a quel
partito, lavora poi a Paese Sera e all'Unità. Ma il suo
comunismo fu presto, e per sempre, eretico e anticonformista, di passione civile
e ricerca sul campo e di critica serrata agli schemi prefabbricati, alle certezze
consolatorie, alle immaginette sacre. Fu a lungo legato con funzioni dirigenti
alla sezione italiana della IV Internazionale e diresse Bandiera Rossa. Nella
seconda metà degli anni Ottanta, sempre più critico verso rituali
di appartenenza partitica che gli appaiono ormai residuali e inadeguati a cogliere
e rappresentare le trasformazioni della società, abbandona l'impegno
di partito e concentra la sua passione politica in iniziative di movimento e
in campagne di solidarietà internazionale, di cui memorabili rimangono
quelle contro l'Apartheid in Sudafrica.
La comunicazione e l'informazione costituirono per Edgardo non soltanto gli
elementi essenziali dal suo impegno professionale ma la cifra stessa della sua
passione politica. Dovunque abbia avuto modo e occasione di lavorare, l'ostinata
ricerca delle fonti e la verifica sul campo della notizia hanno rappresentato
per lui l'antidoto più efficace ai processi di omologazione, il luogo
di incontro e di connessione tra la sua vocazione di cronista del mondo e la
lucida passione politica che lo hanno accompagnato nella vita.
Trascrizione dell'intervista video al giudice GUIDO SALVINI,
realizzata il 18 aprile 2000 (testo rivisto dallo stesso Salvini il 27 novembre
2000), parti della quale compaiono nel documentario "12 dicembre. Critica
allo Stato dei misteri" prodotto da SUTTVUESS.
D: A quali risultati hanno portato le sue indagini, quali le novità di questo processo?
SALVINI: Le indagini condotte in questi ultimi anni hanno consentito, inizialmente,
di riannodare i fili di indagini più vecchie e di mettere alla luce,
con nuove testimonianze, degli episodi emblematici che erano di collegamento
con i più gravi episodi di strage. Siamo partiti dal mettere a fuoco
episodi che costituivano il prodromo dei fatti di strage. Ne cito rapidamente
alcuni. Ad esempio sono stati acquisiti i nastri, sino a quel momento occultati,
sul golpe Borghese e sul tentativo di golpe della "Rosa dei Venti"
che solamente nel 1992 il capitano Labruna del SID ha consegnato alla magistratura,
in forma integrale e con i nomi che nel '74 la direzione del SID aveva cancellato.
È stato possibile mettere a fuoco episodi di collegamento, ad esempio
la vicenda dell'arsenale di Camerino. Un arsenale con armi ed esplosivi che
fu scoperto nel 1972, fu attribuito subito a gruppi di estrema sinistra e invece
abbiamo scoperto che era stato preordinatamente allestito da personale del SID
e dei Carabinieri. Abbiamo potuto approfondire altri episodi importanti quali
la fornitura di armi, da parte di esponenti del Comando Divisione Pastrengo
dei Carabinieri, al gruppo MAR, Movimento di Azione Rivoluzionaria, di Carlo
Fumagalli che operava, all'inizio degli anni '70, per un progetto di colpo di
stato, di intesa e con la collusione di parte del mondo militare.
Quindi siamo partiti da episodi emblematici che ci hanno consentito poi, progressivamente,
di arrivare al cuore dei fatti più gravi, e cioè, le stragi.
D: Come si inserisce l'attentato di Piazza Fontana nella strategia della tensione?
SALVINI: È il punto culminante di una strategia che si è concretizzata
prima con gli episodi minori che ho citato e che si è sviluppata poi
con gli attentati ai treni che hanno preceduto Piazza Fontana, nell'agosto del
1969: dieci bombe collocate su treni nel pieno periodo delle ferie estive per
creare un clima di terrore. Certamente la strage che poi seguì non era
solo il gesto di qualche neofascista o neonazista più esaltato di altri,
ma aveva un progetto politico di fondo: se non direttamente un golpe, sicuramente
la creazione di una situazione di governo forte, di governo autoritario. Parallelamente
alle stragi che vi sono state, da Piazza Fontana al colpo di coda di Brescia,
vi sono stati progetti di svolte autoritarie o golpiste che man mano nel corso
delle indagini sono venute alla luce. Quindi le stragi all'interno di un progetto
politico di cui comunque bisogna ancora definire molti contorni.
D: Qual è il significato della sentenza di condanna recente per la strage di Via Fatebenefratelli?
SALVINI: È quasi passato sotto silenzio che per uno degli episodi di
strage, e mi riferisco alla strage dinanzi alla Questura di Milano, del 17 maggio
1973, quando una bomba fu lanciata da Gianfranco Bertoli contro la folla che
assisteva ad una manifestazione, presente l'On. Rumor, si è avuto un
primo positivo riscontro processuale con una condanna pronunziata dalla Corte
d'Assise nel marzo 2000. Ciò è molto importante perché
quando iniziammo queste indagini vi era un forte scetticismo. L'opinione pubblica,
sovente era stata portata a pensare: "tanto anche questa volta le indagini,
anche se condotte con impegno, finiranno in niente". Così non è
stato e per quella strage vi sono state quattro condanne all'ergastolo e altre
condanne minori, pronunziate dalla Corte d'Assise di Milano nei confronti di
elementi di Ordine Nuovo o collegati ad Ordine Nuovo, individuati come i mandanti
e gli organizzatori della strage materialmente commessa da Gianfranco Bertoli.
Quindi un primo risultato che sicuramente dà il senso del valore del
lavoro che si è fatto fra tante difficoltà e che contribuisce
ad aprire uno squarcio di verità non solo giudiziaria ma anche storica
su un pezzo della nostra storia.
D: Quali furono le dinamiche di infiltrazione e strumentalizzazione degli anarchici di Milano e di Roma?
SALVINI: Dobbiamo fare un passo indietro. Abbiamo appena parlato della strage
del 1973, ma Piazza Fontana è di quattro anni prima, è del 1969.
Ma dagli atti emerge che il progetto di strage, o comunque il progetto di una
serie di attentati gravi a catena, da attribuire a gruppi maoisti o anarchici,
era un progetto iniziato ancora parecchi mesi prima. Tanto è vero che
sia Avanguardia Nazionale sia Ordine Nuovo infiltrarono loro elementi nei gruppi
di estrema sinistra, soprattutto anarchici a Roma, ma anche filocinesi a Milano
e in Veneto, con la precisa finalità di studiarne i movimenti, facilitando
il lavoro di controllo della polizia giudiziaria, e parlo soprattutto dell'Ufficio
Affari Riservati del Ministero degli Interni. In questo modo questi uffici divennero
in grado di dirigere, conoscendo dall'interno come si muovevano questi piccoli
gruppi spesso con scarso controllo sui propri militanti, immediatamente la magistratura
sull'ipotesi di colpevolezza di questi gruppi che erano i capri espiatori della
strategia. Vi fu ad esempio un fatto singolare: in un piccolo gruppo, come il
"22 Marzo", che si formò a Roma pochi mesi prima della strage,
sia Avanguardia Nazionale sia l'ufficio Affari Riservati, avevano collocato
dei loro uomini in quanto ciò serviva a seguire le mosse di coloro che
poi avrebbero dovuto essere consegnati alla magistratura, nonostante la loro
non colpevolezza.
D: Molti, non solo la sinistra extraparlamentare, hanno parlato di strage di Stato. In che modo le sue indagini avvalorano questa tesi o la contrastano?
SALVINI: La strage di Stato è il titolo del lavoro di controinformazione
che uscì già pochi mesi dopo la strage di Piazza Fontana. Io credo
che, pur nella sua incompletezza, questa espressione abbia comunicato molto
di vero, proprio alla luce di quello che ho appena detto. Quando si collocano
all'interno di gruppi che poi devono essere colpiti dalle indagini, degli infiltrati
che devono seguire le mosse delle future vittime delle indagini stesse, non
si può dire che non ci siano responsabilità istituzionali. E lo
stesso quando si fanno scomparire testimoni importanti. Abbiamo parlato poco
fa del capitano Labruna. Il capitano Labruna, ebbe l'incarico, quando le indagini,
fallite quelle sugli anarchici, alla fine si portarono decisamente nel 1972,
sui gruppi di estrema destra, grazie al lavoro dei colleghi Calogero e Stiz,
ebbe l'incarico dai suoi superiori, di far espatriare Marco Pozzan di Ordine
Nuovo e Guido Giannettini agente del SID, affinché fossero sottratti
agli interrogatori dell'autorità giudiziaria.
Per questo episodio vi è la condanna definitiva della Corte d'Assise
di Catanzaro. In generale quando noi possiamo inanellare decine di episodi simili
che sono emersi nel corso delle nostre indagini e hanno spesso aggiunto pezzi
di verità a quello che era emerso dalle vecchie, è difficile negare
che sia anche strage di Stato. Nel senso che lo Stato invece di reprimere, con
buona parte dei suoi apparati, ha colluso con chi stava progettando le stragi,
ha difeso chi le aveva compiute dal pericolo di essere incriminati e ha fatto
fuggire, quando necessario, i testimoni. Quindi l'espressione, anche se può
apparire molto forte, e se poteva sembrare una forzatura politica all'epoca,
è in fondo confermata da tanti nuovi elementi. E quindi sul piano storico
politico ha un senso profondo di verità.
D: Ci sono state piste false e depistaggi fin dall'inizio. Come sono state ostacolate le indagini nel corso del tempo dalla classe politica?
SALVINI: Io voglio ricordare che i nastri che il capitano Labruna ci ha consegnato
solo nel 1992, non erano ignoti alla classe politica. Tanto è vero che
furono ascoltati e commentati in buona parte in uffici di ministri di allora.
In questi nastri c'erano i nomi di militari di alto livello, esponenti anche
del mondo industriale e della massoneria, coinvolti in tentativi come il golpe
Borghese, che non erano tentativi da operetta come si è voluto far credere.
Eppure questi nastri sono stati occultati nonostante che il mondo politico li
conoscesse. Lo stesso vale a dire per operazioni come la fuga di Giannettini,
lo stesso vale a dire per tanti altri episodi, quali l'occultamento di corpi
reato che si è scoperto solo recentemente. Presso il ministero dell'Interno
vi erano centinaia di faldoni addirittura parti di corpi di reato utili per
la magistratura, che non sono arrivati se non pochi anni fa, all'autorità
giudiziaria. Quindi è difficile pensare che il mondo politico non fosse
al corrente del compromesso che era avvenuto, un compromesso di cui era oggetto
anche la non perseguibilità di fatto degli autori delle principali stragi.
Purtroppo su questo versante sono stati fatti pochi passi. Abbiamo avuto nuovi
testimoni di Ordine Nuovo, abbiamo avuto testimoni, anche se a livello medio
basso, dei Servizi di allora come il capitano Labruna, ma nessuna voce di verità
da quella parte del mondo politico che ancora oggi è vivente e che potrebbe
testimoniare sui compromessi di allora. Non abbiamo avuto nessun uomo politico
come testimone di rilievo nell'aiutarci a proseguire lungo la strada della verità.
Ci siamo fermati a livello operativo o a livello militare. Il compromesso politico
di quegli anni è un argomento ancora largamente insondato e che potrà
forse essere oggetto di analisi nelle relazioni della commissione stragi.
D: Come mai l'ambiente politico, che era almeno apparentemente più interessato, alla verità sulle stragi oggi invece ostenta indifferenza verso le sue indagini?
SALVINI: Le indagini del mio ufficio sono forse arrivate politicamente in ritardo,
e vorrei spiegare quale può essere la ragione. Se avessimo svolto questo
lavoro dodici; quindici anni fa sarebbe stato seguito con impegno, con simpatia
da quell'opposizione che aveva sempre fatto della denunzia delle collusioni
e complicità un cavallo di battaglia e un argomento forte di critica
alle forze che in Italia avevano governato per quarant'anni. Oggi non è
più così. Nelle ultime indagini si è messo a fuoco il ruolo
delle basi americane in Veneto della NATO, che sono coinvolte nei fatti più
importanti della strategia della tensione, in particolare addirittura che elementi
di Ordine Nuovo entravano e uscivano dalle basi, svolgendo con una doppia veste
attività di informazione, mentre si stavano preparando gli attentati.
Recentemente l'ordinovista Carlo Digilio ha parlato di rapporti diretti fra
suo padre, anch'egli agente americano e il capo dell'OSS in Italia, James Angleton.
Notizie di questo tipo, cioè che gli agenti americani e ordinovisti agissero
in sintonia, dodici o quindici anni fa, avrebbero provocato un terremoto. Interpellanze
parlamentari, richieste di chiarimento al governo alleato degli Stati Uniti,
campagne di stampa. Invece non è accaduto nulla a mio avviso per un motivo
molto semplice. Quando le forze di opposizione, nel 1996 e cioè nel momento
del primo sviluppo di queste indagini si sono legittimate al governo, probabilmente
non intendevano disturbare, creare problemi, rimestare avvenimenti considerati
vecchi e ormai superati, davanti al principale alleato dell'Italia rispetto
al quale bisognava mostrarsi comunque come una forza di governo "responsabile".
Così è accaduto che su queste novità che riguardano in
particolare il ruolo della NATO nella strategia della tensione è caduto
un assoluto silenzio e se noi pensiamo a quello che sarebbe avvenuto invece
in passato, è veramente sconcertante il fatto che nessuno abbia fatto
nemmeno la più limitata protesta davanti a queste emergenze veramente
impressionanti. Solo recentemente qualcosa in termini di interesse a quanto
si è scoperto sembra essere nuovamente cambiato. Mi riferisco, ad esempio,
alla relazione del gruppo DS della Commissione Stragi presentata nello scorso
giugno.
D: In relazione alla polemica relativa all'apertura degli archivi del Viminale, l'allora ministro degli Interni Napolitano venne accusato di voler coprire gli informatori coinvolti nella strategia della tensione, quale è stata all'epoca la sua esperienza diretta?
SALVINI: Il ministro degli Interni viene scelto per una serie di intese politiche,
spesso, come sappiamo cambia rapidamente, e difficilmente può impadronirsi
di una situazione che si è stratificata negli anni, perché esiste
una burocrazia, esiste un sistema di gestione di notizie e di archivi che certamente
il ministro, in pochi mesi, non è nemmeno in grado di percepire. Si poteva
fare forse qualcosa di più, anche da parte del ministro che lei ha citato,
ma certamente si è trovato di fronte a qualcosa che era sedimentato in
quasi trent'anni di voluta non informazione degli avvenimenti più gravi
che sono oggetto di queste indagini. È stato necessario il lavoro di
un perito, il dottor Aldo Giannuli, che ha esplorato per noi negli archivi del
ministero degli Interni, per far venire alla luce tanti faldoni, tanti documenti
per scoprire parti sin ora inesplorate di quelle che erano le attività
informative dell'epoca. Ed è proprio qui fra l'altro che sono emersi
gli atti relativi a quell'opera di infiltrazione negli ambienti anarchici e
di direzione delle indagini su quegli ambienti. In sostanza la polizia sapeva
che gli anarchici non c'entravano e aveva manovrato infiltrati all'interno di
essi, per colpirli e quei documenti sono rimasti sepolti fino a pochi anni fa.
Vi ricordo un altro episodio paradossale. In questi archivi il nostro perito
quattro anni fa ha trovato addirittura alcune parti di un ordigno, che faceva
parte di una di quelle dieci bombe deposte nell'agosto 1969 in altrettante stazioni
o treni. Quella parte di ordigno che invece di essere consegnata alla magistratura
era rimasta in un faldone del ministero degli Interni. È evidente che
allora, se la magistratura avesse avuto allora questi reperti, facendo delle
comparazioni avrebbe potuto raggiungere qualche risultato in più. Oggi
è ormai troppo tardi anche se deve farci porre tante domande il fatto
che sulla scrivania dei magistrati pezzi di una bomba collocata trent'anni fa
siano arrivati nel 1996.
D: Qual è stato l'atteggiamento dell'ex ministro della Giustizia Diliberto nei confronti della sua inchiesta e della sua persona?
SALVINI: Lei mi pone una domanda difficile. Io posso dirle che l'indagine del
mio ufficio ha avuto una serie impressionante di ostacoli dovuti a ragioni in
relazione ai quali forse altri un giorno riusciranno a capire, se si sia trattato
di motivazioni soggettive o di una vera e propria strategia politica. Sta di
fatto che il mio ufficio dal 1995, per anni, mentre stava svolgendo gli interrogatori
più importanti e irripetibili, è stato bersagliato letteralmente
da esposti, azioni disciplinari, interventi del Consiglio Superiore della Magistratura
o della Procura generale presso la Cassazione, che hanno rischiato di paralizzare
il lavoro che stavamo svolgendo. È chiaro che quando ti devi difendere
da falsità, calunnie, vere e proprie manipolazioni di documenti, resta
pochissimo tempo per condurre gli interrogatori e svolgere gli accertamenti
e le perizie prima che scada il termine per le indagini. È stato uno
stillicidio, letteralmente, che abbiamo dovuto subire e forse i prossimi anni
daranno una risposta anche alle ragioni di ciò. Certamente avrei sperato
che la presenza del nuovo ministero ponesse fine a questa attività di
disturbo, quasi di sabotaggio nei confronti delle indagini sulle stragi. Ma
ciò non è avvenuto ed anzi in buona parte è proseguito.
Tanto che il ministro personalmente ha impugnato in Cassazione, la mia assoluzione
dalle accuse che erano state mosse contro di me presso il CSM. Un'impugnazione
simile non avviene quasi mai, la Corte di Cassazione mi ha dato ragione, la
richiesta del ministro, in ottobre, è stata completamente respinta, ma
a causa di ciò ancora per mesi e mesi, il dibattimento in corso è
stato esposto a possibili utilizzi strumentali di tale iniziativa da parte dei
difensori degli ordinovisti.
D: Dunque lei viene da alcune parti ostacolato. Lei stesso quando il procuratore generale della Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca ha promosso l'azione disciplinare contro di lei, ha dichiarato al Corriere della Sera: "L'hanno fatto per affossare definitamente le mie indagini", chi l 'ha fatto e perché?
SALVINI: Io posso solo risponderle con parole che non sono mie, ma sono le parole
di Delfo Zorzi e di un altro militante di Ordine Nuovo intercettati nei giorni
in cui, nel '97, era uscita sulla stampa la notizia delle azioni disciplinari
della Procura Generale della Cassazione contro di me. Le precise parole fra
colui che è indicato come il presunto autore materiale della strage di
Piazza Fontana, e il suo interlocutore del suo stesso ambiente, nel commentare
l'azione della Procura Generale, sono state: "È roba da leccarsi
i baffi". Ciò che è avvenuto è qualcosa di sconcertante:
una buona parte della magistratura invece di sostenere chi stava svolgendo un'azione
investigativa difficile, che non era stato possibile portare a termine trent'anni
prima, ha cercato in tutti i modi di colpire con azioni del tutto infondate,
chi stava impegnandosi per poter raggiungere la verità. Faccio solo un
esempio fra i moltissimi possibili, che ritengo giusto sia conosciuto. Nel '95,
quando stavamo giungendo al cuore delle cellule eversive, un capo di Ordine
Nuovo, il dottor Carlo Maria Maggi, per allentare la pressione presentò
un esposto, sostenendo di essere stato sottoposto dai miei investigatori a pressioni
o abusi. Ma contemporaneamente vi erano delle intercettazioni, svolte dalla
Procura di Milano, da cui emergeva che l'esposto era fasullo, un inganno suggerito
a pagamento da altri militanti che stavano all'estero al fine proprio di mettere
in difficoltà chi stava indagando. Nelle intercettazioni era quindi chiarissimo
che fosse un esposto strumentale. Ebbene queste intercettazioni non furono mai
trasmesse né a chi, a Venezia, aveva aperto le indagini contro di noi,
né alla Procura Generale, in modo tale che noi fossi per anni delegittimati
da questo sospetto. Ci sono voluti più di tre anni, anche per colpa delle
omissioni altrui, perché questo procedimento si disintegrasse, ma ormai
il danno era fatto. Ora io mi chiedo: è possibile che la magistratura,
scoprendo di essere caduta nel tranello di un elemento ordinovista che stava
cercando di colpire un magistrato, che era vicino a simili risultati, abbia
potuto tenere in un cassetto la prova della manovra contro di lui. È
un episodio sconcertante. All'interno della magistratura non c'è stata
collaborazione, favorendo in questo modo i presunti autori delle stragi, che
speravano di restare impuniti.
D: C'è stata una fuga di notizie che le ha creato notevoli difficoltà. Chi ha avuto interesse a farlo?
SALVINI: Effettivamente la scelta di collaborazione di Martino Siciliano e il
fatto che Delfo Zorzi fosse indagato per la strage sono stati resi anticipatamente
noti dalla stampa di Venezia fra l'ottobre e il novembre '95, quando le indagini
erano ancora segrete e in pieno svolgimento. Il danno è stato enorme
e chi aveva a cuore queste indagini, soprattutto i parenti delle vittime, deve
sapere che questa operazione ha impedito in modo irreversibile il raggiungimento
di molti risultati.
La fuga di notizie è avvenuta certamente nell'ambiente giudiziario veneziano,
insofferente per le indagini del mio ufficio che stava seguendo una pista autonoma
rispetto a quella di Gladio e per di più le notizie sono state fornite
in modo manipolato e tale da delegittimare agli occhi dei possibili testimoni
le indagini che stavamo conducendo.
Se ne deve trarre un'amara conclusione: se la ragione dell'istituzione della
Commissione Stragi è scoprire perché vi è stata per anni
la mancata individuazione degli autori delle stragi una parte della risposta
a questa domanda di verità deve essere cercata per i tempi recenti anche
all'interno della magistratura. Bisogna laicamente disfarsi del pregiudizio
secondo cui il ruolo della magistratura, in questo settore, è stato sempre
immune da vizi e la colpa dei mancati o solo parziali risultati è solo
dei poteri occulti o comunque di altri.
Non vi sono stati solo situazioni di "concorrenza" tra uffici ma anche,
più frequentemente, disinteresse e sottovalutazione dei possibili risultati
di queste indagini soprattutto da parte dei capi degli uffici. Vi farò
solo un brevissimo esempio di quanto si è verificato nel mio stesso ufficio
a Milano.
Ho avuto la netta percezione che la mia indagine non interessasse a nessuno,
benché proprio Milano fosse la città colpita dalla strage e che
si preferisse che l'indagine fosse lasciata morire in modo indolore. Forse,
anche per questo, in quegli anni si è avuto cura di riempirmi di altri
processi, come se l'indagine sulla strage non esistesse. Voi potete immaginare
che se hai centinaia di casi da trattare, un lavoro approfondito e continuativo
come richiede l'indagine su un fenomeno eversivo con alle spalle un contesto
istituzionale, diventa quasi impossibile. Cercare di impedire materialmente
ad un giudice di avere lo spazio per lavorare porta oggettivamente al rischio
di insabbiamento di un'indagine.
D: Lei critica il ruolo fondamentale che ha attribuito la maggior parte dei suoi colleghi alla struttura Gladio, nelle indagini, mirate a scoprire la verità sulla strategia della tensione. Perché, secondo lei, questa pista non ha portato alla verità sulle stragi?
SALVINI: Io voglio premettere che ho ritenuto sempre molto importante svolgere
un'attività di indagine completa sull'organizzazione Gladio, che non
era nota fino al 1990 e di cui i cittadini italiani non conoscevano l'esistenza.
Ritengo però che forse uno degli errori di fondo del metodo delle indagini
sulla destra eversiva, sia stata un'eccessiva sovradeterminazione dell'ipotesi
Gladio. Nel senso che è stata giusta una messa in chiaro completa di
un'organizzazione ufficiale ma occulta che non rispondeva al Parlamento ma nello
stesso tempo, trascinati da una sorta di entusiasmo, vi è stato un grave
errore di impostazione, quando si è pensato che indagando su Gladio si
sarebbe arrivati alla verità sulle stragi.
Questo non poteva essere vero perché la struttura Gladio non ha avuto
alcuna diretta interessenza con gli episodi di strage.
È questo l'errore in cui sono caduti alcuni magistrati quando hanno a
lungo ipotizzato che addirittura l'attentato di Peteano fosse stato commesso
con l'esplosivo di un Nasco.
In realtà solo le cellule di Ordine Nuovo, con un diverso tipo di appoggi,
potevano essere state le cellule operative degli attentati e, seguendo l'ipotesi
Gladio molte indagini sono finite in un vicolo cieco.
Soprattuto l'errore maggiore è stato ipotizzare che Vincenzo Vinciguerra,
autore dell'attentato di Peteano, potesse essere un gladiatore o comunque un
esecutore al servizio di apparati dello stato, dimenticando che quella di Vinciguerra
è stata un'azione autonoma, una sorta di azione di guerra, non assimilabile
alle stragi e proprio per questo egli ha voluto rivendicarla con le sue dichiarazioni
e i suoi scritti, svelando anche la strategia dei "camerati" che avevano
invece agito in collusione con lo stato.
Qualificando Vinciguerra come un "gladiatore", si è rischiato
di perdere una voce importante per la ricostruzione della storia di quegli anni
e non si è reso omaggio alla verità.
Anche in questo senso l'indagine del mio ufficio che non ha cercato di appiccicare
a Vinciguerra etichette improprie e non ha perso così il suo contributo
alla ricostruzione dei fatti, non è stata molto gradita e le conseguenze
si sono viste.
D: Parliamo di Zorzi. In questo quadro ostile, come valuta che l'ex ministro
Diliberto abbia chiesto l'estradizione di Zorzi?
SALVINI: Voglio ricordare che si è pervenuti a questa richiesta solo
perché il problema è stato posto all'attenzione non solo del mondo
giapponese ma anche del nostro mondo politico da un singolo giornalista, il
quale, come talvolta avviene, è riuscito a far riemergere la questione.
Il giornalista del Manifesto, corrispondente dal Giappone, il quale è
riuscito a fare qualcosa che in piccolo ricorda altre situazioni di giornalismo
di indagine, come in alcuni casi nella stampa americana. Si deve a lui, dopo
due anni di silenzio, nei confronti di Delfo Zorzi, raggiunto da un ordine di
custodia ineseguito perché si trova in Giappone ed è cittadino
giapponese, il nostro ministero ha infine inoltrato un dossier completo di richiesta
di estradizione. Quindi l'iniziativa dell'ex ministro è stata molto importante,
perché poteva mettere in luce ad esempio il fatto che forse Delfo Zorzi
aveva ottenuto la cittadinanza giapponese con dichiarazioni non corrispondenti
a verità e quindi questa cittadinanza poteva essere revocata e forse
l'estradizione concessa. Ma, anche se importante, tale richiesta è giunta
molto tardivamente e se un giornalista non avesse da solo acceso i riflettori
sul caso in Italia e in Giappone, probabilmente di una richiesta di estradizione
non avremmo mai sentito parlare neanche nel momento in cui il processo per Piazza
Fontana si apriva davanti alla Corte d'Assise di Milano.
D: Ci può spiegare quale fu il ruolo di Zorzi nella strage di Piazza Fontana?
SALVINI: Devo premettere per correttezza che la magistratura milanese ha rinviato
a giudizio Delfo Zorzi, Carlo Maggi, Giancarlo Rognoni e il collaboratore di
giustizia Carlo Digilio, per concorso nella strage di Piazza Fontana e negli
attentati che sono avvenuti quel giorno anche a Roma. Però si tratta
di rinvii a giudizio, per cui non vi sono affermazioni di colpevolezza che potrebbero
giungere solo dalla Corte di Assise di Milano al termine di un dibattimento
che si preannuncia molto lungo e ricco di testimoni. Fatta questa premessa,
per cui non c'è nulla che possa oggi essere affermato in termini di certezza
giudiziaria, il ruolo di Delfo Zorzi così come delineato dalle indagini,
è quello di essere uno degli esecutori materiali della strage. Cioè
uno di coloro che materialmente giungendo a Milano dal Veneto, e ovviamente
in accordo con i camerati milanesi, entrò nella banca per deporre l'ordigno
che poi esplose nel pomeriggio del 12 dicembre. Quindi un ruolo prettamente
operativo. Digilio invece ha ammesso di aver partecipato alla preparazione degli
ordigni e nel contempo di aver svolto un ruolo di informatore per le basi americane.
Poi, risalendo nella scala delle responsabilità, si è arrivati
al dottor Maggi che invece in quanto capo di Ordine Nuovo per tutto il Veneto,
avrebbe avuto un ruolo di organizzatore. Di sopra e più in alto, per
il momento non si è andati.
D: In che modo Zorzi è riuscito a rimanere intoccabile in Giappone in questi anni e che cosa è cambiato oggi?
SALVINI: Un elemento che posso riferire perché è stato poi oggetto
del dibattito che vi è' stato nel Parlamento giapponese quando il caso
è stato posto all'attenzione grazie all'impegno del giornalista Pio D'Emilia,
è questo. Voi sapete che il Giappone è un paese molto chiuso,
molto geloso della propria identità, in cui raramente e solo con procedure
molto lunghe, lo straniero, anche europeo, ottiene la cittadinanza giapponese.
Dal dibattito del Parlamento, quando vi sono state interrogazioni parlamentari
sul caso Zorzi, è emerso invece che la sua cittadinanza giapponese è
stata acquisita con una pratica, una procedura , molto rapida di pochi mesi
e senza grosse difficoltà, nonostante che Zorzi avesse avuto anche una
condanna definitiva ad esempio, per detenzione di armi ed esplosivi. Questo
dato, che è emerso, ripeto, da interrogazioni parlamentari, fa pensare
certamente a coperture non indifferenti che questi possa aver avuto.
D: Comunque c'è una cosa che accomuna tutti i processi sulla strategia della tensione: i mandanti politici italiani non sono mai stati sul banco degli imputati. Non crede che anche i risultati delle sue indagini rechino pochi elementi su questo piano?
SALVINI: Indubbiamente è stata scarsa di risultati la piena comprensione
del progetto politico sottostante le stragi. Però vi è stata ugualmente
una grossa novità. Abbiamo parlato dell'attentato commesso da Bertoli
nel '73 dinanzi alla Questura di Milano e l'obbiettivo di questo attentato avrebbe
dovuto essere il ministro Mariano Rumor, che stava uscendo in quel momento dalla
Questura dopo una cerimonia. Per l'organizzazione di questo attentato sono stati
condannati alcuni elementi di Ordine Nuovo, i quali sarebbero stati i mandanti
di Gianfranco Bertoli, aiutandolo nell'addestramento, nell'acquisizione della
bomba a mano e nel viaggio a Milano. Si è scoperto che questo episodio
si collega in modo molto netto con la strage di Piazza Fontana, perché,
come ha raccontato Digilio, si confidava che l'onorevole Rumor, allora presidente
del consiglio, dopo la strage del 12 dicembre, avrebbe decretato lo stato d'emergenza
e quindi dare un obiettivo sbocco politico agli attentati. Tuttavia di fronte
alla grande reazione che ci fu, dopo la strage, soprattutto il giorno dei funerali
delle vittime con una grande mobilitazione sindacale e popolare, la decretazione
dello stato d'emergenza divenne impossibile e il presidente del consiglio non
adottò alcun provvedimento. Probabilmente per questa ragione l'onorevole
Rumor fu poi l'obiettivo del fallito attentato del '73 che fece comunque vittime
tra le persone che erano presenti alla cerimonia.
Questo collegamento dà il senso del magma politico sottostante gli attentati
e probabilmente, si fronteggiavano un'ala che intendeva direttamente passare
a un giro di vite autoritario nel sistema politico italiano; e un'ala più
moderata che pensava ad una soluzione più cauta: niente stato di emergenza
ma neanche l'immediata evidenziazione dei veri colpevoli collocati a destra
e di chi aveva inteso proteggerli. Quest'ala in quel momento fu costretta forse
ad un compromesso con le forze dell'opposizione, che all'epoca erano rappresentate
dal partito comunista. Vi è forse qualcosa di non detto, che non è
mai venuto alla luce, nei convulsi incontri politici di quei giorni, ad altissimo
livello e sarebbe molto importante che qualcuno di coloro che ne sono stati
protagonisti parlasse, ma purtroppo da parte del mondo politico non è
venuta nessuna testimonianza.
D: Come si pone lei nei confronti della gestione del segreto di stato da parte del governo?
SALVINI: Vede, quello del segreto di stato è un falso problema. È
un ritornello che spesso anche in comizi e commemorazioni che ricordano fatti
di strage, viene agitato e sempre ottiene il facile applauso perché tutti
sono contro il segreto di Stato, ma in realtà è un modo non corretto
di informare l'opinione pubblica. Il segreto di stato in realtà non esiste,
nel senso che già da vent'anni, nel 1977, una legge ha impedito di opporre
ai magistrati il segreto di stato in materia di reati di strage o di eversione
ed effettivamente come tale non è più stato opposto. Non essendo
più opponibile, i magistrati non possono più sentirsi dire: "questo
documento, questo reperto, questa fonte informativa non ve la diamo perché
c'è il segreto di stato". Il problema semmai è un altro,
cioè la vigenza una sorta di segreto di fatto. Nel senso che non viene
detto: "questo materiale non te lo consegno", ma la situazione degli
archivi, il voluto disordine, la confusione e il disinteresse, impediscono di
trovare quel materiale, sempre che non sia stato dolosamente distrutto in passato,
che sarebbe ancora utile alle indagini e che è stato disperso magari
in, venti o venticinque anni fa luoghi periferici e che quindi di fatto non
è possibile né trovare né consultare. Ho ricordato nel
corso di questa conversazione che solamente quattro anni fa il perito nominato
dal mio ufficio, insieme ai faldoni in cui si parlava dell'infiltrazione da
parte dell'Ufficio Affari Riservati nel mondo anarchico, trovò fra l'altro
anche una parte dell'ordigno deposto in una stazione di Pescara nell'agosto
1969. Questo materiale era abbandonato in un deposito periferico in modo che
di fatto fosse segreto, perché non era possibile trovarlo con la probabile
volontà, quindi, di rendere non raggiungibile del materiale utile e chi
aveva operato in quel senso lo aveva fatto con una precisa volontà: rendere
non raggiungibile del materiale utile. Quindi il problema è semmai, svolgere
un'attività di indagine approfondita, un setaccio completo del materiale
documentale disponibile, come noi abbiamo tentato di fare in questi anni, in
tutti gli archivi pubblici e privati. Sarebbe stato importante seguire questa
linea e invece non limitarsi a ripetere ritornelli inutili come quelli del segreto
di Stato o della sua abolizione. È già abolito.
D: Cosa ci può dire su Pinelli?
SALVINI: Nelle nostre indagini non è emerso nulla di nuovo, sulla morte
di Giuseppe Pinelli, in questura il 15 dicembre del 1969. Si può fare
solo una riflessione, che è una riflessione al contrario, cioè
dare una risposta e tirando una conclusione su non è stato trovato sul
suo ambiente, cioè sull'ambiente anarchico. Vi spiego meglio, interrogando
centinaia di imputati, sentendo testimoni, esaminando migliaia di documenti,
non è stato trovato un solo documento, né acquisita una sola testimonianza
che portasse o riportasse le indagini nella direzione della pista anarchica
che era la prima che era stata seguita, per volontà del ministero degli
Interni. In sostanza si è trovato un'infinità di elementi di prova
sul mondo dell'estrema destra, su Ordine Nuovo, su Avanguardia Nazionale che
la Corte d'Assise dovrà considerare sufficienti o non sufficienti, ma
che comunque ancorano quei fatti, appunto, a quell'area. Pur avendo svolto attività
di setaccio, nulla, nessun elemento è emerso che portasse ad una responsabilità
di gruppi anarchici, eppure gli elementi nuovi trovati sono, lo ripeto, moltissimi,
come moltissimi i documenti che prima non era stato possibile esaminare. Il
che ci fa concludere che, anche se nulla di nuovo è stato trovato sulla
morte di Pinelli, che tutte le emergenze sono nell'univoca direzione: che quella
pista iniziale fosse sbagliata, fosse una pista fatta seguire volutamente alla
magistratura e che i gruppi anarchici, per primi oggetto delle indagini, non
avessero alcuna responsabilità in quei fatti.
D: Deve ammettere che, se hanno cercato di ostacolarla, è anche vero che non sono riusciti a toglierle l'inchiesta e che ha trovato appoggi da più parti e soprattutto nella commissione stragi. Dunque questo vuol dire che lo schieramento a lei ostile non è stato così compatto.
SALVINI: Sì, si è verificato un paradosso. Mentre buona parte della magistratura, come vi ho accennato, ha mostrato ritardi culturali nello svolgimento di queste indagini, vi è stato chi ha voluto dare un sostegno, anche morale e portare attenzione a quello che il mio ufficio stava cercando di fare. Mi riferisco alla Commissione stragi e al suo presidente il senatore Giovanni Pellegrino, il quale ha subito intuito l'importanza degli squarci di verità che si stavano aprendo, ha recepito molte delle risultanze dei nostri atti e ha contribuito in modo decisivo a far superare questi ritardi culturali. L'interpretazione complessi va delle stragi fra la fine degli anni '60 e la metà degli anni '70, come eventi collegati ad una pluralità di tentativi golpisti e con alle spalle un forte interessamento del mondo del patto atlantico, se verrà riversata, come sembra, in alcune relazioni della commissione, sarà il segno di un lavoro indipendente ma nello stesso tempo parallelo e con risultati comuni che in questi anni vi è stato fra il nostro ufficio e la commissione. Devo dire che senza questo sostegno non saremmo arrivati alla fine di queste indagini.
Note:
(1) Fino al 1929, prima di prendere i voti sacerdotali. Eugenio Tisserant ricopriva, con il grado di colonnello dell'esercito un incarico di rilievo nei servizi segreti francesi nel Medio Oriente. Assieme al Cardinal Ottaviani, della curia romana in uno dei più autorevoli "protettori" vaticani dei membri dell'OAS rifugiatisi in Italia dopo il fallito "putsch" algerino del 1961 e, in particolare, di Georges Sange, e del colonnello Lacheroi, condannati a morte in contumacia dal governo francese. Il segretario particolare del cardinal Tisserant è il vicentino Monsignor Scalzotto - già assistente spirituale degli studenti dell'università cattolica quando ne era rettore l'ex fascista Padre Gemelli - ed attualmente "grande elettore" del deputato democristiano Altilio Ruffini, nipote del defunto cardinale e consigliere politico dell'on. Mariano Rumor.
(2) Un esponente del "Fronte Nazionale" rivelò ad alcuni amici che il Calzolari era stato reclutato come istruttore dei "reparti speciali" israeliani e che avrebbe dovuto "prendere servizio" nella primavera del 1970.
(3) 1I maresciallo dell'esercito Guido Bizzarri, un artificiere che in 45 anni di attività ha disinnescato circa 20.000 ordigni. dichiarerà alla stampa: "L'avrei disinnescata io ma nessuno me lo ha chiesto, E' stato più pericoloso farla brillare che aprirla".
(4) Un discorso a parte meriterebbero il ruolo giocato in questa fase dalla stampa "indipendente". Basterà sottolineare che, oltre ovviamente al "Secolo d'Italia", si sono distinti nell'incitare alla caccia all'"estremista di sinistra". la "Stampa" di Torino e i quotidiani della catena editoriale del Cav. Attilio Monti il "Tempo" di Roma, il 13 dicembre è arrivato al punto di pubblicare con ampio risalto che "La notizia degli attentati è stata data nel corso di un'assemblea alla Città Universitaria da un oratore di " Potere Operaio" il quale ha rivendicato al suo gruppo la paternità della strage, riscuotendo l'applauso degli studenti presenti... ".
(5) Alcuni giorni dopo la morte di Antonio Annarumma un gruppo di dirigenti della RAI-TV, tra i quali alcuni giornalisti. ha assistito a una proiezione privata di un film sugli incidenti di Via larga. Verso la fine del film appariva questa sequenza: un gippone isolato avanza contro mano in direzione di Largo Augusto, con le ruote di sinistra in bilico sul marciapiede. Ridiscendendo sulla strada, l'automezzo ha uno sbandamento. Il berretto a visiera cala sugli occhi dell'autista che cerca di liberarsene scuotendo il capo, In quel momento una jeep gli taglia la strada. Nello scontro l'autista del gippone viene proiettato in avanti e batte violentemente la testa contro il parabrezza, poi ricade sul sedile esanime, abbandona il capo sulla spalla. L'operatore del film ha girato la scena dal lato opposto della strada inquadrandola perfettamente anche perché il gippone ha la guida a destra. E' un film di eccezionale importanza perché costituisce la prova che la ferita mortale di Annarumma è stata prodotta dalla guida di ferro sporgente che si trova al lato della intelaiatura del parabrezza del gippone e serve a orientare l'inclinazione del vetro. Dopo la proiezione privata nella saletta di Via Teulada, questo film è scomparso. A quanto si sa è stato girato da una equipe che lavorava per conto dell'Office de la Radio et Television Francaise, Sono state fatte ricerche negli archivi della ORFT a Parigi ma senza successo. Dove è finito? Chi lo ha fatto scomparire?
(6) gli agenti che fomentarono i disordini, durante i quali alcuni ufficiali furono costretti ad allinearsi contro i muri della palestra sotto la minaccia delle armi, non furono sospesi. dal servizio. Furono invece espulsi dal corpo quegli agenti che, la notte del 18 novembre. si erano rifiutati di scendere dalle brande a causa dei massacranti turni di servizio.
(7) Il giornalista Pietro Zullino è notoriamente legato a Italo De Feo, il vice presidente socialdemocratico della RAI-TV. Il settimanale Epoca già nel luglio 1964 era apparso con una vistosa copertina tricolore e la fotografia dell'allora presidente della repubblica Antonio Segni di fianco al titolo "L'Italia che lavora chiede al capo dello Stato un governo energico".
(8) E' vero che il giorno dello sciopero generale Santino Viaggio reclutò un certo numero di meridionali. Essi furono condotti assieme ad altri fascisti alla sezione Colle Oppio del MSI da cui doveva partire un corteo di macchine con tricolori e gagliardetti. La polizia proibì il corteo provocando le proteste dei dirigenti, Caradonna in testa, che lo giustificavano come a un mezzo per alleviare alla cittadinanza i disagi provocati dallo sciopero degli autobus". I fascisti erano armati di sassi, catene e bastoni.
(9) Questi tre "passi" ,. sono stati consegnati da Evelino Loi al giornale al quale ha rilasciato questa dichiarazione.-
(10) E' vero che Loi ha svolto questa funzione di reclutatore. Le testimonianze al proposito abbondano. L'uomo che lanciò la bottiglia molotov contro la sede della RAI-TV a Roma, ad esempio, fu ricompensato con 10.000 lire. A Milano. secondo quanto hanno dichiarato i disoccupati Gaetano L., Tommaso M., Giuseppe C., Salvatore V., Antonio L., i reclutamenti avvenivano nell'atrio della Stazione Centrale, la sera tardi. Se ne occupava un certo Paolo dirigente della Giovane Italia. Uno dei reclutatori, che ha dormito per un certo tempo nella sede di Corso Monforte, ha rilasciato questa testimonianza: "In un cassetto c'erano delle pistole. Quando si usciva per fare delle azioni, con i bastoni e il resto, passavamo davanti ai poliziotti di guardia che si voltavano dall'altra parte facendo finta di non vederci" Un altro, un giovane siciliano di Palagonia. ha detto: "Una volta ci dissero che dovevamo andare a menare degli studenti di Mao, mi pare che fosse in un posto di Piazza Mazzini. Quelli però erano stati avvertiti da qualcuno e, quando andammo ci picchiarono. Io andai all'ospedale, i fascisti mi diedero 50.000 lire perchè non dicessi chi mi aveva mandato là. Quello che pensava a distribuire i soldi dopo le azioni era Salvatore V. che li riceveva dall'On. Servello (sic)".
(11) Trattasi di un agente della "celere", tale Murino.
(12) Nell'aprile 1970 Evelino Loi è stato condannato per contravvenzione al foglio di via obbligatorio e rinchiuso nel carcere di "Regina Coeli".
(13) Il commissario aggiunto Luigi Calabresi ha 32 anni. Nel 1966 era collaboratore del giornale del PSDI La Giustizia e nel 1968, con pseudonimo, del quotidiano romano della catena editoriale Monti, Momento-Sera. Il settimanale Lotta Continua lo ha più volte definito il "commissario CIA", riferendosi ad un "corso di aggiornamento" da lui frequentato per alcuni mesi negli Stati Uniti. Nel 1966. L'anno successivo, in occasione di un viaggio in Italia del generale americano Edwin A. Walker, il Calabresi gli fece da accompagnatore ufficiale. Fu lui a presentarlo al generale Giovanni De Lorenzo, con il quale il "braccio militare" di Barry Goldwater si incontrò ripetutamente in un appartamento romano in Via di Villa Sacchetti 15.
(14) Marcello Guida, uomo di fiducia di Mussolini, ricoprì, negli ultimi anni del ventennio, l'incarico di direttore del confino politico di Ventotene.
(15) E' esattamente ciò che si è verificato in Italia nei mesi successivi alla strage di Milano. Alle decine di denunce, arresti e condanne contro militanti della sinistra extra-parlamentare - quasi tutti per reato di opinione - seguirono in breve le denunce contro iscritti al PCI, giornalisti dell'Unità, sindacalisti e operai (circa 14.000, secondo quanto denunciato e documentato da CGIL, CISL e UIL).
(16) Soltanto i coniugi Corradini. indicati dagli inquirenti e dalla stampa come i mandanti degli attentati, verranno scarcerati dopo 7 mesi, per "mancanza di indizi".
(17) Di proprietà del cementiere lombardo Carlo Pesenti.
(18) A tre anarchici, fermati e condotti alla questura di Milano un'ora e mezza dopo l'attentato di Piazza Fontana, il commissario Calabresi chiese insistentemente notizie di una persona soltanto: Pietro Valpreda. Benché il ballerino, in passato non fosse mai stato implicato in attentati, il funzionario disse loro testualmente: "Perché permettete che un pazzo sanguinario come Valpreda frequenti i vostri ambienti?"
(19) Le accuse verranno formalmente precisate soltanto parecchi mesi dopo l'arresto.
(20) Nel 1965 sul giornale Azione (sovvenzionato dal Ministero dei Lavori Pubblici dell'on. Togni) Mario Merlino scriveva: "(...) L'avvento del cesarismo sembrava concretarsi nelle forme dei regimi sorti in Italia e in Germania a rivendicare la dignità dei valori organici della nostra civiltà, quali il senso dell'onore e della fedeltà, l'amore per la propria razza, l'impulso dinamico dominante che ha caratterizzato tutta la storia dell'occidente moderno, onde ci fu chi stupì per il crollo del fascismo e del nazional-socialismo ed il ripresentarsi delle forme ormai superate delle democrazie parlamentari nei rispettivi paesi".
(21) Esponenti di maggior rilievo dell'organizzazione erano Arthur Ehrahrd ed Helmuth Sunderman. ex-addetto stampa di Hitler e direttore della Casa Editrice Druffel Verlug.
(22) Fu attivamente presente in quella occasione, il "tutore dell'ordine" Salvatore Ippolito. alias studente anarchico Andrea Politi (vedi IV capitolo - La spia del 22 Marzo) che si incaricò di trasportare personalmente i mattoni sul luogo prescelto.
(23) Il merito di aver sventato questo "attentato" sarà attribuito dalla polizia al già citato Salvatore Ippolito. Mario Merlino quella stessa mattina, all'interno dell'Università, fu visto entrare nell'ufficio del vice-questore Mazzatosta dove si trattenne per circa mezz'ora.
(24) Nel marzo 1970 alcuni giornali, hanno indicato Pio d'Auria come un probabile sosia di Valpreda. D'Auria, subito difeso a spada tratta dal quotidiano di Roma, Il Tempo, che gli ha fornito un avvocato, ha sporto querela. Sembra avere un alibi di ferro: afferma che il giorno degli attentati era a letto malato, come può testimoniare il medico che lo ha visitato. Non si spiega però perché , il giorno successivo alle rivelazioni dei giornali sul suo conto, abbia tentato "inutilmente" di convincere una ragazza, tale F., a testimoniare sulla sua presenza a Roma il 12 dicembre. La Stampa di Torino e L'Unità pubblicarono infatti la notizia che egli il giorno degli attentati si trovava a Milano. L'unico fatto accertato è che Pio D'Auria, il 4 dicembre 1969 partì in auto da Roma dicendo a tre persone, sue amiche, che si recava in Germania, a Monaco, e quindi a Milano. Dopo quel giorno, la prima volta che gli anarchici del "22 Marzo" lo rividero fu il 29 dicembre, quando lo incontrarono in Piazza dei Cinquecento intento a vendere libri. In quella occasione egli si allontanò velocemente fingendo di non conoscerli e il giorno successivo si trasferì con il camioncino in Via Appia. Pio D'Auria nel 1962 aveva aderito all'Avanguardia Nazionale fondata da Stefano Delle Chiaie e nel '64 aveva partecipato ai corsi di tecnica degli esplosivi che si tenevano nella sezione di Via Gallia. Nel 1966 fu fermato dalla polizia perché implicato negli scontri culminati con la morte di Paolo Rossi e, due anni dopo, prese parte, sempre insieme ai fascisti di Avanguardia Nazionale, alla "battaglia di Valle Giulia". Nel luglio '69 era in Corso Traiano, a Torino, durante i gravi incidenti scoppiati nel giorno dello sciopero generale per la casa.
(25) Si tratta di Sandro Di Manzana, un altro fascista infiltrato nel Movimento Studentesco della facoltà di Magistero, molto legato a Serafino Di Luia.
(26) Il trattamento riservato a Mario Merlino dagli inquirenti, nel corso degli interrogatori ha dell'incredibile. Dai verbali, pubblicati integralmente da tutta la stampa italiana, risulta che non gli è stato chiesto né cosa abbia fatto nei giorni precedenti gli attentati, né quali fossero i suoi rapporti con elementi "estranei" al "22 Marzo", abbondantemente pubblicizzati nei giorni immediatamente successivi. Nonostante le innumerevoli, inedite rivelazioni fatte dalla stampa sul suo conto in questi mesi, egli non è stato più interrogato dopo il 9 gennaio. Il paragone con Pietro Valpreda sottoposto nei sei mesi successivi a circa 100 ore di interrogatorio pressante, lascia stupefatti. C'è da chiedersi perché Mario Merlino sia stato incriminato, dal momento che - a parte l'assoluta assenza di indizi obiettivi - non esiste contro di lui alcuna dichiarazione accusatoria - del resto mai richiesta - da parte dei testimoni e degli altri imputati. La sua posizione appare molto simile a quella di un teste a carico che si voglia "proteggere".
(27) Nel verbale di interrogatorio del 19-12-69, Mario Merlino insinua nel magistrato il dubbio che "la conferenza tenutasi nel pomeriggio degli attentati al "22 Marzo" sia stata organizzata per avere una copertura" e aggiunge "mi lasciò anche perplesso il fatto che venisse spostata improvvisamente dal Bakunin". A parte il fatto che egli era perfettamente al corrente che l'idea della conferenza proveniva da Antonio Serventi, detto "il Cobra", persona estranea al circolo e che lo spostamento "improvviso" - come gli era staio riferito telefonicamente da Emilio Bagnoli - era imputabile ad un ripensamento dell'ultimora degli anarchici del Bakunin, che non vollero concedere la propria sede per un dibattito sulla "storia delle religioni": in realtà l'unico fra i sei imputati che abbia un alibi decisamente traballante è proprio lui, Mario Merlino. Prelevato in casa dalla polizia alle ore 19 del 12 dicembre, un'ora e mezza dopo l'esplosione dell'ultima bomba romana (Altare della Patria: ore 17,24) e condotto in questura egli - a differenza di tutti gli altri fermati - verrà ufficialmente interrogato dal Dott. Improta soltanto il mattino successivo. (I verbale: ore 11,45 di sabato 13).I,e sole domande che gli vengono rivolte riguardano il suo alibi per il pomeriggio del 12: ne fornirà uno falso. affermando di essere uscito di casa verso le 17 e di esservi tornato alle 19, dopo una passeggiata nella zona. Esce dall'interrogatorio turbato: confida a due anarchici che attendono il loro turno che la madre - interpellata telefonicamente dal dott.Improta - ha dichiarato che egli è uscito di casa prima delle ore 17. Chi ha un minimo di esperienza di uffici politici della questura conosce il trattamento che viene riservato in questi casi, ai fermati: contestazioni pressanti o, nella migliore delle ipotesi, isolamento assoluto in attesa di ulteriori verifiche. A Mario Merlino, invece, viene concesso di parlare liberamente con gli altri fermati, alcuni dei quali, la mattina successiva, lo vedranno gironzolare da solo nel cortile di S. Vitale. A 34 ore di distanza dal primo interrogatorio ne subisce un secondo (II verbale: ore 22 di domenica 14) nel corso del quale dà il via alla girandola delle accuse contro i compagni del "22 Marzo" e fornisce il suo secondo alibi. Incriminandolo per concorso in strage, il magistrato dimostrerà di non credere neppure a questo. In effetti il tempo che egli afferma di aver impiegato per recarsi dalla sua abitazione a quella della signora Minetti e viceversa, appare - ad un controllo anche superficiale - molto poco credibile. In quanto ai testi che confermano le sue dichiarazioni - Riccardo e Claudio Minetti - si tratta di due giovani fascisti, molto legati - per la particolare situazione familiare - a Stefano Delle Chiaie e abituali frequentatori assieme a Mario Merlino, dei campeggi paramilitari organizzati da Europa Civiltà. Ma quello che deve avere fatto maggiormente dubitare il magistrato della loro attendibilità è il fatto che Maria Grazia Minetti, la sorella maggiore che vive per proprio conto, quando i giornali riferirono i particolari dell'alibi fornito a Merlino dai fratelli, si recò da loro mettendone in dubbio la veridicità e fu picchiata violentemente. Resta da domandarsi, anche in questo caso. perché ai fratelli Minetti non sia stato riservato dagli inquirenti lo stesso trattamento - una denuncia per falsa testimonianza - del quale è stata fatta oggetto Rachele Torri, la zia di Pietro Valpreda.
(28) Inoltre nella zona di Roma dove il tranvetto fa capolinea, quella di Cinecittà, abitano una decina di aderenti all'Avanguardia Nazionale (come risulta dal taccuino degli indirizzi di Mario Merlino) e c'è la sede stessa dell'organizzazione fascista, affittata proprio in quei giorni.
(29) All'assalto partecipa anche Ugo Venturini il capo dei volontari del MSI di Genova che hanno risposto all'appello di Caradonna. Ugo Venturini è "l'operaio di 32 anni, padre di due figli" che. ferito nello scontro tra fascisti e antifascisti che cercavano di impedire un comizio dell'onorevole Giorgio Almirante a Genova, nell'aprile 1970 è morto una settimana dopo per una sopraggiunta infezione da tetano e è diventato il "martire" del MSI nella campagna elettorale del 7 giugno Nelle foto degli incidenti il Venturini è riconoscibile nel gruppo di fascisti che. impugnando aste di ferro acuminate, si lanciano contro un gruppo di studenti medi: il suo nome figura nella lista degli arrestati e denunciati all'autorità giudiziaria (cfr. "Il Messaggero" del 17 marzo 1968).
(30) Un'ora e mezzo circa dopo l'inizio degli scontri (cfr. "Il Messaggero" del 17-3-68, quando già le autoambulanze avevano portato via una ventina di studenti feriti.
(31) Ordine Nuovo è nato nel 1956 dalla scissione dal MSI di un gruppo neonazista, Ha rappresentato un efficace punto di riferimento, organizzativo e propagandistico, per l'OAS e !e altre: organizzazioni europee del colonialismo negli anni '60. Subito dopo il colpo di stato in Grecia, il suo presidente Pino Rauti è stato ricevuto dal ministro Pattakòs, e da allora i rapporti con il regime dei colonnelli si sono fatti strettissimi. Nel '68 e '69 P. Rauti ha fatto frequenti viaggi a Atene. Nella sede romana di Ordine Nuovo, via degli Scipioni 268, durante l'autunno-inverno '69. si sono tenute riunioni alle quali hanno partecipato membri dell'ESESI, la lega degli studenti greci fascisti in Italia. Nello stesso periodo gli iscritti al Fronte d'Azione Studentesca - la sezione giovani di Ordine Nuovo - hanno compiuto numerose azioni squadristiche davanti a licei romani e contro sezioni di partiti di sinistra. Il 15 novembre 1969 il gruppo dirigente di Ordine Nuovo è improvvisamente confluito nel MSI. dove è stato cooptato nel comitato centrale. A Pino Rauti è stata affidata la direzione del settore Iniziative sociali e di pubblica opinione. Tra i membri più attivi del gruppo ci sono Paolo Andreani, Giulio Maceratini, Carlo Magi, Giuseppe Spadaro, Gaetano Grazioni, Salvatore De Domenico, Oscar Marino, Paolo Zanadoff, Antonio Lombardo, Franz Primicino, Nunzio Bragaglino, i fratelli Cascella, Fabio Mari, Domenico Pilolli, Tommaso Mauro, Grillo e Cospito. Ordine Nuovo ha organizzato esercitazioni a fuoco nella zona di Tolfa, nei dintorni di Civitavecchia. L'incaricato alle armi è Daniele M., abitante a Roma, in via Ugo Bignami.
(32) In quella occasione l'on. Giovanni Malagodi "dirottò" parte dei fondi confindustriali a lui destinati verso la corrente di Almirante, preoccupato della concorrenza elettorale che un MSI " moderato" avrebbe potuto esercitare nei confronti del PLI (cfr. Le nuove camicie nere di M. Giovana - Ed. I Radar, 1966).
(33) Della esplicita connivenza tra fascisti e polizia parlò diffusamente anche la stampa estera. Per soffocare lo scandalo il Ministero degli Interni sciolse le squadre speciali in borghese e trasferì il commissario Santillo dalla Questura di Roma a quella di Reggio Calabria.
(34) Su questo tipo di reclutamento esistono varie testimonianze. Un ex aderente all'organizzazione giovanile pacciardiana "Primula Goliardica" dichiara, ad esempio, che lui ed altri iscritti parteciparono, nell'estate del 64, ad un corso di addestramento para-militare tenuto da ufficiali del SIFAR in una località della Sila. Nel 1969 uno di questi ufficiali, per l'esattezza un colonnello, volle essere presente, nell'ufficio politico della Questura di Roma, agli interrogatori di alcuni fascisti, sospettati di attentati dinamitardi. fra i quali un paio dei suoi ex "allievi".
(35) In quella circostanza distribuirono il seguente volantino: "Giovani! A voi che rappresentate il futuro della Nazione spetta il dovere morale di dire "basta" alla banda di cialtroni che da vent'anni appesta l'aria della nostra Patria. Dire "basta" ai rinnegati che con il loro tradimento videro coronato vent'anni fa il loro servilismo. Dire "basta" ai rinnegati che ancora oggi celebrano la vittoria di quegli eserciti stranieri che permisero d'instaurare in Italia il più infausto sistema di governo che la nostra Storia ricordi! Firmato: Avanguardia Nazionale. Iniziativa Rivoluzionaria MSI (via del Pantheon 57)".
(36) La denuncia, presentata all'autorità giudiziaria dal PCI, non ebbe seguito nonostante alcuni fascisti di AN fossero stati fermati e identificati dalla polizia durante l'attacchinaggio, forse perché scambiati per autentici comunisti. Questi - tra i quali Flavio Campo - furono condannati in Pretura ad una multa per "affissione in luogo non idoneo"(!). La divisione dei tre milioni di compenso diede luogo a contestazioni. Il Delle Chiaie - che aveva rinnovato il guardaroba ed acquistato un'auto Austin A40 nuova fiammante - fu accusato dagli altri di aver fatto la parte del leone.
(37) 1I quotidiano Il Tempo, tradizionale sostenitore - in alcuni casi - "ispiratore" dell'Avanguardia Nazionale. scrisse che Paolo Rossi "era precipitato per un attacco di vertigini, causato da una crisi epilettica". I genitori del ragazzo - provetto rocciatore - querelarono il giornale. La Magistratura, in base alle risultanze dell'autopsia, aprì un'inchiesta che si concluse, un anno più tardi, con una archiviazione motivata dalla formula "omicidio ad opera di ignoti".
(38) Emersa drammaticamente la sua connivenza con i fascisti, il commissario l)'Alessandro - responsabile dell'ordine pubblico nella città universitaria - fu rimosso dall'incarico e trasferito.
(39) Nel novembre 1967 il tenente colonnello dei paracadutisti Roberto Podestà, ex ufficiale del SIM e comandante dei corsi di ardimento della scuola militare di Cesano, ha rilasciato a un giornalista del settimanaleABC, convocato d'urgenza nel suo appartamento in via Gianicolense a Roma, clamorose dichiarazioni riguardanti il tentato colpo di Stato del luglio '64. Il colonnello Podesà ha affermato di essere stato avvicinato allora dal giornalista Giano Accame che gli propose di collaborare con il movimento Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi in vista dei "gravi compiti che attendevano tutti gli uomini d'onore e tutti i veri soldati". Per questo il Podestà si era impegnato a prendere contatti con "elementi fidati" come il colonnello dei paracadutisti Palumbo e altri ufficiali della scuola di Cesano. Accertata la sua disponibilità , Giano Accame lo presentò all'onorevole Randolfo Pacciardi il quale, dopo alcuni colloqui interlocutori, gli propose " un'azione dolorosa ma necessaria per riportare l'ordine in Italia", e cioè l'eliminazione fisica dell'allora presidente del consiglio Aldo Moro. Sempre secondo il Podestà, Pacciardi aggiunse che "in vista dei disordini che ne sarebbero seguiti. sarebbe entrato in funzione un piano - concordato con il generale De Lorenzo - che prevedeva l'arresto, ad opera dei carabinieri, di parlamentari, sindacalisti e militanti di sinistra". L'operazione si sarebbe conclusa con l'accentramento di tutti i poteri nelle mani del presidente del Senato Cesare Merzagora. Il colonnello Podestà disse di avere finto di stare al gioco "per prendere tempo e mettersi in contatto con altri eventuali complici" ma poche settimane dopo fu "inspiegabilmente" trasferito da Roma a Trieste. A pochi giorni di distanza dalle dichiarazioni rilasciate a ABC Roberto Podestà è stato arrestato e rinchiuso a Regina Coeli per "irregolarità amministrative"
(40) Non tutta l'ex Avanguardia Nazionale vi partecipa. Alcuni confluiscono nei vari Ordine Nuovo, G.A.N., Europa Civiltà, Nuova Caravella, Fronte Nazionale: è una diaspora, comunque, più apparente che reale: nelle migliori tradizioni "politiche" del gruppo la maggior parte dei suoi membri manterrà regolari contatti fino a ricostituirsi ufficialmente, nell'inverno del '69, sotto il vecchio simbolo della "runa". Infiltrazione a parte, in questi ultimi due anni alcuni di essi continueranno a praticare l'attività in cui eccellono, quella degli attentati dinamitardi. Calcolando, per difetto, negli anni tra il '62 e il '67 il gruppo compie a Roma una quindicina di attentati "ufficiali" - per i quali undici dei suoi membri vengono condannati a lievi pene detentive - ed una ventina di attentati "ufficiosi" la cui paternità è nota a tutti tranne che alla polizia. Ai primi di settembre del '68, in sei o sette viaggi successivi, arrivano a Roma tra i 200 e i 250 chilogrammi di esplosivo, il cosiddetto "plastico viola". Provengono dalla Germania, nascosti nelle ruote di scorta di alcune auto e - divisi in pacchi di 5 chilogrammi l'uno - vengono nascosti in tre luoghi diversi. Una parte verrà usata in ottobre per gli attentati agli automezzi di P.S. in via Guido Reni, in novembre per quelli ad una scuola elementare e a due licei, e in dicembre per gli attentati ai distributori di benzina. Considerando gli altri attentati "minori" fatti nella capitale nel '69 ed eventuali "esportazioni", ne resta sempre una discreta riserva. Complessivamente finiscono in galera soltanto cinque h avanguardisti E' il loro leader indiscusso, Stefano Delle Chiaie - il quale trascorrerà i mesi di marzo-aprile in frequenti "missioni" al nord Italia - non ha problemi di "repressione". Una volta soltanto, nel 1962, fu arrestato con una pesante imputazione - aggravata da una precedente, antica, condanna a 1 anno con la condizionale - ma riuscì a cavarsela grazie al camerata Ernesto Brivio il quale - confiderà il Delle Chiaie ad un'amica - sborsò un milione "per cavarlo dagli impicci".
(41) Gli autori di questa inchiesta sono venuti a conoscenza, tramite la segnalazione di alcuni contadini del luogo, che nel fondo circostante la villa del Lippariti esisterebbe - sepolto accanto a un pilone dell'energia elettrica - un notevole quantitativo di esplosivi e di armi da guerra. La cosa, per scrupolo, viene notificata "a chi di dovere".
(42) Nel marzo del 1970 è stato denunciato per apologia di fascismo.
(43) I nomi degli altri arrestati sono: Carmine Palladino, già implicato nell'attentato alla RAI del 1964, Claudio Fabrizi, Gregorio Manlorico, Lucio Aragona, tutti di A.N., e Corrado Salemi, guardiano della sezione del MSI del Quadraro. Alfredo Sestili è molto legato a Mario Merlino. I due si frequentarono assiduamente durante lutto il 1969. Il 12 dicembre 1969, giorno degli attentati. passarono la mattinata assieme in casa della studentessa G.M., figlia di un alto funzionario del Ministero degli Interni.
(44) Nel marzo del 1970 è stato denunciato per apologia di fascismo.
(45) Dal verbale d'interrogatorio di un anarchico arrestato per gli attentati del 25 aprile a Milano: "Dichiaro i motivi per cui i verbali da me precedentemente firmati sono completamente falsi. Per tre giorni in Questura sono rimasto senza dormire e mi veniva imposto di stare in piedi quando le mie risposte non corrispondevano alla volontà degli agenti. Essi non hanno cessato un minuto d'interrogarmi e per questo si davano il cambio. Solo al terzo giorno mi è stato concesso di mangiare; ho dovuto affrontare un viaggio di notte da Pisa a Milano, ero intirizzito perchè non avevo con me indumenti caldi. Ma quello che più ha influito nel farmi firmare i verbali scritti dalla polizia sono state le percosse e le minacce. Era la prima volta che subito la violenza fisica. Sono stato schiaffeggiato, colpito alla nuca, preso a pugni, mi venivano tirati i capelli e torti i nervi del collo. Rendeva più terribile le percosse il fatto che avvenivano all'improvviso dopo aver fatto chiudere le imposte e venivo colpito al buio In particolare ricordo di essere stato colpito dal dr. Zagari che mi accolse al mio arrivo da Pisa alle 3 di notte con una nutrita scarica di schiaffi, e dagli agenti Mucilli e Panessa (n.d.a.; gli stessi che, assieme al commissario Calabresi, interrogarono Pinelli). Quanto alle minacce, consistevano nel terrorizzarmi annunciandomi, codice alla mano, a quanti anni di carcere avrei potuto essere condannato. cioè fino a venti anni. Tali minacce mi furono ripetute in carcere da parte del dottor Calabresi".
(46) Nel maggio del 1970, al termine di una manifestazione degli anarchici milanesi contro l'archiviazione del caso Pinelli, Pasquale Valitutti è stato arrestato sotto l'accusa di esserne stato l'organizzatore ed è rimasto in carcere fino al 15 Giugno.
(47) Mentre era in corso l'istruttoria sulla morte di Giuseppe Pinelli, al dott. Giuseppe Caizzi vengono affidati una serie di procedimenti che egli gestirà in un modo che dovrebbe accreditarlo come magistrato democratico. Pubblico Ministero nel processo contro Piergiorgio Bellocchio, direttore del settimanale Lotta Continua ridimensiona il capo d'imputazione nei suoi confronti definendo incostituzionali alcuni articoli del codice Rocco di cui la Procura aveva chiesto l'applicazione; archivia la denuncia per vilipendio sporta dalla Questura milanese contro il film Indagine su un cittadino al disopra di ogni sospetto: promuove azione penale contro il direttore del Borghese, Mario Tedeschi, per un articolo nel quale s'incitava la polizia "ad occupare militarmente Milano". L'istruttoria sul caso Pinelli, durata cinque mesi, verrà archiviata il giorno successivo alla proclamazione, da parte dei sindacati poligrafici, di uno sciopero di una settimana, durante il quale i quotidiani non uscirono.
(48) Nel febbraio del 1970 questi verrà promosso capitano e trasferito dal capoluogo lombardo.
(49) Sostituto alla Procura della Repubblica di Roma, della quale dirige l'Ufficio Stampa, il dott. Occorsio fu Pubblico Ministero nel primo processo De Lorenzo-Espresso. In quella occasione chiese l'assoluzione dei giornalisti Jannuzzi e Scalfari, querelati dal generale sifaritico per le loro rivelazioni sul tentativo di colpo di Stato del luglio '64 e comunque condannati dalla IV Sezione del Tribunale di Roma, e la trasmissione degli atti al proprio ufficio per procedere contro il De Lorenzo in ordine a vari reati, tra cui quello di "usurpazione di potere politico". Tale linea. negli ambienti politico-forensi, fu definita "saragattiana". Nel novembre del '69 il dott. Occorsio promosse l'azione penale contro il direttore del settimanale "Pottere Operaio", Francesco Tolin, del quale ordinò l'arresto preventivo. Tale procedura - del tutto eccezionale trattandosi di "reati a mezzo stampa" - fu fermamente criticata in un o.d.g. dell'Associazione Nazionale Magistrati.dalla quale egli si dimise, per protesta, riscuotendo la solidarietà unanime della stampa reazionaria. Al processo, nella sua requisitoria contro Francesco Tolin, ne chiese la condanna a una pesante pena, sottolineando che "le forze della sinistra extra-parlamentare attaccano persino il PCI e i sindacati... ". Il dott. Occorsio è collaboratore della rivista giuridica "Il diritto delle comunicazioni " il cui direttore, avv. Emanuele Santoro, è il legale della RAI-TV e uomo molto vicino al suo vice presidente, il socialdemocratico Italo De Feo.
(50) Il fondo di solidarietà anarchica.
(51) Durante l'interrogatorio a cui fu sottoposto subito dopo il fermo di polizia, a Sergio Ardau furono mostrati tutti i reperti per eventuali riconoscimenti.
(52) Il quotidiano di Roma il Tempo ne attribuì la responsabilità a "comunisti sacrileghi"
(53) I GAN sono stati fondati l'11 maggio 1969 dall'ex repubblichino Mario Tedeschi, direttore del settimanale Il Borghese. Sono circa 250, diffusi in tutta Italia. Si presentano come filonixoniani e ardenti sostenitori del regime dei colonnelli greci, con i cui agenti in Italia hanno stretti rapporti. I loro aderenti appartengono in maggioranza alla media e piccola borghesia: commercianti. funzionari statali, professionisti, piccoli industriali, ufficiali dell'esercito, e cc. Scarsi i giovani che, dove sono presenti, come a Reggio Emilia e a Venezia, partecipano alle azioni squadristiche. Centro propulsore dei GAN è Il Borghese, nota centrale - assieme al Tempo e allo Specchio - di provocazioni giornalistiche. che nell'autunno 1969 ha organizzato il Soccorso Tricolore per raccogliere fondi destinati a squadristi e poliziotti. Recentemente ha proposto per un premio il vicequestore Mazzatosta, responsabile dell'ordine pubblico nell'università di Roma. Il Borghese è finanziato, oltre che dallo stesso Tedeschi, dal senatore missino Gastone Nencioni, da monsignor Pisoni e dall'industriale Carlo Pesenti che negli ultimi due anni ha investito grossi capitali in Grecia nel settore dell'edilizia. Un suo uomo di fiducia, Roberto Ardigò, ha avuto frequenti contatti nel corso del 1969 con personaggi di rilievo del mondo politico-finanziario ateniese. Improvvisamente, all'inizio del 1970, i rapporti tra Pesenti e Ardigò si sono deteriorati e quest'ultimo è stato allontanato dalla carica di amministratore della Italmobiliare (proprietà Italcementi).
(54) Con un linguaggio mistificato - preso a prestito per metà da Bakunin e per l'altra metà del filosofo fascista Julius Evola - vi si fa la difesa d'ufficio dei 16 missini padovani arrestati dal capo della squadra mobile di Padova, commissario Juliano, come autori dei 9 attentati dinamitardi compiuti nella città fra l'inverno del '68 e la primavera del '69. All'uscita dell'opuscolo comunque, l'istruttoria contro i neo fascisti era già stata interrotta dall'alto ed il commissario Juliano trasferito a Ruvo di Puglia, in attesa di provvedimenti disciplinari, per "irregolarità nelle indagini e abuso di potere". Lo stesso commissario, alcuni mesi prima, aveva fatto perquisire uno dei tanti "campeggi" organizzati dal Fronte Nazionale nella vicina cittadina di Cornuda, sequestrando un ingente quantitativo di armi e di esplosivi.
(55) Fascista fin da giovanissimo, l'editore trentenne Giovanni
Ventura subisce, nell'autunno del '69. un improvvisa conversione. In settembre
avvicina, a Roma. uno scrittore che sta progettando la traduzione commentata
di alcune opere anarchiche inedite, si dichiara favorevole all'iniziativa e
si offre di finanziarla: un testo di Stirner inaugurerà la collana. Tra
ottobre e novembre avvicina alcuni giovani anarchici del circolo Bakunin di
Via Baccina ai quali chiede informazioni sull'attività svolta e sui programmi
futuri. Otto giorni dopo gli attentati, il 20 dicembre, la polizia perquisisce
la sua abitazione di Treviso e la libreria, sequestrando alcuni fucili, una
pistola e due cassette di munizioni. Il 18 dicembre un suo amico, il professore
democristiano Guido Lorenzon, aveva denunciato al dott. Calogero, sostituto
procuratore di Treviso, di aver ricevuto da lui alcune confidenze relative agli
attentati. Alla fine di dicembre il Ventura è di nuovo a Roma; chi l'ha
visto in quel periodo afferma che appariva distrutto psicologicamente. Nel febbraio
del '70 alcuni giornali rivelano le accuse rivoltegli dal prof. Lorenzon. Secondo
le dichiarazioni di quest'ultimo il Ventura gli avrebbe confidato:
1) in settembre, che gli attentati sui treni dell'agosto '69 erano stati finanziati
da lui e da altre due persone ed erano costati circa un milione tra "materiale"
e "rimborso spese" ai nove fascisti che li avevano eseguiti;
2) in ottobre, che era da tempo in contatto con un'organizzazione paramilitare
che aveva in programma l'uccisione di parlamentari, sindacalisti, etc. e l'instaurazione
violenta di un regime ispirato al fascismo "sociale" della repubblica
di Salò; uno dei suoi tramiti con l'organizzazione - che contava molti
aderenti tra gli ufficiali delle varie armi - era un conte che risiedeva in
provincia di Milano;
3) in novembre. che avrebbe dovuto recarsi in Grecia per ottenere finanziamenti
dalla Giunta dei Colonnelli;
4) dopo il 12 dicembre, che aveva partecipato alle riunioni in cui erano stati
organizzati gli attentati ma che, all'ultimo momento, di fronte alla prospettiva
di una strage - che doveva fra l'altro essere di "maggiori proporzioni"
- si era tirato indietro. (In questa occasione avrebbe descritto minuziosamente
il sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro di Roma e il punto esatto
dove era esploso l'ordigno). Nonostante le dichiarazioni del prof. Guido Lorenzon
fossero state rilasciate alla Magistratura nei giorni immediatamente successivi
alla strage, il Ventura è stato interrogato dagli inquirenti romani soltanto
due mesi dopo. quando cioè esse erano state divulgate su tutti i giornali.
Non essendo stato inoltrato alcun procedimento contro di lui, si deve supporre
che nulla sia emerso a suo carico. Nell'aprile del '70, circa quattro mesi dopo
essere venuto a conoscenza delle accuse rivoltegli dall'amico, il Ventura lo
ha querelato per diffamazione, affermando che il Lorenzon è un mitomane
il quale ha frainteso il contenuto, puramente ipotetico, di alcuni giudizi critici
da lui espressi sull'opera letteraria di Celine, Comunque, almeno su un punto,
la "mitomania" del prof. Lorenzon trova nella realtà un riscontro
obiettivo: in una villa ad Arcore, in provincia di Milano, vive il conte M .B..
uno fra i più attivi promotori di Italia Sociale, l'organizzazione fascista,
fiancheggiatrice del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese. che si richiama
apertamente alla "socialità" dei diciotto punti di Verona e
che ha stretti contatti - come risulta da un suo bollettino interno. riservato
agli aderenti - con l'altra organizzazione fascista "Costituente Nazionale
Rivoluzionaria" fondata, nel novembre del '67, dall'ex esponente socialdemocratico
Giacomo De Sario.(Un membro di rilievo della C.N.R.. il pittore Walter Criminati.
nell'estate del '69 frequentava assiduamente, a Milano Nino Sottostanti, Serafino
Di Luia e Giorgio Chiesa). Nella villa del conte. che è un ex repubblichino
di Salò, si sono tenute nell'autunno-inverno del '69, frequenti riunioni
di industriali e militari alle quali - almeno in due occasioni - ha preso parte
anche Junio Valerio Borghese. In merito alle date precise in cui esse si svolsero
esistono le interessanti testimonianze di alcuni tassisti.
(56) Reggio Emilia è al centro di un intenso traffico di armi da parte dei fascisti della provincia. Alcuni di essi. tutti del "giro" di Paolo Pecoriello e Bruno Giorgi. sono incorsi negli ultimi mesi in "spiacevoli avventure". A detta della cittadinanza reggiana si tratta comunque di "pesci piccoli". Il 29 settembre '69 il figlio del deputato liberale di Reggio, on. Ferioli, viene trovato ucciso da un colpo di Smith & Wesson. Durante il sopralluogo nell'appartamento i carabinieri rinvengono un ingente quantitativo di armi e munizioni. Un'inchiesta sulla loro provenienza, aperta dalla locale Procura della Repubblica dopo un mese. in seguito ad una interpellanza di parlamentari comunisti, viene archiviata con un nulla di fatto. Il 18 dicembre viene denunciato per detenzione abusiva di armi da guerra un fascista del quale non viene reso noto il nome. Il 30 dicembre il missino Agostino Bossi viene arrestato e processato perchè trovato in possesso di un. ingente quantitativo di armi da guerra. Il 14 febbraio 1970 al fascista Siro Brugnoli fermato dai carabinieri di Guastalla ad un posto di blocco viene sequestrato un carico di armi nascoste nel bagagliaio dell'auto. Nella sua abitazione di Reggio vengono rinvenuti: 12 fucili automatici, 20 pistole un mitra, una mitragliatrice tedesca con relativo treppiede, casse di munizioni, bombe a mano ANANAS, 5 cariche di dinamite, 250 detonatori, 40 metri di miccia a lenta combustione. Il Brugnoli, che nel bar Varolli di Reggio è stato udito più volte vantare stretti rapporti con alcuni colonnelli greci della base NATO di Napoli, dichiarerà, nel corso del processo, di essere un collezionista. Condannato a due anni di carcere, verrà rimesso in libertà dopo un mese.
(57) L'avvocato Giuseppe Pasquarella nel 1966 viene arrestato a Milano ed espulso dall'Ordine degli Avvocati. Si trasferisce a Ravenna, feudo del petroliere-editore-zuccheriere Attilio Monti e quindi, nel 1968, a Rimini.In breve tempo diviene ricchissimo: acquista una villa in località "La Grazia", apre un albergo-ristorante ed uno studio al centro di Rimini in via Mentana 19. Stringe amicizia con Giovannini (torrefazioni) e Savioli (alberghi e nights a Riccione), noti finanziatori del M.S.I. locale, di cui egli è uno dei più autorevoli esponenti. Frequenta assiduamente il vice-commissario della Questura di Rimini. Quando Panorama uscì con le dichiarazioni di Gian Luigi Fappani, tutte le copie della rivista scomparvero la mattina stessa dalle edicole di Rimini.
(58) Nella tarda serata di giovedì 11 dicembre il Crocesi telefonò da Roma ad un altro fascista riminese, tale Tomasetti, avvertendolo che era in procinto di partire per Milano.
(59) Memoriale autografo rilasciato dal Fappani al Movimento Studentesco Milanese il 18 3-1970. "Fui assoldato dal SID con il ricatto. Avevo accumulato reati per 20 anni di carcere. Mi invitarono a presentarmi in Piazzale Loreto dal Maresciallo dei C.C. Rocco. In Corso Buenos Aires dovevo consegnare delle piantine militari ad un ufficiale cecoslovacco (n.d.a.: la provocazione non riuscì). Il primo lavoro a favore del SID fu una lista con gli estremi dei dirigenti del Movimento Studentesco Milanese in collaborazione con Giovanni Ettore Borroni (n.d.a.: un attivista missino del FUAN.Caravella trovato morto, in circostanze misteriose, nell'autunno del '68). Giornalmente ricevevo istruzioni sui compiti da svolgere e. ogni settimana, consegnavo agli agenti del SID una relazione divisa in tre punti: A) relazione politica, B) situazione attivisti; C) situazione organizzativa. Ho consegnato inoltre vario materiale di propaganda fornendo gli indirizzi dei vari collaboratori e le indicazioni necessarie ad individuarli. Confermo che gli appartenenti al SID sono ancora gli agenti del SIFAR e che la repressione viene organizzata senza autorizzazione ufficiale del Ministero. Ho avuto l'incarico di vendere bombe lacrimogene e fumogene al Movimento Studentesco allo scopo di dare al SID il motivo per la repressione (n.d.a.: questa proposta, fatta dal Fappani ad alcuni militanti del M.S. nel febbraio del '69, gli costò il "posto" giacchè fu individuato come provocatore ed allontanato). Confermo che al mio posto. a livello della attuale dirigenza, il SID ha un suo informatore. Dichiarando ciò aggiungo che ho ricevuto da parte del SID la minaccia di pagarla cara".
(60) Nel marzo del '68 era con i fascisti reclutati da Caradonna per dare l'assalto alla facoltà di Lettere e, in quell'occasione. fu arrestato.
(61) Tra l'agosto e il dicembre del 1969 Pietro Valpreda fu interrogato otto volte dalla polizia in merito a questi attentati.
(62) E' il figlio di un avvocato romano. Gira armato di pistola e vanta rapporti con ufficiali americani della base NATO di Verona. Nell'estate ed autunno del '69 prende contatti con i fascisti di Milano e, contemporaneamente, fa frequenti viaggi in Germania. Con Chiesa e Fappani discute l'organizzazione di squadre anticomuniste addestrate militarmente.
(63) I due avvicinarono il Fappani dopo che nella stampa apparvero le sue prime dichiarazioni e, oltre a promettergli dei soldi, gli fecero notare che "i camerati ce l'avevano con lui per il tradimento" e che quella "era l'occasione ideale per riscattarsi". Lascia davvero, perplessi lo zelo dimostrato.
(64) Se ha fallito nel suo compito di spingere gli anarchici
del 22 Marzo a compiere attentati terroristici, Mario Merlino può aver
comunque fornito all'"esterno" del gruppo quelle informazioni (ad
esempio: i discorsi velleitari di Roberto Mander sulla necessità di "far
saltare in aria" l'Altare della Patria; la professione del padre di Roberto
Gargamelli. cassiere alla Banca Nazionale del Lavoro dov'è stato collocato
un ordigno: la partenza di Pietro Valpreda per Milano) indispensabili per organizzare
gli "attentati" a misura degli anarchici. Se esistessero ulteriori
dubbi al proposito. basterà citare alcuni brani del verbale dell'interrogatorio
a cui fu sottoposto Merlino nell'ufficio politico della questura romana dopo
la serie di attentati fascisti ai distributori di benzina. Da essi risulta oltretutto,
in modo inequivocabile, come la polizia fosse al corrente del ruolo da lui svolto
nell'ambito della sinistra extra-parlamentare. "... Affermo di conoscere
un giovane che si chiama Sestili (n.d.a.: è il fascista che tentò
d'infiltrarsi nel P.s.d'I. e che fu in seguito arrestato per alcuni attentati)
a me noto con il nome di "Polenta". Giorni fa gli fornii dietro sua
richiesta. un numero telefonico che corrisponde a Sandro Pisano, via dei Cartari
11, tel. 6567923. Fornii quel numero perchè il Pisano è uno dei
pochi elementi di destra con il quale mantengo contatti per motivi politici.
( ... ) Non so se riferisse le notizie che gli passavo a Stefano Delle Chiaie.
Ero invece convinto che lavorasse per altri in quanto, sentendolo parlare del
"vecchio"
credevo si riferisse a Valerio Borghese, il Presidente del Fronte Nazionale...".
Sandro Pisano, subito dopo gli attentati. ha pregato una ragazza, R.C. di non
parlare dell'appartamento di via Tamagno, a lei noto. Lo stesso ha fatto Mario
Merlino con
alcuni camerati, facendo "filtrare" la raccomandazione da Regina Coeli.
Il giorno successivo alla localizzazione dell'appartamento da parte di chi ha
condotto questa contro inchiesta, è scomparsa la targhetta con il cognome
Di Luia dalla colonnina prospiciente il numero civico 43. la targhetta della
cassetta delle lettere e quella accanto alla porta sul pianerottolo. Sandro
Pisano - infiltratosi più volte nei cortei del Movimento Studentesco
in coppia con un altro fascista. Tonino Fiore - è un
attivo militante di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo. Lui e il fratello
maggiore Franco, Presidente di Nuova Caravella - l'organizzazione di estrema
destra che "decorò" il Ministro degli Interni greco Pattakòs
con il proprio distintivo - vantano ottime "entrature" nel SID. Franco
Pisano, in varie occasioni, confidò di aver avuto l'incarico di indagare
sul viaggio a Cuba dell'estate dei '68 di un gruppo di studenti e assistenti
della facoltà di Architettura di Roma.
(65) Quando i giornali pubblicarono che egli era ricercato dalla polizia il Di Luia spedì a una ragazza sua amica una lettera che ne conteneva un'altra. affrancata da Monaco di Baviera, ed alcune istruzioni: "Se vengono a cercare di me, di che hai ricevuto posta da Monaco".
(66) In quel periodo fu segnalato in Italia Savvas Costantinopoulos, il columnist ufficiale dei governo di Atene.
(67) Si veda in appendice il testo completo del "rapporto".
(68) Europa Civiltà è sorta nel 1968 dal Movimento
Integralista, un'organizzazione di fascisti "evoliani" molto legati
alla destra democristiana e in particolare al deputato Agostino Greggi. Presidente
è Loris Facchinetti. intimo amico di Mario Merlino e Serafino Di Luia.
Il vero ispiratore a livello internazionale è il giornalista belga Jean
Thiriart. condannato all'ergastolo per collaborazione coi nazisti durante l'occupazione
militare. Thriart è strettamente legato ai colonnelli greci, a esponenti
dei MSI,
a un noto editore milanese e a un gesuita che ricopre una importante carica
nella Congregazione. Europa Civiltà gode di finanziamenti massicci. Organizza
campeggi paramilitari in cui istruttori tedeschi tengono corsi di controguerriglia.
I suoi campi base sono a Palombara Sabina, sul monte Vettore, nel parco Nazionale
d'Abruzzo, sul monte Faito, sul monte Meta. Organizza anche corsi di paracadutismo
con l'aiuto dell'Associazione Nazionale Paracadutisti che ha messo a disposizione
la sua palestra romana di via S. Croce in Gerusalemme. A differenza di altre
organizzazioni neofasciste non promuove azioni squadristiche e scongiura i suoi
iscritti - circa 3.000 in tutta Italia - dal prendervi parte. La clamorosa manifestazione
di "protesta" messa in atto da due suoi aderenti che si sono incatenati
nei magazzini Gum di Mosca è stata concordata da un agente del regime
greco in un albergo di via Veneto a Roma. Due giorni prima dell'"azione
russa" infatti un altro iscritto a Europa Civiltà aveva distribuito
volantini di protesta in una strada di Atene ed era stato immediatamente espulso
dalla
Grecia: ciò, nell'intenzione degli organizzatori, avrebbe dovuto dimostrare
la maggiore liberalità del regime dei colonnelli rispetto a quello sovietico.
Nell'autunno 1969 i dirigenti di Europa Civiltà hanno tenuto numerose
riunioni congiunte con quelli di Ordine Nuovo, del Fronte Nazionale e di Avanguardia
Nazionale nella sede di Largo Brindisi 18 a Roma. Il capo dell'ufficio politico
della questura della capitale ha definito "pacifici escursionisti"
gli iscritti a Europa Civiltà, in una intervista apparsa sul settimanale
Epoca.
(69) Questo capitolo non intende proporre una visione complessiva della situazione politico-sociale dell'Italia nei due anni che precedono la strage dei 12 dicembre 1969, ma solo offrire alcuni momenti del quadro generale all'interno del quale si è sviluppata la "strategia della tensione". Siamo consapevoli dei limiti profondi di questa ricostruzione ma di essa non si poteva fare a meno, proprio per porre in evidenza come, all'interno di tale strategia, i fascisti siano stati solo degli utili "mazzieri". Questa non vuol essere quindi una conclusione ma solo una premessa che noi offriamo a tutti i militanti come modesto contributo a quelle analisi politiche, globali e approfondite. che andranno sviluppate in altre sedi.
(70) Due anni fa Attilio Monti acquistò la raffineria di Gaeta che, opportunamente potenziata, dovrebbe diventare uno dei passaggi salienti del ciclo: greggio americano-petroliere greche-raffinazione Monti-rifornimento navi della locale base NATO. Un'altissima personalità socialdemocratica ed esponenti della destra DC, tra i quali l'on. Giulio Andreotti, si fecero paladini, all'indomani dell'acquisto, dell'installazione nel porto di Gaeta di un campo-boe che avrebbe permesso l'attracco simultaneo di numerose petroliere. Quando la notizia "filtrò", le popolazioni del litorale minacciarono una sommossa temendo - non a torto - che la cosa avrebbe seriamente pregiudicato le risorse turistiche della zona e il progetto venne provvisoriamente accantonate. Nel febbraio '70, in pieno clima post-bombe, alcuni esponenti dei locale PSU hanno iniziato un cauto sondaggio tra la popolazione in previsione di un suo rilancio in grande stile.
(71) Il ruolo svolto da queste sedicenti agenzie-stampa è
esemplificato dall'estratto di un rapporto segreto della CIA dedicato alla situazione
italiana e datato 5 luglio 1963."
"Quando Scelba divenne ministro degli Interni riunì una serie di
fascicoli su personalità di primo piano degli ambienti politici, sindacali,
economici ed intellettuali. Il prefetto P., che aveva ricoperto una carica importante
nei servizi di sicurezza durante il fascismo, fu incaricato della cosa. I fascicoli
vennero minuziosamente redatti e ben documentati. Quando Tambroni divenne a
sua volta ministro degli interni diede ordine a Pavone di arricchire i fascicoli
e questi, con l'aiuto di alcuni giornalisti suoi intimi amici (G.M., C.C., E.F.,
N.M.) fondò l'agenzia-stampa Eco di Roma che serviva da copertura per
ottenere informazioni su uomini politici, leader sindacali e giornalisti. In
poco tempo la lista dei fascicoli si allargò fino a comprendere migliaia
di nomi. Quando divenne Presidente dei Consiglio, Tambroni li fece trasportare
in un appartamento privato di piazza Indipendenza dove un giornalista chiamato
T. e il suo capo di gabinetto Mori se ne sarebbero occupati. Egli se ne servì
contro i suoi avversari per tentare di mantenersi al potere. Costretto a rinunciare
all'incarico, portò i fascicoli nella villa del suo amico M. in Sardegna...".
(72) Nel mese di giugno 1969 a Milano. alcuni militanti di due
gruppi della sinistra extra-parlamentare vengono avvicinati da Giulio Seniga,
(Nella "Strage di Stato vent'anni dopo" a cura di Giancarlo De Palo
e Aldo Giannuli edita da Edizioni Associate nel 1989 è stata inserita
una nota che testualmente citiamo "Questo riferimento a Giulio Seniga non
appare affatto convincente, anche perchè la postilla premessa a questo
capitolo non conferma affatto le accuse formulate. Peraltro Seniga, dopo una
iniziale incertezza, scelse il PSI e non il PSU" ed inoltre "Seniga
ci ha fatto sapere di essere estraneo all'episodio e di non querelare La strage
di Stato per non affiancarsi alla campagna contro di essa. Ne prendiamo volentieri
atto. Ciò non vuol dire naturalmente, che rinunciamo a criticare il comportamento
di Giulio Seniga nei confronti della sinistra extraparlamentare, documentato
in suoi recentissimi scritti, anche sulle colonne dell'Avanti!") l'ex-segretario
di Pietro Secchia che nel 1949 fuggi in Svizzera con dei documenti e la cassa
del PCI e che oggi è notoriamente legato al PSU ed in particolare ad
uno dei componenti dei suo ufficio esteri, di cui sono noti i rapporti con l'amministrazione
Nixon, Seniga offre denaro che però viene rifiutato. Una conferma a questo
tipo di operazione è stata fornita anche, da un'intervista dell'anarchico
Ivo Della Savia apparsa sul Corriere della Sera il 25 febbraio 1970: "...
da una parte ci sono dei giovani che si ribellano contro la società,
e sono capaci di rendere dannosa la loro azione; dall'altra vi è gente
che appartiene ad un altro ambiente sociale, che ha altre esigenze e che vede
in questi giovani degli strumenti". Domanda dell'intervistatore: "Cosa
fa? Li finanzia?" Risposta: "Sì, in una certa maniera ma mai
chiaramente. Tra costoro c'è anche quell'amministratore di un partito
di sinistra che anni fa sparì con tutta la cassa e non venne mai denunciato".
Nell'estate '69 anche l'avvocato milanese F.A. prendeva contatto con alcuni
militanti dei movimento studentesco di Roma per offrire loro dei soldi e per
proporre la formazione di commandos di guerriglieri. Ma anche in questo caso
i "finanziamenti" non sono stati accettati.
Questi tentativi di strumentalizzare, in chiave reazionaria. la lotta delle
avanguardie studentesche non sono inediti. Tra i tanti esempi basterà
citarne uno relativo alla Francia. Alla fine del '68 sulla Rivolte Etudiante
(Editions du Seuil -Paris) appariva questa dichiarazione di I.P. Duteuil, uno
dei leaders studenteschi dei "Movimento 22 Marzo": "Per quanto
riguarda il nostro movimento la CIA si è interessata più volte
di esso. Giornalisti e funzionari americani ci hanno offerto in varie occasioni
somme di denaro rilevanti. Inutile dire l'accoglienza che gli abbiamo riservato...".
Anche la sinistra moderata non è esente da simili "corteggiamenti".
Nello stesso periodo ai corrispondenti dei giornali stranieri ad Amsterdam venne
consegnata la fotocopia di una lettera sottratta al danese Jan Hackkerup, segretario
dell'IUSY, l'Internazionale Giovanile Socialista con sede a Vienna. Da essa
emergevano gli stretti rapporti finanziari esistenti tra l'organizzazione e
due associazioni giovanili americane notoriamente creature della CIA, la FYSA
e la YRS. La cosa suscitò una violenta polemica antiamericana e nei vari
paesi scandinavi fu oggetto di interpellanze parlamentari.
(73) Sul luogo dell'eccidio furono rinvenuti 5 kg di bossoli d'ordinanza, tra
i quali, numerosi, quelli delle pistole in dotazione agli ufficiali di P.S.
(74) Fu aperto un procedimento giudiziario contro 150 braccianti, identificati per lo più grazie alle liste dei feriti ricoverati negli ospedali. Alcuni dei denunciati guarirono in più di tre mesi. Nessun funzionario, ufficiale o agente di P.S. fu incriminato per l'eccidio.
(75) Per esaminare brevemente il ruolo svolto dalla stampa "d'informazione"
negli anni '68 e '69 - di forsennata manipolazione dell'opinione pubblica e
quindi di obiettiva complicità con il disegno reazionario complessivo
- si può partire dal giudizio espresso da Giorgio Bocca, redattore del
Giorno, sull'atteggiamento assunto da molti suoi colleghi in merito agli attentati
del 12 dicembre.
"Nell'occasione si è ancora una volta tristemente manifestato il
cinismo incivile, la prepotenza da servi in libera uscita che è di tanti
giornalisti pronti al linciaggio dei deboli e dei perseguitati: hanno dato per
crollato le mille volte l'alibi di questo o quell'imputato; scritto che sono
assassini prima di qualsiasi giudizio; accettate per buone le testimonianze
d'accusa più inverosimili; usato le più impudenti e strumentali
violazioni del segreto istruttorio. Sì, il quadro della stampa italiana
appare nero, deprimente.
Un giudizio esatto che rischia, tuttavia, di suonare moralistico se non viene
inquadrato in un'analisi, sia pure superficiale, della situazione in cui versa
la stampa "indipendente" del nostro paese. Le antiche tradizioni di
conformismo e servilismo della maggior parte del giornalismo italiano non sono
infatti che il logico riscontro dell'assoluto controllo esercitato dai centri
di potere economico sulle testate dei più importanti quotidiani e settimanali
in circolazione. E non c'è da meravigliarsi se questi, pur rappresentando
interessi di gruppi spesso economicamente antagonisti e quindi talvolta divisi
nella definizione di una strategia di potere, si siano trovati in quest'occasione
sostanzialmente uniti e concordi e abbiano fatto, per così dire quadrato.
A livello di stampa la strage di Milano e la sua per così dire gestione
politica - con tutte le implicazioni che essa comporta - appartengono al sistema
complessivo, all'ala riformista dei capitalismo italiano come alla sua ala più
arretrata. In questo quadro va tuttavia messo in rilievo il ruolo particolare
svolto dai giornalisti di proprietà del cavalier Attilio Monti. Nel corso
degli ultimi due anni evitando agevolmente lo scoglio delle leggi anti-trust
che regolano il settore della stampa, egli ha creato la più importante
catena di quotidiani italiani: Il Resto del Carlino e Carlino Sera, La Nazione
e Nazione Sera a Firenze. Il Telegrafo a Livorno, Il Giornale d'Italia e Momento-Sera
a Roma. L'Unione Sarda a Cagliari ed alcuni quotidiani minori dell'Italia meridionale.
Sono i giornali che più e meglio di ogni altro, a parte quelli dichiaratamente
fascisti - sono stati gli zelanti interpreti presso l'opinione pubblica della
"strategia della tensione". Non occorrono molti esempi. Il giorno
successivo alla scissione socialdemocratica Il Giornale d'Italia uscì
con il titolo, a caratteri cubitali, "SVENTATO IL COMPLOTTO CONTRO LO STATO"
e con un lungo articolo in cui si spiegava come Ferri, Cariglia, Preti e Tanassi
avevano impedito la consegna dell'Italia all'imperialismo sovietico da parte
di De Martino, Lombardi e Mancini. Nei giorni successivi alla strage, mentre
è in corso la più gigantesca campagna di caccia all'"estremista
di sinistra" della storia dell'Italia post-fascista, Momento-Sera pubblica
in prima pagina, con grande rilievo, che il figlio dell'on. Belisario, un parlamentare
della sinistra democristiana, è nell'elenco dei sospetti terroristi.
La notizia - nessun altro giornale italiano la pubblicò - è priva
di ogni fondamento. Il giorno successivo verrà smentita ma intanto il
senatore Belisario è stato colto da infarto e morirà dopo. un
paio di giorni.
(76) I fascisti ripartirono quasi tutti la mattina successiva. Quelli che rimasero a Battipaglia - una decina - nei due giorni successivi incendiarono il palco eretto dai sindacati per il comizio di protesta e aggredirono due iscritti all'Unione (m-l) giunti in auto da Napoli.
(77) Nei mesi di novembre e dicembre '69 la Borsa di Milano fu caratterizzata da un andamento assai instabile e da frequenti crolli di titoli, soprattutto di quelli legati al piccolo azionario, più sensibile all'allarmismo ed allo sconforto. L'11 dicembre, giorno precedente agli attentati, nella rubrica finanziaria dei quotidiano svizzero Journal de Géneve si leggeva: "Mercato irregolarissimo a Milano, con 3.120.000 titoli trattati. I valori che avevano resistito finora sono a loro volta oggetto di disimpegno...".
(78) E' una filiazione diretta dell'omonimo movimento neonazista tedesco, presieduto da Adolf von Thadden. Nel settembre del 1969 un quotidiano di provincia, La Gazzetta del Popolo, segnalò che questi era entrato clandestinamente in Italia sotto falso nome con un'auto targata Milano e che si era incontrato in una villa sopra Stresa, nella frazione Brisino, con alcuni industriali italiani del Nord e con esponenti del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese.
(79) In quell'epoca Michele Sindona appare improvvisamente e clamorosamente alla ribalta dei mondo finanziario italiano. Fino ad allora è conosciuto come valente avvocato fiscalista; si sa che è siciliano, ha 41anni e fa frequenti viaggi negli USA dove conta molte amicizie negli ambienti degli italo-americani. L'uomo che mantiene e coltiva questi contatti per suo conto è un certo signor Porco, ufficialmente agente per l'Italia delle acciaierie americane Cruciblee Steel. Nel 1967 Sindona rileva una grossa quota della Banca Privata Finanziaria di Milano e ne diventa vicepresidente, assumendone il controllo ed iniziando una escalation speculativo-finanziaria che non ha precedenti nel nostro paese. La tecnica usata è delle più semplici: concede prestiti a società in difficoltà costringendole alla vendita per sanare i debiti. Quindi le risana economicamente e le rivende a società straniere, di preferenza americane. Bastano alcuni esempi ad illustrare questa gigantesca operazione di neo-colonialismo finanziario che costituirà un supporto indispensabile alla creazione del terreno economicamente favorevole allo svilupparsi, a livello politico, della "strategia della tensione". Basti pensare al ruolo giocato dalla media industria, la più soggetta all'ipoteca USA, nella fase "calda" dell'autunno sindacale. quando la sua intransigenza nei confronti delle richieste operaie provocò l'accentuarsi delle tensioni sociali e la loro accorta strumentalizzazione per mezzo della stampa e del "personale politico" di complemento. Nei primi mesi del '68 Sindona trasferisce alla Chatillon l'emiliana Vittadello e la milanese Rosier; alla Cruciblee Steel la Siderurgica Vanzetti; alla belga Solina la veneta CTIP; alla Celanese USA la SIACE; inoltre mette sotto controllo diretto del capitale americano la Banca di Messina, la Italswiss, la Banca Provinciale di Depositi e Sconti, le concerie Pacchetti e, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. decine di industrie alimentari. meccaniche. cartarie, turistiche. cinematografiche, ecc.
(80) Nell'autunno del '68, con un'enorme copertura finanziaria alle spalle, Michele Sindona aveva già iniziato la scalata alla Italcementi ed alle Bastogi, e quindi alla possibilità stessa di esercitare un controllo decisivo sul mercato finanziario interno. In concorrenza diretta con Carlo Pesenti e con il Vaticano, proprietari dell'Italcernenti, nella fase iniziale dell'operazione, nel 1969, Sindona raggiungerà con loro un accordo di massima, che, sia pure variamente articolato, li vedrà schierati insieme contro la linea di razionalizzazione e di attacco alle patrimoniali portava avanti dal capitale.
(81) In particolare con Marcel Hepp, direttore dei Bayer Kurier, il quotidiano dell'ultra-reazionario ministro della Difesa Franz joseph Strauss; con il generale Schnez, il più "ultra" dei 5 capi della Bundswehr: con la Junge Union, l'organizzazione giovanile della destra democristiana e con il deputato clerico-fascista Stingel, che ricopre l'incarico importantissimo di capo dell'Ufficio del Lavoro di Norimberga.
(82) Sono circa 20. L'autenticità di tale cifra è data dalla fulmineità con la quale la polizia ha sempre identificato i suoi autori. Un esempio in percentuale: nel 1969, sui 7 attentati compiuti con molotov contro altrettante sezioni missine, in 6 casi la polizia ha scoperto i responsabili, denunciando complessivamente 11 militanti di sinistra. Nello stesso anno, sui circa 60 attentati contro sedi di organizzazioni di sinistra compiuti con molotov o, più frequentemente, con bombe a mano e ordigni al tritolo, in soli 19 casi si è giunti all'identificazione dei responsabili, con 26 fascisti complessivamente denunciati. Va inoltre considerato che in quattro occasioni i fascisti sono stati scoperti perché - essendosi fatti scoppiare gli ordigni in mano - sono dovuti ricorrere a cure ospedaliere.
(83) Ma la circostanza più clamorosa e illuminante è che Giuseppe
Schirinzi, un mese dopo il ritorno dal viaggio in Grecia, fondò il circolo
pseudo-anarchico XXII Marzo di Reggio Calabria che ebbe - come quello romano
- fondato da Mario Merlino - vita brevissima. Giuseppe Schirinzi il 9 dicembre
1969 - giorno successivo all'attentato alla questura di Reggio Calabria - partì
per Roma dove fu arrestato il 17 dicembre. In casa di chi fu arrestato? Cos'ha
fatto in quegli otto giorni Giuseppe Schirinzi, membro dell'esecutivo del "Centro
studi di Ordine Nuovo?".
(84) Tra novembre e dicembre: alla S.I.P., a Catasto e la chiesa di S. Brunello
(in coincidenza con un comizio di Almirante), contro due sezioni della DC, la
caserma dei carabinieri, il supermercato Standa e la chiesa di Marina di S.
Lorenzo, una località dove, durante l'estate, i fascisti della provincia
si erano riuniti per un "Campeggio marino" organizzato dai fratelli
Crea, due industriali locali legati a Junio Valerio Borghese.
(85) Chi è Pietro Valpreda? Per il "Secolo d'Italia"
(19 dicembre) "una belva oscena e ripugnante, penetrata fino al midollo
dalla lue comunista"; per "il Messaggero" (17 dicembre) "una
belva umana mascherata da comparsa da quattro soldi"; per "La Nazione"
(18 dicembre) "un mostro disumano"; per l'organo del PSU, L'"Umanità"
(18 dicembre) "uno che odiava la borghesia al punto da gettare rettili
nei teatri per terrorizzare gli spettatori"; per "Il Tempo" (18
dicembre) " un pazzo sanguina
rio senza nessuno alle spalle"; ecc. Questo per la stampa di destra. Per
l'"Avanti!" (18 dicembre) è invece "un individuo morso
dall'odio viscerale e fascistico per ogni forma di democrazia"; per "l'Unità"
(19 dicembre) "un personaggio ambiguo e sconcertante dal passato oscuro,
forse manovrato da qualcuno a proprio piacimento". Va detto, a parziale
giustificazione dei due quotidiani di sinistra, che, subito dopo il suo arresto,
da ambienti anarchici qualificati fu diffusa la notizia che da tempo si dubitava
di lui: sul finire dell'estate al circolo Bakunin era giunta da Milano la segnalazione
di tenerlo d'occhio. A quell'epoca alcuni anarchici milanesi del "Ponte
della Ghisolfa" erano venuti a conoscenza del verbale d'interrogatorio
di un loro compagno accusato degli attentati del 25 Aprile. Tra le varie domande
rivoltegli dagli inquirenti una suonava presso a poco così: "E'
vero, come ci ha detto Valpreda, che una volta gli hai chiesto degli esplosivi?".
La cosa - con l'aggravante di una sospetta provocazione dovuta all'assoluta
estraneità dell'anarchico ai fatti addebitatigli - venne segnalata a
Roma. Solo a molti mesi di distanza, nel gennaio del '70, gli anarchici milanesi
- venuti a conoscenza di un secondo verbale - scopriranno che si era trattato
di un equivoco. Il verbale si riferiva all'interrogatorio di A.D.E., svoltosi
subito dopo gli attentati del 25 Aprile. Vi compariva la frase: "Valpreda
una volta mi disse che x gli aveva chiesto se conosceva il modo di procurarsi
degli esplosivi".
La dichiarazione di A.D.E., personaggio ambiguo che già gli anarchici
consideravano con sospetto, venne attribuita dagli inquirenti, nel corso delle
contestazioni mosse da x, a Pietro Valpreda, ed iscritta a verbale. Un vecchio
trucco della polizia, che comunque, in questo caso, fece nascere sul conto di
Valpreda una "voce" che, mai efficacemente smentita, ha ingenerato
equivoci anche tra i militanti di sinistra. Alcuni dei quali sono tuttora convinti
che egli, opportunamente "manovrato" dall'apparato, sia davvero l'esecutore
materiale della strage di Piazza Fontana.
Chi è Pietro Valpreda non sta a noi giudicare. In una vicenda che coinvolge
profondamente la classe operaia e i militanti rivoluzionari del nostro paese
di lui c'interessa il ruolo che occupa nel disegno reazionario complessivo:
e, più in particolare - come già per Giuseppe Pinelli nel contesto
dell'inchiesta e dell'istruttoria, che di esso sono parti organiche e inalienabili.
Per questo, dal momento che si tenta - con un'ultima grottesca scappatoia -
di farlo passare per pazzo, ci sembra opportuno allegare a questa contro-indagine
un documento da cui - se non altro si può evincere che le facoltà
mentali di Pietro Valpreda - come del resto le sue capacità deambulatorie
- sono in perfette condizioni.
Questa lettera è uscita da Regina Coeli clandestinamente, scavalcando
la censura carceraria.
(86) Angelo Fascetti, nell'Aprile del '70, è stato arrestato e incarcerato al termine di una manifestazione di solidarietà con Valpreda. I poliziotti lo hanno "selezionato" tra una ventina di altri anarchici presenti.
(87) Allude probabilmente a Armando Gageggi, un vecchio attore d'avanspettacolo che svolge questa attività per arrotondare la pensione.
(88) Esistono quattro testimonianze al proposito.
(89) L'esistenza del deposito di esplosivi fu segnalata alla polizia da Mario Merlino, il quale affermò di averne sentito parlare da Roberto Mander ed Emilio Borghese.
(90) La "miccia", rinvenuta in casa di Roberto Mander durante una requisizione, è in realtà una di quelle cordicelle cerate che si usano per i "botti" di Capodanno.
(91) Allude al "quaderno musicale" sequestrato in
casa di Enrico Di Cola, l'anarchico del 22 Marzo che, imputato di "associazione
a delinquere", ha preferito rendersi latitante. Su una pagina del quaderno
erano stati segnati i nomi di alcune notissime basi NATO in Italia. Quando la
notizia fu comunicata alla stampa il quotidiano di sinistra "Paese-Sera"
pubblicò un titolo a quattro colonne in prima pagina in cui si preannunciava,
come probabile, un'inchiesta del S.I.D. in merito alla scoperta. Il 4 Gennaio
1970, dopo l'annuncio da parte del magistrato inquirente dott. Occorsio dell'incriminazione
del Di Cola, il quotidiano dei M.S.I "Il Secolo d'Italia" scrisse:
"Il passato criminale di Enrico Di Cola può essere sintetizzato
nei seguenti punti:
1) andava spesso con Valpreda in pizzeria;
2) partecipò ad uno sciopero della fame davanti al Palazzo di Giustizia
per protestare contro l'arresto di alcuni anarchici;
3) il pomeriggio dei 12 Dicembre ascoltò una conferenza nel circolo 22
Marzo.
Con simili prove il Di Cola può essere incriminato senza ombra di dubbio
di concorso in strage o almeno di associazione a delinquere".
(92) Com'è noto, subito dopo l'arresto di Valpreda e l'"uscita" del taxista Rolandi che dichiarò di averlo accompagnato davanti alla Banca dell'Agricoltura con la valigetta dell'esplosivo, fu diffusa immediatamente la voce dagli ambienti polizieschi che il ballerino era afflitto dal "morbo di Burger". La malattia. che comporta la necrosi progressiva degli arti inferiori, lo avrebbe costretto a percorrere in taxi i 147 metri che separano l'edificio della banca dal punto dove Cornelio Rolandi afferma di averlo preso a bordo. I giornali scrissero che le malattia era "all'ultimo stadio", che egli aveva già subito. "l'amputazione di varie dita dei piedi", che di notte, in cella, "si rotolava gridando per il dolore agli arti inferiori". Il 17 Dicembre "Il Messaggero" scrisse: "... minato dal morbo di Burger, che aveva stroncato le sue ambizioni di ballerino, Valpreda era un disperato che ha finito per trascinare e travolgere nel mostruoso disegno i compagni più giovani e inesperti". Due persone - un anarchico che aveva partecipato con lui ad una marcia della pace di 70 km ed una, sua amica che aveva avuto occasione di osservarne poco tempo prima le dieci dita dei piedi - si recarono in questura per testimoniare ma gli dissero di ripassare. Un commissario della squadra politica, in vena di confidenze, disse ad un suo conoscente: "E' una storia ridicola! Gli agenti che lo pedinavano tornavano in questura sfiancati".
(93) Quando VaIpreda ha scritto la lettera, il nome dei poliziotto Salvatore Ippolito "in arte" anarchica Andrea Politi non era ancora stato reso noto. In varie occasioni, parlandone con il proprio avvocato o nelle lettere spedite dal carcere ai compagni, egli aveva espresso il dubbio che all'interno dei "22 Marzo" si fosse infiltrata una spia anche se non era in grado d'identificarla. L'"anarchico di Stato" dirà invece di non esser stato in grado di segnalare i preparativi della strage perché Valpreda e C., sospettando di lui, lo avevano emarginato e tenuto all'oscuro. In realtà egli continuerà a frequentare il circolo fino alla vigilia degli attentati ed anche in seguito. Quanto alle sue dichiarazioni relative all'incontro del 14 dicembre con Emilio Borghese, durante il quale questi gli avrebbe "confessato" la propria responsabilità, va messo in rilievo il comportamento improvviso dei giovane che, dopo aver tramato stragi alle sue spalle, una volta placata la sete di sangue si sarebbe affrettato a restituirgli piena fiducia. In realtà l'Ippolito era riuscito a mimetizzarsi egregiamente, e, semmai l'unica cosa che i suoi superiori potrebbero imputargli è l'eccesso di zelo. Infatti - a parte le proposte di attentati che, spesso e volentieri, rivolgeva ai "compagni" del 22 Marzo - il 15 novembre, nel corso della manifestazione antimperialista che si svolse a Roma, due militanti del Movimento Studentesco lo disarmarono mentre. impugnando una sbarra di ferro, si accingeva a sfasciare la vetrina di un negozio di abbigliamento.
(94) Alcuni giornali lo identificarono nel presidente di Nuova Repubblica, Randolfo Pacciardi, il quale si era incontrato ad Atene nella primavera del '69 con il Ministro degli Esteri greco Pipinelis. Pacciardi smentì e querelò. Nello stesso periodo si era però recata ad Atene un'altra persona: il redattore del quotidiano romano Il Tempo P. Rauti, presidente di Ordine Nuovo: molto introdotto negli ambienti militari italiani grazie al volumetto "Le mani rosse sulle Forze Armate" da lui pubblicato sotto lo pseudonimo di Flavio Messala; organizzatore, nel marzo del 1968, dei viaggio-premio dei fascisti italiani in Grecia a cui partecipò anche Mario Merlino. Anche P. Rauti querelò un quotidiano, Paese Sera, che aveva timidamente ipotizzato rapporti tra lui e i colonnelli greci.
(95) E' il termine greco con il quale viene indicata l'Arma dei Carabinieri.
(96) L'argomento fu oggetto di discussioni riservate tra il Ministro degli Interni Restivo, il capo della polizia Vicari ed il capo dei carabinieri Forlenza, nei giorni successivi all'eccidio di Battipaglia. Esso non fu mai reso noto ufficialmente.
(97) Si tratta di Giorgio Ladas, segretario generale del Ministero dell'interno greco e Presidente della Giunta. Era a capo della gendarmeria militare al tempo del colpo di Stato. Il suo braccio destro è l'agente del KYP Costantino Plevris, intimo amico di P. Rauti e presidente del movimento neonazista greco 4 Agosto nella cui sede di Atene, nel marzo del '68, si incontrò con Mario Merlino e con altri fascisti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale.
(98) Si tratta degli attentati dinamitardi eseguiti il 25 aprile 1969 a Milano, al padiglione Fiat della Fiera Campionaria ed all'Ufficio Cambi della Stazione Centrale. Nel marzo del 1970 i difensori degli anarchici che in seguito alle indagini condotte dal commissario aggiunto Luigi Calabresi erano stati identificati come gli esecutori (i coniugi Corradini, indicati come i mandanti, furono rilasciati dopo sette mesi di carcere per "mancanza di indizi a carico") chiesero al magistrato inquirente che il testo del "dossier greco", accompagnato da una perizia che ne, affermava l'autenticità, fosse allegato agli atti dell'istruttoria. Il magistrato, dottor Antonio Amati, rifiutò. Dopo 13 mesi gli anarchici sono ancora in carcere in attesa di processo.
(99) La manifestazione ci fu. Tra i vari oratori intervenne il deputato dei M.S.I. Luigi Turchi.
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